domenica 31 marzo 2013

BAMBINI PALESTINESI NELLE CARCERI MILITARI ISRAELIANE

Informare per resistere

Un rapporto dell’Unicef denuncia i maltrattamenti “molto diffusi, sistematici e istituzionalizzati” cui sono sottoposti i minori palestinesi rinchiusi delle carceri israeliane. A differenza dei loro omologhi israeliani, i bambini palestinesi non hanno il diritto di essere accompagnati dai genitori durante un interrogatorio e sono raramente informati dei loro diritti.


“Il test di una democrazia sta nel trattamento riservato ai detenuti, alle persone in carcere, e in modo particolare ai minori”, dichiarava nel gennaio 2012 Mark Regev, Portavoce del Primo Ministro israeliano, Benyamin Netanyahu[1].Un recentissimo rapporto dell’Unicef, basato su oltre 400 casi documentati di detenzioni e maltrattamenti di giovani detenuti, mette in dubbio il livello di democrazia esistente in Israele[2].
Il Rapporto dell’Unicef conclude che “i minori palestinesi che entrano in contatto con il sistema di detenzione militare israeliano sono sottoposti a maltrattamenti molto diffusi, sistematici e istituzionalizzati. Quanto descritto si basa sulle ripetute denunce avvenute nel corso degli ultimi dieci anni, sulla loro entità, fondatezza e persistenza.” Tale conclusione è sostenuta anche dall’esame dei casi documentati attraverso un sistema di monitoraggio e reporting di gravi violazioni dei diritti dei bambini, così come dalle interviste condotte con avvocati israeliani e palestinesi e con bambini palestinesi.
Negli ultimi dieci anni, circa 7.000 minori palestinesi di età compresa tra dodici a diciassette anni sono stati arrestati, interrogati, perseguiti e/o imprigionati all’interno del sistema di giustizia militare israeliana; una media di 700 bambini l’anno, due al giorno. L’analisi dei casi monitorati da Unicef ha identificato esempi di pratiche che equivalgono a trattamenti crudeli, inumani o degradanti secondo la Convenzione sui diritti dell’Infanzia e la Convenzione contro la Tortura. Il Rapporto Unicef conclude raccomandando una serie di misure concrete per migliorare la protezione dei bambini all’interno del sistema giudiziario israeliano, in linea con le norme internazionali vigenti.
Il documento, dopo una breve introduzione al contesto giuridico e alla struttura del sistema detentivo israeliano, racconta con scarno ma raggelante realismo la spaventosa esperienza di un adolescente palestinese qualunque, in genere accusato di aver lanciato sassi contro un veicolo militare israeliano.
L’arresto
Una massiccia pattuglia di militari armati fino ai denti irrompe violentemente in casa nel cuore della notte svegliando tutti di soprassalto. Dopo una furiosa ricerca, spesso accompagnata da devastazione di mobili e oggetti vari, il giovane sospetto è legato ai polsi e, gli occhi bendati, viene strappato terrorizzato alla sua famiglia. È molto giovane, spesso sui 14-16 anni di età. A volte qualcuno è arrestato nelle vie attorno a casa, nei pressi delle strade riservate ai coloni israeliani o ai posti di blocco dell’esercito all’interno della Cisgiordania.
Per alcuni dei bambini la scena è devastante, tra urla e minacce verbali, e membri della famiglia costretti a rimanere fuori casa in camicia da notte mentre il giovane è portato via con violenza da casa con vaghe spiegazioni come: “viene con noi, lo riportiamo più tardi”, o semplicemente che il giovane è “ricercato”. Raramente gli astanti sono informati di dove l’arrestato verrà condotto, il motivo e fino a quando. Senza potere salutare i genitori né rivestirsi in modo adeguato, il bambino è caricato su una jeep, bendato, costretto a sedersi sul pavimento del veicolo e spesso colpito con pugni e calci mentre viene legato.
Il viaggio verso il luogo dell’interrogatorio può durare da un’ora a un’intera giornata e solitamente comprende delle soste in insediamenti colonici o basi militari dove il giovane prigioniero può aspettare ore e ore, a volte anche un giorno intero, senza cibo né acqua e senza accesso al bagno. Durante queste fermate intermedie molti bambini sono condotti davanti a personale medico che, rimosse le bende dagli occhi, magari rivolge qualche domanda sul loro stato di salute. Tuttavia, anche nel caso in cui sui loro corpi siano evidenti segni di abusi, è molto raro che ricevano adeguata attenzione medica. Di nuovo con occhi bendati, i bambini sono quindi condotti al luogo definitivo dell’interrogatorio.
