martedì 26 novembre 2013

Dieci problemi con i mercati

   Mitchell Szczepanczyk – 25 novembre 2013  fonte:http://znetitaly.altervista.org/

In un periodo in cui nulla pare tabù e in cui tutto è permesso e tutto è suscettibile di riconsiderazione, c’è un catechismo quasi intoccatile e tabù al giorno d’oggi: i mercati (termine con il quale mi riferisco all’istituzione economica formale dei mercati) sono fantastici. I mercati sono efficienti. I mercati non possono sbagliare. I mercati sono il sistema economico migliore che gli esseri umani abbiano creato e che mai creeranno. I mercati sono la cosa migliore dopo la scoperta della ruota e gli orgasmi multipli.
E tuttavia, semplicemente con un po’ di sforzo di lettura qua e là, ho scoperto che questa mitologia del mercato è grossolanamente errata. Nel mio tempo “libero” nel corso degli anni, ho esaminato la letteratura dissidente a proposito dell’economia e ho scoperto quelli che sembrano problemi considerevoli con i mercati come istituzione formale e un motivo per cui i mercati – l’istituzione che comprende acquirenti e venditori in conflitto d’interessi – sono carichi di problemi. Posso addirittura proporre una lista di dieci problemi con i mercati.
L’economia politica dell’economia partecipativa”, un libro di Michael Albert e Robin Hahnel, elenca alcuni dei problemi dei mercati. Includo i motivi esposti nel loro libro come i primi cinque nella mia lista:
1. Feticismo della merce: Permettetemi di citare la definizione fornita da Alber e Hahnel:
All’esterno di ogni azienda, i rapporti tra persone e cose o tra le cose e le cose rimangono evidenti, ma i rapporti tra le persone e le persone sono oscurati. Ciò, naturalmente, è stato chiamato “feticismo della merce” e i suoi mali corrosivi sono indipendenti dai rapporti di proprietà. Perché i lavoratori possano valutare appieno il loro lavoro dovrebbero conoscere i fattori umani e sociali, oltre a quelli materiali, che entrano nelle risorse che utilizzano e le conseguenze umane e sociali che quanto producono rendono possibili. Ma le sole informazioni che i mercati forniscono, con o senza la proprietà privata, sono i prezzi delle merci che la gente scambia.
L’assenza di informazioni sugli effetti concreti  sugli altri delle mie attività non mi lascia altra scelta che basarmi esclusivamente sulla mia situazione personale. Ma l’individualismo cui ciò conduce impedirà la solidarietà e l’efficienza.
2. Ruoli antagonistici: i compratori competono con i venditori riguardo al potere negoziale. I venditori competono con altri acquirenti per la quota di mercato. I compratori competono contro altri compratori per le merci rivali (solo uno di noi può avere quella macchina sportiva). Per di più, quelli che sul mercato agiscono correttamente sono fatti fuori da quelli che non hanno alcuna remora (“nessuna buona azione resta impunita”), non necessariamente per una qualche patologia degli avversari, ma perché i mercati disincentivano la solidarietà. Come dice il cartello di protesta: “Non incolpare la vittima, incolpa il sistema”.
3. I mercati alimentano la gerarchia: Come? Vi aspettate che le società siano internamente non competitive quando hanno una perpetua competizione da combattere all’esterno? Lungi da ciò. Se si permette quella pressione competitiva esterna alle aziende, tale pressione penetrerà al loro interno. Se quello che c’è dentro le aziende sono mansioni e influenza, allora quella pressione per la competizione plasmerà l’operatività interna delle aziende. Le mansioni sono organizzate gerarchicamente secondo la competenza, e le mansioni che danno potere e sono desiderabili sono monopolizzate da un numero relativamente limitato di persone, mentre quelle che danno meno potere e sono meno desiderabili sono più comuni. Il risultato di una rigida gerarchia delle linee di comando e controllo: gli ordini scendono dall’alto, l’obbedienza sale dal basso.
