sabato 23 agosto 2014

Organizzazione del potere da parte dei bambini

 Luciano Granieri.

Mentre ci si accapiglia per agguantare l'ultimo dividendo azionario.  Mentre si è indaffarati a trovare l'investimento giusto.  Mentre si cerca di diversificare il portafoglio selezionando i diversi fondi d'investimento nel salotto buono delle banche d'affari. Mentre ci  si industria  a trasferire i capitali nei paradisi fiscali per non pagare le tasse.  Mentre si esortano i paesi del sud Europa ad abolire le Costituzioni antifasciste elaborate dopo la II guerra mondiale, perchè pericolosamente socialiste. Mentre ci si affanna a inviare armi in zone dove la guerra è senza controllo. Mentre si permette ad una nazione di compiere una strage continuata su prigionieri di un penitenziario a cielo aperto,  succede che Save the Children ci rammenta quanto segue: Cinque milioni e mezzo di bambini sono vittime di lavoro forzato e di sfruttamento sessuale. In Italia nel 2014 si segnalano ben 28.000 i minori tra i 14 e i 15 anni (sia italiani che stranieri) coinvolti in attivita' definibili a rischio di sfruttamento, svolte in contesti familiari (43%) o, se esterni, principalmente nei settori della ristorazione (43%), dell'artigianato (20%) e del lavoro in campagna (20%).9.300 minori stranieri non accompagnati arrivati tra il primo gennaio e il 19 agosto nel nostro Paese via mare sono a rischio  serio di sfruttamento. L'aggressione israeliana in Palestina oltre che a provocare la  morte di un bimbo israeliano, ha ucciso altri 503 bambini palestinesi, ne ha  feriti 3.000 di cui mille con disabilità gravi. Altri 1.500 bambini sono rimasti orfani e 3730 hanno necessità immediata di supporto psicologico. E' civile un mondo che provoca  tutto questo? Che ideologia è quella che determina lo sfruttamento e l'annientamento dei bambini? E se proprio i bambini si ribellassero. Come sarebbe il mondo con i bambini al potere? Sicuramente molto più umano e meno violento. Ma qualcuno ha già immaginato lo scenario dei bambini al potere e l' ha tradotto in musica. Con la speranza che almeno si rifletta seriamente su una società che sottomette perfino i bambini agli interessi finanziari, auguro buon ascolto.

Al fianco dell’Ucraina antifascista, ¡NO PASARAN!

Rete "Noi saremo tutto"























L’imperialismo è una tigre di carta, ma solo se si riesce ad accartocciarlo come un vecchio foglio di giornale quando si vuole accendere un fuoco.
Rinunciare al tentativo di accartocciarlo segna il destino dei popoli braccati dall’attacco spietato di chi si presenta come custode e portatore di democrazia e diritti umani.
Come quello palestinese e molti altri, il popolo ucraino sa molto bene che cosa questo significhi, e non è certo l’unico che nel corso della storia ha visto straziate le proprie membra nelle fauci imperialiste.
Ma chi nel corso della storia è riuscito ad accartocciare la tigre di carta è stato solo chi ha avuto il coraggio di alzarsi in piedi, guardarla negli occhi ed affrontarla senza temere i suoi artigli.
Quello che accade da mesi oltre i Carpazi è forse uno dei conflitti più odiosi esplosi negli ultimi decenni, in cui la manovalanza fascista al guinzaglio delle oligarchie atlantiche ha di nuovo insanguinato l’Europa a pochi anni dalle atrocità commesse dalla NATO nella ex-Yugoslavia.
Per questo, come l’appoggio di ogni antifascista e di ogni comunista, è assolutamente imprescindibile la partecipazione della rete “Noi Saremo Tutto” alla carovana di solidarietà promossa dai compagni della BANDA BASSOTTI, compagni con i quali abbiamo condiviso molto nel corso degli anni, e che già in Nicaragua nel 1984, in Salvador nel 1994, e in Palestina dieci anni dopo si sono resi protagonisti di campagne internazionaliste come questa.
Ogni aiuto è necessario e benvenuto: noi faremo la nostra parte, contribuendo economicamente alla raccolta fondi in aiuto ai compagni di Novorossia ed andando a portare la nostra solidarietà agli antifascisti del Donbass insieme alla Banda Bassotti.
Uniti si vince!
¡NO PASARAN!