L’interrogatorio
I luoghi più comuni per gli interrogatori dei bambini in Cisgiordania sono le stazioni di polizia negli insediamenti colonici di Gush Etzion e Ari’el, la prigione di Ofer e il Centro di Huwwara.
Nessun bambino è accompagnato da un avvocato o un familiare durante l’interrogatorio, nonostante l’articolo 37 (d) della Convenzione sui diritti dell’infanzia preveda che: “Ogni bambino privato della sua libertà abbia diritto a rapido accesso ad assistenza legale o ogni altra assistenza adeguata.” Nonostante quanto affermato dallo stesso art. 37, i bambini prigionieri raramente sono informati dei loro diritti, in particolare del diritto di non auto accusarsi. Non esiste alcuna supervisione indipendente del processo dell’interrogatorio che spesso assomma intimidazioni a minacce e violenze fisiche, con il chiaro intento di costringere il bambino a confessare. I piccoli detenuti durante l’interrogatorio sono legati, in alcuni casi alla sedia su cui siedono. Questa posizione viene fatta mantenere a forza, a volte per lunghi periodi di tempo, con conseguente dolore a mani, schiena e gambe. Alcuni bambini sono minacciati di morte, di violenza fisica, isolamento e abusi sessuali su di loro o sui membri della loro famiglia. Alla fine dell’interrogatorio, la maggior parte dei prigionieri ammette tutto ciò di cui erano stati accusati (di solito di “lancio di sassi”) e firma la confessione su di un modulo in ebraico, nella maggioranza dei casi senza la minima idea di quanto sia in esso contenuto.
Alcuni bambini sono stati rinchiusi in celle d’isolamento per un periodo da due giorni a un mese prima dell’udienza e dopo la condanna. In queste celle, secondo il rapporto dell’UNICEF, sono trattati in modo “crudele” e “disumano”. L’impatto negativo della pratica dell’isolamento sul benessere psicologico di un bambino ha convinto la Commissione sui Diritti dell’Infanzia a imporre il più severo divieto a tale trattamento.
L’udienza e la sentenza
Dopo l’interrogatorio il piccolo imputato è in genere condotto davanti a un tribunale militare per l’udienza. Entra in aula con manette ai polsi, catene alle gambe e indosso l’uniforme carceraria. Tutto questo è in contrasto con le norme minime per il trattamento dei detenuti, che prevedono di non utilizzare catene e ceppi, mentre altre forme di contenzione devono essere usate solo in determinate, limitate circostanze. Il giovane incontra per la prima volta il proprio avvocato nel tribunale militare per i minorenni e la sua custodia cautelare può essere estesa, contrariamente a quanto prescritto dalle norme internazionali, fino a un periodo di 188 giorni. Pure in violazione della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia non esiste in pratica alcuna possibilità di rilascio su cauzione.
Non tutti gli avvocati hanno un facile accesso alla necessaria documentazione militare e alla legislazione criminale di Israele poiché’ non sempre disponibili in lingua araba, come invece sarebbe richiesto dal diritto internazionale. Per questo motivo gli avvocati difensori palestinesi si trovano in netto svantaggio rispetto al procuratore israeliano con il rischio di compromettere le possibilità di un bambino accusato di ricevere un processo equo.
Infine, arriva la punizione, di solito molto severa. Due delle carceri dove la maggior parte dei bambini palestinesi sconta la pena si trovano, in violazione della Convenzione di Ginevra, all’interno di Israele, il paese occupante. In termini pratici, questo fatto rende assai difficili, e in alcuni casi impossibili, le visite dei familiari a causa dei regolamenti che vietano ai palestinesi della Cisgiordania di viaggiare all’interno di Israele e del tempo necessario per rilasciare un permesso. Secondo l’articolo 37 (c) della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, un bambino “ha il diritto di mantenere i contatti con la sua famiglia per mezzo di corrispondenza e di visite, tranne che in circostanze eccezionali”. La carcerazione dei piccoli prigionieri ha su di loro ovvi effetti deleteri nel lungo termine. Tagliando fuori un bambino dalla sua famiglia, a volte per mesi, la detenzione provoca un profondo stress emotivo, oltre a violare il diritto del giovane alla istruzione.
