A distanza di anni, le ragioni tecniche, economiche e ambientali dell’insostenibilità del progetto di un aeroporto di Frosinone, a più riprese formalizzate dalla nostra associazione, vengono finalmente denunciate da senatori ed europarlamentari gravitanti sul territorio. Non è mai troppo tardi per ravvedersi, anche se il movente non sembra, almeno in alcuni casi, così trasparente.
Non si possono non condividere gli inviti allo scioglimento del cda di AdF, oggetto delle note indagini della Corte dei Conti, specie relative al periodo della presidenza provinciale Scalia, che non ha evidentemente più alcuna ragion d’essere.
Sorprendente che lo stesso Scalia continui a rimarcare l’esclusione di Grazzanise e Viterbo dalla pianificazione aeroportuale nazionale come nuovo elemento a favore di un aeroporto nel Frusinate. Viene così meno, parzialmente, la questione della congestione delle rotte di volo, da noi sempre sottolineata in quanto considerata insormontabile dall’ENAC e dall’ENAV, ma fino a poco tempo fa comodamente ignorata dai sostenitori dell’aeroporto. Risulta d’altra parte di lapalissiana evidenza che la congiuntura economica, imponendo l’uscita dalla pianificazione nazionale di scali che l’ENAC considerava di un certo rilievo, non lasci alcuno spazio a un insulso aeroporto a Frosinone, uscito perdente a suo tempo dalla competizione tecnica con gli scali concorrenti.
Riguardo al progetto eliportuale, ci sembra chiaro che, a prescindere dalla problematica convivenza con la scuola elicotteristica di volo del 72.o stormo, unica nell’ala rotante in Italia, la sua reale funzione sia quella di una sorta di trojan horse per l’aeroporto, con il forte rischio di potenziali speculazioni edilizie innescate dalla Variante aeroportuale intermodale.
Ci chiediamo in particolare: perché ASI e AdF (e in particolare Arnaldo Zeppieri, membro del nuovo cda AdF), se intendono limitarsi alla realizzazione dell’eliporto, non hanno ancora ritirato la colossale Variante aeroportuale intermodale, che esproprierebbe 300 ettari di territorio?
Si attende a riguardo la linea della Giunta Zingaretti e dei consiglieri regionali espressione del territorio.
Al neonato consiglio comunale di Ferentino, chiediamo se intenda approvare il prossimo settembre un PRG che include la destinazione eliportuale/aeroportuale di ettari ed ettari di territorio.
Certi eventi accadono ogni giorno nella terra santa luogo di nascita di Gesù: La
Palestrina . Le forze israeliane,
sparano e sterminano quasi un intera
famiglia a sangue freddo.
Tale omicidio è
contro la Carta delle Nazioni Unite.
Tale omicidio è contro la Convenzione di Ginevra.
Tale omicidio è contro la morale degli esseri umani
Quindi esattamente che cosa sono gli israeliani e a quale categoria paragonare il loro comportamento
Anti-Umani . Imparate a conoscerli dalle loro azione,
osservate cosa hanno in serbo per gli Stati Uniti, vedete cosa preparano per un Israele più grande, osservate cosa hanno in serbo per tutte le
nazioni occidentali abitate da non israeliti.
Il pasticcio, e le polemiche di questi giorni, sulla riforma della legge elettorale sono la cartina di tornasole di quella scarsa credibilità della politica che è alla base dell'astensionismo montante. E la prossima volta è possibile che non vadano a votare nemmeno coloro che alle scorse elezioni sono andati
Tutta l’Italia per bene si è scandalizzata per la vastità dell’astensionismo: a Roma ha votato un elettore su due, nel complesso del paese meno di due su tre. C’è chi grida alla crisi della democrazia, ma c’è anche qualcuno come la sottoscritta che considera questo astensionismo triste, ma del tutto comprensibile, anzi segno di normalità.
Vediamo. Nel formare il governo delle larghe intese, il premier Enrico Letta aveva dichiarato che in ogni modo bisognava prevedere un marchingegno di modifica della legge elettorale nota come “porcellum” perché, in caso di infarto delle larghe intese, si potesse andare alle elezioni con un sistema elettorale non così indecente. Pareva quindi ovvio che il parlamento ci si mettesse subito, anzi per prima cosa. Anna Finocchiaro, zelante, ha ripresentato la formula già avanzata in passato che sembra la più semplice: un ritorno al sistema elettorale precedente, il Mattarellum. Senonché Silvio Berlusconi ha fatto sapere che se si riforma la legge elettorale prima di tutto l’assetto istituzionale lui fa cadere il governo: questa è la sua concezione delle larghe intese, tanto amate da Giorgio Napolitano. Rapidamente il governo, e in esso il Pd, ritira la proposta e accetterà una supercommissione che lavorerà almeno 18 mesi per riformare, non si sa entro quali limiti, la Costituzione della Repubblica nella sua seconda parte (la prima è già bell’e superata nei fatti). Un deputato del Pd, Roberto Giachetti vicepresidente della Camera, non ci sta e ripresenta un progetto di legge che ritorna, grosso modo, sul Mattarellum. Tuoni e fulmini. La medesima Finocchiaro lo considera un atto di prepotenza pressoché eversiva. Ieri la Camera vota contro il deputato, non senza dividersi. Divisione che passa manifestamente dentro al Partito democratico.
Perché l’elettore normale dovrebbe aver capito qualcosa di questo inverecondo pasticcio? E se ha capito che il sugo della faccenda, cioè che le larghe intese si intendono “quello che Berlusconi accetta”, perché dovrebbe accettarle ogni italiano? Non si tratta di un compromesso ma di un sistema ricattatorio nelle mani del Cavaliere.
Se il governo e il Colle non capiscono che è impossibile prendere in giro i cittadini in questo modo, vuol dire che sono ben lontani non solo dal senso comune della politica ma dal buon senso e dalla limpidezza nel gestire la cosiddetta governabilità. La prossima volta può darsi che non vadano a votare neanche coloro che stavolta sono andati.
“Un ottuagenario
miracolato dalla rete, sbrinato di fresco dal mausoleo doveera stato confinato dai suoi a cui auguriamo di rifondare la
sinistra». Con queste parole Grillo ha insultato Stefano Rodotà dopo l’intervista concessa da
quest’ultimo al Corriere della Sera, in
cui faceva notare come i toni polemici e le dichiarazioni forti del comico
genovese si fossero rivelati un boomerang. E gli
ultimi deludenti risultati nelle elezioni amministrative del M5S ne erano stati la prova più eclatante .
Qualche giorno fa Grillo se l’era presa anche
con la Gabanelli rea di avere fatto le
pulci alla conduzione finanziaria falsamente trasparente del Movimento 5
Stelle. Nel giro di 15 giorni Beppe
Grillo ha fatto fuori coloro che la sua base,
attraverso la votazione on line, aveva indicato come candidati più autorevoli alla
presidenza della Repubblica. Stefano Rodotà, come è noto, è stato addirittura votato in aula dai
parlamentari 5 stelle per la poltrona di capo dello Stato. Alla faccia del rispetto per i militanti!