venerdì 22 agosto 2014

Vuoto terrorista

Luciano Granieri

Oggi il vuoto ha la faccia orrenda del terrore. Quel vuoto, creato per far posto al pensiero unico del mercato come regolatore assoluto della vita di tutti, fa paura. Le diverse idee di mondo, di comunità, dovevano essere spazzate via dalla testa della gente e sopratutto dei giovani. Guai a mantenere in vita un qualsiasi tipo di suggestione basata sul valore di comunità solidale. Guai a salvare  i principi di una società  tenuta insieme dalla dignità del lavoro. E’ devastante il solo pensare che  si possa attingere a quanto la Storia ha tramandato   per pensare come debba girare il mondo. Le ideologie sono pericolose, bisogna farne piazza pulita. Non avrai altro Dio all’infuori del mercato. Questo ha provocato il vuoto. 

Quel vuoto determinato dall’annullamento dell’”essere”, soppiantato dall’”avere”. Il nulla scavato dalla distruzione dei rapporti sociali  nell’idolatria dell’individualismo. La disperata insofferenza verso il “diverso da se” inculcata dal concetto distorto di “competitività”. Un’imbroglio  teso  a mettere gli uni contro gli altri. La dissoluzione del valore  di “umano”, sostituito dal valore patogeno  di “capitale umano”- da valorizzare  con tutti i mezzi, pena la dissolvenza nell’inadeguatezza  - lascia le persone immerse in un’angosciante solitudine. E’ terribile il vuoto lasciato dalla distruzione di una qualsiasi ipotesi di futuro, dall’incapacità di avere risposte alla propria precarietà quotidiana. E’ terribile la limitatezza ormai incancrenita del nostro concetto di tempo di vita, che non va oltre  a ciò che accadrà domani. 

Ma  la donna, l’uomo sono animali  sociali, per cui il pensiero unico del mercato come regolatore assoluto della vita, non può sostituire tutto ciò che è stato distrutto. L’operazione di valorizzare se stesso in base alla  quantità di possesso,  in luogo della qualità dell’essere, ormai non funziona più.  Il fallimento del Dio mercato ha lasciato il vacuum horribilis.  Un vuoto che qualcuno purtroppo disgraziatamente sta riempiendo. 

L’integralismo jihadista, la cieca  distorta  fede  nell’islam, propagandato dai guerriglieri del califfato, disgraziatamente forniscono delle risposte. Risposte sciagurate, drammatiche. Ma per chi è stato privato di soluzioni, di prospettive, di possibilità di progettare uno straccio di idea di società, la drammatica proposta integralista può costituire una soluzione.  Questa, nella sua farneticazione,  comunque offre appartenenza, condivisione di un qualcosa, forse di un straccio di ideologia, follia certo, ma non il niente. 

L’adesione fideistica e accesa di molti giovani occidentali: americani, francesi, inglesi, belgi e anche italiani alle farneticazioni del Califfato è la dimostrazione di come il vuoto sia assurto  a terribile incubatrice  di derive distruttive. E allora non servono le bombe e le armi. Bisognerebbe scatenare una guerra perpetua in mezzo mondo. Quali sono i confini dell’Is?  Rimangono  relegati al Medio Oriente? Al-Baghdadi  dove si trova? Non sta in Afghanistan come Osama  Bin Laden, non è un sanguinario despota che tiranneggia l’Iraq come Saddam.  Dove e chi combattere dunque?

 L’utilizzo delle armi accenderebbe altri fuochi, favorirebbe un proselitismo ancora più crudele e diffuso in tessuti sociali malati. Sarà utopia, ma per sconfiggere il terrorismo bisognerebbe iniziare  da qui, dal cosiddetto Occidente civilizzato. Cominciare  a riempire quel vuoto creato dal Dio mercato con altri valori. Magari con ideologie, o idee di società,  con senso della dignità legato all’inclusione in una comunità, con rispetto per ciò che si è e non per ciò che si possiede, con l’idea che inevitabilmente il “bene comune”, se è peste per l’ultraliberismo, è manna salvifica per la vita di tutti. Perchè è evidente  che se quel vuoto sarà colmato, non potrà esistere alcun integralismo violento, alcun terrorismo che potrà scalzarlo.

COSTRINGERE CREMONINI AL TAVOLO DELLE TRATTATIVE.