4. Pregiudizi antisociali. Citando di nuovo Albert e Hahnel:
“[I mercati] … sono prevenuti contro il fornire merci con effetti positivi esterni superiori alla media. Il fatto che i mercati sovraccaricano sistematicamente il prezzo per gli utenti delle merci con effetti esterni positivi e praticano agli utenti prezzi inferiori per merci con effetti esterni negativi è ben noto agli economisti tradizionali. Ma ciò che non è facilmente ammesso è che gli effetti esterni sono la regola, non l’eccezione, poiché ciò implica che i prezzi di mercato in generale valutano in maniera errata i costi e i benefici sociali e i mercati in generale allocano in modo inappropriato le risorse. Mettere insieme queste prevenzioni e la comprensione che i consumatori alla fine riservano le proprie preferenze a offerte relativamente meno costose ed evitano le offerte relativamente più costose contribuisce a spiegare perché i mercati producono inesorabilmente comportamenti e risultati antisociali.”
5. I mercati e il coordinatorismo. C’è una critica di sinistra all’economia di sinistra che dice così: il modello di classe dell’economia predominante nella storia della sinistra presuppone due classi, una classe elitaria di proprietari e una classe più vasta di privi di diritti (o, per citare il personaggio dei Simpson, Krusty il Clown: “Lavoratori e parassiti”). Uno dei problemi principali di questo modello è che trascura una terza classe di lavoratori intellettuali, che finiscono per diventare la nuova élite lasciando i rapporti di classe pressoché intatti. Queste stessa critica “coordinatorista” si applica anche ai mercati, poiché le allocazioni dei mercati (citando di nuovo da Albert e Hahnel) “privano di potere i lavoratori esecutivi e danno potere ai lavoratori intellettuali. Che ciò porti all’apatia popolare, a personalità egocentriche e a una nuova classe di coordinatori è chiaro. E nulla nell’esperienza storica della Jugoslavia [l’esempio più citato di mercati e coordinatorismo] suggerisce il contrario.”
In aggiunto a questi motivi, posso elencare altri cinque problemi dei mercati.
6. I mercati presuppongono condizioni di conoscenza irrealistiche:  I presupposti che i mercati formulano a propositi di una forma ideale sono al limite della farsa. Ad esempio, gli attori del mercato hanno informazioni perfette sempre e su tutte le situazioni e i prezzi sono immediatamente corretti quando le circostanze lo impongono. In realtà l’asimmetria informativa è la situazione normale, piuttosto che l’eccezione. Il processo di creazione dell’asimmetria informativa ha persino un nome: screeningE nel mondo reale l’asimmetria informativa a favore delle imprese e di altre potenti entità del mercato è razionalizzata sotto il nome di “segreti commerciali”, ma gli effetti di tale asimmetria sono tutt’altro che segreti.
7. I mercati ignorano i beni pubbliciIl passaggio migliore al riguardo si trova nel libro di Robin Hahnel  “The ABC of Political Economy” [L’ABC dell’economia politica]. In un brano sui beni pubblici egli scrive:
Quando le persone acquistano beni pubblici in un libero mercato non hanno incentivi, nel decidere quanto comprare, a tener conto dei benefici che altri ne ricavano. In conseguenza c’è una “domanda” molto inferiore a quella che sarebbe socialmente efficiente, se mai c’è. Insomma la domanda dei mercati sottostimerà grossolanamente il beneficio sociale marginale dei beni pubblici.
Alcuni aspettano che siano altri a comprare il bene pubblico, del quale possono beneficiare senza dover pagare di persona, determinando così una specie di “dilemma del prigioniero” riguardo ai beni pubblici. Il fenomeno ha persino un nome, il “dilemma del profittatore”.
8. I mercati ignorano le esternalità. I mercati tengono conto soltanto degli effetti immediati della transazione tra acquirente e venditore. Qualsiasi altro effetto derivi dalla transazione è considerato “esterno” e ignorato nel costo di mercato. Di cui il nome “esternalità” dato a tali effetti. E’ un grosso problema, per due motivi. Primo motivo: le esternalità, come dice Michael Albert nel suo libro “Parecon: Life After Capitalism” [Economia partecipativa: la vita dopo il capitalismo] “sono la regola piuttosto che l’eccezione” ed egli cita l’economista E.K.Hunt che dice “la maggior parte dei milioni di atti di produzione e consumo in cui siamo coinvolti quotidianamente comporta esternalità”. Secondo motivo: pur essendo ignorate, le esternalità distorcono il costo di mercato, determinando così effetti a valanga che potrebbe non essere tanto facile ignorare (dico a te, cambiamento climatico antropogenico). Alcuni riformatori hanno lanciato un appello per una reale valutazione di tali esternalità, a parte il fatto che tali costi sono notoriamente ardui da valutare in un mercato.
