martedì 9 luglio 2013

Giganti in fuga

 di Vincenzo Comito. fonte http://www.sbilanciamoci.info/

Quasi 1500 dipendenti in esubero e due stabilimenti italiani che si avviano verso la chiusura. Per cercare di risolvere la crisi della Indesit, che rischia di essere esplosiva, servirebbe un'alleanza con un produttore asiatico e un programma di interventi da parte dei poteri pubblici per sostenere le attività di ricerca e innovazione.


La crisi dell’Indesit è un brutto segnale, perché mostra quali grandi difficoltà si frappongano oggi all’opera delle nostre imprese anche in settori che una volta erano all’avanguardia delmade in Italy. L’industria nazionale degli elettrodomestici bianchi è stata in effetti a lungo il principale polo produttivo europeo per tali attività. Comunque, anche dopo tutte le difficoltà degli ultimi anni, il settore impiega ancora oggi 130.000 addetti tra occupati diretti ed indiretti e appare al secondo posto, dopo l’auto, nella classifica delle attività manifatturiere più importanti del nostro paese. Ma esso, come quello dell’auto, è minacciato di una sostanziale estinzione.
I processi di globalizzazione e di evoluzione tecnologica, l’evoluzione dei mercati internazionali, le debolezze e i ritardi delle strategie imprenditoriali nazionali, la mancanza di politiche industriali adeguate alla sfide del presente, si coniugano per ottenere una miscela che potrebbe rivelarsi esplosiva.
Il progetto di ristrutturazione
La notizia che sta sullo sfondo è nota. Qualche settimana fa il gruppo Indesit ha presentato un piano per “la salvaguardia e la razionalizzazione dell’assetto di Indesit Company in Italia”. In tale quadro, l’azienda ha dichiarato che 1425 lavoratori su di un totale di 4300 dipendenti del gruppo in Italia erano in esubero e che due stabilimenti sarebbero perciò stati chiusi. Per affrontare in qualche modo la vertenza, la società marchigiana parla di contratti di solidarietà e contemporaneamente di nuovi investimenti per portare gli stabilimenti nazionali residui all’avanguardia con produzioni di alta gamma.
Indesit ha giustificato le drastiche misure annunciate, tra l’altro, con il fatto che in Italia, dove la società produce il 30% dei suoi elettrodomestici, dal 2007 ad oggi i ricavi sono diminuiti del 25%. Da notare che l’Indesit vende soltanto il 15% della sua produzione nel nostro paese. Per altro verso, l’azienda ha dichiarato che in Italia sarà concentrata la produzione dei modelli a maggiore contenuto tecnologico, mentre verrà trasferita, in particolare in Polonia ed in Turchia, quella dei modelli per la fascia meno elevata. Naturalmente la Borsa ha subito festeggiato per la bella notizia ed il valore del titolo il giorno dopo è aumentato.
Non sono prese in conto nel calcolo degli esuberi le probabili ricadute occupazionali sulla rete di imprese della componentistica, molto importante nel settore e che contribuisce a mantenere un adeguato livello di competitività all’attività delle imprese finali.
Le ragioni della crisi e il mercato degli elettrodomestici bianchi
La Indesit Company è specializzata nella produzione di lavabiancheria, lavastoviglie, frigoriferi, ecc. Essa è la principale realtà nazionale nel settore, con una concentrazione pressoché totale delle vendite e della produzione nel nostro continente.
Il gruppo occupa oggi 16.000 dipendenti, possiede 16 stabilimenti, oltre che in Italia, in Polonia, Regno Unito, Russia, Turchia. Il 27% degli occupati si trova nel nostro paese, il 29% in Russia, il 19% in Polonia, il 15% in Gran Bretagna e Irlanda, il 6% in Turchia.
Il fatturato complessivo è stato nel 2012 pari a 2.886 milioni di euro, sostanzialmente analogo a quello dell’anno precedente. Il risultato economico netto si aggira sui 60 milioni di euro di utili, di nuovo sostanzialmente come nel 2011. Dal punto di vista finanziario l’impresa appare ben capitalizzata e con relativamente pochi debiti. Essa non sembra quindi sulla carta come un’azienda da buttare.
I volumi produttivi del settore nel nostro paese sono stimati a fine 2012 in 14 milioni di pezzi, meno della metà dei 30 milioni raggiunti nel 2002. La pesante riduzione, se dipende in parte dalla saturazione del mercato e dalla crisi, è in relazione anche alla progressiva dislocazione delle fabbriche verso l’Est Europa, alla ricerca di costi più bassi del lavoro e comunque di prossimità ai grandi centri di consumo. I big coreani, Samsung e LG, hanno collocato i loro impianti europei in Polonia, mentre la cinese Haier ha varato uno stabilimento nella Repubblica Ceca. Si teme che gli impianti di altri produttori ora collocati in Italia facciano la stessa fine. Del resto, già adesso nei principali stabilimenti nazionali, oltre che della Indesit, della Electrolux, della Whirlpool, della Candy, i lavoratori usufruiscono da parecchio tempo degli ammortizzatori sociali (Possamai, 2013). Sono in crisi praticamente tutti i distretti di produzione degli elettrodomestici.