Ma ormai dovrebbe essere evidente che la
membrana fra la lista dei buoni e la lista dei cattivi per Beppe Grillo è
estremamente permeabile. CasaPound è fra
i buoni, ma i fascisti sono nei cattivi. A dire il vero non sempre i fascisti sono
stati cattivi. Per la capo gruppo grillina alla camera Roberta Lombardi infatti,
i
fascisti sono stati anche buoni prima della promulgazione delle leggi razziali .
Napolitano è nei cattivi, poi passa ai buoni quando difende l’orgoglio
nazionale contro le accuse mosse dai tedeschi alla credibilità politica di due”
pagliacci” come Berlusconi e lo stesso Grillo.
Gli extra comunitari di prima e seconda
generazione sono fra i cattivi e sono in buona compagnia. Nella bad list grillina
affiancano noi ciociari giudicati da Grillo un popolo di trogloditi. Tirando
le somme fra i cattivi figurano: Stefano
Rodotà, Milena Gabanelli, gli extra comunitari di prime e seconda generazione,
quelli di terza si salvano perché non sono ancora nati, e i Ciociari.
Beh come Ciociaro sono orgoglioso di essere accostato a Stefano Rodotà e sono convinto che molti miei
conterranei potrebbero come me essere onorati di condividere con una personalità
come quella del costituzionaliste promotore
dei referendum sui beni comuni, la
stessa appartenenza alla classe di valori di Beppe Grillo.
Ma il punto è: quanti di quei Frusinati elettori alle
ultime amministrative del sindaco predissestato
, perché abbindolati dalla bolletta pagata e dal
piatto di pasta, conoscono Rodotà?
Quanti di loro, che adesso si vedono recapitare le
prime stangate della ex Tarsu, non ancora Tares, e
dovranno pagare servizi non più erogati dal comune, saranno in grado di capire
realmente quanto gli è costata quella
bolletta e quel piatto di pasta?
Nessuno, ergo, non molti
Ciociari saranno in grado di apprezzare l’onore di un così alto
accostamento. Ebbene la constatazione di appartenere ad una èlite in grado di
provare certe soddisfazioni mi rende
ancora più orgoglioso anche se per colpa
di chi non conosce Rodotà, dovrò subire anche io stangate tributarie e privazioni di diritti.
Così va il mondo. Fino a che esisteranno
gli ignoranti come Grillo e i Frusinati che hanno venduto il loro voto alla
bolletta e al piatto di pasta, a noi non resterà che l’orgoglio di essere nella
lista dei cattivi con Rodotà, ma rimarranno anche le tasche sempre più vuote.
Il più importante sindacato dei metalmeccanici ha portato in piazza, secondo gli organizzatori, oltre cinquantamila persone.
La manifestazione era stata indetta dal Comitato Centrale della FIOM del 25 marzo, con lo scopo “di offrire un terreno di unificazione delle lotte per la difesa del lavoro, del reddito, dell’occupazione, del diritto allo studio, per una vera democrazia nei luoghi di lavoro, una nuova politica industriale e per la riconquista di un vero Contratto nazionale”.
A quasi due mesi di distanza, la manifestazione ha assunto un significato diverso, vista la rielezione di Giorgio Napolitano alla presidenza della Repubblica, la costituzione del governo delle larghe intese, il riavvicinamento di CGIL a CISL e UIL che ha portato all’accordo sulla rappresentatività, siglato il 30 aprile.
Inevitabilmente l’intervento di Landini, così come la partecipazione di personaggi come Stefano Rodotà, l’adesione del Movimento 5 Stelle e l’assenza di personalità del PD, ha favorito la lettura della manifestazione in un’ottica politica, che forse non è stata sgradita nemmeno agli organizzatori.
Da un punto di vista politico, l’intervento del segretario della FIOM, Maurizio Landini, ha posto al centro la difesa della Costituzione. Riferendosi ai progetti di riforma costituzionale discussi nella maggioranza di governo, Landini ha sostenuto che non basta battersi per difendere la costituzione, ma bisogna battersi per applicarla, sostenendo addirittura che oggi compito dei rivoluzionari è battersi per applicarla.
L’impressione che dà questa manifestazione, per come è stata preparata, per i contenuti su cui è stata indetta, per come si è svolta e per gli interventi conclusivi, è quella di una FIOM e di una dirigenza sindacale rivolta al passato, ad un periodo in cui il governo e i capitalisti avevano bisogno dell’appoggio del sindacato concertativo per tenere a freno gli operai. Ora CGIL, CISL e UIL, e la FIOM nel suo specifico comparto, hanno portato a termine la loro missione, con la delazione e l’espulsione dei lavoratori rivoluzionari, con l’acquiescenza nei confronti dei tagli ai salari e ai diritti, con l’accettazione della riforma delle pensioni, del mercato del lavoro, della rappresentanza e della contrattazione, vengono messi alla porta da chi fino a pochi anni fa ne certificava la rappresentatività.
Lo stato d’animo di Landini e soci è la nostalgia, nostalgia della costituzione, nostalgia della politica industriale, nostalgia della concertazione e della solidarietà nazionale: tutte cose di cui le classi privilegiate e il governo che le rappresenta non hanno più bisogno. E’ lo stato d’animo di chi ha accettato la collaborazione di classe, di chi ha fatto della collaborazione di classe l’orizzonte della propria azione politica e sindacale, di chi non riesce a concepire una società senza lavoratori salariati, senza capitalisti, senza governi. E’ possibile che un sindacato guidato da dirigenti di questo tipo, un sindacato imbevuto nel più profondo da questa ideologia sia in grado di difendere gli interessi di classe?
La lotta economica, e il sindacato che ne è lo strumento, possono ottenere i loro risultati solo sulla base di un’intransigente contrapposizione agli interessi dei capitalisti. Il salario, la lunghezza della giornata lavorativa, i diritti, le pensioni e tutte le altre condizioni in cui l’operaio vende la sua forza lavoro sono altrettanti terreni di scontro con l’interesse del datore di lavoro, l’interesse del capitalista. E poiché i capitalisti sono parte fondamentale della classe dominante, i loro interessi sono quelli dominanti, difesi dall’ordinamento giuridico e dal Governo; gli operai possono quindi combattere su questo terreno solo organizzandosi, e da qui la necessità del sindacato, e solo contrapponendo il loro interesse particolare, l’interesse dei dominati, degli sfruttati e degli oppressi, la stragrande maggioranza della popolazione, all’interesse generale, l’interesse di quella piccola parte della società che costituisce la classe dominante.
Pensare che questi terreni non siano terreni di lotta, ma terreni di collaborazione di classe, di concertazione, in cui deve prevalere l’interesse della politica industriale, dell’economia, della solidarietà nazionale significa disarmare i lavoratori e abbandonarli alle pretese dei capitalisti. Questa è la situazione della classe operaia, queste le ragioni della debolezza del movimento operaio, in questa contraddizione sta il fallimento della politica della FIOM e delle confederazioni ancor più scopertamente succubi dei governi, dei partiti e dei capitalisti.
