venerdì 1 novembre 2013

Ceccano e il bombardamento del 3 novembre '43

Angelino Loffredi. fonte http://www.unoetre.it/

da "Ceccano ricorda" - NOVEMBRE Siamo andati un po' avanti nel tempo con la descrizione degli episodi legati alla Resistenza; è opportuno, perciò tornare indietro per ragioni di chiarezza e riprendere la narrazione cronologica degli avvenimenti per riportare fatti importanti accaduti nella nostra provincia nel mese di novembre e nel periodo successivo'. La nostra popolazione, pur vedendo bombardare la città di Frosinone e pur éssendo ben informata delle distruzioni e del numero delle vittime, spera ancora che a Ceccano non venga riservata la stessa infausta sorte . Tra i cittadini ceccanesi c'è molta preoccupazione ed angoscia; tuttavia sfugge qualcosa in termini di consapevolezza: non si sa ancora ciò che la guerra si appresta concretamente a procurare. In tutta la sua storia millenaria, se escludiamo i morti del millenovecentodiciotto dovuti alla epidemia di «spagnola», Ceccano non ha conosciuto terremoti, non è stata mai distrutta né bruciata e non è stata mai schiacciata dal dominatore straniero. Proprio perché le nostre popolazioni hanno vissuto per secoli in pace e quindi non hanno mai assistito a ritorsioni, violenze o stragi umane, sono molti quelli che pensano, o meglio si illudono, in questo momento che i bombardamenti devono riguardare solo Frosinone in quanto città capoluogo di provincia. Anche per questo alcuni di quelli che da Ceccano hanno assistito come da una platea ai bombardamenti di Frosinone lo hanno fatto con animo quasi distaccato, immedesimandosi nella tragedia solo in parte. In settembre e ottobre, insomma, molti sono quelli che ancora sono convinti che Ceccano non costituisce un punto strategico da colpire non considerando che sul territorio esistono una fabbrica di munizioni, uno scalo ferroviario ed un ponte sul fiume Sacco. La vita seguita così a svolgersi in un modo tale che tutto ormai è considerato regolare pur nell'anormalità, nel senso cioè che, ad esempio, i prodotti di prima necessità si acquistano razionati nei negozi e dopo aver fatto interminabili code . Tutti vivono ancora in paese, nelle proprie case ed a contatto con quel che resta dei propri beni. Questo avviene fino al tre novembre. Questo giorno, infatti, segna un momento importantissimo nello sviluppo degli avvenimenti che stiamo'esaminando: dalla sofferenza della fame, dall'angoscia dell'incertezza che riguarda il futuro, si passa in un batter d'occhio, a toccare con mano la crudeltà e gli orrori della guerra. Due giorni prima c'era stato il bombardamento su Pontecorvo con la devastazione del cimitero e dell'ospedale: moltissimi furono i feriti rimasti senza soccorso e tanti i morti che rimasero senza sepoltura. Cadono le prime bombe Sono le 10,40 del 3 novembre l)43 quando sei caccia bombardieri fanno la loro comparsa sul nostro cielo. Il loro obiettivo è quello di colpire il ponte sul Sacco, ma per tre lunghissime ondate si accaniscono solo su una popolazione inerme ed impreparata. Il perimetro colpito dalle bombe è quello riguardante la Piazza e la zona di S. Pietro; è infatti, in questa parte di Ceccano che vengono distrutte molte case, gran parte delle quali erano situate a ridosso della chiesa, che al termine delle incursioni risulterà lesionata e pericolante. Un allucinante spettacolo si presenta alla vista dei primi soccorritori: case completamente rase al suolo, edifici sventrati, macerie fumanti e pareti mitragliate. Ma questa vista stranamente non sollecita nei presenti azioni di solidarietà, ma incute solo terrore e desiderio di fuga, come se improvvisamente si fosse aperto il baratro della crudele realtà.Grida di dolore e panico si mescolano alle invocazioni dei feriti ai quali solo pochi volontari cercano di prestare le prime cure. A poco serve il coraggioso conforto portato da due sacerdoti: don Alvaro e don Getulio prontamente usciti dalla chiesa di S. Giovanni. Presso borgo Pisciarello, un vecchio nucleo abitato, costruito a pochi passi dalla cintura urbana, su un lembo di terra in pochi metri quadrati vengono distrutte le famiglie Maura e Cristofanilli. In questa direzione si muovono due giovani generosi per portare soccorso: Ermete Ricci e Amedeo De Sanctis. Aiutano il povero Alessandro Cristofanilli a tirarlo fuori dalle macerie i resti della figlia Rosa e di due nipoti, tutti ormai deceduti. Suo figlio Mario ha preso, nel frattempo, fra le braccia I'altro nipote Luigi Maura di sette anni, gravemente ustionato. Il dolore per la perdita della sorella e dei nipoti (Giovanni e Giacinto Maura), la vista dell'altro nipote Luigi vivo, ma quasi irriconoscibile per le ferite, lo prostrano profondamente. Egli comunque cerca disperatamente con il bimbo in braccio di dirigersi verso l'ospedale. Il percorso lungo via Pisciarello è tutto su una salita ripida e difficoltosa.
