domenica 17 novembre 2013

Basta con la persecuzione contro gli “immigrati clandestini”!

Segretariato della Lit-Quarta Internazionale


In quest'ultimo mese, il tema degli “immigrati clandestini” è tornato ad essere al centro dell’attenzione della stampa internazionale. Ai primi d’ottobre, più di 300 immigrati africani, per la maggior parte provenienti da Eritrea e Somalia, sono morti affogati a 500 metri dalla costa dell'isola italiana di Lampedusa, a causa dell'incendio e del naufragio del barcone con il quale tentavano di raggiungere il territorio italiano.
Pochi giorni più tardi Leonarda Dibrani, una ragazza rom di quindici anni, di origine kosovara, è stato arrestata, per ordine del sindaco, dalla polizia di Levier (Francia), dove risiedeva da cinque anni, ed espulsa dal Paese con la sua famiglia il giorno successivo. Vale la pena ricordare che ci sono state manifestazioni degli studenti delle scuole superiori che chiedevano il suo ritorno in Francia.
Anche se con un minore impatto sulla stampa, nello stesso periodo, è uscita la notizia che il governo russo di Putin avrebbe mantenuto la sua durissima legislazione contro gli immigrati illegali e avrebbe realizzato rastrellamenti nelle grandi città per arrestarli. La stessa notizia riferiva che, in poche settimane, si è arrivati a più di 4.600 detenuti.
L'“emergenza umanitaria”
Il tema della cosiddetta “immigrazione clandestina” ci mostra uno degli aspetti più sinistri e inumani del capitalismo, acutizzato all'estremo dalla crisi economica internazionale.
È un problema che ha due facce. La prima inizia con la domanda su cos'è che porta milioni di persone a lasciare il loro Paese, rischiando la vita in viaggi pericolosissimi (molte volte nelle mani di crudeli trafficanti di persone) per poi ottenere, nel migliore dei casi, una vita semi-clandestina di super-sfruttamento.
Per quanto riguarda l'Africa, la risposta a questa domanda ce la fornisce Moustapha Wagne, immigrato senegalese stabilito in Italia, attualmente responsabile nazionale del sindacato Cub Immigrazione e responsabile della Commissione Lavoro Immigrati del Pdac: "Le masse popolari soffrono. Le politiche del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale hanno massacrato le terre, la pesca, l'agricoltura delle popolazioni dell'Africa, con la collaborazione dei governi locali...Hanno creato una situazione di continua emergenza umanitaria".
In Africa, il 66% della popolazione vive con meno di due dollari al giorno (598 su 906 milioni di abitanti) e circa 31,1 milioni di persone affrontano la fame, principalmente in Eritrea, Etiopia, Mali, Niger, Somalia, Sudan, Uganda, Zambia e Zimbabwe. L'“emergenza umanitaria” fa sì che questa emigrazione sia la loro unica alternativa per sopravvivere. La stampa europea segnala che più di 30.000 immigrati illegali sono arrivati per mare nel continente, dall'Africa, tra gennaio e settembre di quest'anno.
È la stessa situazione che li porta a correre grandi rischi e ad affrontare le persecuzioni. Si stima che di dieci persone, che partono dalla loro terra africana, solo tre riescono ad arrivare in Europa. Secondo il blog Fortress Europe, cercando di attraversare il Mediterraneo in fuga dalla povertà e dalle guerre nei loro Paesi, almeno 19.142 persone sono morte affogate, dal 1988. Inoltre, solo una settimana dopo la catastrofe di Lampedusa, c'è stato un altro tragico naufragio nel golfo di Sicilia.
Una necessità dell'imperialismo
Le migrazioni di massa dai Paesi poveri verso i centri imperialisti sono un fenomeno generato dallo stesso sistema capitalista. In realtà, è un processo imprescindibile per il suo funzionamento. Si stima che, a livello mondiale, ci sono oltre 200 milioni di emigranti – immigrati.
Ad un polo del processo, la povertà, la miseria e la fame che il saccheggio imperialista provoca nei Paesi colonizzati fanno sì che a milioni prendano la via dell'emigrazione. Nel caso dell'America Latina, molte volte, l'unica alternativa è di emigrare negli Usa, cercare di ottenere un lavoro in quel Paese e, con grandi sacrifici, mandare i soldi alla propria famiglia nel Paese di origine. Per quelle famiglie questo denaro rappresenta, in molti casi, la differenza tra poter mangiare o morire di fame.
Inoltre si produce un’emigrazione verso i Paesi un po' più sviluppati come quella dei paraguayani e dei boliviani che emigrano in Brasile e Argentina e dei nicaraguensi che vanno in El Salvador o in Costa Rica.
Un grande affare
Le borghesie dei Paesi espulsori di popolazione sono complici di questo processo. Da un lato, permettono il saccheggio coloniale che genera la povertà, la miseria e la fame. Dall'altro, ottengono un doppio beneficio.
In primo luogo, se ne servono come “valvola di sfogo” per alleviare la pressione demografica e la disoccupazione nei loro Paesi. In secondo luogo, le rimesse di denaro degli emigrati alle loro famiglie si trasformano in un importante fonte di reddito per il Paese. Il Messico riceve 20miliardi di dollari (superato solo dall'India per quantità di entrate per questo motivo). In altri Paesi, come El Salvador, la Repubblica Dominicana o l'Ecuador, queste entrate rappresentano percentuali sempre più elevate di Pil nazionale e sono fondamentali per le loro economie. Nel caso africano è stato stimato che il Senegal, con 620.000 immigrati, ottiene circa il 2% del suo Pil dalle rimesse dall'estero. Ora anche questi governi sono complici nella persecuzione. Alcuni anni fa, il ministro dell'Interno del Senegal, Ousmane Ngom, arrivò al colmo di lamentarsi che l'Unione Europea non gli aveva inviato il denaro né le navi per realizzare il pattugliamento delle coste e impedire il deflusso di emigranti.