Il segretario provinciale PdCI Oreste Della Posta

È emblematico il caso della ITALIA ALIMENTARI S.P.A. di Paliano, che non avendo mai avuto problemi di cassa integrazione o di mobilità, all’improvviso chiude, e secondo la proprietà la chiusura è irreversibile. Sperando che alla riapertura di tutto il sistema produttivo non si verifichino altre situazione di questo tipo, anche perché è evidente che in Provincia di Frosinone il sistema industriale è in via di scomparsa. Ma il caso dell’industria di Paliano è veramente incredibile, un’azienda che dal 1975 non ha mai avuto problemi produttivi, di colpo chiude.
I Comunisti esprimono piena solidarietà ai lavoratori che dall’oggi al domani si trovano in una situazione drammatica, con la perdita improvvisa del proprio salario. Noi chiediamo a tutte le forze politiche di agire subito per costringere la proprietà ad un tavolo di trattativa, con l’obiettivo di far riprendere la produzione. L’ipotesi avanzata di  un trasferimento delle maestranze a Modena, sono da respingere nettamente in quanto sarebbe un dramma per tantissimi lavoratori. Questa potrebbe essere una battaglia per tutta la nostra Provincia, per dire basta alla chiusura di stabilimenti industriali e alla continua emorragia di posti di lavoro.
Se queste sono le premesse è chiaro a tutti che avremmo un autunno-inverno dai contorni drammatici in cui il vero problema è uno solo: LAVORO. Ed è amaro notare che su questo versante il Governo ha prodotto solo chiacchiere estive.
Noi Comunisti riteniamo che vanno superati i vincoli europei, fiscal compact, M.E.S.,rapporto debito/pil 3%, ecc… altrimenti saremo costretti ad un impoverimento dell’intera Nazione e di tutti i cittadini.

La sanità divora la salute

http://www.oltreloccidente.org/


video di Luciano Granieri

 Il Coordinamento Provinciale per la Sanità ha organizzato un incontro delle associazioni con i sindaci della provincia di Frosinone, aperto a tutte le associazioni di categoria, per lunedì 25 agosto 2014 alle ore 16 ,  presso il salone di rappresentanza della Amministrazione Provinciale, a Frosinone in Piazza Gramsci. L'incontro ha lo scopo di svolgere una attività conoscitiva e di informazione, sulla base di documenti ufficiali della regione Lazio (programmi operativi triennali sanitari 2013-15 , nelle versioni susseguenti del DCA 480-2013, della bozza nuova edizione di marzo 2014, della riedizione del DCA 247-2014), delle eminenti linee operative che sono state delineate in ambito sanitario dalla regione. 

 La sanità divora la salute L’incontro è l’ennesimo, promosso dal Coordinamento per sensibilizzare sia l’opinione pubblica, sia le istituzioni sul reale obiettivo del piano sanitario regionale alla luce dei documenti prodotti dalla Regione Lazio. Quale sia l’obiettivo della Regione Lazio e come procedere al loro raggiungimento è comprensibile anche al più disinformato tra noi: risparmio della spesa sanitaria, riduzione dei servizi pubblici, trasferimento delle attività sul privato e trasferimento di risorse dal pubblico al privato. Niente di nuovo quindi: il capitale tenta da sempre di ridurre tutto al profitto, di abbordare la nave pubblica in difficoltà; di riuscire a capitalizzare ciò che i cittadini, gli operatori e le organizzazioni civili hanno nel tempo ottenuto e costruito come i servizi di natura pubblica e per tutti. Già per queste generali questioni l’opposizione al piano dovrebbe essere “senza se e senza ma”: soprattutto gli operatori pubblici avvertiti e informati prima degli altri dovrebbero dare il buon esempio… La realtà catastrofica della sanità ciociara è un fatto non un’idea. Frosinone, periferia di Roma. Ecco cosa da tempo sta accadendo alla nostra provincia. Mentre le amministrazioni locali credevano di inseguire Roma in servizi, turismo, sport, cultura, viabilità, urbanistica, dall’altro lato questo disegno erodeva le reali capacità di progresso della nostra terra spogliandola e depauperandola di risorse e attività, facendola precipitare nel quotidiano sgretolamento politico-istituzionale e amministrativo, prima di quello etico e civile. Inquinamento, disoccupazione, povertà, scarsa qualità della vita, spopolamento, speculazioni, criminalità organizzata disegnano uno dei territori più segnati dalla crisi e a rischio salute. A questo triste primato si aggiunge una politica della Regione Lazio che vede Frosinone come spazio residuale regionale tanto da renderlo utile per l’immondizia e per la sottrazione continua di lavoro, istruzione e servizi. La sanità non può che essere in linea con tale ridimensionamento “lineare” – non oggettivo fondato su statistiche sociali verificabili. Chiusura degli ospedali, e non si intravede quale sarà l’ultimo; riduzione dei posti letto nonostante l’offerta oggi sia già più bassa di Roma; trasferimento di attività “remunerative” a gruppi privati; ospedali senza livelli di qualità accettabili; servizi territoriali assenti anche nella programmazione teorica. Si potrebbe continuare e lunedì 25 agosto si tenterà di documentare tutto. Quello che sarà della sanità nel prossimo futuro non è chiaro. Le riforme non hanno carattere solo teorico ma anche sicuramente uno pratico con l’operato di tutti coloro che vi lavorano e di tutti coloro che provano a difendere i diritti dei cittadini. La crisi potrebbe offrire anche percorsi di riflessione alternativi, sempre però davanti ad una strenua resistenza di chi vuole svendere non riorganizzare, di chi vuole favorire i gruppi economici e non le popolazioni. C’è di certo che tentano di divaricare in maniera irreversibile il percorso di offerta della sanità, tutta concentrata su un non ben definito utilitarismo economico, con l’idea di salute territoriale sempre necessitata dai singoli individui e difesa dalle organizzazioni sociali e forse nel tempo da qualche organizzazione politica. Attuata la chiusura degli ospedali cosiddetti periferici, consegnata in mano ai chi fa profitto la chiave della gestione dei servizi, screditata l’idea di ospedale come luogo di rete simbolo di difesa anche della salute territoriale e propinare l’idea di una sanità come immediato e pronto intervento sull’acuzie, allora, quel dì, supinamente, accetteremo l’dea di un solo ospedale regionale o addirittura nazionale dove le nostre gravi malattie potranno essere affrontate, abbandonando definitivamente l’idea di salute del malato e della società.

