domenica 19 maggio 2013

Anche qui piazza Tahrir!

Fabiana Stefanoni


Con lo sciopero del 15 maggio cresce
la lotta esemplare dei lavoratori delle cooperative


 Dopo il successo del precedente sciopero nazionale del 22 marzo, lo sciopero della logistica e del trasporto merci del 15 maggio proclamato dai sindacati di base (Si.Cobas, Adl Cobas e  Cobas) per il rinnovo del Ccnl  ha permesso alla lotta di fare nuovi passi in avanti. Le città coinvolte nello sciopero sono state persino di più di quelle del già riuscitissimo precedente sciopero nazionale, con un'estensione della lotta in nuove regioni. Soprattutto, l'adesione allo sciopero - là nelle aziende dove i sindacati sono presenti - è stata altissima, in molti casi pari al 100%, o quasi.
Una lotta animata dagli immigrati
Sono molte le lotte che percorrono il nostro Paese. Sono lotte - picchetti permanenti davanti alle aziende, scioperi prolungati, occupazioni di fabbriche - dimenticate dai mass media e che, fino ad oggi, spesso sono rimaste isolate, sia per volontà dei padroni e delle burocrazie sindacali (di Cisl, Uil e Cgil), sia per la mancanza di strutture di coordinamento in grado di unificarle. Tra tutte queste lotte, crediamo che la lotta degli operai delle cooperative del settore della logistica e del trasporto merci meriti un'attenzione particolare.
Prima di tutto, è una lotta animata da operai immigrati, cioè da quel settore della classe lavoratrice che subisce le peggiori condizioni di sfruttamento e oppressione. Sono operai tenuti sotto ricatto a causa di una legge - la Bossi-Fini - che vincola la loro permanenza sul suolo italiano al possesso di un contratto di lavoro. Un lavoratore immigrato privo di contratto diventa automaticamente clandestino e, di conseguenza, rischia la reclusione nei Cie (i famigerati lager in cui vengono rinchiusi gli immigrati privi di permesso di soggiorno) e poi l'espulsione. Questa condizione di ricattabilità della manodopera immigrata è diventata un'occasione di guadagno per centinaia di padroni e padroncini, che ne hanno approfittato per imporre condizioni di lavoro schiavistiche e calpestare vite umane.
Sei immigrato e vuoi lavorare? Bene, allora accetta quello che ti propongo e non fiatare. E' questo ragionamento che ha indotto molti padroncini a caccia di profitti facili a creare delle "cooperative" che, di concerto con committenti a caccia di risparmi facili (dalla Tnt alla Sda, dalla Gls all'Ups, ecc.), hanno istituito una variante del ventunesimo secolo di lavoro schiavistico.
Prima della straordinaria stagione di lotte dei lavoratori delle cooperative (iniziata all'Esselunga di Pioltello e alla Garticol Scarl Basiano due anni fa, poi estesasi all'Ikea di Piacenza e oggi diffusa su tutto il territorio nazionale), per questi padroni la vita era molto facile: le aziende committenti evitavano la "rogna" di assumere dipendenti limitandosi a esternalizzare il servizio a una cooperativa; la cooperativa impiegava manodopera immigrata disposta a tutto pur di lavorare. Le condizioni di lavoro? pagamenti in nero (con buste paga di zero euro in cui i soci della cooperativa risultavano in perenne aspettativa, come alla Tnt di Piacenza), retribuzioni miserrime, ritmi di lavoro estenuanti senza limiti di orario, in sfregio allo stesso Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro. Questi padroni e padroncini potevano contare su un fido alleato: le burocrazie dei sindacati concertativi (Cgil in testa), che, come sempre fanno, invitavano i lavoratori alla rassegnazione ("in tempi di crisi è già tanto se lavorate": un ritornello che spesso sentiamo ripetuto proprio dai burocrati della Cgil).
Le cose per i padroni sono andate bene finché questi lavoratori non hanno cominciato a organizzarsi col sindacato di base (il Si.Cobas, anzitutto): dimostrando una grande unità e determinazione, hanno dato vita a una stagione di lotte - fatta di scioperi prolungati, picchetti quotidiani davanti alle aziende e ai centri di smistamento, manifestazioni di protesta - che ha permesso di ribaltare i rapporti di forza. Le cooperative sono state in molti casi costrette a riconoscere i diritti negati, a concedere aumenti salariali e a reintegrare i lavoratori pretestuosamente licenziati.
Non è coi compromessi che si strappano vittorie
Questi lavoratori immigrati stanno dando un'importante lezione a tutta la classe lavoratrice in Italia: non è coi compromessi al ribasso, o piegando la testa davanti ai padroni, che si ottengono risultati, ma, al contrario, con la lotta dura. E quella degli operai della logistica non si è piegata nemmeno di fronte a una repressione brutale. All'Esselunga di Pioltello furono utilizzate bande di crumiri e persone pagate dall'azienda per aggredire il picchetto degli scioperanti; numerose sono state le cariche della polizia, da Basiano a Piacenza a Bologna. Molti lavoratori che hanno dato vita alle azioni di lotta sono stati licenziati, licenziamenti che il Si.Cobas ha giustamente definito "licenziamenti politici": dai lavoratori di Pioltello e Basiano, ai lavoratori dell'Ikea (poi reintegrati dall'azienda grazie al successo dello sciopero prolungato), ai recenti licenziamenti nel bolognese. Dove non arrivano licenziamenti, fioccano provvedimenti disciplinari, sospensioni, in alcuni casi (come alla Granarolo) solo per aver fatto dichiarazioni "lesive dell'immagine dell'azienda" (sic!) in un'intervista-video su youtube. Non solo: il coordinatore nazionale del Si.Cobas, Aldo Milani, ha ricevuto dalla questura di Piacenza un foglio di via dalla città. E' una misura fascista che, utilizzata contro un dirigente sindacale, dà il segno del timore che i padroni e gli apparati repressivi dello Stato borghese hanno di questa mobilitazione.
