mercoledì 22 maggio 2013

DOSSIER SULLA SANITA’ – ASL FROSINONE -

Francesco Notarcola

L’organizzazione sanitaria della provincia di Frosinone nel settore ospedaliero e in quello territoriale, ha visto un lento e progressivo impoverimento ed un venir meno alla capacità di far fronte ai bisogni di salute della nostra popolazione. Dai tempi  della giunta regionale presieduta da Badaloni ad oggi, sono state chiuse importanti strutture ospedaliere come Isola del Liri, Arpino, Ceprano, Ferentino, Veroli, fino ad arrivare alle decisioni assurde ed improvvisate, fantastiche,  della giunta presieduta dall’On. Polverini, alle quali hanno fatto seguito la chiusura di strutture ospedaliere che avevano un radicamento storico nel territorio ed avevano fama di luoghi di cura efficienti e capaci, come Atina, Ceccano, Pontecorvo ed Anagni. Queste strutture erano punti di riferimento di popolazioni di vaste zone della Ciociaria come l’alta e bassa valle del Liri,  la valle di Comino e la zona nord della provincia, che serviva anche la zona sud della provincia di Roma.
Occorre rilevare e sottolineare che la chiusura di queste strutture ed il ridimensionamento o la chiusura di reparti negli ospedali di Cassino, Sora e Frosinone, non hanno apportato alcun miglioramento. Il caos organizzativo è stato consequenziale anche al fatto che non si è avuta la capacità di elaborare un atto aziendale adeguato alle necessità e ai bisogni di salute. Nella ASL di Frosinone vige ancora l’atto aziendale del 29 maggio 2004. Tutti i cambiamenti, le soppressioni, le chiusure delle strutture ed il ridimensionamento di taluni servizi territoriali sono dovuti all’improvvisazione o alla necessità di interventi dovuti alla protesta dei cittadini.

Le conseguenze sono state catastrofiche:

1)   Drammatica riduzione dei posti letto.
     Il numero dei posti per acuti nella provincia di Frosinone è ben al di sotto dello standard nazionale: 2,4 posti letto / per mille abitanti in Ciociaria, rispetto a 4 posti letto / per 1000 ab. previsti dalla normativa. La nostra provincia è perciò in credito di posti letto ed ha assolutamente bisogno di investimenti per sanare questo vuoto, causa attuale di disagi e drammi quotidiani.
2)   Non si è costruita una organizzazione sanitaria territoriale adeguata. Non si è modernizzata l’organizzazione dei medici di famiglia innovandone il ruolo, i compiti e la loro collocazione.
3)   Non si sono create unità di eccellenza,  efficienza e qualità. Ciò ha senz’altro favorito la mobilità passiva, che ogni anno  costa alla ASL  80/100 milioni di euro.
4)   La gestione delle ASL è stata sempre caratterizzata dal clientelismo e dalla strumentazione politica. Le risorse umane e finanziarie non sono state, perciò, finalizzate al miglioramento  e al soddisfacimento della richiesta di servizi efficienti e di qualità.
5)   Le gestioni che si sono succedute negli ultimi venti anni nella ASL hanno volutamente trascurato la lotta agli sprechi e il  recupero delle risorse, ivi compreso  l’uso degli immobili di proprietà della ASL. Importanti immobili sono oggi nel degrado e nell’abbandono (ex consultorio, ex INAM, ecc.).
6)   Le gestioni della ASL hanno completamente e fortemente contrastato la partecipazione dei cittadini, l’informazione e la trasparenza.

In conclusione le ASL non sono mai state case di vetro ma strumenti di potere molto spesso occulto. Ciò ha impedito il crescere dell’organizzazione sanitaria tesa al soddisfacimento dei bisogni e il raggiungimento di livelli qualitativi soddisfacenti.

L’entrata in funzione dell’ospedale di Frosinone aveva creato molte attese e molta fiducia circa il miglioramento dell’organizzazione dei servizi sanitari ospedalieri in tutta la provincia.
Secondo gli impegni assunti dagli schieramenti di centro destra e centro sinistra in occasione delle elezione regionali passate, l’ospedale del capoluogo doveva divenire DEA di secondo livello (DCA 87/2009). Ciò avrebbe dovuto rappresentare un vero salto di qualità in termini assistenziali per l’intera provincia di Frosinone. Non è stato così. L’ospedale di Frosinone, ma anche gli ospedali di Sora e di Cassino, non sono nemmeno adeguati a quanto prescrive la legge per i DEA di I livello.