Va avanti per duecento metri circa, fino a quando arriva Dario Santodonato a sollevarlo da questa grave fatica. Santodonato a passi velocissimi supera la piazza e, attraverso via Villanza, arriva in ospedale. Ma in ospedale sia per Luigi che per gli altri feriti che stanno arrivando, le cure saranno scarse perché gran parte del personale alla vista delle bombe si è allontanato. Il piccolo Luigi morirà dopo tre giorni di atroci sofferenze. Complessivamente i morti in seguito al bombardamento saranno diciotto: la cifra più elevata raggiunta a Ceccano in una sola giornata di guerra. Il giorno dopo lo spettacolo si presenta ancora più desolante: parecchi cadaveri sono raccolti presso la chiesetta della Madonna del Loco e non sono nemmeno chiusi nelle bare; sono posti nella nuda terra quasi a mostrare le mutilazioni, i vestiti intrisi di sangue e le membra martoriate Forse perché la popolazione è rimasta terrorizzata ed esterrefatta da una crudeltà tanto inaspettata, poche sono le persone presenti al rito funebre officiato da don Vincenzo Misserville. Al termine dello stesso, Checco Carlini e Filippo Misserville, preceduti dal sacerdote con il crocifisso ben proteso in alto, portano al cimitero su di una barella i resti delle vittime. Una scena che si ripeterà più volte in quanto i due, rimasti soli, avranno l'ingrato compito di raccogliere, a mani nude, i corpi mutilati per compiere questo triste servizio, mossi da umana pietà. E da rilevare inoltre un fatto che dimostra come in quelle tragiche circostanze si potesse arrivare a delle decisioni che non avevano né il senso della misura nè del ridicolo. Leggendo il verbale delle deliberazioni del commissario prefettizio, Giuseppe Patriarca, si scopre che il 23 dicembre viene dato “Un premio di attaccamento al dovere di £500 di £ 400 a due vigili urbani” non, come si potrebbe immaginare, per I'aiuto dato ai feriti o per lo sgombero delle macerie o per altre simili motivazioni, ma «poiché hanno provveduto», sempre in quel tragico giorno, al recupero dei mobili della Casa del Fascio. Ogni commento su questa delibera è superfluo; mi limito a far notare come, ancora una volta il fascismo mostrava Ia sua caratteristica lontana da ogni elementare senso di giustizia, e tale da offendere il buon senso dei cittadini. Lo sfollamento Subito dopo il bombardamento e nei giorni successivi, gran parte degli abitanti del centro urbano lascia le abitazioni e si dirige verso le campagne per cercare un rifugio sicuro, lontano dagli obiettivi militari. Al cittadino che in quei giorni attraversa le vie del paese si presenta uno spettacolo allucinante . Lungo le stradine del centro del paese (via S. Antonio, via Cappella, borgo S. Martino, via Bellatorre, borgo Pisciarello) fra le macerie e le case sventrate si udiva solo il mesto passo di chi le attraversava. Ovunque le porte delle abitazioni integre sono sprangate e le serrature girate a doppia mandata; qualcuno prima di andar via ha addirittura pensato di murare e sotterrare i beni più preziosi. Nelle case mutilate il vento fa sentire il cigolio di qualche finestra o fa battere qualche porta; i gatti nervosi e miagolanti, anch'essi increduli, si muovono alla ricerca di un luogo sicuro. Qua e là ogni tanto si avverte I'acre puzzo della morte, in alto si sentono i colpi d'ala dei piccioni torraioli che volano radenti, quasi impazziti per la perdita del nido.Ovunque lo sguardo si pone appare mestizia; quella parte che per secoli aveva rappresentato il cuore pulsante di Ceccano, frequentata da allegre compagnie, straripanti di vivacità e di una inesauribile voglia di vivere, non è più la stessa. Inizia così lo sfollamento di intere famiglie che, raggruppare alla rinfusa le poche cose essenziali, si dirigono verso la campagna in cerca di un rifugio più sicuro. Ha così inizio la convivenza con le famiglie contadine che si mostrano generose nell'accogliere i concittadini nelle loro abitazioni, tutt’altro che confortevoli. Cinquanta anni fa, infatti, non dobbiamo dimenticare che le abitazioni di campagna non erano dotate di servizi così come oggi siamo abituati a vedere. All'epoca erano quasi inesistenti le case in muratura. I contadini abitavano in case di legno, dotate di una finestra larga cinquanta centimetri o in stretti pagliai senza finestra con un solo buco al centro del cono fatto di paglia, impastata con sterco di animali, che fungeva da soffitto. Non esisteva luce elettrica e ci si arrangiava con il lume a petrolio. Mancava ogni servizio igienico, e si beveva solo l'acqua dei pozzi. Alle volte lo spazio per dormire era tanto ristretto che esso veniva riservato alle donne ed ai bambini mentre gli uomini andavano nelle stalle. I più fortunati dormivano su materassi di<Nel gergo militare questa è la linea Gustav, così chiamata da Hitler e Kesserling, ma per i ciociari sarà semplicemente il A ben riflettere si può dire che i tedeschi in nessuna altra realtà del territorio italiano hanno trovato simili condizioni favorevoli. La linea, infatti, è come una fortezza dove i due complessi montuosi del Monte Cairo e degli Aurunci rappresentano i bastioni, mentre i corsi d'acqua del Rapido, del Gari e del Garigliano ne costituiscono il fossato. Il tuono del cannone si sente fino a Ceccano. Esso se da una parte appare minaccioso, da un'altra sembra essere rassicurante, perché è il segnale della prossima e desiderata liberazione e quindi dell'agognata pace . I giorni passano e così le settimane, mentre la fame e l'incertezza del domani si fanno sentire sempre di più. Man mano che negli animi il ricordo ed il terrore del bombardamento si affievoliscono, si ricomincia a ritornare nel paese, mentre alcuni preferiscono rimanervi solo di notte. D'altronde la vita in campagna si fa sempre più insostenibile a causa anche dell'impossibilità di soddisfare le più elementari necessità. Si preferisce, quindi, la sera tornare in paese per la presenza diluce elettrica, anche se dopo le ventuno vige il coprifuoco e l'oscuramento; in particolar modo, c'è la neces-sità di tenere sotto controllo la propria abitazione, per preservarla da ruberie e sciacallaggi di vario genere.



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