giovedì 21 agosto 2014

Sangue e Cenere - Il nuovo cd dei Gang



Ciao a tutti!
Io e mio fratello Sandro con la GANG, la Banda dei F.lli Severini, abbiamo cominciato a lavorare ad un disco nuovo. Un disco di inediti che non facciamo da 14 anni.
Si chiama "Sangue e Cenere", racchiude 11 canzoni e lo vogliamo fare uscire entro l’anno.
Questi 6000 euro che vi chiediamo di aiutarci a raccogliere copriranno una parte del budget necessario per creare il nostro CD… Per coprire tutte le spese dovremmo arrivare circa oltre il 200% della cifra! Che dite, ci proviamo? In ogni caso grazie per il supporto che ci darete!
Le canzoni sono beni comuni e devono essere libere
Oggi più che mai vorremmo che queste canzoni non fossero umiliate e trattate come merci. Proprio perché sono canzoni che aspirano a diventare Beni e soprattutto Beni comuni...come l'acqua, il paesaggio, l'aria….come il cibo! Vorrei allora poter produrre, realizzare, incidere queste canzoni come un buon contadino fa quando produce dei buoni alimenti destinati a diventare un cibo Buono. Vorrei in sostanza che queste canzoni nascessero e crescessero libere! Lo vorrei soprattutto oggi che la musica, le canzoni, ma anche tutte le arti, sono state ridotte a delle merci, come del resto tutto ciò che ci circonda. Occorre liberarle da tutte quelle barriere che ci sono fra me e voi: manager, case discografiche, cosiddetti direttori artistici, pubblicitari...e poi da tassi, fidi e prestiti bancari, da queste sanguisughe e dalle catene della grande distribuzione, da tutto questo apparato al servizio del mercato, del profitto e del consumo. Non è facile oggi sbarazzarsi di tutta questa zavorra in un colpo solo. Sembra quasi impossibile. E allora io vi dico che occorre esigere l'impossibile. E per esigere, per ottenere l'impossibile basta essere realisti.
Il crowdfunding
Ecco come sono arrivato a questo strumento che è il crowdfunding. E' una sorta di "cassa comune" e si ispira a quella solidarietà che animava le società di mutuo soccorso. E’ un modo per trovare le risorse necessarie affinchè un progetto trovi il suo compimento, uno strumento virtuoso poichè è in grado di liberare sia me che voi da tutti quei ruoli codificati e imposti da quel sistema che riduce tutto a merce, e questo perchè è uno strumento che si basa sulla fiducia reciproca. Se ci pensate un attimo questo strumento di partecipazione ha molte affinità con una realtà che a molti di noi è familiare: i GAS, cioè i Gruppi di Acquisto Solidale.
Il crowdfunding per partecipare alla realizzazione del disco dei Gang "Sangue e Cenere" ci permette finalmente di avere un rapporto diretto fra noi e voi, ci rende partecipi e parte di un progetto comune. In questo modo non ci sono più consumatori ma soltanto dei co-produttori, cioè tutti voi!
Sono convinto che oggi l'utilizzo dello strumento del crowdfunding è l'unico modo per finalmente lavorare, costruire, realizzare un progetto che sia appagante, utile, partecipato e creativo. E grazie ad esso riusciremo a realizzare un bellissimo disco, senza, come in passato, rinunciare a niente e nessuno, ne scendere a compromessi. Farlo insieme a voi fin dall’inizio ci permette di fare realmente il nostro disco, la nostra musica in totale libertà. Ce la faremo, insieme e solo insieme potremo farcela.
