Infatti il DEA di I livello garantisce, oltre alle prestazioni fornite dagli ospedali sede di Pronto Soccorso, anche le funzioni di osservazione  e breve degenza, di rianimazione e, contemporaneamente, assicura interventi diagnostici-terapeautici di medicina generale, chirurgia generale, ortopedia e traumatologia, cardiologia con UTIC (Unità di Terapia Intensiva Cardiologia). Sono inoltre assicurate le prestazioni di laboratorio di analisi-cliniche e microbiologiche, prestazioni trasfusionali, e di diagnostica per immagini.

Il DEA di II livello assicura, oltre alle prestazioni fornite  dal DEA di I livello, funzioni di più alta qualificazione legate all’emergenza, con la presenza di specialità quali la cardiochirurgia, la neurochirurgia, la terapia intensiva neonatale, la chirurgia vascolare, la chirurgia toracica. Altre componenti di particolare qualificazione, quali le unità per grandi ustionati e le unità spinali, sono collocate nei DEA di II livello, garantendo un’equilibrata  distribuzione sia sul territorio regionale che nazionale, ed una stretta interrelazione con le centrali operative delle Regioni.

Il veto di assumere medici ed infermieri ha portato ad uno sperpero di denaro senza precedenti. Il piano di rientro ha rappresentato un alibi per gli amministratori regionali. Essi hanno negato, infatti, alla nostra provincia investimenti mirati all’assunzioni  di nuovo personale sanitario, di stabilizzazione del personale esistente, di creazione di nuovi servizi ospedalieri e territoriali, di acquisto di nuove e moderne attrezzature  sanitarie.
 A causa di questo diniego, assurdo ed incomprensibile, tutto è diventato precario, comprese le unità operative complesse di pronto soccorso negli ospedali rimasti. I pronto soccorso sono ormai considerate bolge infernali senza diritti e rispetto delle leggi. La promiscuità ed il disprezzo della dignità e della riservatezza caratterizzano le soste o gli ammucchiamenti nei locali adiacenti i pronti soccorsi ospedalieri.

Di fronte a questa situazione è necessario ed urgente intervenire con dei provvedimenti che possano ripristinare legalità e diritti.
L’associazionismo del capoluogo e della provincia ha espresso un impegno senza soluzione di continuità, cercando il dialogo ed il confronto con l’unico scopo di migliorare i servizi e la qualità delle prestazioni sanitarie, ma ha trovato sempre le porte chiuse. Le dichiarazioni di intento del presidente Marrazzo, relative a garantire l’intervento diretto dei cittadini, delle parti sociali e degli enti locali nella programmazione sanitaria e nella verifica dei risultati, sono rimaste lettera morta.
Parimenti non è mai nato il tentativo di realizzare un vero e proprio bilancio sociale partecipato e condiviso in termini di bisogni socio-sanitari
E di costruzione di una solida rete territoriale così come previsto dalla legislazione vigente.

Le proposte:

1)   L’ospedale del capoluogo deve avere un ruolo di DEA di secondo livello per una riconosciuta necessità di far fronte ai bisogni sanitari della provincia.

2)   L’organizzazione sanitaria, in ogni provincia del Lazio, deve saper soddisfare in modo autonomo i bisogni di salute della sua popolazione e del suo territorio. Il concetto di difesa di salute del cittadino deve essere strettamente connesso alla difesa di salute del territorio e quindi agli interventi necessari e urgenti per il risanamento ambientale.

3)   In questo quadro, l’ organizzazione della sanità   si pone come condizione primaria per il rilancio dell’economia e dello sviluppo. Infatti nella nostra provincia non si può pensare al decollo  di una economia turistica, alberghiera, montana,  termale ed agricola senza un’ efficiente qualità sanitaria. Le acque di Fiuggi sono considerate, da sempre, miracolose per la salute dei reni. In questa importante stazione termale potrebbe sorgere, con il contributo delle Università del Lazio, un centro di ricerca e di cura per la patologie urologiche, contribuendo, in modo serio, alla valorizzazione del territorio ed alla ripresa.

