fonte: The Guardian traduzione di Giuseppe Volpe
Ecco come funziona la truffa capitalista: si permette al governo di indebitarsi per i salvataggi, poi si insiste per tagli per rimborsare i debiti. Indovinate chi ci rimette?
Lo fanno i governi di centrodestra in Gran Bretagna e in Germania. Lo stesso i governi di centrosinistra in Francia e Italia [centrosinistra? – n.d.t.]. Lo fanno anche Obama e i Repubblicani. Tutti impongono programmi di “austerità” alle proprie economie come necessari per uscire dalla crisi che le affligge dal 2007. Politici ed economisti impongono oggi l’austerità allo stesso modo in cui un tempo i medici coprivano di impiastri di mostarda la pelle dei feriti.
Le politiche di austerità presuppongono che il maggiore problema economico oggi siano i deficit governativi di bilancio che accrescono i debiti nazionali. Le politiche di austerità risolvono tali problemi principalmentetagliando la spesa governativa e, secondariamente, con limitati aumenti delle tasse. Ridurre le spese aumentando contemporaneamente le entrate non taglia i deficit dei governi e la loro necessità di indebitarsi.
Il debito nazionale cresce meno o cala a seconda di quanto diminuiscono le spese governative e aumentano le entrate fiscali. Le politiche di austerità di Obama nel 2013 sono iniziate il 1° gennaio, quando ha aumentato le tasse sulle busta paga dei redditi di tutti fino ai 113.700 dollari. Poi, il 1° marzo, il ‘sequester’ [limite di legge al tetto della spesa governativa USA – n.d.t.] ha ridotto la spesa federale. Così il deficit statunitense del 2013 si ridurrà drasticamente rispetto a quello del 2012.
Obama probabilmente imporrà altra austerità: tagli alla previdenza sociale e alle provvidenze del sistema sanitario ‘Medicare’ per raggiungere un compromesso con i Repubblicani. Analogamente, governi europei mantengono i loro programmi di “austerità”. Persino il governo francese, ufficialmente “anti-austerità” e “socialista”, ha un nuovo bilancio con tipici tagli d’austerità alla spesa sociale.
Un cumulo di prove dimostra che i programmi di austerità solitamente aggravano le crisi economiche. Perché, allora, restano la politica preferita della maggior parte dei governi capitalisti?
Quando le economie capitaliste crollano, la maggior parte dei capitalisti chiede – e i governi offrono – salvataggi del mercato del credito e stimoli economici. Tuttavia e le imprese e i ricchi si oppongono a nuove tasse a loro carico per rimborsare i programmi di stimolo e di salvataggio. Insistono, invece, che i governi dovrebbero prendere a prestito i fondi necessari. Dal 2007 i governi capitalisti si sono dovunque indebitati massicciamente per questi programmi costosi. Sono così incorsi in vasti deficit di bilancio e il loro indebitamente nazionale è salito alle stelle.
Indebitarsi pesantemente è stato dunque la politica di prima scelta dei capitalisti per gestire la più recente crisi del loro sistema. Ha reso loro un ottimo servizio.
L’indebitamento ha pagato per i salvataggi governativi di banche, altre imprese finanziarie e altre grandi imprese selezionate. L’indebitamento ha consentito la spesa di stimolo che ha ravvivato la domanda di beni e servizi. L’indebitamento ha permesso gli esborsi governativi per le indennità di disoccupazione, i buoni alimentari e altri palliativi per le sofferenze indotte dalla crisi.
In questo modo l’indebitamento ha contribuito la ridurre le critiche, il risentimento, la rabbia e le tendenze antisistema di quelli che sono stati licenziati, sfrattati dalle case, privati della sicurezza del posto di lavoro e dei sussidi, eccetera. L’indebitamento ha avuto questi risultati positivi per i capitalisti, evitando loro di pagare tasse per ottenere questi risultati.
E non è nemmeno tutto qui. Le imprese e i ricchi hanno utilizzato i soldi che hanno risparmiato evitando che i governi li tassassero per mettere a disposizione gli enormi prestiti di cui i governi hanno avuto pertanto necessità. Gli appartenenti alla classe media e a quella a basso reddito hanno potuto prestare poco, ammesso che abbiano potuto farlo, ai loro governi. Le imprese e i ricchi, in effetti, hanno sostituito con i prestiti al governo il pagamento di tasse più elevate. Per questi prestiti i governi devono pagare interessi e alla fine rimborsarli.
