sabato 30 marzo 2013

Il minatore rosso intervista Barbara Balzerani .

Antonello Tiddia


Il 27 aprile a Cagliari ci sarà la presentazione del libro ‘ Compagna Luna ‘ di Barbara Balzerani.

Barbara Balzerani fu dirigente della colonna romana delle Brigate Rosse, cui aderì nel 1975, e prese parte a numerose azioni militari, come quella di via Fani. Durante il sequestro di Aldo Moro occupò assieme a Moretti la base brigatista di Via Gradoli 96 a Roma, la cui scoperta a causa della banale perdita di una tubatura, produsse uno degli argomenti principali delle ricostruzioni dietrologiche e delle teorie dei misteri. Né Balzerani né Moretti erano presenti nella base nel momento dell'intervento delle Forze dell'ordine e scamparono così all'arresto. Nel 1981 partecipò al sequestro del generale della NATO James Lee Dozier. Dopo l'arresto di Mario Moretti nel 1981, tentò senza successo di gestire la scissione dell'organizzazione, guidando poi la fazione delle "Brigate Rosse - Partito Comunista Combattente", mentre l'altra ala, detta "Brigate Rosse - Partito Guerriglia" fu capeggiata da Giovanni Senzani. Dopo il declino e la crisi delle BR, Balzerani fu tra gli ultimi militanti ad essere arrestata il 19 giugno 1985, assieme a Gianni Pelosi. Al momento dell'arresto aveva una pistola calibro 9. È stata condannata all'ergastolo. È tornata definitivamente in libertà, avendo scontato la pena, nel 2011. Ha lavorato in diverse cooperative, occupandosi di informatica e poi di progettazione di interventi sociali.  Ha scritto vari libri:
                        Compagna luna, Feltrinelli, 1998
                        La sirena delle cinque Jacabook, 2003
                        Perché io, perché non tu DeriveApprodi, 2009
                        Cronaca di un'attesa DeriveApprodi, 2011
                        Compagna luna è stato ristampato da DerivApprodi, 2013

Dopo la presentazione del libro “ Maelstrom “ di un altro ex brigatista Salvatore Ricciardi, stiamo continuando questo lavoro di analisi di quegli anni senza condannare nessuno e senza enfatizzare il fenomeno. Pongo quindi cinque domande a Barbara .

Barbara  prima di parlare del tuo libro e di farti delle domande che entrano più nei dettagli. Sicuramente sei a conoscenza delle varie lotte fatte negli ultimi tempi in Sardegna. Lotte di lavoratori che vedono le fabbriche chiuse, pastori, artigiani che protestano in svariati modi. Che idea ti sei fatta della colonizzazione fatta negli anni dall’Italia nei confronti dell’isola, che detiene il record di basi militari, carceri ecc.. e come sempre lo Stato Italiano combatte il tutto con la repressione ( vedi operazione Arcadia ) cosa ne pensi ?
Ti racconto un piccolo episodio: molti anni fa sono sbarcata per la prima volta nella vostra terra diretta sulla costa nord. Dopo qualche giorno di slalom tra divieti e guardie private armate, io e i miei compagni di viaggio abbiamo capito che non saremmo mai riusciti a campeggiare liberamente come in quegli anni si faceva ovunque. Il mare riuscivamo a vederlo solo in lontananza dalle strade sbarrate dei villaggi turistici. Tutto privatizzato! E un’ostilità inequivocabile da parte dei nuovi padroni di terra, aria, mare, strade e accessi, tutti, grandi e piccoli, con accenti del nord Italia. A un passaggio a livello, sotto il sole di agosto, ci hanno ospitato due casellanti, madre e figlio. All’ombra di un pergolato, tra acqua fresca, pane e formaggio, è stato facile capirsi. Il ragazzo aveva lavorato in uno dei tanti cantieri dei villaggi della costa e a conclusione dei lavori, il prezzo di una birra nel bar appena aperto gli aveva fatto capire che non avrebbe più potuto metterci piede. “Come avete fatto a farvi colonizzare così la vostra isola?”, mi è venuto spontaneo chiedere? Solita storia di false promesse di posti di lavoro e maggiore benessere. Il risultato stampato nella faccia dei due nostri ospiti, colpiti prima di tutto nella loro dignità calpestata e nel dolore di dover assistere alla trasfigurazione e alla militarizzazione della loro terra ricca di storia e antiche tradizioni. Che risponderti? Stiamo assistendo alla messa a regime della conversione dei sistemi economici produttivi nazionali in quello finanziario transnazionale che è stata preparata negli ultimi decenni con il sostegno di tutte le forze politiche parlamentari e sindacali. Il liberismo è diventato cultura politica dominante e le risorse drenate dal “sociale” a favore dell’apparato affaristico del mercato mondiale del denaro sono state fatte passare come “sacrifici necessari” per il futuro Bengodi di nuovo sviluppo. Senza se e senza ma i poteri forti stanno marciando sui loro obiettivi e travolgono a suon di devastazione, militarizzazione dei territori e repressione poliziesco/giudiziaria ogni espressione di resistenza. Questo ha spostato l’equilibrio dei rapporti di forza che possono risultare favorevoli principalmente dove sono popolazioni intere e non singole categorie a lottare per un’alternativa di sistema basata su altre scelte fondamentali: come vivere, come lavorare, come studiare, cosa produrre, quali bisogni soddisfare, come fare comunità, cultura, conoscenza, come partecipare alle decisioni sulle priorità che riguardano tutti. A partire dalle differenze di storia e condizioni dei territori e dalla evidente l’interdipendenza tra locale e globale, se non vogliamo rimanere schiacciati e impotenti di fronte a decisioni che ci sovrastano ormai anche a livello nazionale, dobbiamo imparare a riconquistare l’egemonia politica e culturale a partire dalla soglia di casa, dai diritti delle persone e dalla salvaguardia dei beni comuni su cui deve essere intransigente l’indisponibilità a trattare. Soprattutto in luoghi come la vostra terra, impoverita, militarizzata e depredata oltre ogni limite.     

