domenica 11 maggio 2014

Il sindacalismo conflittuale a un bivio Contro l'accordo vergogna sulla rappresentanza manca un'adeguata risposta di lotta

Fabiana Stefanoni


 Mentre in senato viene approvato il decreto Poletti, che aggrava la precarietà lavorativa portando a termine lo smantellamento dell'articolo 18 già avviato dalla riforma Fornero; mentre lo stesso ministro Poletti (ex presidente di Legacoop) siede come invitato al congresso della Cgil e contemporaneamente i lavoratori delle cooperative (della logistica e dell'università) portano avanti dure lotte contro lo schiavismo delle cooperative (e di Legacoop in particolare), nella pentola degli attacchi padronali continua a bollire una minestra avvelenata: quella dell'accordo vergogna sulla rappresentanza, giustamente ridefinito dai lavoratori in lotta "accordo bavaglio".
La fine del sindacalismo conflittuale?
Abbiamo già analizzato in altri articoli il carattere antidemocratico di questo accordo, siglato il 10 gennaio da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria e successivamente sottoscritto da altri sindacati gialli, come Ugl, Cisal e perfino dallo Snater (un piccolo sindacato delle telecomunicazioni che fino a poco tempo fa era federato con Usb: patto reciso da Usb proprio all'indomani di questa firma). E' un accordo che azzera la democrazia sindacale nelle aziende private, privando del diritto di rappresentanza tutti i sindacati che non siglano l'accordo stesso: di fatto è l'estensione del "modello Marchionne", già vigente in Fiat, a tutto il mondo del lavoro privato.
La firma dell'accordo stesso equivale, per un sindacato conflittuale, a una resa incondizionata al padrone. Infatti, se un sindacato decide di sottoscrivere l'accordo (al fine di partecipare alle elezioni rsu, nominare rsa e tentare di accedere alla contrattazione collettiva), perde automaticamente il diritto di sciopero e di azione conflittuale: laddove un contratto aziendale fosse sottoscritto dal 50% più uno della rsu, né i sindacati (firmatari del Testo unico) né i delegati sindacali (rsu e rsa) potranno più organizzare iniziative di lotta e di sciopero contro il contratto stesso (lo stesso vale per il periodo delle trattative). In caso contrario, le organizzazioni sindacali subirebbero multe salate e la soppressione dei diritti sindacali.
Volgiamo lo sguardo al sindacalismo di base e conflittuale (quello che, almeno a parole, si è schierato contro questo vergognoso accordo). Per questi settori sindacali, fortemente penalizzati dall'accordo, dovrebbe - il condizionale è d'obbligo, e vedremo perché - essere scontato opporsi fermamente a questo accordo, organizzare iniziative di lotta quanto più estese e unitarie per respingerlo e, soprattutto, non firmarlo. Ma, purtroppo, le cose non stanno così. Le direzioni dei sindacati "contrari all'accordo" (incluse quelle dei sindacati di base) oscillano tra esitazioni, silenzi, settarismi e anche parecchie ambiguità: ne deriva un pericoloso vuoto di azioni di lotta che rischia di regalare ai padroni una fin troppo facile vittoria a tavolino. La classe lavoratrice rischia di subire una sonora sconfitta senza nemmeno essere stata chiamata a lottare. 
L'opposizione all'interno Cgil: è vera opposizione? 
