mercoledì 19 marzo 2014

Ballarella di pace.

Luciano Granieri


Il racconto che segue , dalle molteplici licenze storiche,  è  molto liberamente ispirato al  capitolo “La Ita a Santu Sossio”  del bellissimo  libro “Le Ballarelle di Santa Francesca”  scritto dall’associazione culturale Bifolk. Un ringraziamento particolare va all’amico e signore delle zampogne e dell’organetto Dino Dell’Unto e al  gruppo musicale : I Bifolk.

Ninitto guardò il suo organetto adagiato su una cassapanca. Il suo fedele strumento dall’accordatura sorana come ogni 23 settembre era pronto  per la “Ita a Santu Sossu”.  All’indomani mattina presto  Ninitto, con un'altra decina di suoi amici suonatori di organetto, si sarebbe ritrovato nella Piazza di Santa Francesca, pronto per portare l’omaggio devoto delle ballarelle di Santa Francesca a San Sossio.  Un rito di devozione a cui i suonatori di organetto della contrada vicino a Veroli,  per nulla al mondo avrebbero rinunciato. Da Santa Francesca questi  partivano accompagnati da altri giovani compaesani  per arrivare a Castro dei Volsci in occasione della festa di San Sossio, un percorso  di cinque, sei ore attraverso le campagne  e le strade della contrada  “Vittoria”, del Giglio, di Ripi fino a Ceccano e da qui alla meta di Castro.  

La lunga marcia era accompagnata  da suono interrotto dell’organetto. Le ballarelle venivano eseguite senza soluzione di continuità con i suonatori che si davano il cambio nel dare voce al proprio organetto fino a San Sossio . Solo quando si era giunti sul luogo della festa era concesso un po’ di riposo. Un visita alla chiesa, una preghiera, ma subito dopo il suonatore più virtuoso riattaccava a suonare per  animare le danze.  La sequenza delle ballarelle proseguiva ininterrotta con i suonatori che si davano il cambio per  rifocillarsi con vino e capra al  sugo. Verso  la mezzanotte i suonatori di Santa Francesca riprendevano la via di casa e procedevano nella  marcia suonando ininterrottamente, così come avevano fatto  la mattina nel viaggio verso Castro.  Solo alle prime luci dell’alba si raggiungeva la piazza di Santa Francesca e qui si suonava l’ultima ballarella per chiedere la grazia a San Sossio.  

Ninitto  guardò il suo organetto con grande tristezza e malinconia. Il giorno dopo la “Ita a Santu Sossu” non ci sarebbe stata.  Era infatti il 22 settembre del 1943. Dopo l’armistizio    la cose erano peggiorate. I Tedeschi , che si trovavano  in Italia,  ebbero l’ordine di combattere contro le truppe italiane in disfacimento e occupare ogni punto strategico.  Iniziarono rastrellamenti  delle colonne tedesche e dei repubblichini   contro la popolazione civile.   Secondo le direttive impartite il 16 settembre dal Comandante Supremo della Wermacht, Maresciallo Keitel, l’ordine  per i soldati tedeschi era quello di punire, terrorizzare, spogliare e depredare.  Il panico si diffuse.  Gran parte della  popolazione , in particolare gli uomini, scappava dai borghi  e dalle città per trovare rifugio in montagna e sfuggire ai rastrellamenti.  

Fu così anche a Santa Francesca. La grande Piazza era deserta : chi si era rifugiato in montagna, chi si era unito ad alcune frange di resistenza.  Ninitto, ormai settantenne, aveva vissuto la sua  tragedia  nel corso di un rastrellamento. Una colonna di S.S.  e fascisti aveva fatto irruzione a Santa Francesca.  Dopo la tragica morte della moglie Marietta ferita a morte da un repubblichino , Ninitto aveva dovuto assistere all’arresto dei figli Fiorenzo e Giuseppe, i quali rifiutandosi  di aderire alla Repubblica Sociale Italiana,  vennero caricati su un camion che si diresse verso una destinazione ignota.  Lui riuscì a salvarsi perche fu creduto morto. Dopo essersi  ribellato agli aggressori, infatti , fu da questi   aggredito e lasciato a terra apparentemente privo di vita. 

 Quel 23 settembre del 1943 San Sossio non avrebbe potuto ricevere la visita dei suonatori di organetto di Santa Francesca. Ninitto prese l’organetto  per riporlo dentro la cassapanca quando fu assalito da un moto di rabbia che si tramutò  in orgoglio. Quale alleato migliore di San Sossio poteva aiutare la popolazione di Santa Francesca  e di tutto il basso Lazio a sopravvivere a quella devastante tragedia? Chi se non San Sossio avrebbe potuto concedergli la grazia di rivedere i figli vivi?  E poi la forza della musica, l’energia deflagrante della ballarella, erano armi di resistenza pacifiche ma spietate, armi che assolutamente dovevano sparare. Ninitto la “Ita a Santu Sossu” l’avrebbe fata anche da solo, sfidando i rastrellamenti tedeschi e la bombe alleate che già stavano flagellando la zona di Cassino.  

