Testo di Pasquale Coccia, tratto da Alias del 12 ottobre. Video clip a cura di Luciano Granieri
L’idea di boicottare le Olimpiadi di Città del Messico del 1968 venne ai dirigenti delle Pantere
Nere organizzazione politica che negli Stati Uniti si batteva contro le
discriminazioni razziai e rivendicava il
black power.La proposta fu avanzata da Edwards, dirigente delle Pantere Nere,
ex discobolo e giocatore di basket, professore di sociologia all’università di
San Josè in California. Tutto era
iniziato due anni prima delle olimpiadi,
quando nel campionato universitario di pallacanestro, durante l’incontro fra la squadra Texas
Western di El Paso e quella di Kentuky,
l’allenatore Donald Lee Haskins
schierò ben 7 afroamericani su 12
giocatori, a disposizione. Fu uno scandalo. Fino ad allora i giocatori afro
schierati in una partita di basket erano al massimo due e venivano impiegati
sul terreno di gioco solo per pochi minuti nell’arco della partita. Haskins, un
allenatore bianco privo di pregiudizi rasentò la provocazione, quando di lì a
qualche settimana, proprio nella finale di campionato universitario schierò nel
quintetto base solo giocatori neri. Per le autorità universitarie aveva abbondantemente superato i limiti, e il
rettore provvide a sciogliere la squadra di basket. Fu a seguito di
quell’evento che Edwards propose di boicottare l’incontro di football americano
tra la squadra della sua università e quella della Texas Western, proposta che
ebbe un tale consenso da indurre il rettore della San Josè University ad
annullare il match. In seguito a
quell’esperienza Edwards organizzò un incontro tra gli atleti afroamericani di alto livello agonistico per valutare la
possibilità di boicottare le Olimpiadi del ’68 di Città del Messico. A
quell’incontro, svoltosi a Newmark, che faceva seguito ai disordini razziali
accaduti nell’estate del ’67 parteciparono atleti neri di 42 città Usa e tra
loro i velocisti Tommie Smith , una
sorta di Bolt di quei tempi, Carlos Evans, tutte figure di primo piano dell’ atletica
nera americana. Pochi mesi prima delle olimpiadi di Città del Messico,
un sondaggio pubblicato dalla rivista Life riportava che la gran parte degli
atleti neri che avrebbero preso parte
alle olimpiadi erano a favore del boicottaggio. All’inizio di luglio, anche il reverendo Jesse
Jackson si dichiarò favorevole al boicottaggio. Ecco quanto dichiarò Tommie
Smith, tra i più attivi per il boicottaggio, a una rivista specializzata
di atletica: “Ci sono state marce,
proteste e altre manifestazioni per le condizioni dei neri in America. Non
credo che questo boicottaggio possa risolvere il problema, ma penso che la
gente saprà che noi non abbiamo più
intenzione di lasciare le cose come
stanno . Il nostro obbiettivo di atleti
non è quello di migliorare la nostra condizione personale, ma quella di tutta
la nostra gente. Dovete considerare il boicottaggio come un passo su questa
via. Non staremo ad aspettare che i
banchi escogitino qualcos’altro contro di noi. Ho lavorato molto a lungo per le
Olimpiadi e mi dispiace che non se ne faccia più niente, ma penso che il
boicottaggio sia una buna cosa e vale la pena sostenerlo”. In un incontro
tenutosi a luglio ’68 tra gli atleti afroamericani selezionati per le olimpiadi, il fronte a favore del
boicottaggio uscì minoritario, appena 12 atleti si dichiararono a favore e 24
contrari. Per non creare divisioni e salvaguardare l’unità politica, Tommie
Smith e altri accettarono l verdetto e unitariamente decisero di portare alle
Olimpiadi una fascia nera sul braccio per ricordare le discriminazioni
razziali, successivamente sostituita da
un distintivo con la scritta “Programma olimpico dei diritti umani”. Il 16
ottobre 1968 Tommie Smith, detto Jet, e John Carlos corsero i 200 metri e si classificarono al primo e al terzo posto. Sul podio con la medaglia al collo, mentre le
note diffondevano l’inno americano
alzarono il pugno chiuso e chinarono il capo. Entrambi infilarono il pugno in un guanto nero, prima di alzarlo al cielo.
Quel guanto nero non era il simbolo
delle Pantere Nere, come in tanti ancora oggi ritengono, ma fu messo per
non sporcarsi le mani in vista della
premiazione, un gesto sprezzante nei
confronti del presidente del Comitato internazionale olimpico Avery
Brundage , che sosteneva apertamente la presenza nel Cio della Rhodesia e del
Sudafrica, due nazioni razziste che non consentivano agli atleti neri di
gareggiare nei loro paesi . Inoltre Avery Brundage aveva
ignorato il massacro degli
studenti universitari messicani, due settimane
prima in Piazza delle Tre Culture, i quali protestavano contro lo spreco
di denaro per le olimpiadi e rivendicavano migliori condizioni di vita. Quella di Tommie Smith e
John Carlos sul podio olimpico con il
pugno chiuso e la testa china rappresenta una delle icone simbolo del ‘900. Il gesto dei due velocisti ebbe una
vasta eco in tutto il mondo e sortì un effetto di gran lunga maggiore rispetto agli esiti che avrebbe avuto il
boicottaggio olimpico. Le due Pantere Nere pagarono a caro prezzo il loro
gesto. Il giorno successivo furono rimpatriati ed estromessi dalla squadra
olimpica. Tommie Smith dovette aspettare 10 anni prima di trovare un lavoro
come istruttore di atletica in un college americano . John Carlos non ebbe la
forza di resistere e di lì a qualche anno si suicidò.
Brano: Free.
Ornette Coleman : Sax Alto
Don Cherry:
Pocket Trumpet
Charile
Haden : Contrabbasso
Billy Higghins: Battteria
Il
brano che si ascolta nella video
clip è il manifesto del Free Jazz. Lo stile jazzistico che accompagnò la
stagione delle Pantere Nere, del “Black Power”. Ornette Coleman e Don Cherry
furono due dei maggiori esponenti di questo stile. Cosa
fu, allora, cosa volle essere il free jazz? E’ Archie Shepp, uno dei maggiori
esponenti di questa nuova cosa “New
Thing” a dircelo: “…è finita per i figli ei bianchi : non balleranno più con la
musica del pagliaccio nero. E’ finita con i battelli del Mississippi e l sale
da ballo di Chicago o di Manhattan, con lo sfruttamento, con alcool, con la
fame, con la morte….i figli del
battelliere e dell’emigrante hanno valicato i confini folkloristici dal
jazz…”
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