La manifestazione di sabato celebra un rosario di sconfitte, costellato da licenziamenti, cassa integrazione, perdita di diritti, che si cerca di far digerire in qualche modo agli iscritti, magari arruolando qualche nome dello spettacolo o della politica, o cercando sul terreno della lotta elettorale, e quindi ancora una volta sul terreno della subordinazione del movimento operaio, a questo o quel partito.
Il movimento anarchico è convinto che il sindacato possa essere un utile strumento di lotta: attraverso la quotidiana difesa dei lavoratori, ne rafforza la solidarietà e la contrapposizione ai capitalisti, prepara quegli organismi che permetteranno ai lavoratori la gestione della produzione e della società, e combatte nei fatti il governo e i suoi strumenti: il militarismo e i preti. Attraverso l’azione diretta e l’autorganizzazione il sindacato unisce i lavoratori senza distinzioni di fede religiosa, di orientamento politico, di nazionalità, di genere ecc. e, basandosi sul principio che l’emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi, li abitua a non avere fiducia nelle istituzioni, nei partiti, nelle chiese.
Ma è possibile oggi un sindacato di questo tipo?
Nonostante i numeri portati in piazza, la FIOM testimonia il proprio stesso fallimento: la vicenda FIAT ne è solo l’ultimo esempio.
Senza il contorno di nomi altisonanti, senza le prime pagine dei media, i lavoratori dell’Ospedale San Raffaele di Milano, soli contro tutti, sono riusciti ad ottenere un importante risultato.
Sono riusciti ad ottenerlo grazie all’unità, alla ricostruita solidarietà fra lavoratori, grazie all’azione diretta.
Sono riusciti ad ottenere il ritiro dei licenziamenti grazie all’appoggio dei sindacati di base, in primo luogo dell’Unione Sindacale Italiana che ha un notevole seguito nell’azienda ospedaliera.
Generalizzare esperienze di questo tipo può facilitare la nascita di un nuovo movimento dei lavoratori, che porterà anche con sé il tramonto di quelle strutture burocratiche che hanno portato al fallimento quello vecchio.
La rivoluzione in Siria, nel complessivo quadro di guerra civile, continua e si approfondisce. La lotta armata prosegue e si è trasformata, per l’importanza che riveste per la dominazione imperialista in un’area centrale della lotta di classe, nel nodo fondamentale della crisi nel Vicino Oriente. Si decide in quell’area la continuità del processo rivoluzionario, cominciato in Tunisia e che dura da più di due anni. Al contempo, essa rappresenta il punto di tensione fra l’ondata di rivoluzioni iniziate nel Nord Africa, la situazione israelo- palestinese, le successive ondate in Bahrein, Yemen e la tensione che si sta producendo riguardo all’Iran. Ci sono state sconfitte in alcuni Paesi come l’Arabia Saudita e il Bahrein, ma il processo nel suo insieme continua ad estendersi e finora né le dittature della regione, né l’imperialismo sono riusciti a contenere la marea rivoluzionaria. Nei Paesi in cui i dittatori sono caduti (come in Egitto) o le dittature sono state rovesciate (come in Libia e Tunisia), la rivoluzione continua, sia pure con flussi e riflussi. Ma dipenderà da ciò che accadrà in Siria se la bilancia della rivoluzione penderà da un lato o dall’altro. Da due anni la Lega Internazionale dei Lavoratori – Quarta Internazionale sta elaborando una politica specifica per l’area per rispondere alle esigenze poste dalla situazione nella regione. In tal modo, la nostra collocazione programmatica – di chiaro e incondizionato appoggio alla rivoluzione in corso – ha contribuito a differenziarci, sia dalle correnti controrivoluzionarie di sinistra che appoggiano le dittature (soprattutto il castrochavismo e, per altro percorso, le sette ultrasinistre), sia dalle correnti che hanno capitolato all’imperialismo, come il Segretariato Unificato (cui in Italia fa riferimento Sinistra Critica: Ndr).
La situazione Dopo una serie di progressi delle forze armate ribelli nella guerra civile che avevano ottenuto di riequilibrare in parte la situazione militare, nelle ultime settimane le truppe lealiste del dittatore Assad hanno scatenato una controffensiva che sta mutando il quadro del conflitto. Alla superiorità militare dell’esercito del regime e all’appoggio permanente di Iran, Russia e Venezuela, si è aggiunto un rafforzamento importante dell’apparato militare di Assad con la decisa e aperta entrata in campo delle milizie di Hezbollah, che rappresenta una delle più potenti e prestigiose organizzazioni politico- militari del Vicino Oriente. Di fatto, la partecipazione di migliaia di combattenti di Hezbollah al servizio del regime siriano è stata qualitativamente importante a Homs, uno dei centri della rivoluzione e la terza città del Paese per importanza, sotto assedio permanente. Con l’aiuto di questi rinforzi, migliaia di soldati, la dittatura ha conquistato Wadi Al Sayeh, un quartiere strategico. Il bombardamento è incessante e infernale, accompagnato da incursioni via terra, e l’obiettivo immediato è riprendere il controllo della strada che collega la città di Hama. Anche a Damasco il regime ha ottenuto diverse vittorie parziali, riconquistando posti di controllo a Zamalka e consolidando la ripresa di Qaysa, zone a est della città. Questo risultato è stato ottenuto grazie all’intervento di decine di esperti militari di Hezbollah di stanza a Damasco. Da queste periferie, a malapena difese dai miliziani fino alla loro caduta, il regime può bloccare importanti canali di rifornimento di armi e approvvigionamenti per l’Esercito Libero della Siria (Els) attraverso la Giordania. Persino nella zona costiera, dove c’è una forte concentrazione di alauiti (la comunità alauita, cui appartiene la famiglia di Assad, è estremamente minoritaria in Siria, ma gode di una sproporzionata serie di vantaggi: Ndr), le truppe fedeli al regime hanno intrapreso un’intensa offensiva contro i sobborghi e le cittadine adiacenti al villaggio di Banias, nel centro del litorale. I ribelli hanno denunciato che in questo agglomerato e in un villaggio vicino chiamato Baydas, gli “shabiha” (feroci bande di mercenari al soldo del regime) hanno perpetrato diversi atroci massacri, entrando casa per casa e decapitando e stuprando più di 150 fra uomini, donne e bambini. Banias, insieme a Latakia e Tartus, forma il cosiddetto cuore alauita della Siria, in una zona che è la culla della famiglia Assad. In questo quadro, l’obiettivo del regime è anche stimolare una polarizzazione confessionale e religiosa del conflitto, fra alauiti e sciiti da un lato contro sunniti dall’altro. Perciò, i salafiti che nelle forze ribelli lottano contro il regime finiscono, con la loro azione, per favorirne la politica, dal momento che attaccano gli sciiti/alauiti come un tutto e impediscono la massima unità del popolo siriano contro la dittatura.
