venerdì 5 dicembre 2014

IN MEZZO A QUALE MONDO VIVIAMO

Confederazione COBAS Frosinone

NEL “MONDO DI MEZZO”: LA POLITICA-PARTITICA VIVE PER SCOVARE IL PROFITTO, I LAVORATORI E I CITTADINI MUOIONO NELL’INSEGUIRE LE TRACCE DEL LORO ESSERE IN COMUNITÀ. LE FANTASIE DEL DECRETO COTTARELLI E LA REALTÀ DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI

La difesa dei servizi pubblici dal pensiero unico della privatizzazione ad ogni costo deve segnare, con l’inchiesta  Mafia capitale, una riflessione profonda in merito alla gestione della cosa pubblica, soprattutto a Frosinone protagonista di una accelerazione nella gestione privatistica dei servizi, scelte attraversate dai lampi delle inchieste amministrative e penali. 
Il “ramificato sistema corruttivo” in vista dell’assegnazione di appalti e finanziamenti pubblici dal Comune di Roma non si determina appunto soltanto con gestioni truffaldine, ma come sistema che trova la sua ragion d’essere proprio nella ricerca in tutti i settori della nostra vita quotidiana di un possibile ritorno economico. Niente di nuovo quindi: il capitale tenta da sempre di ridurre tutto al profitto, di abbordare la nave pubblica in difficoltà; di riuscire a capitalizzare ciò che i cittadini, gli operatori e le organizzazioni civili e sociali hanno nel tempo ottenuto e costruito come i servizi di natura pubblica e per tutti.
Il profitto che si chiama "utile d’impresa"", previsto anche per le cooperative sociali, è il primo step, non necessariamente il più importante, nelle esternalizzazioni. Intanto si introduce una mission, quella del profitto appunto, del tutto estranea e contraria al concetto di servizio pubblico. 
 A seconda delle convenienze e delle dimensioni del potere in essere presso i territori, si spacchettano servizi e parti di essi, rendendoli appetibili dalle piccole società o cooperative, agendo in primis proprio nei confronti dei servizi pubblici privi di rilevanza economica che si finanziano principalmente attraverso la fiscalità generale a fronte di un interesse generale alla fornitura di certi servizi. (nel caso di Roma la gestione dei centri di accoglienza per gli stranieri e campi nomadi e nella manutenzione del verde pubblico, ecc):
A ciò si aggiunge, quasi inconsciamente, la precarizzazione del lavoro e il conseguente sfruttamento che ampia “l’utile d’impresa”.  Va da sé che inizia un peggioramento dei servizi. Essi diventano per la cittadinanza non convenienti; non efficienti; non flessibili organizzativamente: si deve ricorrere ad altre indispensabili attività collaterali che a loro volta dovranno essere appaltate all’esterno con maggiori costi per l’ente.
Contestualmente si riduce l’autonomia di gestione per gli enti locali, che non controllano più l’efficacia e l’efficienza del servizio, e non operano nella redistribuzione di risorse e reddito attraverso il lavoro. Si alimenta un metodo clientelare e corrotto che selezione a sua volta personale politico senza scrupoli.
Viene introdotto l’idea di una esternalizzazione che serve a costruire, dunque, non solo un utile dove prima non c’era ma anche un “consenso politico”, vero scambio della esternalizzazione. Spesso ci si avvale di imprese che gravitano negli entourage della politica e che fanno imprenditoria con soldi pubblici, da gestire anche senza alcuna capacità e mezzi. Più si abbassa la richiesta di qualità e di professionalità più il terreno di competizione è minato. Si crea ulteriormente quel personale, amorfo, “cuscinetto amministrativo” pronto ad obbedire a qualsiasi disegno del potere replicando, quindi con doppi costi, strutture amministrative pubbliche già esistenti. Questo personale “lavora sporco” con un target preciso: pressioni sui dipendenti al fine di ridurre il salario e/o aumentare le ore lavorative a parità dello stesso.
