In un articolo pubblicato dal Washington Institute for Near East Policy il commentatore politico israeliano Ehud Yaari sostiene che lo stato ebraico, nel tentativo di difendere meglio i suoi confini con la Siria, dovrebbe aumentare il livello di comunicazione e cooperazione con “i gruppi siriani moderati non islamici” fornendo loro un maggior quantitativo di armi.
Yaari scrive: “siccome la regione ha campi di addestramento e un numero consistente di combattenti non islamisti e gruppi tribali armati nell’area del Lajaa [regione vulcanica a 50 chilometri a sud est di Damasco, ndr], sarebbe necessario per Tel Aviv unire le sue forze militari a quelle statunitensi e giordane così da trasformare la zona in una base territoriale per addestrare i ribelli moderati”.
Una proposta che sembra tutt’altro che irrealizzabile. Le forze di opposizione al regime siriano di al-Asad (tra cui anche i qa’edisti del Fronte al-Nusra) controllano l’80% del lato siriano delle Alture del Golan e godono di molta libertà d’azione nelle aree meridionali del Paese arabo dove l’esercito di Damasco si è ritirato. Che i rapporti tra gli israeliani e forze dell’opposizione siriana (almeno quelle “moderate” sostenute dall’Occidente) siano intensi non dovrebbe stupire più di tanto. In più di una circostanza, infatti, il dissidente Kamal al-Labwani, membro fondatore del Consiglio Nazionale Siriano, ha manifestato la sua volontà di cedere allo stato ebraico la parte siriana delle Alture del Golan [quella israeliana è annessa illegalmente per l'Onu, ndr] in cambio dell’aiuto da parte di Israele a combattere il regime baathista di Damasco. Lo stato ebraico, secondo al-Labwani, potrebbe proteggere i ribelli in una area di 100 chilometri che comprende Damasco, Daraa e il confine sirolibanese ad ovest della capitale siriana.
Accanto alle dichiarazioni politiche c’è poi l’“assistenza umanitaria” che Tel Aviv ha fornito in questi tre anni e mezzo di guerra civile. Due siriani feriti in battaglia sono stati ricoverati ieri presso l’ospedale di Nahariya. Sono 398 le persone provenienti dalla Siria curate nella cittadina settentrionale israeliana da quando è iniziato il conflitto in Siria. Centinaia sono stati anche i pazienti siriani a Safad (Galilea). Sull’identità dei ricoverati le autorità israeliane mantengono il massimo riservo. Stando però a quanto riferisce anche la stampa locale, molti dei ricoverati sono combattenti dell’opposizione siriana.
In più di una circostanza il governo Netanyahu ha lodato il lavoro del personale medico esaltando gli sforzi“umanitari” di Israele. Parole che saranno state una beffa per molti palestinesi della Striscia di Gaza e della Cisgiordania a cui, nelle stesse ore in cui il Premier parlava, era negato l’accesso in Israele per sottoporsi a trattamenti sanitari. Uno spirito “umanitario” che Tel Aviv non ha mostrato né durante la recente offensiva “Margine protettivo” né ha nella sua quotidiana occupazione di terra palestinese.
Secondo alcuni fonti militari, inoltre, alcuni esponenti dell’opposizione siriana avrebbero frequenti segreti incontri con le forze armate di Tel Aviv nella città israeliana di Tiberiade.
Nel suo articolo Yaari descrive anche la “tregua non dichiarata” che regna tra lo stato ebraico e i qaedista di al-Qa’eda sottolineando come, finora, i jihadisti non abbiano mai attaccato l’esercito israeliano. “I quadri di an-Nusra preferiscono mantenere una collaborazione libera dettata dal momento con altre fazioni ribelle. Così fa anche con Israele”. Di conseguenza – aggiunge Yaari – lo stato ebraico non tenterà per ora di “distruggere la forza militare” degli affiliati di al-Qa’eda.
Da quando è iniziato il conflitto in Siria Tel Aviv ha preferito mantenere (ufficialmente) un basso profilo non assumendo alcuna posizione pubblica. Tuttavia, non sono mancati gli scontri tra i due paesi.
Il primo episodio è datato al gennaio del 2013 quando Israele bombardò un convoglio che viaggiava in territorio siriano. Tel Aviv giustificò allora la sua azione affermando che l’“obiettivo” conteneva armi destinate ai libanesi Hezbollah (organizzazione terroristica per lo stato ebraico). Sempre quel giorno un altro raid aereo colpiva una struttura di ricerca militare a Jamraya, nord est di Damasco. A distanza di alcuni mesi (maggio 2013) l’aviazione israeliana bombardava un carico di missili destinato sempre ad Hezbollah in Libano.
L’ultima scaramuccia tra i due paesi risale allo scorso 23 settembre quando un caccia siriano che attraversava (sembrerebbe per errore) lo spazio aereo delle Alture del Golan è stato abbattuto dall’aviazione israeliana. Accanto a questi episodi sono poi state numerose le sparatorie a confine.
Di fronte all’avanzata dello Stato Islamico (Is) in Iraq e Siria, lo scorso giugno molti commentatori si sono chiesti come mai i jihadisti non stessero combattendo Israele, ma piuttosto iracheni e siriani. Su un account Twitter spesso usato dall’organizzazione fu spiegato: “non abbiamo ordini di uccidere ebrei ed israeliani. La cosa più importante è la guerra contro il nemico più vicino: quelli che si ribellano alla fede. Allah ci comanda nel Corano di combattere gli ipocriti perché sono molto più pericolosi di quelli eretici”.
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