4)   Il cuore dell’organizzazione sanitaria deve essere l’organizzazione dei servizi sanitari territoriali. Questi servizi devono poggiare su un ruolo determinante dei medici di famiglia. L’attuale modo di essere dei medici di famiglia è superato e rappresenta anche un parziale spreco  di risorse. Occorre procedere ad un’innovazione profonda che adegui l’organizzazione dei medici di famiglia realizzando strutture collegiali territoriali(h 24) adeguate ai tempi, senza bisogno di ulteriori costi. L’organizzazione può trovare collocazione nelle strutture sanitarie dismesse dove si continua a tenere accese illuminazione, riscaldamento e quanto altro. In questo quadro occorre garantire a tutti i cittadini i tempi di accesso alle prestazioni sanitarie, adeguate ai problemi clinici presentati. Questo obbiettivo di primaria importanza per la tutela ed il rispetto dei fondamentali diritti della persona va realizzato con urgenza, riducendo gli attuali scandalosi tempi di attesa che minano anche il rapporto di fiducia verso il sistema sanitario pubblico. E’ possibile ridurre i tempi di attesa e fornire prestazioni adeguate e tempestive, incrementando la produttività dei medici specialistici convenzionati e migliorando l’organizzazione dei servizi.

5)   Accanto ai medici di famiglia dovrebbero trovare posto servizi socio sanitari realizzati secondo convenzioni stipulate da Comuni e ASL, secondo quanto stabilisce la legislazione vigente.

6)   Il potenziamento dell’assistenza domiciliare (CAD) porterebbe  a un risparmio enorme dei ricoveri ospedalieri e alla disponibilità dei posti letto.  L’efficienza dei servizi sanitari territoriali va, quindi,  commisurata ad un’indagine conoscitiva dei bisogni di salute di quei cittadini portatori di patologia o di pluri-patologie croniche che non li rendono auto sufficienti.

7)   La partecipazione delle associazione dei cittadini deve diventare strumento di arricchimento della proposta sanitaria e del modo di gestire e di fare sanità. La partecipazione deve essere vista anche come momento di verifica e di controllo non solo della efficienza e della qualità dei servizi  ospedalieri locali, ma anche come controllo del giusto impiego delle risorse umane e finanziare. Occorre tener presente che la Sezione regionale di controllo della Corte dei Conti evidenziava già nel 2007, nella ASL di Frosinone: a) una situazione di diffusa irregolarità contabile; B) un non corretto ed efficace uso delle risorse; c) un elevato rischio di permanente squilibrio in bilancio;  
 Secondo i pareri espressi ripetutamente da alti magistrati di Cassazione della Corte dei conti nonché  della Commissione parlamentare  d’inchiesta sulla corruzione, la partecipazione è considerata unico strumento insostituibile per arginare  la corruzione, gli sprechi e il clientelismo.
 Una attenzione particolare deve essere data anche  ad una informazione finalizzata alla rivalutazione ed al rilancio delle strutture sanitarie  pubbliche  nonché alla conoscenza  dei servizi che sono a disposizione dei cittadini, inclusi gli orari, le specializzazioni, i nomi dei sanitari.
La trasparenza deve essere azione quotidiana. Non si capisce perché ogni richiesta di dati diventa un segreto di stato. Si mettono in atto resistenze inaudite ogni volta che un’associazione chiede di conoscere un’informazione, un dato, una delibera. Va rielaborata, pertanto, una legge che riguarda l’informazione,la  partecipazione e la  trasparenza che obbliga a fornire quanto si chiede in tempi reali ( 24 ore) sia per le ASL che per i comuni.
Inoltre, tutti i dirigenti della ASL, annualmente, andrebbero  sottoposti alle valutazioni e al giudizio dei cittadini e delle associazioni. Valutazioni e giudizi che dovrebbero essere considerati
determinanti per il rinnovo del ruolo dirigente.