Vi ringrazieremo in tanti modi

Diremo Grazie a tutti coloro che risponderanno alla Chiamata in modi diversi. Chiunque deciderà di partecipare al progetto vedrà il proprio nome scritto in calce sul libretto del CD, riceverà in dono qualche rarità discografica o avrà in cambio una maglietta, oppure andremo io e Sandro con le canzoni a presentarle ovunque voi vorrete....insomma, ci saranno molti modi per ringraziarvi!
Per ora è tutto e con la promessa di sentirci presto e la speranza di incontrarvi durante l'estate Sulla Strada in occasione dei nostri concerti… vi saluto con il migliore augurio: BUONA VITA!
Marino Severini

Per info: - Email: marino.severini@alice.it
- Sito ufficiale : http://www.the-gang.it - 

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 ufficiale: https://www.facebook.com/gang.official - 
Twitter
 ufficiale: https://www.twitter.com/TheGANG_it - Youtube ufficiale: https://www.youtube.com/user/RumbleBeatRecord



Il coordinamento provinciale per la sanità, incontra i sindaci

COORDINAMENTO PROVINCIALE SANITA'


Il Coordinamento Provinciale per la Sanità ha organizzato un incontro delle associazioni con i sindaci della provincia di Frosinone, aperto a tutte le associazioni di categoria, per lunedì 25 agosto 2014 alle ore 16 ,  presso il salone di rappresentanza della Amministrazione Provinciale, a Frosinone in Piazza Gramsci.
L'incontro ha lo scopo di svolgere una attività conoscitiva e di informazione, sulla base di documenti ufficiali della regione Lazio (programmi operativi triennali sanitari 2013-15 , nelle versioni susseguenti del DCA 480-2013, della bozza nuova edizione di marzo 2014, della riedizione del DCA 247-2014), delle eminenti linee operative che sono state delineate in ambito sanitario dalla regione.
Questa disamina è motivata dall'esigenza di rendersi conto delle volontà e del disegno strategico della regione Lazio nelle sue scelte nell'ambito delle sue competenze sanitarie; e allo scopo di partecipare in maniera consapevole alla conferenza locale della sanità, a cui sono state invitate le associazioni, prevista per il 13.09.2014.
L'incontro inoltre si propone di valutare la possibilità di effettuare iniziative ulteriori prima della conferenza, a sostegno e diffusione di una proposta unitaria da elaborare in modo condiviso tra coordinamento e sindaci, da presentare in sede di conferenza locale.
La proposta, ferme restando quelle già espresse dal coordinamento nella manifestazione del 16.07.14 , va finalizzata prioritariamente al conseguimento dei millecinquecento posti letto per acuti per diritto spettanti alla provincia di Frosinone, dato che attualmente ne mancano all'appello oltre seicento. E all'adozione di un provvedimento vero che includa i quattro ospedali esistenti all'interno, ognuno distintamente, di una determinata rete specialistica tempo dipendente, rigorosamente profilata al livello alto della classificazione adottata dalla regione; in maniera che una popolazione di oltre mezzo milione di abitanti abbia sul suo territorio quattro sedi di erogazione al miglior livello di quattro distinte reti specialistiche tempo dipendenti.
Si rimarca che finora i piani strategici e le scelte operative sono state sempre calate dall'alto, escludendo sostanzialmente gli operatori, i rappresentanti istituzionali, le associazioni e i cittadini.
Si ritiene che in conseguenza siano venuti sprechi, inefficienze, e scandali con un peggioramento progressivo dei servizi;e che all'emergenza delle criticità sovente si siano maldestramente impiantati rimedi improbabili, peggiori del male.
Se finora Regione e Asl se la sono suonata e se la sono cantata da sole, di fatto escludendo operatori, rappresentanti istituzionali e cittadini, i risultati si presentano agli occhi di tutti, al punto di dare l'impressione che enti pubblici si siano trasformati in una sorta di circoli esclusivi ad appanaggio di un ristretto cerchio di designati dalla provvidenza.
L'incontro, infine ma non da ultimo, vuole essere anche idealmente un segnale di unione tra coordinamento di associazioni e ciascun sindaco, centrale baluardo istituzionale del territorio, per profilarsi fattivamente a riferimento dei cittadini nell'importante ambito della salute.