La nuova fase della guerra civile In sintesi, vanno esaminati alcuni elementi di questa nuova fase che rendono più complicata, per le milizie ribelli e per la rivoluzione stessa, la situazione. Innanzitutto, l’entrata in scena, in forma decisiva e aperta, di Hezbollah a favore del regime siriano, che si aggiunge al ferreo appoggio politico e materiale della Russia, dell’Iran, della Cina e del Venezuela. Quindi, l’intensificazione dei metodi genocidi da parte del regime, compresi l’uso di armi chimiche (gas sarin) e il libero sfogo per gli “shabiha”, che radono al suolo le città e i villaggi, saccheggiando, uccidendo e violentando la popolazione civile. Infine, l’assenza di una direzione rivoluzionaria e l’intervento delle forze salafite con l’appoggio del Qatar e dell’Arabia Saudita, che fanno il gioco del regime dividendo la popolazione su basi confessionali e non cercando l’unità di tutti i settori contro Assad. Insomma, mentre Assad riceve ogni appoggio militare da Hezbollah, che interviene direttamente in suolo siriano come forza controrivoluzionaria, la rivoluzione resta isolata per il ruolo della sinistra castrochavista e dell’imperialismo. Occorre, dunque, costruire una risposta internazionale per appoggiare la rivoluzione e rovesciare la dittatura di Assad.
Per una giornata internazionale di appoggio alla rivoluzione siriana Forte del suo chiaro profilo come il settore più deciso nella campagna di appoggio alla rivoluzione senza capitolazioni all’imperialismo, la Lit-Quarta Internazionale, a partire dal Forum Sociale Mondiale recentemente svoltosi a Tunisi, ha preso contatti con diverse organizzazioni internazionali, tra cui Global Network of Solidarity. È nata così l’idea di lanciare per il 31 maggio una Giornata internazionale di appoggio alla rivoluzione siriana, in cui la Lit interverrà con la parola d’ordine “Via Assad! Appoggio alla rivoluzione siriana!”. E dunque, per quanto riguarda l’Italia, il Partito di Alternativa Comunista, che della Lit è sezione, fa appello a tutti i rivoluzionari, agli attivisti della sinistra sindacale e politica e ai sinceri difensori della libertà dei popoli, affinché domani, 31 maggio, nelle piazze e nelle strade del nostro Paese, davanti alle scuole e nei luoghi di lavoro, possa manifestarsi (con presidi, volantinaggi, ecc.) una rete di solidarietà e di appoggio internazionale alla rivoluzione siriana, contro il regime sanguinario di Assad e l’imperialismo che vuole assumere il controllo della regione per la difesa dei suoi interessi strategici, perché il processo rivoluzionario nell’intera area riprenda vigore e si approfondisca fino alla cacciata delle potenze imperialiste e di tutti i loro regimi fantoccio e nella prospettiva della presa del potere da parte delle masse popolari, non solo in Siria, ma in tutto il Nord Africa e nel Medio Oriente.
stiamo preparando una iniziativa a Ceprano per il
2 Giugno, sui temi della Festa,
ossia la Repubblica come conquista e superamento della dittaturafascista, i suoi caratteri, la
sua Costituzione.
Questo nel quadro della battaglia per le riforme
costituzionali in atto datempo,
e solo temporaneamente bloccata nei suoi disegni peggiori dal Referendum popolare.
Le posizioni che oggi dibattono del tema, ancorché
non definite nei contenutiin
modo chiaro e palese, tentano una grande manovra finalizzata alla sterilizzazione, o addirittura
alla cancellazione di importanti e fondamentali aspetti della carta, sia nel
suo valore antifascista e democratico, sia
nell'enunciazione e ancor più nella garanzia dei diritti dei cittadini e
dei lavoratori.
E'
compito dell'ANPI condurre ancora una volta la battaglia per la difesa e l'ampliamento dei diritti
costituzionali e dello stesso impiantorappresentativo
della nostra democrazia, e farlo nella massima chiarezza, con il coinvolgimento di pensieri
e identità diverse nello spirito solidale che la Carta prevede e promuove.
Lo
facciamo, come sempre, in assoluta sobrietà, ma allo stesso tempo con la
fermezza necessaria quando si discute di principi estrumenti intangibili, non
disponibili cioè alle modifiche interessate e di parte, essendo essi strumenti
fondanti la dialettica democratica nell'interesse generale.
Stiamo quindi lavorando ad un incontro con cittadini e loro
organizzazioni sociali e
politiche, che terremo nella Sala Comunale di Ceprano il 2 Giugno dalle ore 15 alle 19, durante
il quale verrà presentato il libro "Indipendenza e sovranità" che tratta
nel dettaglio i primi dodici articoli della
Costituzione relativi ai principi. Il libro è opera della nostra compagna
Avv. Carla Corsetti.
Lucia Fabi e Angelino Loffredi sono impegnati da tempo a non far disperdere la memoria dei fatti del territorio e della società in cui operano, Ceccano e la provincia di Frosinone. Partendo da fatti e accadimenti anche emotivi a loro vicini ricostruiscono un periodo, un pezzo di storia. “L’infanzia salvata. Nord e sud un cuore solo” appartiene a questa collana d’impegno. E’ il racconto di come 3448 bambini di Ciociaria reclutati in 49 comuni di questa provincia disastrata dalla guerra vengono inviati al nord ospiti della solidarietà e della generosità di famiglie di lavoratori che li ricevono nelle loro case, li sfamano e li rivestono, li mandano a scuola e hanno cura della loro fede religiosa. Questo avviene perchè lo vuole e lo decide il Pci come qui viene narrato descrivendo tratti del dibattito che si svolge nel V Congresso di questo partito.