La direzione della Fiom inizialmente aveva approvato gli accordi con Confindustria sulla rappresentanza (presumibilmente nella speranza di essere riammessa al tavolo delle trattative con Finmeccanica). Una presa di posizione molto grave, che ha favorito la propaganda filopadronale della Camusso e della maggioranza Cgil a sostegno di questo accordo antioperaio. Successivamente, Landini, una volta presa visione del testo firmato il 10 gennaio, ha ritirato il suo appoggio all'accordo. E' probabile che questo repentino cambio di posizione sia dovuto a una clausola introdotta successivamente: nel testo del 10 gennaio si precisa, infatti, che potranno accedere alle rsa solo i sindacati che hanno precedentemente partecipato alla negoziazione, e quindi non la Fiom nel settore metalmeccanico (essendo stata fino ad oggi esclusa dalle trattative con Finmeccanica).
Le tardive rimostranze della direzione Fiom hanno portato a scontri, apparentemente duri, all'interno dell'apparato Cgil, con reciproche scomuniche tra la Camusso e Landini: le tensioni sono emerse in particolare in occasione del Congresso Cgil, conclusosi proprio in questi giorni. Ma la "battaglia" di Landini contro l'accordo sulla rappresentanza si è limitata alla richiesta di una consultazione ("referendum") interna alla Cgil stessa (consultazione che, di fatto, è avvenuta nel congresso Cgil stesso e che, anche grazie a scontati brogli, ha visto prevalere la posizione della Camusso). Soprattutto, la richiesta di Landini non è quella di cancellare l'accordo sulla rappresentanza, né, tantomeno, quella di ritirare la firma della Cgil, bensì quella di modificare, in parte, il testo dell'accordo. Del resto, Landini e la direzione della Fiom, nonostante la gravità del momento, hanno appoggiato nel congresso proprio il documento di maggioranza della Camusso, limitandosi ad alzare il livello della polemica solo in occasione dell'elezione degli organismi dirigenti.
All'interno della Cgil, una posizione più netta contro l'accordo vergogna è stata presa dall'area congressuale che fa riferimento a Cremaschi ("La Cgil è un'altra cosa"), che si è assestata su percentuali basse (tra il 2,5 e il 3%: fatto scontato in un congresso truccato), ma che può contare su un buon numero di attivisti sindacali combattivi. L'area di Cremaschi ha preso una posizione contraria all'accordo sulla rappresentanza. Al contempo, ha focalizzato la sua azione esclusivamente sul terreno dei ricorsi in tribunale. Si tratta di un terreno scivoloso: l'esperienza storica dimostra che i padroni, nei momenti critici, sanno sempre volgere le leggi a loro favore. Non sarà certo qualche giudice a respingere l'accordo sulla rappresentanza e, laddove anche fosse dichiarato incostituzionale, i padroni troverebbero comunque il modo di farlo rientrare in qualche modo dalla finestra. Solo le lotte permettono di strappare risultati duraturi: per questo è necessario che la sinistra Cgil (a partire dalla minoranza congressuale e dalle realtà operaie della base della Fiom) rilanci un vero percorso di lotta e di protesta contro l'accordo.
Il sindacalismo di base nell'impasse
Sul fronte del cosiddetto sindacalismo di base le cose non vanno molto diversamente. Molte realtà locali e operaie del sindacalismo di base si sono schierate con forza e nettezza contro l'accordo della rappresentanza: basta pensare, per citare un solo esempio, alla contestazione promossa dai sindacati di base a Bergamo in occasione del Primo Maggio, quando è stato occupato il palco di Cgil, Cisl e Uil per dire no all'accordo vergogna 




