domenica 9 giugno 2013

Swing, l’arma segreta

Gianfranco Corsini.  Da  Alias del 09/06/2013
Video clip a cura di Luciano Granieri

Il  7 dicembre Artie Shaw suonava con la sua orchestra in una sala sa ballo presso la base navale di Providence, nel Rhode Island. Era domenica e la sala era piena di marinai in libera uscita. Durante l’intervallo la radio annunciò l’attacco giapponese a Pearl Harbor; Artie Shaw dette l’annuncio e chiese a tutti i militari di rientrare immediatamente alla base. La guerra era incominciata mentre l’America stava ballando, e il jazz era la musica che l’avrebbe accompagnata  fino alla vittoria finale.
Nel 50’ anniversario di quel conflitto ne sono stati revocati tutti gli aspetti: ma la storia della musica e dei musicisti che hanno contribuito a renderlo più tollerabile per i combattenti, e per i civili del “mondo libero” che ne aspettavano la fine, non è stata ancora adeguatamente raccontata. E’ toccato soprattutto alle case discografiche americane e inglesi il compito di rievocare e ripubblicare “le canzoni che hanno vinto la guerra”, le orchestre e i solisti chele suonarono e coloro che le cantarono in tutto il mondo facendo diventare la musica swing un fenomeno universale.
Secondo la vulgata un ufficiale tedesco, agli inizi della guerra, avrebbe confessato: “Anche se potessi sconfiggere gli eserciti alleati, non potrei mai sconfiggere le loro canzoni”. Perfino i tedeschi e i giapponesi le suonavano per procurarsi l’ascolto delle loro trasmissioni propagandistiche. In America, intanto il jazz si arruolava nell’Esercito, nella Marina, nell’Aviazione e continuava a vivere nelle caserme, negli aeroporti e nei campi di addestramento, trasferendosi infine anche sui vari continenti nei quali si combatteva.
Poche ore dopo il suo drammatico annuncio Artie Shaw scioglieva la sua orchestra e andava ad arruolarsi in Marina. Lo seguiva Glenn Miller nell’aviazione, e  centinaia di altri “band leader” con i loro orchestrali si arruolavano o si riorganizzavano ne, l’Uso, la United States Serivce  Organization  che fino alla fine del conflitto avrebbe utilizzato negli Stati uniti o nei vari teatri di guerra quelli che la rivista “Down Beat”  aveva battezzato “i soldati della musica”.
Pochi mesi prima, in un messaggio alla Federazione dei club musicali, il presidente Roosvelt aveva detto che il loro “messaggio universale” avrebbe potuto “rafforzare la democrazia contro quelle forze che avrebbero voluto soggiogare l’umanità” ,  che in America lo swing avrebbe anche “potuto aiutare a promuovere la tolleranza nei confronti delle minoranze, dimostrando il loro contributo alla vita americana”. Il loro contributo era la cultura musicale nera, il jazz ed erano stati proprio i musicisti dell’età dello swing a fare i primi passi importanti contro la discriminazione razziale e verso l’integrazione dei bianchi  e dei neri, almeno suonando insieme, e collaborando  alla evoluzione di un unico gergo musicale.
Negli anni del New Deal, come ha ricordato recentemente lo storico David Stowe, “lo swing si erea trasformato in un simbolo galvanizzante degli obiettivi nazionali”, ma lo stesso Stowe ci ricorda che non è stata un passeggiata indolore per gli afro –americani, sia nell’esercito ch nelle sale da ballo o nella società civile. La fine delle segregazioni e dei  pregiudizi era ancora lontana. Tranne rare eccezioni, infatti, soltanto ai musicisti bianchi era stato concesso, anche se a rischi delle loro vite, di portare oltremare il messaggio del jazz:  Glenn Miller in Europa, Artie Shaw e Bob Crosby nel Pacifico, e molti altri sparsi per il globo in fiamme, spesso anonimi dimenticati.
C’era anche qualcuno che aveva preferito i suoi obiettivi “personali”  a quelli “nazionali”, come Woody Herman che si era fatto venire un’ernia per sottrarsi alla leva, Buck Clayton che aveva mangiato il sapone per farsi scartare (ma è finito con la 37ma Army Band del New Jersey insieme a Sy Oliver), e Dizzy Gillespie era stato “esonerato” perché aveva paradossalmente dichiarato di non essere sicuro di sparare ai tedeschi invece che agli americani, in combattimento, considerato come trattavano i neri i suoi concittadini. Tutti si erano poi ritrovati, comunque, nelle sale di registrazione dei V-Disc. Meno Lester Young, purtroppo, che non aveva potuto usufruire della “tolleranza” auspicata da Roosvlet ed era uscito disfatto dall’esperienza  nell’esercito, con una condanna e un congedo “disonorevole”.
Malgrado ciò i “soldati della musica” hanno fatto  la loro guerra e l’hanno vinta. Nel 1945 il linguaggio del jazz –dello swing- era diventato universale. Recendendo il libro di David Stowe lo storico Eric Hobsbawm ha scritto recentemente: “Nelle arti minoritarie di èlite del XX secolo la componente americana è una tra le altre”, ma la cultura popolare  degli Stati Uniti è diventata “dominante” nel mondo, soprattutto con le due arti popolari del cinema e “della musica modellata sul jazz”. Negli anni della seconda guerra mondiale il dominio musicale è stato incontrastato e l’età dello swing si è chiusa proprio nel momento in cui il jazz aveva superato i suoi limiti nazionali per diventare internazionale.

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