-          Il tuo libro "Compagna Luna"  volutamente non è la storia delle Brigate Rosse, ma un'autobiografia storicamente contestualizzata, narrata in terza persona, con uno stile che rispecchia con grande evidenza il carattere dell'autrice. Determinata e nello stesso tempo fragile e dubbiosa. Il libro narra di una bambina nata nel 1949 nella periferia romana, da una famiglia numerosa e decorosamente povera, di un padre licenziato perché ammalatosi sul lavoro, di una madre sempre troppo stanca al ritorno dalla fabbrica per potersi concedere il "lusso della tenerezza" verso la piccola Barbara che, crescendo, nella madre vedeva il mondo da cui voleva fuggire e la figura femminile su cui, più che su altre. Quella madre che avrebbe tanto amato da scegliere il suo nome, Maria, come nome di battaglia da brigatista. Cosa puoi dire di più di questo libro ? Ho molto apprezzato il tuo libro, il fatto che sfugge alle catalogazioni sterili del mondo letterario .
-          “Compagna Luna” è stata la mia prima ripresa di parola dopo la militanza nelle BR. Su quella storia era calata come una mannaia la scure delle ricostruzioni ufficiali che ne hanno fatto scempio, riducendola a una sequela di fatti criminali, diretti da forze occulte, completamente scollegati dalle dinamiche politiche di questo paese. La mia esigenza è stata di provare a raccontarla sottraendomi al gioco perdente delle tesi contrapposte, delle giustificazioni e delle spiegazioni ma scegliendo un altro piano di linguaggio comunicativo: quello proprio del racconto di una storia personale rivolta ai tanti e tante rimasti senza voce dopo la rivolta degli anni ‘70. Il mio tentativo è stato quello di svelare che dietro il trucco semantico della riduzione ad “ex” dei militanti rivoluzionari, figuranti decontestualizzati nel teatrino delle ricostruzioni di comodo, ci fosse un pezzo importante della storia sociale delle classi subalterne di questo paese, la loro condizione, la loro emancipazione e la loro sconfitta. Dentro questo sono nate, vissute e morte anche le Brigate Rosse. Questo mi interessava: ritrovare il senso collettivo di una memoria dei tanti e tante che hanno vissuto quella straordinaria e diversificata stagione di lotte e di conquiste, condannata e sfigurata nella narrazione dei vincitori e dei loro galoppini che ha lasciato insoluto e senza risposte le ragioni di uno scontro sociale e politico che ha coinvolto il paese e ne ha condizionato la storia. In questo percorso di scrittura “Compagna luna” è stata la prima tappa di un doloroso viaggio di ritorno in solitaria in un mondo ostile e irriconoscibile dopo gli anni separati della galera.   