All'altro polo del processo, attraverso l’immigrazione, la borghesia imperialista ha a disposizione un numeroso “esercito industriale di riserva”: manodopera a basso costo per svolgere i peggiori lavori nei servizi, nell'industria e nell'agricoltura, con lavoratori che hanno molte poche possibilità di organizzarsi e lottare. Questo permette alle borghesie imperialiste di ridurre la massa totale dei salari pagati nei Paesi imperialisti e migliorare il saggio medio di profitto.
La crisi economica e la persecuzione degli immigrati come criminali
Sebbene sia sempre esistita una legislazione persecutoria, nelle epoche di crescita economica (come nel boom del secondo dopoguerra o il recente periodo espansivo 2002-2007) questa immigrazione è tollerata e persino incoraggiata, anche se gli immigrati sono sempre oggetto di discriminazione. Come abbiamo segnalato, l'imperialismo usa gli immigrati come un numeroso “esercito industriale di riserva”.
Ma, nel progredire della crisi economica internazionale e con l’aumento enorme della disoccupazione nei Paesi imperialisti stessi, è cominciato un processo di attacco ancor più forte agli immigrati. Da un lato, tornano a risuonare i discorsi xenofobi contro quelli che “rubano” il lavoro ai nativi e, per questo, sarebbero responsabili della disoccupazione. Discorso che i raggruppamenti più a destra, come la Lega Nord in Italia e il Fronte Nazionale francese, o direttamente fascisti, come Alba Dorata in Grecia, amplificano all'estremo. Molti lavoratori immigrati disoccupati sono arrestati in base alle leggi vigenti e i governi e la destra fanno una campagna che cerca di deviare la rabbia dei lavoratori contro la disoccupazione e la crisi dai loro veri nemici (il capitalismo, i padroni e i governi) verso gli immigrati.
Dall'altro lato, ci sono leggi che criminalizzano i “senza documenti” e perfino quelli che li aiutano. Una legislazione che già ha avuto conseguenze mortali: nella recente catastrofe di Lampedusa tre pescherecci hanno assistito alla tragedia e non hanno fatto nulla per aiutare i naufraghi, forse per paura di essere accusati, come già è successo, di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Prima erano tollerati come manodopera a basso costo, ora i governi dell'Ue non esitano a condannarli a morte.
Senza arrivare a questi estremi, tutta la legislazione è restrittiva e persecutoria. Come la legge Bossi-Fini (approvata nel 2002, in Italia, come continuazione della legge Turco-Napolitano approvata nel 1998 dal centrosinistra con l'appoggio di Rifondazione Comunista) che limita la concessione di visti e permessi di soggiorno a coloro i quali hanno un contratto di lavoro, autorizzando ad espellere gli altri. Sono queste leggi che hanno aperto i centri di detenzione per gli immigrati “clandestini”, veri campi di concentramento dei quali oggi ne esistono 15 in Italia, e in cui sono frequenti scene di rivolte, fughe di massa e manifestazioni contrarie, come è successo in Puglia e Sicilia.
Oppure come la nuova legislazione che propone Obama, che sottomette gli “immigrati illegali” a un lungo e costosissimo processo di legalizzazione (senza garanzie di ottenere la residenza), mentre continua ad espellere i nuovi immigrati che entrano e rafforza la guardia armata della frontiera con il Messico. In altre parole, una condanna permanente alla clandestinità, alla mancanza di difese e alle peggiori condizioni di sfruttamento.
E' necessaria una lotta internazionale unificata
La cosa peggiore di tutto ciò, è che settori importanti delle burocrazie sindacali dei Paesi imperialisti diventano complici di questa realtà e della politica delle loro borghesie. Da un lato, facendo eco alle campagne contro gli immigrati. Dall'altro, rifiutandosi di assumere la difesa dei settori più sfruttati della classe operaia nei loro Paesi.
Ma non possiamo rimanere passivi davanti a questa criminale persecuzione nella quale il capitalismo mostra il suo volto peggiore. È imprescindibile organizzare una grande lotta per farla finita immediatamente con essa.
Dobbiamo lottare, da un lato, per l'abrogazione immediata della legislazione persecutoria. Dall'altro, per la legalizzazione immediata (“permesso per tutti”) di quelli che sono già immigrati illegali. Infine, per l'eliminazione dei funesti “visti di residenza” e per l'autorizzazione di ingresso senza restrizioni di coloro i quali vogliono stabilirsi in un altro Paese.
Facciamo appello, in primo luogo, a dare impulso e a condurre questa campagna alle organizzazioni di immigrati e ai sindacati combattivi (specialmente dell'Europa occidentale e degli Usa). Un primo passo in questo senso potrebbe essere un primo incontro che definisca i meccanismi di coordinazione e le iniziative per svilupparla. Per esempio, la realizzazione di una giornata internazionale di lotta. Ma è necessario anche esigere da tutti i sindacati, dai partiti che si proclamano democratici e dalle organizzazioni per i diritti umani che aderiscano e partecipino ad essa.
La terribile situazione degli “immigrati clandestini” non ammette ritardi in questo compito. Mettiamoci al lavoro!
(traduzione dallo spagnolo di Giovanni "Ivan" Alberotanza)


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