Forse sarebbe è ora di
gettare la maschera sulla Valle del Sacco . E’ tempo che inquinatori, amministratori, organi politici,
mostrino un minimo di senso di responsabilità e si pongano una mano sulla
coscienza se ce l’hanno .
Nonostante le
varie peripezie burocratico- amministrativi, l’arrivo di fondi per la bonifica,
la Valle è tutt’ora inquinata. Non è un
segreto. Nel “Piano di gestione BACINO SACCO”, redatto per la qualificazione dei
corsi d’acqua compresi nel distretto
Idrografico dell’Appennino Meridionale, a pag. 91 si legge che il fiume Sacco, fra tutti i corsi d’acqua
compresi, è l’unico a presentare la
qualifica di “pessimo”. Nella scala dei valori questa e la valutazione
peggiore. La ragione, sempre esposta nel piano, è accertata e semplice cioè:” L’intera area della valle del fiume
Sacco fu interessata da fenomeni di inquinamento delle acque superficiali e
sotterranee. Il fenomeno era ed è tutt’ora da attribuirsi alla mancata
regolamentazione del sistema di scarichi da varia natura, in specie industriale.
Ad oggi nell’area persistono condizioni di “emergenza ambientale” connessi
ancora ad un sistema di collettamento e depurazione non idoneo o comunque non
sufficiente a garantire standard qualitativi delle acque reflue compatibili con
la tutela e salvaguardia delle risorse idriche”.Chiaro no? Dal 2005 ad oggi la realtà accertata è
questa.
Allora facciamo due conti:
Iniziamo dal 2008, data giunta improvvisamente agli onori delle cronache in questi ultimi giorni. Quando il territorio del bacino del fiume Sacco era
ancora sito di bonifica di Interesse
Nazionale (SIN) fu stipulata una
convenzione, il 31 ottobre 2008, fra il Ministero dell’Ambiente, Regione Lazio
ed ARPA, cioè l’organo regionale deputato ai controlli ambientali. Nella convezione, dei 4.5 milioni di fondi stanziati dal ministero per la
bonifica, 1.5 - divisi in 5 tranche da
300 mila euro, di cui quattro (1 milione e due) già erogati - erano destinati all’ARPA, in qualità di organo
attuatore dei provvedimenti, affinchè
all’interno della vasta area del SIN definisse le zone potenzialmente inquinate. Ovvero validasse i
siti già individuati dai Comuni e
interessasse gli stessi affinchè collaborassero all’individuazione di
altre aree precedentemente non identificate.
Questo primo step avrebbe avuto una durata di 10 mesi e un
finanziamento di 600 mila euro. Nel secondo step di 14 mesi i rimanenti 900mila euro
del milione e mezzo stanziato, avrebbero dovuto consentire di pianificare le
attività di bonifica e messa in sicurezza dei siti individuati. Il risultato di
questa programmazione da parte dell’ARPA
è su tutti i giornali. Del milione e duecentomila
fino ad ora ricevuti si è provveduto ad
acquistare quattro autovetture, così tanto per inquinare ancora un po’, e a
pagare fior di consulenti al fine di giungere alla conclusione che la Valle del
Sacco era inquinata. Come se una casa vinicola pagasse fior di somellier per stabilire
che un vino rosso è…rosso. Un bel
colpo di fortuna per quegli esimi
scienziati al quale è stato sufficiente reperire la documentazione già in
possesso dei Comuni per mettersi in saccoccia un bel po’ di quattrini. Il
risultato inevitabile è che il ministero abbia giudicato al limite della
presa in giro quanto prodotto dall’ARPA con il milione e duecentomila euro percepito, per cui ha bloccato l’ultima
tranche di 300 mila euro.
Ma andiamo avanti. A causa dell’estrema urgenza posta
dal degrado ambientale della Valle del Sacco, è stato costituito un ufficio
commissariale presso la protezione
civile che avrebbe avuto pieni poteri sul finanziamento dei progetti di bonifica. Al medesimo ufficio sono stati affidati 9
milioni e 600 mila euro per i primi interventi.