21.08.2014

mercoledì 20 agosto 2014

Il mio appello al popolo di Israele: liberate voi stessi liberando la Palestina

Desmond Tutu fonte: http://www.haaretz.com

Le scorse settimane hanno visto una mobilitazione senza precedenti della società civile di tutto il mondo contro l'ingiustizia e la brutalità della sproporzionata risposta israeliana al lancio di razzi dalla Palestina.
Se si contano tutte le persone che si sono radunate lo scorso fine settimana a Città del Capo, a Washington DC, a New York, a Nuova Delhi, a Londra, a Dublino, a Sidney ed in tutte le altre città del mondo per chiedere giustizia in Israele e Palestina, ci si rende subito conto che si tratta senza dubbio della più grande ondata di protesta di sempre dell'opinione pubblica riguardo ad una singola causa.
Circa venticinque anni fa, ho partecipato a diverse grandi manifestazioni contro l'apartheid. Non avrei mai immaginato che avremmo rivisto manifestazioni tanto numerose, ma sabato scorso a Città del Capo l'affluenza è stata uguale se non addirittura maggiore. C'erano giovani e anziani, musulmani, cristiani, ebrei, indù, buddisti, agnostici, atei, neri, bianchi, rossi e verdi... come ci si aspetterebbe da una nazione viva, tollerante e multiculturale.
Ho chiesto alla gente in piazza di unirsi al mio coro: "Noi ci opponiamo all'ingiustizia dell'occupazione illegale della Palestina. Noi ci opponiamo alle uccisioni indiscriminate a Gaza. Noi ci opponiamo all'indegno trattamento dei palestinesi ai checkpoint e ai posti di blocco. Noi ci opponiamo alla violenza da chiunque sia perpetrata. Ma non ci opponiamo agli ebrei."
Pochi giorni fa, ho chiesto all'Unione Internazionale degli Architetti, che teneva il proprio convegno in Sud Africa, di sospendere Israele dalla qualità di Paese membro.
Ho pregato le sorelle e i fratelli Israeliani presenti alla conferenza di prendere le distanze, sia personalmente che nel loro lavoro, da progetti e infrastrutture usati per perpetuare un'ingiustizia. Infrastrutture come il muro, i terminal di sicurezza, i posti di blocco e gli insediamenti costruiti sui territori Palestinesi occupati.
Ho detto loro: "Quando tornate a casa portate questo messaggio: invertite la marea di violenza e di odio unendovi al movimento nonviolento, per portare giustizia a tutti gli abitanti della regione".
In poche settimane, più di 1 milione e 600mila persone in tutto il mondo hanno aderito alla campagna lanciata da Avaaz chiedendo alle multinazionali che traggono i propri profitti dall'occupazione della Palestina da parte di Israele e/o che sono coinvolte nell'azione di violenza e repressione dei Palestinesi, di ritirarsi da questa attività. La campagna è rivolta nello specifico a ABP (fondi pensionistici olandesi); a Barclays Bank; alla fornitura di sistemi di sicurezza (G4S), alla francese Veolia (trasporti); alla Hewlwtt-Packard (computer) e alla Caterpillar (fornitrice di Bulldozer).
Il mese scorso 17 governi della UE hanno raccomandato ai loro cittadini di astenersi dal fare affari o investimenti negli insediamenti illegali israeliani.
Abbiamo recentemente assistito al ritiro da banche israeliane di decine di milioni di euro da parte del fondo pensione olandese PGGM e al ritiro da G4S della Fondazione Bill e Melinda Gates; e la Chiesa presbiteriana degli Stati Uniti ha ritirato una cifra stimata in 21 milioni dollari da HP, Motorola Solutions e Caterpillar.
Questo movimento sta prendendo piede.
La violenza genera solo violenza ed odio, che generano ancora più violenza e più odio.
Noi sudafricani conosciamo la violenza e l'odio. Conosciamo la pena che comporta l'essere considerati la puzzola del mondo, quando sembra che nessuno ti comprenda o sia minimamente interessato ad ascoltare il tuo punto di vista. È da qui che veniamo.
Ma conosciamo anche bene i benefici che sono derivati dal dialogo tra i nostri leader, quando organizzazioni etichettate come "terroriste" furono reintegrate ed i loro capi, tra cui Nelson Mandela, liberati dalla prigione, dal bando e dall'esilio.
Sappiamo che, quando i nostri leader cominciarono a parlarsi, la logica della violenza che aveva distrutto la nostra società si è dissipata ed è scomparsa. Gli atti di terrorismo iniziati con i negoziati, quali attachi ad una chiesa o ad un pub, furono quasi universalmente condannati ed i partiti responsabili furono snobbati alle elezioni.
L'euforia che seguì il nostro votare assieme per la prima volta non fu solo dei sudafricani neri. Il vero trionfo della riappacificazione fu che tutti si sentirono inclusi. E dopo, quando approvammo una costituzione così tollerante, compassionevole e inclusiva che avrebbe reso orgoglioso anche Dio, tutti ci siamo sentiti librerati.
Certo, avere un gruppo di leader straordinari ha aiutato.
Ma ciò che alla fine costrinse questi leader a sedersi attorno al tavolo delle trattative fu l'insieme di strumenti persuasivi e non violenti messi in pratica per isolare il Sudafrica economicamente, accademicamente, culturalmente e psicologicamente.
A un certo punto - il punto di svolta - il governo di allora si rese conto che preservare l'apartheid aveva un costo superiore ai suoi benefici.
L'interruzione, negli anni '80, degli scambi commerciali con il Sud Africa da parte di aziende multinazionali dotate di coscienza, è stata alla fine una delle azioni chiave che ha messo in ginocchio l'apartheid, senza spargimenti di sangue. Quelle multinazionali avevano compreso che, sostenendo l'economia del Sud Africa, stavano contribuendo al mantenimento di uno status quo ingiusto.