8)    La lotta agli sprechi e al recupero delle risorse umane e finanziare dovrebbe  essere una costante e dovrebbe trovare  espressione nella creazione di una struttura composta da personale della ASL e da rappresentanti delle associazioni. In una struttura come la ASL di  Frosinone gli sprechi ammontano a centinaia di milioni l’anno. Ne sono testimonianza: l’acquisto incontrollato di prestazioni aggiuntive, il lavoro straordinario, le spese legali, il contenzioso con il personale e con l’esterno, il mancato funzionamento di tutti i macchinari d’indagine strumentale esistente (come per esempio la TAC rimasta inoperante per anni nell’ex Umberto I di Frosinone), lavori eseguiti non adeguati (come ad esempio la stanza per la radioterapia di Sora), lavori eseguiti per milioni euro in strutture sanitarie che in seguito sono state chiuse, assunzione di personale che non è mai stato messo in grado di lavorare come è accaduto con l’assunzione di un chirurgo cardio-vascolare nell’ospedale del capoluogo che non è mai stato messo in grado di operare in quanto l’unità operativa complessa di cardio-chirurgia non è mai decollata, insufficiente o scarsa verifica dell’appropriatezza  delle cure e delle prestazioni  e dei ricoveri nelle strutture private convenzionate, semplificazione e snellimento delle attività dirigenziali, spesso conflittuali e contrapposte.
Risorse finanziarie importanti potrebbe essere recuperate con l’abolizione del CUP. I centri di prenotazione potrebbero essere gestiti da personale dipendente  dei comuni, mediante una stipula di convenzione tra ASL e comuni  a livello di provincia, oppure tra regione e associazione nazionale dei comuni a livello regionale. Si eviterebbero così disagi enormi ai cittadini e in modo particolare alle persone non autosufficienti per quanto riguarda le prenotazioni.
Rivalutazione degli immobili di proprietà della ASL sottraendoli al degrado ed alla fatiscenza per restituirli ai cittadini per attività sociali, culturali ed assistenziali in collaborazione con l’associazionismo.

L’organizzazione ospedaliera

L’organizzazione ospedaliera deve poggiare su quattro poli geograficamente omogenei:

1) Frosinone - Ceccano - Alatri;

2) Anagni - Colleferro - Ferentino (occorre tener presente, però, che questo centro, trovandosi a metà strada tra  Frosinone ed Anagni, gravita su entrambi i poli.)

3) Sora - Atina;

4) Cassino - Pontecorvo.