«Presso l’Aula Magna dell’Università di Roma, alle 14,30 del 29 dicembre del 1945, Pietro Secchia apre i lavori del V Congresso del PCI. Il precedente congresso i comunisti lo avevano tenuto in semiclandestinità nel lontano 1931, alla vigilia della presa del potere di Hitler, a Colonia, in Germania . I delegati presenti sono 1800, un numero elevatissimo. E’ la prima volta che tanti comunisti si ritrovano a discutere insieme in un clima di libertà. Lo fanno a soli sette mesi dalla fine della guerra inaugurando così la stagione dei congressi, non solo del partito comunista, ma anche di tutti gli altri partiti. Qualche settimana prima Alcide De Gasperi è diventato primo ministro di un governo di unità nazionale di cui anche i comunisti fanno parte. (…)Delegati al V Congresso del Pci
Nel congresso ci si confronta sulle grandi questioni fino a quando il 31 non interviene Raul Silvestri , uno dei tredici delegati della federazione di Frosinone . Silvestri aveva fatto parte della Resistenza nella zona di Ripi, aveva stampato e diffuso un giornaletto titolato “Avanguardia” e si era distinto per atti di sabotaggio lungo la via Casilina per rallentare il transito dei camion tedeschi diretti a Cassino. Il suo intervento è centrato esclusivamente sulla realtà del cassinate e descrive il doloroso disastro ereditato, la fame, la mancanza di un tessuto produttivo, la triste realtà di una città fantasma assediata dalle mine, dominata dalle macerie, insidiata dall’acquitrino e dalla malaria. Sono argomenti che toccano la sensibilità dei delegati. Egli scava veramente in profondità, tocca Bimbi partono da Ceccanoi sentimenti di tutti i partecipanti. In termini concreti parla del Sud, della miseria, dell’ unità. Lo stesso Li Causi, dirigente affermato del PCI, delegato siciliano, riprende il tema della saldatura fra Nord e Sud. Lo fa pensando alle spinte indipendentiste portate avanti nella sua regione dall’ esercito volontari indipendenza Sicilia, al quale il bandito Giuliano ha aderito assumendo il grado di colonnello. Il 1945, infatti, è un anno durante il quale frequenti sono gli scontri a fuoco fra carabinieri e banditi-indipendentisti, tutti raccordati con Andrea Finocchiaro Aprile e tendenti ad ipotizzare la Sicilia come 49° Stato degli Stati Uniti. L’allarme posto da Silvestri trova unanimi consensi e immediatamente si apre una gara di solidarietà fra i delegati del nord Italia a favore della città di Cassino. Dalla maggior parte degli interventi scaturiscono adesioni e proposte per affrontare il disastro causato in quella zona. Già durante la discussione pomeridiana del 31 gennaio i delegati delle federazioni di Pavia, Imperia e Mantova annunciano la disponibilità ad ospitare i bimbi del cassinate. Il clima è tanto appassionato e interessato che il segretario della sezione di Cassino, il ferroviere Giovanni Gallozzi, sente il dovere di salire sulla tribuna del congresso per ringraziare tutti i delegati per questa grande generosità. In seguito a questo clima solidale,” l’Unità” del 2 gennaio del 1946 scriverà che questo è stato il regalo per il nuovo anno. L’attenzione attorno alla città più distrutta d’Italia rimane costante, pertanto il 5 gennaio il congresso nomina una delegazione per andare il giorno successivo a Cassino per portare aiuti, discutere e prendere impegni. Ne fanno parte Teresa Noce ( Estella), Secondo Pessi del CLN della Liguria, Renzo Silvestri della federazione di Frosinone.Altri bimbi della provincia di Frosinone partono per il nord Il giorno dopo a Cassino la delegazione arriva con una autocolonna di soccorsi della Rai per consegnare pacchi viveri, medicinali, chinino, 100.000 lire, e davanti al sindaco della città, Gaetano Di Biasio, e a tante mamme, in un’atmosfera di commosso e incredulo silenzio, la delegazione prende l’impegno di far ospitare i bambini della zona da famiglie del Nord e di inviare ogni mese 150 pacchi. Immediatamente tutti i presenti incominciano a mostrare interesse e chiedono precisazioni per le procedure da attuare. In serata la delegazione ritorna a Roma e quando i lavori congressuali stanno per terminare Teresa Noce sale sulla tribuna e descrive la desolazione incontrata. Parla emozionata e commuove tutti i presenti: «Bisognava vedere le madri ringraziarci con le lacrime agli occhi per l’offerta di condurre i loro bambini fuori dall’inferno in cui vivono. Bisognava vedere i loro volti emaciati dalla febbre e dalla malaria che ha colpito tutti: uomini e donne, vecchi, bambini, giovani e ragazzi. Porteremo via da Cassino 800 bambini e con le nostre cure riusciremo a guarirli. Bisogna fare di più perché ci sono altri bambini nella zona che hanno bisogno di viveri, di vestiario, di medicinali e di chinino per vincere la malaria” e quando, forte, si alza l’urlo “Salviamo i bambini di Cassino, salviamo l’infanzia » i delegati scattano in piedi applaudendo lungamente e manifestando una convinta adesione al problema che è stato posto in modo così appassionato. Un apprezzamento doveroso è rivolto, inoltre, alla persona di Estella, a ciò che rappresenta, alla sua autorevolezza. Non va dimenticato che Teresa Noce ha partecipato alla guerra di Spagna, successivamente internata in Francia e poi inviata in un campo di concentramento a Ravensburg, in Germania. Di ritorno, dopo essersi ristabilita, insieme a Daria Biffi, Dina Ermini e Maria Maddalena Rossi, organizza a Milano e a Torino, già nell’ottobre del 1945, il trasferimento dei bambini orfani e poveri verso le famiglie delle province di Mantova e di Reggio Emilia . Togliatti alla conclusione dei lavori si fa carico dell’atmosfera instauratasi tra i presenti in seguito a ciò che hanno sentito e si esprime in termini chiaramente impegnativi e inequivocabili. «Abbiamo visto con commozione come l’appello per aiutare i bambini di Cassino ha portato ad una gara fra le nostre organizzazioni allo scopo di mostrare a quei disgraziati figli del nostro popolo, vittime innocenti di una politica di tirannide, di violenza e sventure che intorno a loro è raccolta la parte migliore del popolo italiano. Sono raccolti operai ed intellettuali, uomini e donne che vivono di lavoro e che vogliono col loro sforzo rendere più leggera la sofferenza odierna del popolo e rinsaldare in una rinnovata coscienza di solidarietà nazionale i vincoli che uniscono tutti gli strati dei lavoratori » . Con il V congresso s’inaugura una più attenta elaborazione politica sull’unità fra Nord e Sud. Già in quei giorni nelle borgate romane e nella provincia di Latina tanti bambini si stavano preparando per partire il 19 gennaio 1946 verso il Nord; nei mesi successivi altri bambini sarebbero partiti dal cassinate, dalle province di Rieti e de L’Aquila; l’anno dopo dalla Campania, dalla Sicilia e dalla Sardegna. Nel 1950 verranno ospitati i figli degli imprigionati per la rivolta di San Severo e poi i ragazzi di Calabria appartenenti a famiglie alluvionate. Togliatti in quel momento è , forse, l’unico ad avere letto e studiato tutti gli scritti di Antonio Gramsci e ad avere meglio assimilato cosa era stato il Risorgimento con il suo limitato consenso e la scarsa adesione delle masse popolari. Il pensiero di Antonio Gramsci non è ancora ben conosciuto ed è proprio attraverso il particolare impegno di Togliatti che verrà studiato e approfondito, per affermarsi in Italia come il “traduttore politico” del socialismo scientifico. Non è un caso o una coincidenza se nei giorni del Congresso lungo i corridoi dell’Università sono esposti 12 dei suoi trentatrè quaderni scritti in carcere . E’ il capitale teorico e politico messo a disposizione degli Italiani, è la fonte alla quale si disseteranno ricercatori, analisti per capire la politica e l’Italia, ma rappresenta anche la stella polare attraverso la quale si svilupperà la politica del PCI. L’aiuto ai bambini di Cassino, così come a quello delle popolazioni meridionali, non è solo un umano gesto di fraterna solidarietà, ma rappresenta lo snodo di una strategia tendente a creare dal basso una unità fra ceti sociali di regioni diverse. Le indicazioni di Togliatti sono chiarissime, espresse da un dirigente di grande prestigio. Ora bisogna coniugare il dire con il fare: il lavoro si sposta verso la periferia nelle federazioni, nelle sezioni, sul territorio, e il contatto con le masse di cittadini diventa sempre più capillare e decisivo.»
Lucia Fabi e Angelino Loffredi, moglie e marito, hanno militato nel Pci. Angelino ne è stato dirigente provinciale fino al suo scoglimento. Eletto consigliere provinciale nelle liste comuniste per queste è stato anche sindaco di Ceccano, suo comune di nascita e di residenza.
