venerdì 28 febbraio 2014

Non ci sono scorciatoie per una vera riforma del rapporto fra lo Stato e le autonomie locali

Giuseppina Bonaviri

     
       Il presidente del consiglio, qualche giorno fa ha affermato che sarà urgente procedere all’approvazione della legge Delrio, impedendo, così, alle 45 province che a maggio sarebbero dovute andare alle elezioni di rinnovare i consigli provinciali per poi procedere ad un ridisegno degli enti di area vasta sovracomunali. Si è voluto definitivamente eliminare l’incertezza che permaneva sul futuro delle province salvaguardando, chissà, patrimonio di esperienze e competenze delle province italiane.
Due sono le tendenze che inquietano.
Una prima appare fare leva sulla profonda insoddisfazione per la scarsa funzionalità del nostro sistema regionale e locale, per giustificare oltremisura la riduzione delle loro entrate e per cancellare l’elezione diretta da parte dei cittadini delle province trasferendo le competenze di queste alle Regioni a cui, comunque, si riduce l’autonomia. Un disegno che riguarda la riscrittura dell’art.117 della Costituzione senza che risulti, tra l’altro, una ponderata e trasparente valutazione di quanto imputabile allo Stato e quanto alle Regioni e agli enti locali.
Una seconda è che se non si può negare che l’attuale assetto di competenze e funzioni, fra stato regioni ed enti locali presenti incongruenze su cui si debba intervenire, non rassicura l’idea che possa essere migliorato con qualche limitata soluzione poiché gli innumerevoli conflitti legislativi sollevati dinanzi alla Corte costituzionale, fra lo Stato e le Regioni, sono la conseguenza in parte dei gravi difetti del nuovo Titolo V approvato nel 2001 per la mancata attuazione delle nuove disposizioni causa resistenze degli apparati statali.
Ciò ha significato impedire il trasferimento organizzativo e del personale al sistema delle autonomie locali per tutte le aree che lo Stato avrebbe dovuto cedere non adottando nuove leggi a cominciare dalla riforma degli enti locali e di attribuzione ad essi delle loro funzioni ( “Carta delle autonomie”),  non  risolvibile con il tentativo di garantire loro forme di finanziamento attraverso la legge sul federalismo fiscale del 2009. Non a caso questa legge, in assenza di una chiara politica istituzionale in tema di Regioni ed enti locali, incontra nella fase attuativa reali difficoltà.
Le conseguenze sono rilevabili nel ritardo con cui procede il processo di modernizzazione dello Stato mentre in altri campi d’attività si assiste ad un “poderoso” cambiamento.
Per intervenire in modo fattivo occorre, adesso a cose fatte, avere un quadro preciso e realistico della situazione evitando l’ uso strumentale delle tante difficoltà esistenti o parteggiando per l’una  o l’altra delle soluzione elaborate in sede tecnica/politica. Il tempo a disposizione per un confronto serio è oramai assai breve, considerati anche gli interventi di natura costituzionale sul rapporto Stato-Regioni che si vorrebbero attuare nella presente legislatura.
L’idea è che la riforma del Titolo V debba limitarsi a porre in Costituzione l’indicazione delle relazioni tra i diversi livelli di governo, da regolare in base al principio di sussidiarietà, salvo restando la prevalenza dell’interesse nazionale in caso di conflitti.
Le Regioni, così, vedrebbero valorizzata la loro funzione legislativa, svolgendo un ruolo d’indirizzo del sistema delle autonomie locali e smentendo quella idea di deriva -a cui sembrano destinate- di terminale dello Stato con conseguente inaridimento della funzione programmatica e di rappresentanza delle realtà territoriali.
Nell’immediato, nel Lazio ciò significa definire le funzioni delle Città metropolitane, di Roma- Latina-Frosinone oltre a quelle nuove forme di governo territoriale, a cominciare dagli assetti per i servizi di area vasta. Di non secondaria importanza sarà anche la definizione delle funzioni trasferite a Roma Capitale e la condivisione, da parte di questa, delle scelte di assetto del territorio di rilevanza regionale.  
Un tema ancora tutto da definire perché si diventi realmente una Italia delle autonomie territoriali.   

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