L’indebitamento governativo premia le imprese e i ricchi molto graziosamente. Si tratta di un accordo particolarmente goloso per i capitalisti.
Tuttavia tale soluzione appetitosa fa sorgere un nuovo problema. Dove troveranno i fondi i governi, primo, per pagare gli interessi su tutto quel debito e, secondo, per rimborsare i creditori? Le imprese e i ricchi temono di essere ancora a rischio di essere tassati per mettere a disposizione quei fondi. Sono decisi a evitare simili tasse, proprio come hanno evitato, tanto per cominciare, di essere tassati per pagare i programmi di stimolo e di salvataggio.
L’austerità è dunque la seconda scelta politica preferita dai capitalisti, un secondo modo di evitare tasse elevate mentre i governi combattono la crisi economica. Le imprese e i ricchi promuovono l’austerità insistendo rumorosamente che i problemi economici chiave di oggi non sono la disoccupazione, la sicurezza del posto di lavoro e dei sussidi, i pignoramenti delle case, una disuguaglianza da record dei redditi e della ricchezza. Invece, i problemi centrali sono i deficit governativi e l’aumento del debito nazionale. Devono essere tagliati.
Per farlo le tasse vanno aumentate in misura modesta, o per nulla del tutto, (per evitare di “danneggiare” l’economia). La soluzione chiave è perciò di tagliare esborsi governativi per l’occupazione, le provvidenze e i servizi sociali. I soldi risparmiati con questi tagli andrebbero invece utilizzati per pagare gli interessi sul debito nazionale e per ridurre quest’ultimo.
Il modo del capitalismo per gestire le proprie crisi ricorrenti è dunque una notevole truffa in due fasi. Nella fase uno, massicci fondi da indebitamento per programmi di stimolo e di salvataggio. Nella fase due, l’austerità rimborsa il debito.
Questa truffa trasferisce la maggior parte dei costi della crisi capitalista sul gobbo delle persone a reddito medio e basso. La svolta ha luogo mediante maggior disoccupazione, paghe più basse e ridotti servizi governativi conseguiti dai programmi di austerità. Ha luogo anche attraverso la minimizzazione degli aumenti delle tasse, specialmente a carico delle imprese e dei ricchi.
Con poche eccezioni, i principali partiti politici hanno dovunque imposto la truffa in due fasi del capitalismo. Sono quando l’opposizione della gente a reddito medio e basso è sufficientemente organizzata, è possibile forse minacciare il capitalismo stesso affinché i capitalisti barcollino e si dividano sull’indebitamento e l’austerità. Alcuni capitalisti a quel punto collaborano con l’opposizione a sostegno di “Nuovi Patti” [New Deals] in luogo dell’austerità.
Anche allora, una volta superata la crisi immediata, i capitalisti tornano alle loro politiche preferite di indebitamento e di austerità. La storia statunitense dal 1929 a oggi insegna bene tale lezione.
I capitalisti sanno che il loro sistema è instabile. Tuttavia non hanno mai prevenuto le crisi ricorrenti. Si affidano invece a politiche per “gestirle”. La truffa in due fasi – indebitamento per stimoli e salvataggi e poi austerità – di solito sistema le cose. I keynesiani promuovono l’indebitamento e poi si mostrano sorpresi, persino indignati, quando segue l’austerità.
Tanto per cominciare, le imprese e i ricchi non avrebbero mai dovuto sottrarsi alla tassazione, perché sono loro ad aver contribuito a causare la crisi; si sono arricchiti al massimo nei decenni precedenti la crisi; e possono meglio permettersi di pagare per superare la crisi. Se fossero stati tassati per gli stimoli e i salvataggi, non ci sarebbe stata nessuna necessità di indebitamento o austerità.
Anche tassare le imprese e i ricchi avrebbe avuto conseguenze, ma avrebbero generato minori costi sociali e sarebbero ricadute prevalentemente sui più in grado di farsene carico.
Ma qualsiasi opposizione organizzata forte abbastanza per far pagare alle imprese e ai ricchi le crisi del capitalismo probabilmente metterebbe in discussione il capitalismo stesso. Emergendo da quasi sei anni di crisi, preme la domanda “non possiamo fare meglio del capitalismo?”, esigendo discussioni, dibattiti e decisioni democratiche.
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