A seguito dell’ordinanza di protezione civile n.0061 del 14 marzo 2013 è stato nominato alla
presidenza dell’ufficio commissariale, incaricato di procedere alla bonifica,
il dott. Luca Fegatelli già direttore del Dipartimento Istituzione e
Territorio. Ogni provvedimento avrebbe dovuto ottenere l’approvazione di questo dirigente,
il quale però, ad oggi, è interdetto dalla validazione di ogni atto perché inquisito
in relazione alla faccenda dei rifiuti di Roma. Dunque non essendo ancora
nominato un sostituto, anche quei 9 milioni rimangono nel cassetto inutilizzati
per mancanza di un disgraziato autorizzato alla firma della carte .
Saltiamo
piè pari tutta la vicenda legata a progetti sciagurati di aeroporti , eliporti,
al SIN diventato SIR e poi ridiventato
SIN, tralasciamo le interrogazioni parlamentari, i proclami e
le promesse proferite a destra a manca da tutti gli amministratori di
ogni colore politico e veniamo all’oggi. Come prima accennato lo stato della
Valle del Sacco, non solo non è
migliorato, ma è peggiorato, perché nel
frattempo si stanno facendo sentire i nefasti effetti di alcuni ecomostri: impianti industriali dismessi ed in abbandono,
carichi di amianto e di altre sostanze tossiche.
Nei primi giorni di luglio la
Regione Lazio ha pomposamente annunciato che la
bonifica della Valle del Sacco era stata inserita come azione cardine
nel programma regionale di ottenimento dei fondi europei e sarebbe stata finanziata dall’Europa con 70 milioni di euro.
Peccato che questi fondi non saranno
spendibili. Perché la Regione stessa non è più responsabile
della bonifica. Infatti ripassando da SIR (Sito di
interesse Regionale) a SIN (Sito di interesse Nazionale) il Bacino del Fiume Sacco è
tornato sotto la responsabilità
attuativa ed economica del Ministero
dell’Ambiente, che non c’ha una lira, e della protezione civile che come abbiamo visto
manca del dirigente responsabile. Ciò va a demerito della stessa Regione che
battendosi ,con ricorsi al TAR e raccolta di firme, per far tornare il sito da SIR a SIN si è data la zappa sui piedi
rendendo inutilizzabili per gli
interventi a favore della Valle i 70 milioni promessi dall’Unione Europea .
Aggiungiamo infine la ciliegina sulla torta. Non giova indubbiamente alla bonifica e alla
riqualificazione della Valle del Sacco
il programma di rideterminazione del fabbisogno impiantistico dedicato
al trattamento dei rifiuti urbani del Lazio, deliberato dalla Regione il 24 Luglio 2013. In esso si pianifica l’apertura, lungo tutta la Valle
del Sacco, di nuovi impianti ad alto impatto ambientale per lo smaltimento rifiuti (discariche
impianti di compostaggio e trattamento meccanico biologico), per lo più
provenienti da Roma. E l’articolo 14 comma 1 inserito nel dl competitività n.91/2014, convertito in
tutta fretta il 4 agosto scorso dal Senato, in virtù di una urgenza tutta da
dimostrare, consente di attuare questo piano in deroga ad ogni osservazione,
altrimenti necessaria, degli organi tecnici sanitari e ambientali.
Questa piccola parziale
e incompleta storia , che attraversa un arco temporale compreso fra il 2005
ed oggi , un periodo
cioè, in cui si sono alteranti alla guida del Paese e della Regione comitati
elettorali di centro destra e centro sinistra, dimostra come denari pubblici
siano stati letteralmente gettati al vento sulla pelle dei cittadini della
Valle del Sacco. I quali abitano in una zona in cui lo”
Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio inquinamento” (SENTIERI) ha registrato un eccesso di mortalità per
tutte le cause epidemiologiche. Una situazione peggiore di quella di Taranto dove come è noto c’è l’ILVA. A
questo punto la domanda sorge spontanea. Si tratta di incapacità e inettitudine
bipartizan, o la questione della Valle del Sacco non deve essere risolta perché
giova agli interessi di alcune lobby che sono le prime finanziatrici dei
comitati elettorali di qualsiasi colore essi siano? Ai posteri, se non muoiono prima di cancro,
l’ardua sentenza.
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