Proprio in questi giorni, la Commissione di garanzia per gli scioperi - nell'evidente tentativo di stroncare la lotta - ha dichiarato illegittimi gli scioperi delle cooperative che lavorano per la Granarolo e la centrale Adriatica (che distribuiscono il latte e riforniscono i supermercati Coop), definendo la distribuzione di queste merci "servizi pubblici essenziali". Questo significa che, secondo lo Stato dei padroni, d'ora in poi se vorranno scioperare i lavoratori dovranno rispettare la legge 146 del 1990, che prevede l'obbligo di preavviso e impedisce lo sciopero prolungato. E' una legge che è stata voluta e condivisa dalla Cgil (oltre che dalla Cisl e dalla Uil) e che oggi i padroni impiegano per impedire, anche nel privato, l'esercizio del diritto di sciopero. Come nel pubblico impiego, i lavoratori che non rispettano il preavviso rischiano sanzioni penali e, in caso di licenziamento, non hanno il diritto di rivalersi.
Una lotta contro il capitalismo
In questa vertenza non sono in gioco solo la difesa del posto di lavoro, il rinnovo del Contratto Collettivo del settore. Come i principali esponenti di questa lotta hanno più volte dichiarato: è una lotta contro il sistema capitalistico. Un sistema che, tanto più nell'attuale fase di crisi, si basa sullo sfruttamento del lavoro salariato: quanto meno l'operaio guadagna, tanto più il padrone si arricchisce. E' per questo che da questa lotta pensiamo possa nascere, anche in Italia, una mobilitazione importante, in grado di rovesciare gli attuali rapporti di forza e cominciare finalmente a segnare vittorie per la classe lavoratrice, nella prospettiva di abbattere questo sistema economico e sociale.
E' una lotta che si contrappone agli apparati burocratici sindacali concertativi e di cui i padroni (e lo Stato che li difende) hanno una grande paura. I burocrati dei sindacati concertativi spiegano ai lavoratori che "per strappare risultati bisogna abbassare il livello dello scontro". Ma i lavoratori delle cooperative conoscono invece un'altra lezione: solo non abbassando il livello del conflitto, solo restando uniti nella lotta senza accettare compromessi al ribasso è possibile difendere il posto di lavoro e sconfiggere i padroni. Persino il tentativo di imporre la cassa integrazione ordinaria (strumento spesso usato dai padroni per ridurre i compensi, depotenziare l'arma dello sciopero e isolare i lavoratori) è stato respinto all'Ikea di Piacenza.
Non sarà facile per i padroni far piegare la schiena a lavoratori che hanno davanti a sé l'esempio delle rivoluzioni in corso nei loro Paesi di origine: dal Nord Africa al Medio Oriente. E non a caso, uno degli slogan più gridati durante le manifestazioni dei facchini è: "anche qui piazza Tahrir!". Ed è proprio così: questi lavoratori la loro piazza Tahrir se la stanno conquistando, con la lotta.
Estendere la lotta e la solidarietà!
Attorno alla lotta degli operai della logistica e del trasporto merci si è creata un'importante rete di solidarietà. Numerosi sono i lavoratori, i precari, gli studenti, gli attivisti politici e sindacali, diversamente collocati, che hanno portato solidarietà concreta agli scioperi e alle lotte dei lavoratori della logistica, e tra loro con grande convinzione i militanti del Partito di Alternativa Comunista. Pensiamo che ancora non basti. Questa battaglia potrà essere vinta solo se si allargherà ulteriormente il fronte della lotta. E' necessario che la lotta dei lavoratori della logistica si unisca a quella delle altre categorie di lavoratori, del pubblico e del privato; è necessario che siano sempre più numerose le organizzazioni sindacali, politiche e di movimento chiamate a portare la loro solidarietà ai picchetti e agli scioperi; è necessario che da qui parta una mobilitazione di massa di tutto il mondo del lavoro per respingere le misure di austerità del governo e respingere la legge razzista Bossi-Fini.
Crediamo sia importante il fatto che i lavoratori della logistica abbiano partecipato alle iniziative del Coordinamento No Austerity: anche questo è un modo per allargare la rete di solidarietà attiva attorno alla loro lotta e costruire un rapporto concreto con le lotte di altri lavoratori. Soprattutto, è importante che i lavoratori della logistica abbiano portato la loro esperienza di lotta all'incontro internazionale di Parigi, da cui è nata la Rete Sindacale di Solidarietà e di Lotta (a cui anche il Si.Cobas ha aderito): ora la loro lotta è una lotta conosciuta sul piano internazionale. Il capitalismo è un sistema di sfruttamento internazionale: per questo anche la lotta per abbatterlo richiede strumenti di lotta e di organizzazione internazionali.

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