Con l’esternalizzazione si apre lo spazio alla privatizzazione del servizio a totale carico dei cittadini. Si elevano i costi (prezzi) dei servizi, tendenzialmente a carico dell’utente, per renderli appetibili al mercato. In questo caso l’azione di scambio tra amministrazione e consenso attraverso l’“utile d’impresa”, alimentata e sperimentata con soldi pubblici, genera il mostro del servizio che rimane pubblico ma su cui il privato genera un profitto tendenzialmente a totale carico del cittadino. Con la privatizzazione lo scambio politico non è più una opportunità ma una condizione senza ritorno: il pubblico si priva nel tempo di risorse, mezzi e professionalità impedendo il rientro nella sfera pubblica del servizio.
Nel frattempo la politica e il profitto, che hanno per definizione la necessità di sempre di nuovo ossigeno, si preparano alla strada per la esternalizzazione di altri servizi, anche oramai quelli tradizionalmente in carico ancora alla pubblica amministrazione e che fino  a qualche tempo fa si pensava intoccabili (la gestione dei tributi ad esempio).
Si tenta di divaricare in maniera irreversibile il percorso di offerta gratuita e universalistica dei servizi, incanalandoli sul terreno di un non ben definito utilitarismo economico, come chiarisce bene il decreto Cottarelli, Programma di razionalizzazione delle partecipate locali, strumento del pensiero unico delle esternalizzazioni e delle privatizzazioni, che individua principalmente i cinque tradizionali servizi pubblici di rilevanza economica a rete (elettricità, acqua, gas, rifiuti, trasporto pubblico locale – TPL).  Esso propone due piani di intervento: induce alla riduzione dei servizi gestiti in proprio o attraverso socetà in house degli enti locali; lavora per l’efficientamento della loro gestione, anche attraverso la comparazione con altri operatori che operano a livello nazionale e internazionale individuando “gli ambiti ottimali (ATO) per lo svolgimento delle rispettive attività”. Cottarelli (o Renzi) senza nascondersi afferma che ci sono troppi servizi a costo zero per tutti, che invece devono essere messi sul mercato e non più soltanto su quello locale, ma su quello internazionale:  insomma debbono far gola alle multinazionali, creando un profitto ancora maggiore.
La gestione di servizi con l’esternalizzazione, con la privatizzazione, con la svendita di risorse e professionalità, con l’alienazione dei beni, solo negli ultimi venti anni, ha visto sfuggire il controllo delle politiche universalistiche sia statali e soprattutto locali disegnando sempre più servizi che vanno nell’interesse dei privati e della loro principale mission, quella del profitto, piuttosto che le esigenze delle comunità. Non a caso sono aumentati il costo dei servizi, gratuiti qualche tempo fa, le tasse e le bollette;  si è distrutto il territorio, alienato il patrimonio, contratto debiti…
Risultano irrintracciabili: politiche sociali di redistribuzione del reddito (il numero delle famiglie con risorse scarse è 1/3 in più di 15 anni fa, arrivando quasi al 45% della popolazione, fonte ISTAT), reddito che invece si è trasferito verso i piani alti delle amministrazioni e verso i privati; politiche volte all’espansione della spesa (salute e sanità prima di tutto), nonostante l’aumento vertiginoso delle tasse; trasferimenti di risorse ai territori per far fronte al welfare, sostituiti da investimenti pubblici per  speculazioni private attraverso le grandi opere pubbliche; politiche in difesa dell’occupazione – le persone senza lavoro sono raddoppiate negli ultimi 7 anni -, con uno sfilacciamento delle istituzioni e degli spazi di prossimità in difesa del lavoro.
Le vicende raccontate a "Mafia capitale" sono facilmente sovrapponibili a molte, moltissime, città della perversa Italia. La magistratura farà il lavoro, forse troppo lentamente e contraddittoriamente; la politica accuserà altri e alzerà a barriera i luoghi comuni della colpa di alcuni; gli amministratori locali correranno a mettere pezze ai buchi dei loro inconfessabili raggiri; rimangono le realtà sociali e civili già impegnate strenuamente nel difendere il diritto di tutti e di ognuno alla fruizione dei servizi contro il saccheggio di risorse, di territorio, di ambiente.
C’è bisogno di fare rete, per imporre un’altra etica nella gestione delle nostre comunità e per ridefinire correttamente i campi dell’agire politico. Di tempo non c’è molto, prima che il capitale ce lo sottragga del tutto.

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