Ogni anno in Italia oltre 100 donne vengono uccise. Il delitto è perpetrato nella maggioranza dei casi dalla mano di un uomo che ha o ha avuto una relazione di affetto o conoscenza con la donna»
Il femminicidio non è una semplice azione, un gesto, una parola da censurarsi o avvalorare anche a livello giuridico: è in primis una cultura, una forma di pensiero e interpretazione della realtà che si estende a diversi livelli. È tutto legato: i codici pubblicitari, la mentalità diffusa, gli atteggiamenti degli adulti, i sogni di alcuni ragazzini, perfino i giochi dei bambini. I libri, i messaggi, la televisione sopra ogni cosa. Questa la tesi della riflessione che vi state accingendo a leggere.
Ma partiamo dal primo anello della catena: quello del delitto. Nel corso dell’anno 2011, una ricerca della Casa delle Donne ha registrato 120 casi di femminicidio (o femicidio) e la cifra è sottostimata, perché i dati raccolti si basano esclusivamente sui mezzi di informazione. Si tratta di uccisioni di donne perpetrate da mariti o compagni, mariti (ed ex), fidanzati (ed ex), conviventi (ed ex), padri, fratelli, figli, nipoti, conoscenti quali vicini, amici, generi, nonni, cognati oppure estranei o clienti, nel caso di delitto di prostitute.
Cosa rimane di queste esecuzioni? È interessante osservare come se ne parli. Si predilige la modalità sensazionalistica, ponendo l’accento sul carnefice anche a livello iconografico, tant’è che le vittime spesso non compaiono nemmeno in foto o comunque non ricevono — a livello d’immagine — tanta visibilità quanto l’esecutore e la quantità di spazio loro accordata è direttamente proporzionale all’avvenenza. Curioso anche registrare in quali sedi siano trattate, quali reazioni provochino. Ricordo il caso recente di Maria Anastasi, incinta al nono mese, consapevole della relazione extra-coniugale del consorte: forse i processi dimostreranno se suo marito le ha spaccato la testa e le ha dato fuoco, come sostiene l’accusa. Comunque sia, in quei giorni si leggevano alcuni commenti agghiaccianti nei blog — anche da parte di donne — sul genere: «Così impara a vivere accanto l’amante del marito» o anche «Come ha potuto Maria accettare una situazione del genere?» (blog di Donna Moderna), e si puntano i riflettori sulle presunte mancanze della martire, piuttosto che sulle concrete responsabilità dei criminali.
In questo senso gli eventi sono legati. Oltre le condanne quasi universali, scarseggia la solidarietà da parte di alcuni riceventi, gli attanti si sentono giustificati dalla condiscendenza bonaria che permea — agli occhi di madri, sorelle, spettatrici — i loro gesti. «È un bravo ragazzo», arriva a volte il commento materno a chiosare il gesto efferato del figlio, triste eco di altri cori che esaltano la docilità femminile, la malleabilità, un presunto pudore intriso di proibizionismo e perbenismo anche cattolico, un ruolo che risente di modelli patriarcali e punizioni esemplari («Se è stata violentata, se l’è cercata»).
Non è un articolo dettato da femminismo, questo: il femminismo ha visto i natali a fine ’700, ha resistito per due secoli e ha oggi concluso la sua parabola, si è trattato di una forza epocale importante e necessaria, ma oggi non c’è più. Oggi ci sono gruppi di persone (per lo più donne, ma non solo) che si interessano all’osservazione della disparità di genere. In contrasto con questi, altri gruppi di persone (tra cui donne), negano l’evidenza e becerano di luoghi comuni come: «Ma non vede che avete conquistato la parità? Un tempo le donne non potevano fare i medici, adesso sì: non avete già ottenuto abbastanza uguaglianza?». La questione rasenta le sfere del tabù: a parlarne, si ha il timore di passare per rompiscatole o si viene accusate di autocommiserazione, tanto più se a sollevare il problema sono le donne, perché, per dirla alla maniera della scrittrice Lara Manni, «la possibilità di essere fraintese è altissima».
Eppure un dislivello esiste, in tutti i settori. Nei ruoli politici, dirigenziali, artistici, intellettuali. Basterebbe esaminare i dati generali sullo stato di occupazione. Come ha chiarito l’articolo di Paolo Bernocco apparso su La Stampa del 7 marzo 2012, «Vale la pena ancora una volta sottolineare come uomini e donne non abbiano ancora le stesse possibilità di accesso al mondo del lavoro e che per garantire una crescita complessiva dell’occupazione è necessario creare le condizioni affinché siano soprattutto le donne a partecipare più attivamente al mercato del lavoro. Un modo semplice di mettere in evidenza quanto problematico sia l’accesso al lavoro per le donne è quello di calcolare la differenza tra il tasso di occupazione maschile e femminile. Per l’Italia questa differenza è di 23,6 punti percentuali, data da un tasso di occupazione maschile del 73 % e da un tasso di occupazione femminile del 49,4%».
Che dire della differenza tra ruolo rivestito e stipendio? I dati della Presidenza del Consiglio affermano che una dirigente guadagna il 26,3 % in meno di un collega maschio. Lo chiamano “differenziale retributivo di genere“, ed è pari al 23,3 per cento: una donna percepisce, a parità di posizione professionale, tre quarti di uno stipendio di un uomo. E questo nel pubblico. Nel privato la situazione peggiora. Nel testo messo a disposizione dalla Presidenza del Consiglio si legge che «nel 63,1 per cento delle aziende quotate, escluse banche e assicurazioni, non c’è una donna nel consiglio di amministrazione». Su 2.217 consiglieri solo 110 sono donne, il 5%. Va ancora peggio nelle banche dove su un campione di 133 istituti di credito, il 72,2 per cento dei consigli di amministrazione non conta neppure una donna.
Negli ultimi decenni dalle statistiche emerge che in Europa, e soprattutto in Italia, aumentano i femminicidi. E la prevenzione? Le Nazioni Unite hanno più volte, in diversi consessi internazionali, tirato le orecchie allo Stato italiano per il suo scarso e inefficace impegno nel contrastare questo tipo di violenza. Nell’estate del 2011, il Comitato CEDAW (Comitato per l’implementazione della Convenzione per l’eliminazione di ogni discriminazione sulle donne) e la Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne hanno rivolto allo Stato italiano una serie di raccomandazioni esprimendo una forte preoccupazione per:
- l’elevata prevalenza della violenza nei confronti di donne e bambine, italiane, migranti, Rom e Sinte
- l’allarmante numero di donne uccise dai propri partner o ex-partner
- il persistere di tendenze socio-culturali che minimizzano o giustificano la violenza domestica
- l’assenza di rilevamento dei dati sul fenomeno
- la mancanza di coinvolgimento attivo e sistematico delle realtà della società civile competenti sul fenomeno per contrastare la violenza
- le attitudini a rappresentare donne e uomini in maniera stereotipata e sessista nei media e nell’industria pubblicitaria.
Mentre si sta ancora qui a decidere su questioni che non avrebbero nemmeno bisogno di delibere, quali se utilizzare o no il termine femminicidio (con altrettante diatribe riguardo all’introduzione del relativo reato: certo che si deve introdurre), oggi l’Italia è ancora del tutto inottemperante rispetto agli standard e agli impegni internazionali.