9. I mercati tendono al monopolio. Permettetemi di citare un breve brano dall’eccellente libro di Robert McChesney “Digital Disconnect” [Sconnessione (o disfunzione) digitale], in una sezione in cui tratta dei monopoli: “Lo scenario da sogno [per un capitalista] e di recarsi al mercato e scoprire di essere l’unico a vendere un prodotto di cui c’è domanda. Allora può fissare lui il prezzo, non lasciare che sia determinato da altre forze. Ciò riduce enormemente il rischio e accresce i profitti. E’ per questo che così tante delle grandi fortune sono state costruite sulla base di semi-monopoli.” Al tempo stesso “i monopoli puri … non esistono quasi mai. Il capitalismo, invece, tende a svilupparsi in quelli che sono chiamati … oligopoli”.” In una recente intervista a Bob McChesney in un programma radio che io produco, chiestogli se era in grado di proporre degli esempi di mercati che non tendono al monopolio, l’esempio da lui citato è stato: “La vendita di hot dog presso uno stadio di calcio” dove la barriera all’ingresso è bassa e i profitti sono modesti. Ma per le industrie su vasta scala con livelli di profitto immensi, la tendenza al monopolio permane.
10. I mercati producono le mega-imprese [traduco così l’originale ‘corporations’, che letteralmente significherebbe ‘società per azioni’ e che altrove traducono semplicemente con ‘imprese’ o ‘industrie’ dove il contesto chiarisce – n.d.t.] Permettetemi di citare un brano di una mia conferenza:
“Ai nostri fini, pongo l’accento sulla natura competitiva dei mercati nel contesto di questa definizione dei mercati: un’istituzione di acquirenti e venditori in cui acquirenti e venditori sono opposti gli uni agli altri in ungioco a somma zero; cioè qualcuno guadagna a spese di qualcun altro, e viceversa. Certo, è possibile guadagnare denaro e potere nei mercati senza farlo a spese di altri o con un guadagno di entrambe le parti, ma chiaramente è anche possibile (e normale) aver successo nei mercati rubando la metaforica al metaforico bambino.
Poiché vincere è indubbiamente meglio che perdere e poiché nei mercati si può guadagnare a spese di altri, è sensato comportarsi in maniera brutale nel mercato, comportarsi sempre in modo da approfittare degli altri. Nel mercato è razionale, cioè, diventare un mostro ed esibire un comportamento da mostro. Una reazione razionale a ciò è combattere il fuoco con il fuoco e diventare dei mostri per reazione. Allora diventa una faccenda di mostri contro mostri. E quanto più il mostro è grande, tante maggiori sono le sue probabilità di vincere.
Ed è qui che entrano in gioco le mega-imprese. Una mega-impresa può essere vista come l’equivalente di un mostro in un’economia di mercato e nel contesto competitivo è sensato diventare un mostro per sconfiggere i concorrenti. (Questo, penso, spiega anche perché i mercati tendono agli accorpamenti: nella competizione i partecipanti sono eliminati mediante acquisizioni o logoramento, o entrambe le cose, cosicché nella partita restano meno giocatori e i mercati, in conseguenza, finiscono per concentrarsi).
Poiché i mercati servono da terreno di coltura e da fonte di potenza per le mega-imprese, le proposte che, nella loro ottica, includono i mercati penso siano inevitabilmente viziate. Si possono mettere in atto prescrizioni per mitigare gli effetti negativi sul mercato, proprio come vediamo nei tentativi di oggi di opporsi alle mega-imprese, ma le mega-imprese hanno un potente incentivo a contrattaccare e ne hanno anche la forza, grazie alla predilezione a somma zero dei mercati per vincere molte delle loro battaglie.
Perciò io affermo che se ci si oppone alle mega-imprese, ci si deve opporre ai mercati. Se si vogliono abolire le mega-imprese vanno aboliti i mercati.”

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