E’ andata. Ma non
tutto è perduto.
Il Senato ha licenziato in prima lettura la riforma che abroga se stesso, oltre che una
buona fetta di democrazia. Però fra
abbandoni d’aula, defezioni, mal di pancia,
i numeri dicono che la riforma è stata approvata con soli 183 voti favorevoli. Per evitare il
referendum confermativo la maggioranza dei due terzi si attesta a 214, cifra
ben lontana da quella ottenuta. Dunque si andrà a referendum non per gentile
concessione di Renzi ma per il risultato
del voto.
Inoltre le enormi lacune del
testo lasciano presupporre modifiche alla Camera, per cui la legge dovrà
tornare al Senato. Le letture quindi fra Camera e Senato da quattro diverranno
cinque (benedetto il bicameralismo paritario!) poi, dopo la pausa di
riflessione, si andrà a referendum come
l’articolo 138, per fortuna non ancora abrogato, comanda. Tradotto in
tempi se ne parlerà forse a fine 2015.
C’è dunque tutto il tempo per quelle forze e movimenti , che mantengono ancora un minimo di
coscienza democratica, di organizzarsi e far fallire questo ennesimo progetto di restaurazione fascista e pidduista.
In realtà l’iter di approvazione in prima
lettura al Senato della riforma, rivela che di fatto questa è già in vigore,
ancora prima di essere votata. Ripercorrendo le tappe che hanno condotto al
risultato dell’8 agosto scorso notiamo
che tutto si è svolto in modo anomalo, incostituzionale. Incominciamo dall’inizio. La legislatura che
ha partorito questa riforma costituzionale si è determinata attraverso elezioni
svolte con una legge giudicata incostituzionale dalla Consulta. In conseguenza
di tale pronunciamento la Corte di Cassazione ha deliberato che il Governo e il
Parlamento, eletti con una norma incostituzionale, avrebbero dovuto procedere
solo all’ordinaria amministrazione, fare
una nuova legge elettorale, recependo i rilievi della Consulta, e decretare al
più presto nuove elezioni. Mai e poi mai una simile legislatura avrebbe avuto
la legittimazione a cambiare la Costituzione.
Deliberazioni della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione
tranquillamente ignorate.
Altro strappo:
le riforme costituzionali sono di
esclusiva pertinenza del Parlamento. Il Governo non ha titoli per deliberare in
materia costituzionale. Al contrario questa riforma è stata voluta, pensata, costruita dal Governo ed imposta al
Parlamento. Veniamo al precorso parlamentare.
Già in commissione affari costituzionali
il pastrocchio governativo sul Senato non aveva la maggioranza. Questa è
stata ottenuta espellendo dalla commissione
i senatori irriducibilmente contrari e riducendo a più miti consigli
quelli in disaccordo ma in fondo disponibili
a cambiare idea. Dunque l’approdo della legge in aula è avvenuto viziato da una maggioranza innaturale ottenuta in commissione con minacce ed espulsioni.
Anche in aula questa riforma indigesta non
aveva la maggioranza. Tanto è vero che nelle due occasioni in cui si è optato
per il voto segreto, su alcuni emendamenti, il governo è andato
sotto. Segno che anche in questo caso molti senatori di maggioranza e di
minoranza (leggi Forza Italia) sono stati costretti a votare favorevolmente,
grazie probabilmente a minacce e promesse.
Nel Pd sono diventati tutti
renziani dell’ultima ora. Mi
chiedo per quale recondito motivo i tanti fedeli di Bersani, una volta contrari
a Renzi , abbiano cambiato idea in massa. Centralismo democratico e
attaccamento alla poltrona? Addirittura tale insulso pasticcio ha avuto l’astensione
(quindi voto contrario) di uno dei suoi relatori, il Senatore Calderoli. Persona coerente nello schifare i provvedimento che lui stesso
redige.
Ed infine la conduzione dell’aula da parte della presidenza del Senato
è stata completamente in violazione dell’art. 72 della Costituzione il quale
ammette procedure veloci, come canguri e ghigliottine, ove si rendano necessarie misure urgenti,
per votare provvedimenti importanti , ma queste non possono applicarsi a leggi
costituzionali.
Come si vede una legge ancora non approvata ha già trovato
applicazione. Dunque per non subire,
oltre che un furto di democrazia, una colossale presa in giro, è necessario che
tutte le forze democratiche ed antifasciste,
si mobilitino. Non basta più inviare comunicati stampa o scrivere sui
social network, bisogna tornare in piazza. Bisogna tornare fra le gente nei
quartieri per spiegare a tutti l’imbroglio di una norma, spacciata come
necessaria alla riduzione dei costi parlamentari, ma in realtà utile all’esclusione
del popolo dall’esercizio democratico.
Come detto il tempo c’è, ma per arrivare a far fallire il tutto
attraverso il referendum, ma bisogna iniziare da subito. Invito quindi comitati e
movimenti a mobilitarsi sin da dopo ferragosto e pianificare un programma di
comizi e interventi nella piazze delle principali città della Provincia. Chi ha
tempo non aspetti tempo.
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