Hai detto «Non mi riconosco in nessuna categoria. La distinzione tra pentiti, dissociati e irriducibili rappresenta un artificio semplificatorio. Io non ho voluto ricorrere ai premi previsti dalle leggi eccezionali nei confronti di chi collabora. Non faccio nomi, non mando compagni in galera, ma non significa che non veda i nostri errori passati e non giudichi l’esperienza armata del tutto chiusa». [Dell’Arti-Parrini 2008] Puoi spiegare meglio ai lettori questa tua importante dichiarazione ?
Quelle categorie sono figlie della cultura e della legislazione speciale che ha distribuito premi e punizioni ai reduci della lotta armata degli anni ’70 e ha ridotto a schemetto semplificato il dramma di un pezzo di generazione sconfitta e seppellita da secoli di galera. A ben vedere si possono applicare a un più ampio schieramento politico, a tutti quelli che “volevano fare la rivoluzione”, che ci hanno persino adulato e hanno “tifato” per noi, e che poi, nella sconfitta, si sono “pentiti” dei loro eccessi di gioventù e hanno riscoperto le bellezze e, soprattutto, le convenienze del migliore dei mondi possibili. Naturalmente non sto condannando né ripensamenti né autocritiche, ognuno è legittimato a ripensare la propria esperienza, ma il commercio delle indulgenze che se ne è fatto, perché non sono stati consentiti né confronto né rielaborazione critica sulle proprie e altrui responsabilità politiche in quello scontro. La battaglia per una soluzione politica di liberazione degli anni ’70 dalle ricostruzioni di parte per riconsegnarla intera alla società, è stata l’ultima battaglia persa e ci hanno lasciato solo due strade: o passare sotto la gogna di riconoscere solo le ragioni del vincitore oppure rimanere schiacciati sulle posizioni di chi ha continuato a proporre l’attualità della lotta armata, in tutta evidenza improponibile. La “terza strada” quella di chi come me ha dichiarato chiusa quella stagione insieme all’indisponibilità di imbattersi nelle illuminazioni su qualche via di Damasco, ha comportato un’espiazione delle condanne giudiziarie per intero e la negazione del diritto di parola, a supplemento di pena. Sui “pentiti” (edulcorazione della categoria dei delatori per attribuirgli un valore morale da sacrestia) c’è poco da dire, storicamente i Giuda sono sempre stati disprezzati sia da chi se ne è servito sia dalle loro vittime. Sulla dissociazione invece va fatto un ragionamento a parte perché rappresenta una operazione politica ideata soprattutto dell’allora partito comunista che è riuscito ad estorcere umilianti dichiarazioni di abiura in cambio di sconti di pena, e così a coronare il suo disegno di togliere ogni ragione (politica, sociale, persino morale) alla scelta armata per bocca dei suoi ex militanti. E questo al di là delle buone intenzioni dei singoli, quando c’erano. A quei tempi Franco Fortini scriveva che lui non giudicava, perché non poteva dire cosa avrebbe fatto nelle stesse condizioni dei prigionieri politici che si dissociavano, ma che una cosa non perdonava loro: aver dato ragione all’ex nemico, che non ne aveva alcuna. Condivido.
Quanto all’irriducibilità. Che vuol dire? Omologare chiunque non abbia voluto scegliere le altre due vie a una continuità con un passato che non passa perché è sempre comodo ritirarne fuori il fantasma, specie per agitarlo contro i movimenti attuali. Le polemiche per il funerale di Prospero Gallinari ne sono l’ennesima triste dimostrazione. Per non parlare del gridare alla emergenza di un “pericolo terrorista” ovunque le lotte si radicalizzano.      

Cosa rimane oggi della lotta armata? 
Per quanto mi riguarda principalmente il rammarico di non essere riusciti a sottrarre quel pezzo di storia dalle mani di chi ne ha fatto uso e consumo per fini opportunistici e di puntello a un sistema impresentabile. L’operazione di mistificazione che è stata fatta è andata in profondità e, soprattutto nei riguardi delle nuove generazioni, questo è un danno perché non conoscere produce rigetto o emulazione acritica. In ogni caso sottrae elementi importanti di comprensione del mondo attuale che l’esito di quello scontro ha contribuito fortemente a configurare. Rimangono i compagni, i valori, le esperienza di vita, l’impegno specchiato di militanza rivoluzionaria, l’assunzione di un esercizio di responsabilità. Rimane la libertà di chi non ha svenduto le ragioni delle proprie scelte, pur riconoscendone i limiti e gli errori. E un insegnamento sempre valido: non delegare e credere mai che non si possa fare niente per provare a cambiare lo stato presente di cose, anche quando la rivoluzione non è all’ordine del giorno. L’odio verso gli indifferenti è sempre una valida prescrizione morale.

Il tuo caro amico Erri De Luca ha detto questa frase la condividi?
Non so in che contesto Erri abbia detto questa frase. Mi pare di capire che abbia inteso sottolineare una differenza tra la militanza politica e la produzione artistica in polemica con il ceto dei mestieranti della parola quasi mai disponibili a spendersi per cause con cui non si fa carriera. La produzione artistica non dovrebbe lanciare messaggi, non dovrebbe essere finalizzata a convincere nessuno o a propagandare un’idea ma comunicare uno stato d’animo, una condizione umana, la memoria di un vissuto e di chi non c’è più. Per questo un testo di saggistica scade e la poesia attraversa i secoli e continua a parlarci e, in certe condizioni estreme, a salvarci.

Nessun commento:

Posta un commento