Quelli che continuano a fare affari con Israele, che contribuiscono a sostenere un certo senso di "normalità" nella società Israeliana, stanno arrecando un danno sia agli israeliani che ai palestinesi. Stanno contribuendo a uno stato delle cose profondamente ingiusto.
Quanti contribuiscono al temporaneo isolamento di Israele, dichiarano così che Israeliani e Palestinesi in eguale misura hanno diritto a dignità e pace.
In sostanza, gli eventi accaduti a Gaza nell'ultimo mese circa stanno mettendo alla prova chi crede nel valore degli esseri umani.
È sempre più evidente il fallimento dei politici e dei diplomatici nel fornire risposte e che la responsabilità di negoziare una soluzione sostenibile alla crisi in Terra Santa ricade sulla società civile e sugli stessi abitanti di Israele e Palestina.
Oltre che per le recenti devastazioni a Gaza, tante bellissime persone in tutto il pianeta - compresi molti Israeliani - sono profondamente disturbate dalle quotidiane violazioni della dignità umana e della libertà di movimento cui i Palestinesi sono soggetti a causa dei checkpoint e dei posti di blocco. Inoltre, la politica Israeliana di occupazione illegale e di costruzione di insediamenti cuscinetto in una terra occupata aggrava la difficoltà di raggiungere in futuro un accordo che sia accettabile per tutti.
Lo stato di Israele si sta comportando come se non ci fosse un domani. Il suo popolo non potrà avere la vita tranquilla e sicura che vuole - e a cui ha diritto - finché i suoi leader continueranno a mantenere le condizioni che provocano il conflitto.
Io ho condannato quanti in Palestina sono responsabili dei lanci di missili e razzi contro Israele. Soffiano sulle fiamme dell'odio. Io sono contrario ad ogni manifestazione di violenza.
Ma dobbiamo essere chiari che il popolo palestinese ha ogni diritto di lottare per la sua dignità e libertà. È una lotta che ha il sostegno di molte persone in tutto il mondo.
Nessuno dei problemi creato dagli esseri umani è irrisolvibile, quando gli esseri umani stessi si impegnano a risolverlo con il desiderio sincero di volerlo superare. Nessuna pace è impossibile quando la gente è determinata a raggiungerla.
La Pace richiede che israeliani e palestinesi riconoscano l'essere umano in loro stessi e nell'altro, che riconoscano la reciproca interdipendenza.
Missili, bombe e insulti non sono parte della soluzione. Non esiste una soluzione militare.
È più probabile che la soluzione arrivi dallo strumento nonviolento che abbiamo sviluppato in Sud Africa negli anni '80, per persuadere il governo della necessità di modificare la propria linea politica.
Il motivo per cui questi strumenti - boicottaggio, sanzioni e disinvestimenti - si rivelarono efficaci, sta nel fatto che avevano una massa critica a loro sostegno, sia dentro che fuori dal Paese. Lo stesso tipo di sostegno di cui siamo stati testimoni, nelle utlime settimane, a favore della Palestina.
Il mio appello al popolo di Israele è di guardare oltre il momento, di guardare oltre la rabbia nel sentirsi perennemente sotto assedio, nel vedere un mondo nel quale Israele e Palestina possano coesistere - un mondo nel quale regnino dignità e rispetto reciproci.
Ciò richiede un cambio di prospettiva. Un cambio di mentalità che riconosca come tentare di perpetuare l'attuale status quo equivalga a condannare le generazioni future alla violenza e all'insicurezza. Un cambio di mentalità che ponga fine al considerare ogni legittima critica alle politiche dello Stato come un attacco al Giudaismo. Un cambio di mentalità che cominci in casa e trabocchi fuori di essa, nelle comunità, nelle nazioni e nelle regioni che la Diaspora ha toccato in tutto il mondo. L'unico mondo che abbiamo e condividiamo.
Le persone unite nel perseguimento di una causa giusta sono inarrestabili. Dio non interferisce nelle faccende della gente, ha fiducia nel fatto che noi cresceremo ed impareremo risolvendo le nostre difficoltà e superando le nostre divergenze da soli. Ma Dio non dorme. Le Scritture Ebraiche ci dicono che Dio è schierato dalla parte del debole, dalla parte di chi è senza casa, della vedova, dell'orfano, dalla parte dello straniero che libera gli schiavi nell'esodo verso la Terra Promessa. Fu il profeta Amos che disse che dobbiamo lasciar scorrere la giustizia come un fiume.
La giustizia prevarrà alla fine. L'obiettivo della libertà del popolo palestinese dall'umiliazione e dalle politiche di Israele è una causa giusta. È una causa che lo stesso popolo di Israele dovrebbe sostenere.
Nelson Mandela disse che i Sudafricani non si sarebbero potuti sentire liberi finché anche i Palestinesi non lo fossero stati.
Avrebbe potuto aggiungere che la liberazione della Palestina libererà anche Israele.
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Questa campagna sta cominciando a decollare. Russel Brand ha registrato un video di sostegno, e le compagnie che abbiamo tempestato di messaggi vogliono incontrarci. In Gran Bretagna la nostra comunità sta portando avanti una campagna per smettere di vendere armi a Israele, con il governo che sta riconsiderando le sue esportazioni. E, ancora più incredibile, perfino gli USA hanno annullato l’invio di un carico di missili a Israele! 

