Dopo dieci giorni ininterrotti di chiusura, il valico di Rafah è aperto per 3 giorni. Negli ultimi mesi è stato tenuto spesso chiuso dal governo egiziano, “per motivi di sicurezza” dicevano. Dal momento che il valico di Erez è inaccessibile ai più, Rafah è il passaggio principale presente tra il milione e settecentomila abitanti dellaStriscia di Gaza, sotto assedio oramai da 7 anni, e il resto del mondo. Un altro possibile passaggio – dedicato quasi esclusivamente alle merci – erano i tunnel sotterranei, ma anch'essi sono stati distrutti.
Arrivando dal Cairo, prima di passare il valico di Rafah, c'è da attraversare il Sinai. Sinai inizia con il canale di Suez. Nel canale di Suez c'era un ponte carrabile, ma è stato chiuso. Il canale si attraversa con delle chiatte, passando attraverso una coda lunghissima prima di potervi accedere. Dopo Suez, il deserto: sabbia, qualche cespuglio, e qualche palma; si procede fino ad Arish. Dopodiché, l'autista sceglie di deviare il percorso per alcuni passaggi sterrati, in mezzo alle case. Dice “esercito” in arabo, e mostra con dei gesti delle mani delle esplosioni, in inglese ci dice “all street close”; ci fa capire che, vista la situazione, il confine potrebbe essere di nuovo chiuso. Se ci sono problemi nel Sinai chi ne fa le spese è chi deve attraversare il valico, e ne vanno di mezzo come al solito i Palestinesi: i ricongiungimenti familiari, gli studenti che vorrebbero non perdere la borsa di studio, i malati in cerca di cure.
Mi sarebbe piaciuto fare interviste al confine, ma non ci sono riuscita, e non ci sono riuscita per due ragioni.
La prima è che in realtà sono stati gli egiziani ad interrogarci: avevamo delle foto nella macchinetta fotografica, e per almeno un'ora abbiamo dovuto fare la spola tra i diversi uffici, con polizia, funzionari e incaricati vari: ogni volta chiedevano dove le avevamo scattate e perché, poi dicevano che non c'era problema e che eravamo benvenuti. Salvo mandarci in un altro ufficio, perché un altro ufficiale vedesse le foto. Erano foto che avevamo fatto dalle finestre dell'ostello, non erano compromettenti per nessuno: a detta loro è una procedura standard quella di interrogare chiunque abbia macchine fotografiche o computer con dati, e questo la dice lunga su come la censura funzioni in Egitto, soprattutto per chi va verso Gaza. Nelle loro paranoie sono arrivati a chiedere “da Gaza vi hanno chiesto di portare queste foto?” come se, in quel caso, non le avessimo spedite via internet.
La seconda ragione è che, rispetto alle altre volte in cui ho passato il valico, esso era francamente deserto. Tra i vari sbirri che hanno esaminato le foto presenti nelle nostre macchinette, alcuni si trovavano dal lato opposto, quello che deve attraversare chi da Gaza si reca in Egitto. Anche da quel lato, l'atrio d'attesa era praticamente deserto. Evidentemente, dopo 10 giorni di chiusura, pur dichiarando che il valico era aperto, solo pochi erano autorizzati a passarlo.
L'assedio imposto sulla striscia di Gaza è illegale secondo la legislazione internazionale. Esso viola, infatti, gli articoli 55 e 56 della quarta convenzione di Ginevra, che sanciscono che la potenza occupante deve garantire i rifornimenti agli ospedali e il loro funzionamento; oltre che la dichiarazione dei diritti dell'uomo, che all'articolo 13 dice che ciascun individuo deve potersi muovere liberamente all'interno di uno Stato e poter lasciare il proprio Paese e tornarvi.
Ma prima di essere illegale, questo assedio è inumano.
Negli ospedali della Striscia, oltre a mancare i dispositivi medici e alcune medicine, ora manca anche la corrente, perchè dall'Egitto non è più possibile importare il carburante per la centrale elettrica: questo è un danno principalmente per chi si trova in cura intensiva, per chi è sotto dialisi e per chi deve subire operazioni. Amigliaia cercano di andare in Egitto per avere cure mediche che non possono ricevere a Gaza, e si trovano l'ingresso negato.
Ci sono studenti che hanno perso la borsa di studio all'estero, perché, bloccati a Rafah, non sono arrivati in tempo per poter accedere. Alcuni non hanno potuto partecipare a conferenze per cui era pianificato un loro intervento.
Numerose famiglie non hanno potuto ricongiungersi, lavoratori hanno perso il loro lavoro all'estero.
La mancanza di corrente arriva a compromettere il funzionamento della pompa dell'impianto fognario. Non è solo orribile – per tutti, a qualsiasi latitudine – camminare nell'acqua fognaria: rappresenta anche un rischio sanitario.
Anche l'Arca di Gaza, progetto della coalizione freedom flotilla che prevede la costruzione di una barca che rompa l'assedio di Gaza viaggiando dal porto di Gaza verso l'esterno, ha dovuto ritardare la sua partenza perché, a causa del blocco, non è stato possibile portare dentro la Striscia il materiale necessario a completare la costruzione della barca.
I tunnel tra il Sinai e Gaza sono stati per la maggior parte distrutti dall'esercito egiziano. Essi portavano dentro la Striscia generi di prima necessità, cibo, sigarette, e anche petrolio: è notizia del 9 novembre che 3000 litri di disel e 30 tonnellate di gas siano state intercettate prima del loro ingresso a Gaza attraverso i tunnel, e quindi non abbiano mai raggiunto la popolazione di Gaza. Dal canto suo, il governo egiziano ha dichiarato che la decisione di chiudere i tunnel è irreversibile.
Per concludere, vorrei raccontarvi la storia di Tamer, figlio di un'amica che vive a Gaza. Mi ha contattata chiedendo aiuto per arrivare in Europa. Ha studiato in Tunisia, è ingegnere aerospaziale: l'Egitto non gli da il visto per passare e tornare a Gaza, e nel frattempo, poiché ha finito gli studi, gli sta per scadere il visto tunisino.
Non so come poterlo aiutare: se avete qualche idea scrivetemi in privato (todessil at gmail.com). Chissà quante ce n'è di storie così.
Tutti i confini sono orribili, tutti rappresentano limitazioni al movimento che gli esseri umani non meritano. Ma questo confine, riesce addirittura ad essere più brutto di tanti altri.
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