Il mondo culturale, nel frattempo, sembra un po’ spaesato. Le iniziative di sensibilizzazione si moltiplicano, si punta l’attenzione. Ma non abbastanza. Eccezion fatta per le voci che si dedicano a smuovere pregiudizi e a diffondere dati precisi, anche attraverso diverse forme d’arte e di conoscenza, “disinteresse” resta la parola chiave. Disinteresse e superficialità. La stessa superficialità che porta mass media e cialtroni a parlare di “delitto passionale” o di “raptus di gelosia”, occultando le cause più profonde che stanno alla base dei femminicidi. La stessa superficialità — per fare un esempio — che ha portato quest’estate, dopo un’ottantina di femminicidi, uno scrittore milanese a scrivere un articolo delirante sulle pagine di un settimanale nazionale, Cronaca Vera, in cui si sosteneva che le donne vengono uccise per colpa del caldo: avevano commesso l’errore di spogliarsi troppo.
La stessa superficialità, anche, che induce a produzioni dannosissime. Ne citerò una tra mille, di scarsa qualità, quasi sconosciuta peraltro. Un fumetto in cui protagonista è il classico uomo da Denim After Shave — “l’uomo che non deve chiedere mai” —: costui esaspera l’oggettivazione della sua compagna, inquadrandola esclusivamente come corpo da usare e sfondare, e riducendola a pura seccatura quando lei apre bocca (se la apre per comunicare). Le strisce sono corredate da dialoghi tipo:
«Se cerchi felicità non cercarla in una donna. Cercala sotto. O al limite dietro».
O anche, ancora peggio:
«LUI: sai cos’è un anacoluto?
LEI: no, però so cos’è un pompino.
LUI: ti stimo».
Oltre a questo eloquente scambio di battute, penso che si possa terminare l’articolo con un proponimento. Occorrerebbe chiedersi cosa potremmo fare per cambiare la forma mentis corrente, senza dubbio. Partire a monte: dalla formazione, dall’abbattimento degli stereotipi, dalla diffusione e condivisione di notizie ed esperienze. Ma forse sarebbe il caso di riflettere anche su cosa potremmo evitare. Su quanto sia labile il confine tra volgarità e aggressione e su quanto la svalutazione diffusa della donna, del suo lavoro, del suo ruolo, della sua fisicità, persuada — anche a livello inconscio — a considerare meno grave qualsiasi infrazione contro la sua persona.
È successo nemmeno una settimana fa a Corigliano Calabro: lei quasi 16 anni, lui non ancora 18, stanno assieme. Litigano e si logorano tra gelosie reciproche, l’ultima discussione e lui la colpisce con oltre 20 coltellate. Poi va in macchina per recuperare una tanica di benzina, quando torna si accorge che è ancora viva, ciononostante le dà fuoco. Non ci sono intenti di pathos in quello che ho elencato: questa la successione dei fatti nuda e cruda. Monotona, anche. Drammaticamente monotona, perché lo scenario è simile ai precedenti, così come la scansione della tragedia:
- un uomo uccide con violenza la sua compagna
- l’uomo tenta poi di salvarsi di fronte alla legge con lo stesso metodo che vede attuare (spesso con successo) in televisione e in politica: il metodo del “furbetto del quartierino”, il metodo “nego allo stremo, salvo la faccia”. Disfarsi del corpo nascondendolo o cercando di eliminare eventuali prove nel fuoco fa parte di un copione già visto. Alcuni invece si uccidono, altri sperano nel sistema giudiziario italiano: se andrà loro bene, la scamperanno o saranno fuori dal carcere in pochi anni.
«Possiamo metterne in prigione quanti ne vogliamo, ma ne arriveranno altri e altri ancora, perché il problema è culturale», ha dichiarato Gabriella Carnieri Moscatelli, presidente di Telefono Rosa, durante la conferenza romana svoltasi in Stampa Estera il 22 marzo 2013.
Il problema è culturale, quindi, in primis, come già avevo sostenuto nel precedente articolo : la parte inerente alla legislazione e ai provvedimenti concerne, semmai, il momento giudiziario e di rattoppo. È difficile affrontare la totalità degli aspetti culturali ed è proprio buttando fumo su questa complessità che i negazionisti del femminicidio basano le loro poco convincenti argomentazioni (qui un interessante articolo in merito, di Loredana Lipperini). A chi interessa veramente la questione? Intanto, come vedete nella foto sopra, il 27 maggio, mentre si discuteva a proposito della ratifica del trattato di Istanbul, molti deputati disertavano l’aula.
Donne e lavoro
(18 aprile 2013, Acilia – Roma:Michela Fiorettiè stata uccisa da un uomo che la minacciava da tempo. Lui era una guardia giurata, non gli hanno ancora tolto il porto d’armi)
Si pone un’emergenza strettamente connessa con la società italiana, una società che risente di un retaggio machista, come avallano le statistiche. Su diversi fronti le donne sono sotto-qualcosa: sotto-valutate, sotto-pagate, sotto-collocate. In generale, valgono meno sul mercato – rispetto ai colleghi maschi –, faticano di più per conquistarsi un buon posto e tenerselo stretto: l’Istat registra untasso di occupazione femminile appena del 47,2%. Le laureate ricoprono più spesso dei laureati maschi mansioni dove son richieste competenze inferiori rispetto alla loro preparazione. Ma questo già si sa. Così come si sa che in Italia le lavoratrici guadagnano meno (“gap retributivo di genere”) e sono più esposte alla “ragion di mercato”: nel 2010 sono state 800 mila le madri che hanno confermato di essere state licenziate o messe in condizione di dimettersi a causa di una gravidanza (le famigerate “dimissioni in bianco”).
In un paese a prevalenza rosa – al 9 ottobre 2011, il censimento registrava 100 donne ogni 93,7 uomini: ovvero 30.688.237 donne e 28.745.507 uomini – le percentuale di donne in luoghi decisionali, nonostante il merito, è avvilente (Istat):
Imprenditrici (19%)
Dirigenti (27%)
Libere professioniste (29%)
Dirigenti medici di strutture complesse (13,2%)
Prefetti (20,7%)
Professori ordinari (18,4%)
Direttori enti di ricerca (12%)
Ambasciatrici (3,8%)
Nessuna donna a vertici della magistratura
Donne e rappresentazione
(2 maggio 2013, Castagneto Carducci – Livorno:Ilaria Leone, 19 anni, è stata strangolata e abbandonata in un bosco: l’hanno ritrovata svestita e con ecchimosi sul corpo)
La questione del lavoro è collegata a quella del valore della donna. E oggi la tendenza è quella di non scindere il valore di una donna dalla sua corporeità.
