venerdì 15 novembre 2013

Affrontare e vincere la sfida della povertà è nell’interesse di tutti

Giuseppina Bonaviri


In Ciociaria sta crescendo la tipologia di poveri che si definiscono del “terzo tipo” (alle prime due appartengono i migranti e gli emarginati definitivamente arresi alla strada) che non sono facilmente identificabili come nel caso di quelli che chiamiamo “barboni” poiché questa categoria di poveri è rappresenta da coloro che hanno studiato e lavorato fino a qualche anno fa. Sono i capofamiglia monoreddito che perdono il lavoro e che non riescono a ritrovarlo per difficoltà di relazioni ed per quella insufficienza cronica della politica a rilanciare un progetto pubblico di reimpiego, così come le famiglie con persone non autosufficienti e con più di tre figli. Sono tutti coloro che hanno perso o stanno perdendo la fiducia nel futuro: occorre essere solleciti nell’aiutarli poiché, se non lo si fa subito, si rischia di intaccare anche la loro capacità di reazione e resistenza alla sopravvivenza. 

E’ stimato che il 25% delle famiglie in Ciociaria abbia  un reddito precario per rapporti di lavoro dei propri componenti, instabili o a tempo ridotto. Di questi il 15% sono le famiglie più giovani che si trovano, proprio nei loro anni migliori, a dover fare i conti con condizioni di estremo disagio; il restante 10% è di matrice operaia o di famiglie composte da un nucleo di un solo genitore che lavorava e che ora è in cerca di occupazione. La precarietà compromette la qualità di vita di molta parte della nostra popolazione la quale, a causa della gravità del momento, perde anche la capacità d’interazione rischiando un serio disadattamento sociale.

Questa condizione è da considerarsi un’emergenza nazionale e non solo locale. Dal 2007 al 2012, in Italia, il numero delle persone in condizioni di povertà è raddoppiato: da 2,4 a 4,8 milioni. Ciò equivale a dire che la subiscono 8 italiani su 100. Questa fetta di popolazione fa parte dei quasi dieci milioni che percepiscono un reddito inferiore a 506 euro al mese; fra questi si ritrovano i 6 milioni a bassa alfabetizzazione e quanti stanno abbandonando la scuola, in un Paese come l’Italia, che ha un tasso di abbandono scolastico fra i più elevati della Ue.
Due terzi dei poveri risiedono nell’Italia meridionale e una parte del Lazio, come appunto la Ciociaria, si può considerare nelle stesse condizioni se consideriamo che nelle nostre zone il tasso di disoccupazione è il più alto di tutte le regioni del centro-nord, i consumi non crescono da circa cinque anni  e che in questi ultimi sei mesi si è arrivati al 17% delle famiglie che  hanno ridotto la spesa alimentare e sui beni primari aggiungendo, anche, il fenomeno dei migranti che continua ad aumentare. Un indicatore della difficoltà che incontrano le attività economiche del nostro territorio e di converso la popolazione è quello che viene da due dati pubblicati nel Dossier Statistico dell’Immigrazione 2013, presentato nei giorni scorsi. L’indice di attrattività (quanta più popolazione straniera un territorio è capace di trattenere rispetto a quella straniera) per la provincia di Roma ha un valore 62,5 (settima nella graduatoria nazionale), la provincia di Latina 42,6, (43° posto), quella di Frosinone con un indice 27,1 è al 73° posto; ancora più indicativo è il saldo migratorio interno. Mentre tutte le province di Roma, Latina, Rieti e Viterbo hanno un valore positivo (è maggiore il numero dei nuovi residenti rispetto a quanti si trasferiscono in un'altra provincia o lasciano il nostro Paese) la provincia di Frosinone, ha un saldo negativo: nell’ultima rilevazione del Cnel, per 90 nuovi residenti sono 100 coloro che l’hanno abbandonata.

Organizzare un movimento di solidarietà diffusa diviene, allora, un imperativo per dare in concreto il sostegno a chi ne necessita. Un impegno non facile poiché per questo tipo d’interventi si scontano  difficoltà progettuali che non consentono di rendere estensibile nel tempo il concetto stesso di solidarietà. Questo anche perché,  per la continua e nuova necessità di trovare soluzioni rispetto ad una dignitosa vivibilità dei sottoccupati e precari, non si riesce a garantire e tutelare quell’elevato numero di persone in stato di bisogno estremo. Non è una questione di compassione è un interesse primario della nostra comunità. Siamo consapevoli che in carenza di misure nazionali di sostegno al reddito si debbano trovare delle alternative e che non si può aspettare oltre per porgere una mano.

La proposta di un reddito di cittadinanza non rimane utopia, dato che esso è adottato in tutti i Paesi che hanno adottato l’euro, tranne l’Italia e la Grecia ma purtroppo è di là da venire. Così pensare di  integrare piani di intervento concreti ed unitari per mettere fine all’attuale insufficienza e frammentarietà progettuale non può essere sottovalutato da chi gestisce la cosa pubblica. Accogliere l’emergenza significa redigere specifici piani locali, come ad esempio “il piano freddo” per i senza dimora. Allora, in mancanza di provvedimenti amministrativi, non rimane che “rimboccarsi le maniche” attivando associazioni “non profit” e cittadinanza attiva.

La Rete La Fenice vuole concorrere alla convergenza di idee ed interessi all’interno di un sistema funzionante a vantaggio della comunità, a partire dalla famiglia; solidarietà che va gestita secondo processi nuovi di partecipazione destinati a potenziare la crescita di tutticome un dovere che compete al cittadino oltre che agli organi dello Stato, dove ineguaglianze e corruzione abbiano finalmente fine .
Ed ecco perché riteniamo doveroso e urgente stimolare i nostri governanti invitandoli ad una riflessione che sia appannaggio di una nuova umanizzazione. Non è più il tempo di sterili strategie di ingegneria sociale. 


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