I piccoli palestinesi accusati di reati seguono un iter giudiziario molto diverso dai loro coetanei israeliani, compresi quelli residenti in insediamenti ebraici in Cisgiordania. Mentre i primi sono processati in tribunali militari ai sensi della legislazione militare israeliana, i bambini israeliani fruiscono del diritto penale e civile israeliano che naturalmente offre loro ben maggiori garanzie.
Conclusione
Non è la prima volta che organismi internazionali denunciano il maltrattamento di bambini palestinesi detenuti dall’esercito israeliano. Preoccupazioni in merito erano state sollevate nel luglio 2012 dalla Commissione speciale delle Nazioni Unite sulle pratiche israeliane nei Territori occupati. “Secondo le testimonianze raccolte, Israele pratica l’isolamento nel 12% dei bambini palestinesi detenuti”, aveva affermato in un comunicato stampa il presidente della Commissione, l’ambasciatore Palitha Kohona dello Sri Lanka.
La Commissione speciale aveva anche messo in guardia su un modello di detenzione e maltrattamenti dei bambini di più vasta portata. “Testimoni hanno riferito alla Commissione che il maltrattamento dei bambini palestinesi inizia dal momento dell’arresto. Un gran numero sono sistematicamente imprigionati. Le abitazioni dei bambini sono circondate da soldati israeliani a tarda notte, “bombe sonore” sono fatte esplodere nelle abitazioni, le porte sono abbattute, vengono sparati colpi di armi da fuoco, nessun mandato viene mostrato ai residenti. I bambini sono legati, bendati e costretti all’interno dei veicoli militari.” In pratica quanto descritto dal rapporto dell’Unicef.
Un rapporto di Defence for Children International (DCI) dell’aprile 2012 dal titolo “Legati, bendati e imprigionati” rilevava come, su 311 testimonianze giurate raccolte tra il 2008 e il 2012, il 75% dei detenuti palestinesi dai dodici ai diciassette anni di età subivano maltrattamenti durante l’arresto, gli interrogatori e la detenzione in attesa di giudizio[3].
Le prove presentate da DCI dimostravano che i bambini arrivano ai centri di interrogatorio israeliani bendati, legati e privati del sonno. A differenza dei loro omologhi israeliani, i bambini palestinesi non hanno il diritto di essere accompagnati dai genitori durante un interrogatorio e sono raramente informati dei loro diritti, in particolare del loro diritto alla propria non-incriminazione. Le tecniche di interrogatorio sono spesso mentalmente e fisicamente coercitive, incorporando un mix di intimidazioni, minacce e violenza fisica, con lo chiaro scopo di ottenere una confessione.
Come raccomanda un editoriale del Lancet[4], “Le autorità militari israeliane devono immediatamente adottare e far rispettare le raccomandazioni [dell'Unicef]. I bambini palestinesi prigionieri devono essere trattati in conformità con il diritto e gli standard internazionali, con divieto assoluto di tortura e di tutte le forme di altri maltrattamenti, senza eccezioni.”[5]
Commenta amaramente il giornalista israeliano Gydeon Levy rivolgendosi ai suoi connazionali: “Tutto questo avviene in un paese dove i bambini sono considerati una fonte di gioia, in cui la preoccupazione per il loro benessere è la massima priorità. Tutto questo accade nel vostro paese, a meno di un’ora dalle stanze da letto dei vostri figli.”[6]
Angelo Stefanini, Centro Salute Internazionale, Università di Bologna

Bibliografia
 1. The Palestinian children – alone and bewildered – in Israel’s Al Jalame jail. Special report: Israel’s military justice system is accused of mistreating Palestinian children arrested for throwing stones. The Guardian, 22.01.2012
2. UNICEF. Children in Israeli Military Detention: Observations and Recommendations. February 2013. [PDF: 1,4 Mb]
3. DCI-Palestine, Report. Defence for Children International, Bound, Blindfolded and Convicted: Children held in military detention. April, 2012. [PDF: 75 Kb]
4. Protecting the rights of Palestinian children detained in Israel. The Lancet 2013; doi:10.1016/S0140-6736(13)60657-1
5. United Nation News Center. Israel urged to treat Palestinian child detainees in accordance with rights law – UN.
6. Gideon Levy. UNICEF isn’t anti-Semitic. Haaretz, 10.03.13.





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