All’alba del 23 settembre 1943 Ninitto e la sua macchina da guerra, l’organetto ad accordatura sorana, erano pronti all’azione. Iniziò la marcia verso  Castro in un scenario surreale. Il suono guizzante e prepotente del suo organetto era solitario, una voce in mezzo al deserto . Ninitto doveva continuare a suonare correndo il rischio  di non percepire rumori che l’avrebbero potuto avvertire dei pericoli. Giunse presso il Giglio senza accusare stanchezza né nei piedi, né nei polpastrelli che continuavano  volare si  i tasti dell’organetto. 

L’unico cruccio consisteva nel fatto che continuava ad eseguire ripetutamente una sola  ballarella, quella del suo quartiere.  A Santa Francesca, ogni contrada aveva la propria ballarella e nessun abitante  poteva eseguire un brano di una contrada  diversa da quella dove abitava.  Era una regola non scritta ma molto rispettata. Un sorta di copyright ferreo. Ma Ninnetto capì che quella era una Ita a Santu Sossio molto speciale. Era lui l’ambasciatore unico di pace di Santa Francesca, lui che portava il suono dell’organetto  in rappresentanza dei suonatori di tutte le altre contrade. Chiese scusa allora a Franco Giggetto, a Vituccio Salemella,  a Lu Paisano, a Ninone e agli altri suonatori  che erano  via da Santa Francesca, chi sui monti, chi recluso nel carcere di Frosinone, chi deportato in luoghi  sconosciuti.   E cominciò a suonare anche lo loro ballarelle.  

Mentre procedeva con fatica, con il sole,  insolitamente alto per una giornata di fine settembre,    si rese conto di non essere più solo. Mano mano che avanzava, diversi giovani gli si avvicinavano , cominciarono a ballare sulle note del suo organetto, lo sorreggevano  quando, fiaccato dalla stanchezza incespicava senza mai     smettere di suonare. I fascisti, i tedeschi, i rastrellamenti, sembravano un brutto sogno. La realtà in quel frangente era una oasi di festa, di condivisione, di autentica allegria, un’allegria che sapeva di ribellione. 

Il sole era alto nel cielo quando arrivarono nei pressi di Ripi.  La Casilina era li ad attenderli  con  le sue trappole di morte. Per quella via transitavano le colonne tedesche che andavano a rifornire le truppe asserragliate sulla linea Gustav.  Ninnetto, fiaccato ma risoluto, fece  segno ai suoi accompagnatori di nascondersi, mentre lui procedeva  suonando con le dita sanguinanti.  Da una curva sbucò  una colona di S.S. con due camionette  e diverse moto. Ninnetto da solo con il suo organetto, come Davide contro Golia, scagliò il sasso dalla sua fionda musicale. Attaccò  un ballarella a "gradignu" dal ritmo molto sostenuto  adatta al ballo sfrenato utilizzato nelle serate più allegre come in occasione della scartoccia (la pulitura del granturco) infatti gradignu vuol dire    granturco.  

La colonna si fermò i soldati imbracciarono i fucili pronti a far fuoco, ma le note secche e frenetiche l’ipnotizzarono. Ninnetto, stanco ma fiero, passò davanti ai soldati attoniti, incapaci di reagire.  Quando il capo pattuglia tornò in se e comandò di catturare l’incauto musicista,  Ninnetto era scomparso, si sentiva in lontananza l’eco dell’organetto. 

Scampato il pericolo i giovani accompagnatori si riunirono al vecchio suonatore che ormai trascinava le gambe.  Arrivò a San Sossio  Ninnetto senza mai smettere di suonare, pregò davanti alla chiesa deserta,  era quasi mezzanotte quando riprese la via di Casa. Era  stremato.  Durante il tragitto di ritorno alcuni compagni dovettero  caricarlo sulle spalle,  mentre lui continuava indefesso  a spandere nella notte i suoi fraseggi. Fortunatamente non fecero brutti incontri.  

Tornò a casa Ninnetto dopo aver suonato per 24 ore senza smettere mai.  Entrato stremato nella cucina trovò incredulo  i figli Fiorenzo e Giuseppe che erano riusciti a scappare.  I ragazzi raccontarono che dal carcere di Frosinone  alcuni prigionieri, fra cui loro, erano stati  trasferiti  ad Aquino e rinchiusi nel consorzio agrario, in attesa di essere caricati sui treni in partenza per il nord . Il consorzio agrario era collegato, tramite un raccordo, ad una casa che poteva essere raggiunta attraverso un passaggio sul tetto. I ragazzi insieme ad altri prigionieri tentarono la fuga correndo  il rischio di essere fulminati dalle sentinelle.  Riuscirono  brillantemente a dileguarsi e a raggiungere dopo diverse peripezie Santa Francesca.  Abbracciarono l’esausto ma felice  Ninnetto, il quale ebbe modo di apprezzare subito il regalo che San Sossio gli aveva fatto  trovare per ringraziarlo della sua lunga esibizione con l’organetto.


Dino Dell'Unto e i Bifolk eseguono una Ballarella.

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