mercoledì 12 giugno 2013

L'anomalia dei saggi

Carlo Smuraglia  presidente nazionale ANPI

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Mentre di legge elettorale non si parla più (ed era una priorità assoluta, a detta
generale) e sfumano i contorni dei provvedimenti urgenti, per affrontare con
serietà e decisione l’emergenza sociale (se ne può vedere un lungo elenco,
probabilmente non esaustivo, nell’articolo domenicale di Scalfari su la
Repubblica), si corre in tutta fretta attraverso sentieri inesplorati, per fare
qualcosa che la prassi costante e la stessa Costituzione prospettano in termini
totalmente diversi
Continua, intanto, il percorso delle “riforme costituzionali” su cui mi sono già altre volte
intrattenuto. Mentre ferve la discussione e non mancano commenti critici sull’iter e sulle
prospettive, anche da fonti assai autorevoli, si continua imperterriti sulla strada intrapresa. E’ stato nominato il Comitato, definito da molti come quello dei “saggi”, che dovranno assistere il Governo. Trovo davvero singolare questa vicenda dei “saggi”, non perché non apprezzi gran parte dei nominati, ma perché nella stessa definizione si vuol tentare di forzare la mano, lasciando intendere che si costituisce un organismo, che in realtà non c’è.
Ma le singolarità non si riducono a questo: si tratta, alla fine, di “consulenti” nominati dal
Governo, che ha il diritto certamente di nominarli e spesso lo ha fatto nel passato, ma mai ho visto raggiungere un simile numero (35) di consulenti, in un colpo solo e a maggior ragione in un periodo in cui tutti parlano di sobrietà (e la sobrietà, se anche non investisse gli aspetti economici, riguarderebbe quanto meno il numero, veramente inconsueto). E chi ha mai visto consulenti non separati, settore per settore, specializzazione per specializzazione, ma tutti impegnati a lavorare insieme su un tema unico? Personalmente io non sono contrario alle novità; ma quando sono troppe e sono dotate di grande singolarità, prima mi stupisco e poi mi preoccupo. Tanto più che questo raggruppamento di esperti dovrebbe preparare un testo da sottoporre al Parlamento, anticipandone il lavoro.
Una volta, era il Parlamento che lavorava e poi, magari, su una bozza, interpellava esperti, faceva audizioni, chiedeva pareri. Adesso, è il contrario: sarà il Parlamento che si troverà di fronte ad un lavoro (forse) completo e deciderà o di buttarlo a mare (e sarebbe poco “rispettoso”) oppure dovrà prenderne atto e lavorare anche su quello. Non è un’altra anomalia, o sono io di gusti troppo sofisticati?
D’altronde, volendo proprio dirla tutta, se si voleva bypassare la sobrietà, non
sarebbe stato meglio nominare un Collegio di esperti per trovare il modo migliore per uscire dalla crisi e dall’emergenza sociale?
Ma non è finita: apprendo che questo “gruppo” lavorerà come una Commissione vera e
propria; c’è chi parla di relatori e così via. Anche questo non si era mai visto.
Come non si era mai visto, che un simile gruppo di Consulenti del Governo venisse addirittura ricevuto al Quirinale. E’ vero che questo era accaduto poco tempo fa, proprio a proposito di altri “saggi”; ma quelli erano stati nominati dal Presidente della Repubblica e dunque non c’era nulla di singolare che vi fosse un incontro e un contatto. Ma che rapporto ci può essere tra un Presidente della Repubblica e dei consulenti nominati dal Governo?  Francamente non saprei rispondere.
Infine, tempo addietro, non si tendeva a ritenere che le riforme costituzionali fossero materia soprattutto parlamentare e che il Governo, proprio per la sua particolare posizione di “politicità”, era opportuno che si tenesse fuori dal dibattito, salvo il diritto di esprimere, nelle forme previste, il suo parere? Anche questo, a quanto pare, non solo non usa più ma, anzi, si direbbe che le proporzioni si stiano invertendo, quasi che debba essere il Governo a condurre i giochi, a dettare l’agenda indicando i contenuti, con buona pace del Parlamento. Infine, se si legge quanto ha scritto Scalfari (nell’articolo domenicale, sulla “Repubblica” del 9 giugno), le riforme davvero urgenti e praticabili senza stravolgere la Costituzione nella sua struttura, sarebbero solo tre, (a prescindere dalla legge elettorale, ovviamente): la fine del bicameralismo perfetto, il taglio del numero dei parlamentari, l’abolizione delle province. Se fosse davvero così, a che servirebbe tutto questo apparato e il sistema che si è messo in piedi, visto che si tratta di riforme sulle quali si discute da anni? In linea di principio, c’è già una notevole intesa, e si tratterebbe solo di approfondire gli aspetti particolari e concreti.
Sarebbe dunque una serie di provvedimenti già matura per una normale discussione in
Parlamento, senza bisogno di altro che di un accordo tra le parti politiche, sui dettagli più
ancora che sul merito. Si avvalora il sospetto che in realtà si voglia andare ben oltre e che
proprio a questo dovrebbe servire la strana impalcatura che si è voluta costruire.
Insomma, mentre di legge elettorale non si parla più (ed era una priorità assoluta, a detta generale) e sfumano i contorni dei provvedimenti urgenti, per affrontare con serietà e decisione l’emergenza sociale (se ne può vedere un lungo elenco, probabilmente non esaustivo, sempre sullo stesso articolo di Scalfari), si corre in tutta fretta attraverso sentieri inesplorati, per fare qualcosa che la prassi costante e la stessa Costituzione prospettano in termini totalmente diversi. Che Dio ci aiuti, si dovrebbe dire. Ma forse sarebbe meglio confidare che siano i cittadini, cui dovrà spettare l’ultima parola, a dare una mano definitiva a quanti sono oggi fortemente preoccupati per questa singolarissima e inopinata vicenda.


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