Il racconto che segue , dalle molteplici licenze storiche, è
molto liberamente ispirato al capitolo “La Ita a Santu Sossio” del bellissimo libro “Le Ballarelle di Santa
Francesca” scritto dall’associazione
culturale Bifolk. Un ringraziamento particolare va all’amico e signore delle
zampogne e dell’organetto Dino Dell’Unto e al gruppo musicale : I Bifolk.
Ninitto guardò il suo organetto adagiato su una cassapanca.
Il suo fedele strumento dall’accordatura sorana come ogni 23 settembre era
pronto per la “Ita a Santu Sossu”. All’indomani mattina presto Ninitto, con un'altra decina di suoi amici
suonatori di organetto, si sarebbe ritrovato nella Piazza di Santa Francesca,
pronto per portare l’omaggio devoto delle ballarelle di Santa Francesca a San
Sossio. Un rito di devozione a cui i
suonatori di organetto della contrada vicino a Veroli, per nulla al mondo avrebbero rinunciato. Da
Santa Francesca questi partivano
accompagnati da altri giovani compaesani
per arrivare a Castro dei Volsci in occasione della festa di San Sossio,
un percorso di cinque, sei ore attraverso
le campagne e le strade della contrada “Vittoria”, del Giglio, di Ripi fino a Ceccano e da qui alla meta di
Castro.
La lunga marcia era accompagnata da suono interrotto dell’organetto. Le ballarelle
venivano eseguite senza soluzione di continuità con i suonatori che si davano
il cambio nel dare voce al proprio organetto fino a San Sossio . Solo quando si
era giunti sul luogo della festa era concesso un po’ di riposo. Un visita alla
chiesa, una preghiera, ma subito dopo il suonatore più virtuoso riattaccava a
suonare per animare le danze. La sequenza delle ballarelle proseguiva ininterrotta con i suonatori che si davano
il cambio per rifocillarsi con vino e
capra al sugo. Verso la
mezzanotte i suonatori di Santa Francesca riprendevano la via di casa e
procedevano nella marcia suonando
ininterrottamente, così come avevano fatto
la mattina nel viaggio verso Castro.
Solo alle prime luci dell’alba si raggiungeva la piazza di Santa
Francesca e qui si suonava l’ultima ballarella per chiedere la grazia a San
Sossio.
Ninitto guardò il suo organetto con grande tristezza
e malinconia. Il giorno dopo la “Ita a Santu Sossu” non ci sarebbe stata. Era infatti il 22 settembre del 1943. Dopo
l’armistizio la cose
erano peggiorate. I Tedeschi , che si trovavano in Italia, ebbero l’ordine di combattere contro le truppe
italiane in disfacimento e occupare ogni punto strategico. Iniziarono rastrellamenti delle colonne tedesche e dei repubblichini contro
la popolazione civile. Secondo le direttive
impartite il 16 settembre dal Comandante Supremo della Wermacht, Maresciallo
Keitel, l’ordine per i soldati tedeschi
era quello di punire, terrorizzare, spogliare e depredare. Il panico si diffuse. Gran parte della popolazione , in particolare gli uomini,
scappava dai borghi e dalle città per
trovare rifugio in montagna e sfuggire ai rastrellamenti.
Fu così anche a Santa Francesca. La grande
Piazza era deserta : chi si era rifugiato in montagna, chi si era unito ad
alcune frange di resistenza. Ninitto,
ormai settantenne, aveva vissuto la sua tragedia nel corso di un rastrellamento. Una colonna di
S.S. e fascisti aveva fatto irruzione a
Santa Francesca. Dopo la tragica morte
della moglie Marietta ferita a morte da un repubblichino , Ninitto aveva dovuto
assistere all’arresto dei figli Fiorenzo e Giuseppe, i quali rifiutandosi di
aderire alla Repubblica Sociale Italiana,
vennero caricati su un camion che si diresse verso una destinazione
ignota. Lui riuscì a salvarsi perche fu
creduto morto. Dopo essersi ribellato
agli aggressori, infatti , fu da questi aggredito e lasciato a terra apparentemente
privo di vita.
Quel 23 settembre del
1943 San Sossio non avrebbe potuto ricevere la visita dei suonatori di
organetto di Santa Francesca. Ninitto prese l’organetto per riporlo dentro la cassapanca quando fu
assalito da un moto di rabbia che si tramutò
in orgoglio. Quale alleato migliore di San Sossio poteva aiutare la
popolazione di Santa Francesca e di
tutto il basso Lazio a sopravvivere a quella devastante tragedia? Chi se non
San Sossio avrebbe potuto concedergli la grazia di rivedere i figli vivi? E poi la forza della musica, l’energia
deflagrante della ballarella, erano armi di resistenza pacifiche ma spietate,
armi che assolutamente dovevano sparare. Ninitto la “Ita a Santu Sossu” l’avrebbe
fata anche da solo, sfidando i rastrellamenti tedeschi e la bombe alleate che
già stavano flagellando la zona di Cassino.