Questa organizzazione sanitaria ospedaliera rispecchia l’organizzazione della società della nostra provincia. Sora, Cassino, Frosinone ed Anagni sono i comuni di riferimento di una struttura economica, culturale, sociale, scolastica e quant’altro, che si perde nella notte dei tempi. Vogliamo sottolineare che nell’area dellaValle del Sacco, compresa tra i Comuni di : Anagni, Colleferro e Ferentino potrebbe trovare collocazione, così come era stato proposto dal presidente della giunta regionale Marrazzo, la costruzione di un ospedale nuovo, collegato con una delle università romane, al servizio della popolazione del sud della provincia di Roma e del nord di quella di Frosinone, che servirebbe come  filtro per gli ospedali di Roma, che sono a loro volta in emergenza.
La necessità di collegamento della struttura ospedaliera di Atina e Sora, è dettata dal fatto che la Val di Comino è zona popolosa e montana,  difficilmente raggiungibile, in particolare nei mesi invernali, in tempi brevi.
 Un polo ospedaliero unico che accorpa le strutture di  Frosinone, Alatri e  Ceccano deriva  dalla esigenza di rimettere in piedi importanti servizi, come quello della riabilitazione (cardiologica, traumatica, post-operatoria) oggi completamente in mano ai privati. Le attività riabilitative sono erogate attraverso un insieme di interventi in massima parte da strutture afferenti alla sanità privata accreditata e solo i minima parte  da parte delle strutture aziendali. Gli interventi  riabilitativi non risultano proposti secondo modalità di sinergia  e di integrazione  operativa e, nonostante  il notevole impegno economico profuso nei confronti di settori quali quelli della sanità privata, non vengono raggiunti risultati operativi soddisfacenti. Nonostante la numerosità dei posti letto di riabilitazione ospedaliere privata accreditata, permangono liste di attesa eccessivamente lunghe che si ripercuotono sulla funzionalità dei reparti per acuti, ritardando il turnover  dei ricoveri.
 Per quanto riguarda il settore della riabilitazione ambulatoriale i tempi di attesa sono scandalosamente lunghi e gli utenti sono di fatto obbligati al ricorso alle strutture private con notevole conseguente disagio economico.
In diversi servizi ambulatoriali aziendali i tempi di attesa superano i 10/12 mesi per determinate prestazioni riabilitative anche di basso impegno e non risulta attivata alcuna modalità di integrazione operativa tra i vari servizi aziendali o di prenotazione telefonica  o telematica. Persistono in tale contesto fenomeni sanitari abnormi estremamente onerosi per la stessa azienda sanitaria, come il day hospital riabilitativo utilizzato diffusamente per fruire di prestazioni di tipo ambulatoriale in strutture private accreditate.
Le attività di riabilitazione nella nostra provincia, nell’ambito del servizio pubblico, gravemente deficitarie in passato, sono state ulteriormente penalizzate raggiungendo un degrado in tutti i settori di intervento ed un livello di insoddisfazione dell’utenza e degli stessi operatori mai registrato prima.
Un polo ospedaliero unico, al centro della provincia, permetterebbe
ancora  di allestire hospice e residenze sanitarie assistenziali, dove oggi predomina il privato. Si potrebbero recuperare risorse finanziare importanti e dare assistenza di qualità. Inoltre, c’è necessità di accorpamento delle strutture ospedaliere di Frosinone, Ceccano e Alatri, per organizzare una rete diffusa di day-hospital, day-surgery  e di hospice per non intasare i ricoveri ospedalieri.
 Non bisogna trascurare il fatto che oggi i Pronti Soccorso e le UOC di medicina sono intasate dalle richieste di ricovero per pazienti anziani, portatori di pluripatologie e malati terminali.
 La realizzazioni di Hospice e di una efficiente rete di assistenza domiciliare potrebbe portare ad un notevole recupero di posti letto e ad un recupero sostanziale di risorse finanziare.
 Bisogna considerare che nella cultura del cittadino è ormai consolidata l’abitudine di delegare all’assistenza sanitaria gli ultimi momenti di vita del malato terminale.
Concludendo, si vuole ancora sottolineare la necessità di interventi pubblici urgenti ed efficaci per rilanciare la fiducia della gente nella sanità pubblica. In particolare, gli interventi devono essere mirati per creare eccellenze nel settore della cardiologia, della oncologia, della traumatologia e della chirurgia. Occorre anche prevedere la necessità di  un salto di qualità nella ematologia alla luce dell’aumento progressivo della insorgenza di malattie del sangue.  


Rapporto con la sanità privata

Le strutture sanitarie private e la stipula di convenzioni di queste strutture con la ASL, debbono essere condizionate ad un impegno del privato a realizzare attività di indagine e di cura integrative  e non sostitutive delle attività dei servizi sanitari pubblici.
Le convenzioni, inoltre, dovrebbero prevedere l’abbattimento dei tempi di attesa con l’erogazione dei servizi nei tempi previsti dalla legge. Finora non è andata così.

 La Conferenza Locale della Sanità

La Conferenza Locale della Sanità è costituita da tutti i sindaci della provincia e presieduta dal sindaco del capoluogo. Questa istituzione non ha mai assolto, per disinteresse dei sindaci e per la loro incapacità a comprendere il valore dei poteri loro attribuiti, agli importanti compiti definiti dell’art. 13 della legge regionale n. 19, del 16 giugno 1994, che di seguito si riportano:

a)    definisce, nell’ambito della programmazione regionale, le linee di indirizzo per l’impostazione programmatica delle attività dell’azienda unità sanitaria locale;
b)   esamina il bilancio pluriennale di previsione e il bilancio di esercizio dell’azienda unità sanitaria locale e rimette alla Giunta regionale le relative osservazioni;
c)    verifica l’andamento generale dell’attività dell’azienda unità sanitaria locale;
d)   contribuisce alle definizione dei piani programmatici dell’azienda unità sanitaria locale;

e)    trasmette le proprie valutazioni  e propri suggerimenti al direttore e alla Giunta regionale che sono tenuti a fornire entro trenta giorni risposta motivata.

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