Lasciamo perdere la pubblicità italiana, i cui modelli femminili si riducono a proiezioni esasperate: donna esibita, sensuale, in grado di far fruttare la sua
avvenenza o comunque macchiata da connotazioni erotiche. Bad girl che compie monellerie, e, guarda caso, lo fa in minigonna e tacchi a spillo. O anche casalinga comunque dotata di una qualche attrattiva sessuale (Gloria Pericoli,La rappresentazione della donna nella pubblicità). Sorvoliamo la pubblicità, quindi, e concentriamoci sull’ospite più invadente che abbia monopolizzato le nostre case negli ultimi trent’anni: la televisione. Da un’indagine Censis del 2006 risulta che l’Italia, insieme alla Grecia, occupa le ultime posizioni per la presenza femminile nei programmi e che le signorine dello spettacolo compaiono prevalentemente come ornamento e oggetto di desiderio (nella foto Sara Varone durante un “rodeo” di Buona Domenica, Canale 5). Realtà, questa, di cui Il corpo delle donne di Lorella Zanardo si pone ancora come uno dei più attendibili documenti.
I ragazzi di oggi sono cresciuti – e i bambini di oggi stanno crescendo – impregnati di una televisione che propina un corpo esibito come decorazione, privo di identità, confuso con gli altri e quindi intercambiabile.
«Questo corpo disegna l’icona cristallizzata di una femminilità inoffensiva, intesa come docilità e passività. [… ] Le differenze più evidenti tra uomini e donne, per come sono rappresentati dalla fiction, sono riconducibili soprattutto agli ambiti relativi all’aspetto esteriore, ai valori, ai tratti di personalità, alla condizione lavorativa e al coinvolgimento in comportamenti pro-sociali e antisociali. L’aspetto esteriore risulta essere molto più rilevante per le donne, che in netta maggioranza sono belle e in buona forma fisica, piuttosto che per gli uomini, più spesso proposti con caratteristiche fisiche “medie”. Anche la modalità di rappresentazione del corpo è diversa nei due casi, essendo più spesso il corpo femminile oggetto di una esposizione con finalità seduttive e di ostentazione» (CNEL Donne, lavoro, tv. La rappresentazione femminile nei programmi televisivi, Roma, 2002)
Se la donna viene ridotta a fisico e perde essenza, allora diventa oggetto. E, se inquadrata come oggetto, se perfino lei stessa si sottopone spontaneamente a processi di auto-oggettivazione, risulta facile immaginare quali operazioni mentali compiano i carnefici: l’unica destinazione di un oggetto è quella che essi hanno stabilito. La donna-utensile si ribella? Merita una punizione. Persiste? Seguirà l’annientamento.
Ora torniamo alla notizia di cronaca che ha aperto l’articolo e soffermiamoci sulla parte conclusiva del femminicidio, quando il diciassettenne è tornato dalla fidanzata accoltellata: lei respirava ancora. Avrebbe potuto salvarsi. Cosa consente di travalicare le più primordiali leggi di empatia e di bruciare lucidamente un corpo che ancora respira? La deumanizzazione della persona che ci si prefigge di danneggiare. Eloquenti sono, al proposito, le sette dimensioni che decodificano, secondo Martha Nussbaum (1999), il concetto di oggettivazione:
1. Strumentalità: l’oggetto è uno strumento per gli scopi altrui;
2. Negazione dell’autonomia: l’oggetto è un’entità priva di autonomia e autodeterminazione;
3. Inerzia: l’oggetto è un’entità priva della capacità di agire e di essere attivo;
4. Fungibilità: l’oggetto è interscambiabile con altri oggetti della stessa categoria;
5. Violabilità: l’oggetto è un’entità priva di confini che ne tutelino l’integrità. È possibile farlo a pezzi.
6. Proprietà: l’oggetto appartiene a qualcuno.
7. Negazione della soggettività: l’oggetto è un’entità le cui esperienze e i cui sentimenti sono trascurabili.
Donne e violenza
(27 marzo 2013, Porto Recanati – Macerata: Anna Maria Gandolfi, 57 anni, è stata ritrovata con la testa maciullata: al culmine di una lite, il marito gliel’ha fracassata contro il tavolo).
La violenza è capillarmente diffusa attraverso le sue maglie pervasive e si manifesta a diversi livelli. Siamo il paese in cui le donne vengono molestate e non denunciano – se leggete la tabella sotto, scoprirete i motivi: tra questi risalta anche la mancanza di fiducia nelle forze dell’ordine e nelle loro possibilità (20,4 per cento) e la paura di essere giudicate e trattate male al momento della denuncia (15,1 per cento). (Istat)
6 milioni e 743 mila donne hanno dichiarato di essere state vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della loro vita. E manca il sommerso. Senza scomodare quei 6 milioni e passa, basti un banale esempio: quante di noi redattrici/blogger/giornaliste/scrittrici siamo state almeno una volta offese/linciate/diffamate/minacciate solo perché abbiamo espresso un dissenso o sollevato un dibattito civilmente?
L’aggressione verbale si alterna a quella fisica con uno scoraggiante anticipo: tra i due tipi di maltrattamento sussiste una sola differenza, che quello verbale si manifesta laddove non può esplicitarsi quello fisico. La violenza non è indirizzata esclusivamente alle donne: però è rivolta anche alle donne. Quello che ci insegnano la moda, la televisione, il gossip e, in alcuni casi, il web è l’attacco come strategia vincente. Se alzo la voce, allora ho ragione. Se cerchi di spiegarti, ti parlo sopra. Se ti insulto, la tua parola non vale più. E se la pensi diversamente da me, se non mi incensi o osi criticarmi, sei una merda. C’è chi ha fatto della rissa in Tv sua cifra stilistica privilegiata:
I ragazzi di oggi, gli uomini di oggi – e i bambini di oggi, futuri uomini – devono confrontarsi con questi modelli: quanto più gli esempi sono stati o saranno reiterati, tanto più crescerà la probabilità di un condizionamento.
Conclusioni
(7 febbraio 2013, Rieti. Per mano del compagno è morta una macedone di 38 anni, ferita a morte alla testa e all’addome a colpi di mattarello)
Ho intersecato tre problemi inerenti la complessa questione culturale, tre cause che concorrono alla svalutazione del valore della donna. Ma questo breve saggio non ha pretese esaustive: c’è ancora molto da analizzare. È indiscutibile l’emergenza prepotente dell’area semantica relativa al corpo femminile, così come è indiscutibile la necessità di una rieducazione all’altro – al di là dei generi – e l’urgenza di una ridefinizione dei valori di civiltà, libertà individuale, differenza, rispetto.
Vorrei concludere con le parole di Marina Piazza (Commissione Pari Opportunità), a chiosa della ricerca CNEL sopra citata, perché il “sogno nostalgico” cui accenna è forse lo stesso sogno che ha portato all’incubo del femminicidio di Fabiana Luzzi, a Corigliano Calabro, ovvero l’incapacità di riconvertire in paritari gli equilibri. Ma c’è ancora parecchia strada da fare:
«Questa libertà nuova delle donne e forse persino questa incertezza delle donne è difficilmente assumibile dal pensiero degli uomini, ancorati a un sogno nostalgico di rapporti di dominio, che si riversa allora nell’altra faccia dell’immagine femminile: l’immagine umiliata, degradata, sottomessa, nuda.[…] Forse noi stesse dobbiamo avere più coraggio, denunciare con più forza, non stancarci di monitorare ciò che avviene sul video».