martedì 29 aprile 2014

AREA VASTA: QUALE?

di Giuseppina Bonaviri


Non sarà facile la costruzione di una strategia di area vasta. Dovremo abituarci a considerare delle opzioni, non mutualmente esclusive quali ridisegnare e modernizzare i servizi urbani per i residenti e gli utilizzatori delle città; sviluppare pratiche e progettazione per l’inclusione sociale per i segmenti di popolazione più fragili e per aree e quartieri disagiati; rafforzare la capacità delle città di potenziare segmenti locali pregiati di filiere produttive globali. Questi i primi suggerimenti consigliati dall’ Europa che dovremo adottare per stare a passo con i tempi. Aprire le porte alle energie innovative, specie dove oggi predominano rendita e inutile conservazione sarà il nostro obiettivo prioritario perché possa  promuoversi una visione culturale diversa sulla qualità di vita che, ai nostri territori provinciali, la politica deve assicurare. Per la costruzione di una strategia visionaria sarà necessario lavorare ad una “mappa di larga massima”  che tenga conto dei tratti naturali delle periferie, della dispersione abitativa, dell’ accessibilità e della adeguatezza dei servizi fondamentali quali scuola e salute. Un quadro che misura tendenze e ragiona predeterminando dove intervenire.
Ci dicono che contro un progetto tanto straordinario saranno coloro che dalle aree interne estraggono oggi risorse anzicché apportarle come tutti coloro che da sempre sostengono la cultura del “comunitarismo chiuso” che vede nel ripiegamento su “mono-identità locali”e chiuse all'apporto esterno e al confronto col diverso la forza del non cambiamento. A favore invece troviamo gli innovatori che abbiano idee robuste e chiare sull'uso del territorio, pronti a confrontarle in modo concorrenziale con altri, interni o esterni al comprensorio territoriale.
Welfare oppressivo, debito gigantesco, burocrazia invecchiata. L’Italia pare un ospizio senza rilevanza economica e politica, oggi. Bisogna lavorare di più e meglio non dimenticando che le migliori biotecnologie sono transitate in Cina, India, Usa e non sono in Italia. L’azione pubblica dovrebbe mirare a creare per tutti i cittadini opportunità di vita, lavoro e impresa destabilizzando le trappole del non-sviluppo, evitando di continuare a mettere fondi e potere nelle mani di chi è responsabile dell’arretratezza.
A tutto ciò dovrà corrispondere una governance che dia un ruolo di maggiore responsabilità alle città stesse, con l’urgenza di rilanciare sviluppo e coesione
del Paese e che contribuisca alla ripresa della produttività in tutti i territori interni.
Dare slancio alle aree interne del paese oggi dette “area vasta” affetta da calo e invecchiamento demografico, promuovendo policentrismo, sicurezza degli abitanti e del territorio concorrerà allo sviluppo sia di crescita che di inclusione sociale.
Noi, della Rete indipendente la Fenice, stiamo lavorando ad un percorso di idee robuste ad uso del territorio pronti al confronto, al metodo partenariale aperto.
L’innovazione principale consiste nel fatto che, per aspirare a trasformare la realtà attraverso l’azione pubblica di una cittadinanza attiva, è necessario che i risultati cui si intende pervenire siano definiti in modo percepibile al fine di dare vita a una vera e propria valutazione pubblica aperta.  Chiediamo, da ora, agli eletti della nostra provincia una seria politica di sviluppo rivolta ai luoghi e non alla fantapolitica.
Basta con gli equilibrismi e le arretratezza, blocco alla produttività, che però permangono quali scelte consapevoli delle classi dirigenti, dettate dalla consapevolezza di ricavare benefici dalla immobilità. Meglio sarebbe competere ad un beneficio incerto in un contesto innovativo e in crescita dove i giovani sono competenti, l’accessibilità buona,  l’ambiente tutelato. E, allora, lavoriamo insieme per dare vita ad processo di co-progettazione collettiva dei territori -attorno a temi chiave- e non per continuare a gareggiare tra progetti di lobbyng o alleanze spurie controproducenti al progresso della nostra nazione.

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