Non si può dire altrettanto delle attuali direzioni nazionali dei sindacati di base (i cui apparati presentano, va detto, molti limiti di democrazia sindacale: anche per questo spesso a un reale coinvolgimento della "base" si sostituisce una politica accentrata nelle mani di pochi leader). La direzione nazionale di Usb ha sì preso posizione contro l'accordo della rappresentanza ma, come Cremaschi, si è limitata, essenzialmente, a una politica di ricorsi in tribunale "per incostituzionalità" dell'accordo. La lotta viene di fatto delegata... ai giudici: nessuna proposta di mobilitazione nazionale e di sciopero, nessun tentativo di unità d'azione e di lotta con le altre forze del sindacalismo conflittuale per cercare di respingerlo. La direzione nazionale della Cub (probabilmente il sindacato che risentirà maggiormente degli effetti di questo accordo, vista la presenza prioritaria nel privato), non solo non ha messo in campo una vera mobilitazione contro l'accordo, ma ha prodotto anche un volantino ambiguo che invita a operare "scelte alternative per praticare quelle agibilità che sostanziano un livello accettabile di democrazia"  . Sostanzialmente, la Cub nazionale non ha dato una netta indicazione alle proprie rsu di non firmare l'accordo, le ha invece invitate a praticare "scelte alternative": leggendo tra le righe, si apre alla possibilità di firmare l'accordo (al fine di conservare le rsu) trovando qualche escamotage per proclamare comunque gli scioperi. Le "vie alternative" consisterebbero nel proclamare gli scioperi come gruppi di lavoratori e non come sindacato: seguendo lo stesso ragionamento, ai tempi dell'imposizione del "modello Pomigliano" in Fiat avremmo dovuto suggerire ai sindacati di firmare il contratto (per conservare i delegati sindacali) dicendo poi ai lavoratori di proclamarsi gli scioperi da soli, senza la copertura del sindacato! A questo si aggiunge una pericolosa politica di affidamento ai deputati del Movimento 5 Stelle di Grillo - in questo Cub e Usb paiono concordi   - che inevitabilmente trascina questi sindacati su un terreno interclassista e potenzialmente persino razzista che è quanto di più distante ci sia dalle esigenze attuali della classe lavoratrice. I lavoratori hanno bisogno di unità e indipendenza di classe: quell'unità e quell'indipendenza che vengono esplicitamente negate dal Movimento di Grillo che intende unificare lavoratori e padroni in una comune battaglia contro "l'euro e i politici" e che, soprattutto, divide la classe operaia (nativa e immigrata) con una squallida propaganda razzista. Il discorso è pressoché analogo per la Confederazione Cobas. In questo caso si è arrivati a una situazione paradossale: i Cobas di Comdata (Società di servizi che deve svolgere le elezioni rsu) non solo hanno sottoscritto il Testo unico sulla rappresentanza (seppur introducendo una presunta clausola in cui il sindacato si riserva di promuovere qualsiasi vertenza riterrà utile "per far accertare vizi di nullità e contrarietà alle leggi vigenti e alla Costituzione"), ma hanno persino presentato come un trionfo il fatto che il tribunale di Ivrea abbia accettato il loro ricorso a partecipare a pieno titolo alle elezioni rsu in quanto "firmatari dell'accordo"  . Di fatto, ad una delle prime elezioni rsu che si presentano, il sindacalismo conflittuale rischia di piegarsi all'accordo, sottoscrivendolo magari dietro il paravento di qualche "clausola" o "scelta alternativa". La verità è che si tratta di un cane che si morde la coda (per poi finire per sbranarsi da solo): le direzioni dei sindacati di base e la sinistra Cgil non si attivano per mettere in campo azioni unitarie e di lotta contro l'accordo; subito dopo, proprio perché non ci sono azioni di lotta, arrivano alla conclusione che la firma dell'accordo è inevitabile. E' quella che in tempo di guerra (e quelli odierni sono proprio tempi di guerra sociale!) si chiama disfatta: una resa incondizionata senza quasi combattere. Una vittoria per i padroni, una sconfitta per la classe lavoratrice. 

 La campagna di No Austerity 
 In un quadro di questo tipo, in cui le iniziative di lotta contro l'accordo vengono lasciate di fatto alle realtà locali e di fabbrica del sindacalismo conflittuale, particolare importanza assume la campagna nazionale promossa da No Austerity - Coordinamento delle lotte (5). Le realtà sindacali, di lotta, politiche e di movimento che aderiscono al coordinamento hanno deciso di promuovere una campagna contro l'accordo sulla rappresentanza, facendo appello a tutti i sindacati e a tutte le organizzazioni che si sono pronunciate per il "no" all'accordo a non firmarlo (a nessun livello, né nazionale né territoriale né di fabbrica) e a organizzare iniziative unitarie e di lotta per respingere questo pesante attacco padronale. A nostra volta, come Alternativa Comunista facciamo appello a tutte le realtà politiche della sinistra di classe a sostenere la campagna di No Austerity e a contribuire a creare un fronte unico di lotta per respingere "l'accordo bavaglio", nella consapevolezza che l'unità di lotta delle organizzazioni del movimento operaio è la premessa indispensabile per creare i rapporti di forza necessari per respingere gli attacchi padronali e avviare finalmente una controffensiva dei lavoratori. 

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