Il mercato mondiale è comunque in continuo sviluppo, sia pure con delle oscillazioni congiunturali. Così, secondo una stima, esso è passato dai 130 miliardi di dollari del 2005 ai circa 180 che dovrebbero registrarsi nel 2013. Come in molti altri settori, tale crescita è alimentata per una parte consistente dallo sviluppo dei paesi emergenti, in particolare della Cina. Su di un totale di 490 milioni di pezzi usciti dalle linee nel 2012 a livello globale, le imprese di tale paese sono responsabili per la produzione di circa 250 milioni di unità.
Anche a livello di imprese, alla tradizionale dominazione di quelle statunitensi (Whirlpool, General Electric) ed europee (Bosch, Electrolux), con qualche presenza giapponese (Toshiba), si va sostituendo una crescente penetrazione di quelle coreane (Samsung, LG) e cinesi (Haier), che tendono a conquistare i primi posti nella classifica dei produttori. Va peraltro sottolineato che il maggiore tra essi, la Haier, controlla intorno all’8% del mercato mondiale, che rimane quindi ancora abbastanza frammentato e soggetto a ulteriori processi di accorpamento.
Ad un business tradizionalmente costituito da produttori specialisti su base nazionale e continentale se ne va ora in effetti sostituendo uno in cui sono fortemente presenti imprese molto grandi e molto diversificate, per le quali gli elettrodomestici bianchi rappresentano solo un parte dell’attività totale; le imprese che dominano il mercato hanno poi delle presenze commerciali e produttive su basi mondiali.
Un’azienda come la Samsung nel 2013 dovrebbe ottenere profitti netti complessivi per più di 30 miliardi di dollari, contro un fatturato Indesit di soli 2,8 miliardi di euro ed utili per 60 milioni.
Sui mercati maturi come quello europeo la domanda è eminentemente di sostituzione. Ci troviamo comunque in una situazione con una debole differenziazione di prodotto, con basse barriere all’entrata, con un’offerta frammentata, un forte potere del consumatore. Per sostenere la pressione competitiva, accentuata dalla presenza di un eccesso strutturale di capacità produttiva, i vari gruppi tendono a puntare sul riconoscimento della marca, sull’efficienza energetica, sull’innovazione tecnologica, che porta in particolare ad un crescente contenuto di elettronica, su di un adeguato servizio alla grande distribuzione, nella quale si concentra una fetta crescente delle vendite.
Nei prossimi anni si dovrebbe progressivamente affermare il settore degli elettrodomestici “smart”, caratterizzati da interconnessione, intelligenza, longevità. In ogni caso, appare già oggi evidente una crescente polarizzazione dei prodotti tra quelli “premium” e quelli da primo prezzo.
Cosa si può fare
L’azienda non sembra aver reagito con adeguata forza e tempestività ai mutamenti del mercato che si andavano delineando nell’ultimo periodo e quindi l’attuale situazione della Indesit appare strategicamente molto difficile da governare.
Si registrano delle dimensioni ridotte del gruppo rispetto alla gran parte dei concorrenti principali, una presenza rilevante soltanto in alcuni mercati europei, un suo inserimento in una fascia di mercato non sufficientemente caratterizzata per prodotti “premium”, come invece, ad esempio, la Bosch e la Miele, né, d’altro canto, l’azienda è nota per politiche di prezzo aggressive. Essa per di più non è in grado di presentarsi al mercato con una gamma di produzioni molto diversificata, come diversi grandi produttori asiatici. Questo con l’aggravante di essere collocata in un paese che funziona molto male.
Servirebbe probabilmente un’espansione anche verso altri continenti, una più forte presenza nella fascia alta del mercato – ciò che comporterebbe grandi investimenti sulla qualità, sull’innovazione tecnologica, sulla distribuzione -, mentre sarebbe comunque necessaria una rilevante crescita delle dimensioni aziendali.
Probabilmente l’azienda non potrebbe riuscire a fare tutto questo da sola. Per migliorare la sua collocazione sul mercato sarebbe presumibilmente importante, tra l’altro, l’alleanza con un medio produttore asiatico. Si potrebbero così unire le forze per raggiungere una massa critica sui fronti della ricerca ed innovazione, della diversificazione dei mercati, delle risorse finanziarie.
Naturalmente sarebbe poi necessario un programma di interventi per il settore da parte dei poteri pubblici, che dovrebbe prevedere, oltre che incentivi alla vendita per i prodotti a più elevato livello tecnologico (misura già in parte messa in campo), un forte sostegno alle attività di ricerca e di innovazione, una riduzione del carico contributivo sul costo del lavoro; esso dovrebbe anche incoraggiare una politica di alleanze con altri produttori.


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