All’alba del 23 settembre 1943 Ninitto e la sua macchina da guerra,
l’organetto ad accordatura sorana, erano pronti all’azione. Iniziò la marcia
verso Castro in un scenario surreale. Il
suono guizzante e prepotente del suo organetto era solitario, una voce in mezzo
al deserto . Ninitto doveva continuare a suonare correndo il rischio di non percepire rumori che l’avrebbero potuto
avvertire dei pericoli. Giunse presso il Giglio senza accusare stanchezza né
nei piedi, né nei polpastrelli che continuavano volare si i tasti dell’organetto.
L’unico cruccio consisteva
nel fatto che continuava ad eseguire ripetutamente una sola ballarella, quella del suo quartiere. A Santa Francesca, ogni contrada aveva la
propria ballarella e nessun abitante
poteva eseguire un brano di una contrada
diversa da quella dove abitava.
Era una regola non scritta ma molto rispettata. Un sorta di copyright
ferreo. Ma Ninnetto capì che quella era una Ita a Santu Sossio molto speciale.
Era lui l’ambasciatore unico di pace di Santa Francesca, lui che portava il
suono dell’organetto in rappresentanza
dei suonatori di tutte le altre contrade. Chiese scusa allora a Franco
Giggetto, a Vituccio Salemella, a Lu
Paisano, a Ninone e agli altri suonatori che erano
via da Santa Francesca, chi sui monti, chi recluso nel carcere di
Frosinone, chi deportato in luoghi
sconosciuti. E cominciò a
suonare anche lo loro ballarelle.
Mentre
procedeva con fatica, con il sole,
insolitamente alto per una giornata di fine settembre, si rese conto di
non essere più solo. Mano mano che avanzava, diversi giovani gli si avvicinavano
, cominciarono a ballare sulle note del suo organetto, lo sorreggevano quando, fiaccato dalla stanchezza incespicava senza mai
smettere di suonare. I fascisti, i tedeschi, i
rastrellamenti, sembravano un brutto sogno. La realtà in quel frangente era una
oasi di festa, di condivisione, di autentica allegria, un’allegria che sapeva
di ribellione.
Il sole era alto nel cielo quando arrivarono nei pressi di Ripi. La Casilina era li ad attenderli con le
sue trappole di morte. Per quella via transitavano le colonne tedesche che
andavano a rifornire le truppe asserragliate sulla linea Gustav. Ninnetto, fiaccato ma risoluto, fece segno ai suoi accompagnatori di nascondersi,
mentre lui procedeva suonando con le
dita sanguinanti. Da una curva sbucò una colona di S.S. con due camionette e diverse moto. Ninnetto da solo con il suo
organetto, come Davide contro Golia, scagliò il sasso dalla sua fionda
musicale. Attaccò un ballarella a "gradignu" dal ritmo molto sostenuto
adatta al ballo sfrenato utilizzato nelle serate più allegre come in
occasione della scartoccia (la pulitura del granturco) infatti gradignu vuol dire granturco.
La colonna si fermò i soldati
imbracciarono i fucili pronti a far fuoco, ma le note secche e frenetiche
l’ipnotizzarono. Ninnetto, stanco ma fiero, passò davanti ai soldati attoniti,
incapaci di reagire. Quando il capo
pattuglia tornò in se e comandò di catturare l’incauto musicista, Ninnetto era scomparso, si sentiva in
lontananza l’eco dell’organetto.
Scampato il pericolo i giovani accompagnatori
si riunirono al vecchio suonatore che ormai trascinava le gambe. Arrivò a San Sossio Ninnetto senza mai smettere di suonare, pregò
davanti alla chiesa deserta, era quasi
mezzanotte quando riprese la via di Casa. Era stremato. Durante il tragitto di ritorno alcuni compagni
dovettero caricarlo sulle spalle, mentre lui continuava indefesso a spandere nella notte i suoi fraseggi. Fortunatamente
non fecero brutti incontri.
Tornò a casa
Ninnetto dopo aver suonato per 24 ore senza smettere mai. Entrato stremato nella cucina trovò incredulo
i figli Fiorenzo e Giuseppe che erano
riusciti a scappare. I ragazzi
raccontarono che dal carcere di Frosinone
alcuni prigionieri, fra cui loro, erano stati trasferiti
ad Aquino e rinchiusi nel consorzio agrario, in attesa di essere
caricati sui treni in partenza per il nord . Il consorzio agrario era
collegato, tramite un raccordo, ad una casa che poteva essere raggiunta
attraverso un passaggio sul tetto. I ragazzi insieme ad altri prigionieri
tentarono la fuga correndo il rischio di
essere fulminati dalle sentinelle.
Riuscirono brillantemente a
dileguarsi e a raggiungere dopo diverse peripezie Santa Francesca. Abbracciarono l’esausto ma felice Ninnetto, il quale
ebbe modo di apprezzare subito il regalo che San Sossio gli aveva fatto trovare per ringraziarlo della sua lunga
esibizione con l’organetto.
Dino Dell'Unto e i Bifolk eseguono una Ballarella.
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