La pressione sta facendo effetto, quindi teniamola alta! Se non l’hai ancora fatto,firma ora la petizione. O clicca qui per continuare a scrivere alle aziende per tenerle sotto pressione. Assicuriamoci che non si facciano l’idea di poterla fare franca. E se hai in mente una campagna per far sì che la tua città, università o Paese smetta di investire nella repressione palestinese, lanciala cliccando qui.

Per noi è fantastico essere ancora una volta al fianco di Desmond Tutu, uno dei veri grandi simboli della non-violenza. In un mondo straziato dagli estremisti e dalla demonizzazione degli “altri”, la non-violenza muta gli equilibri: permette di stare dalla parte della giustizia, anche con forza, ma sempre mossi dall’amore per tutte le persone che si rifiutano di essere vittime della paura e dell’ignoranza, i più grandi nemici dell’umanità. Un amore consapevole che i nostri destini e la nostra libertà sono tutti collegati. È questo l’insegnamento che i nostri più grandi leader, da Gandhi a Tutu, ci hanno trasmesso, e che la nostra comunità cerca di rispettare e diffondere tramite ognuna delle nostre campagne. 

Con speranza, 

Ricken, Alex, Fadi, Jeremy, Ana Sofia, Ari e tutto il team di Avaaz

Il nuovo PKK: una rivoluzione sociale si scatena in Kurdistan

Rafael Taylor – 18 agosto 2014   fonte: Z Net Italy

Esclusi dai negoziati e traditi dal Trattato di Losanna del 1923 dopo aver ricevuto la promessa di uno stato proprio dagli alleati della prima guerra mondiale nel corso della divisione dell’impero ottomano, i curdi sono la più vasta minoranza priva di stato del mondo. Ma oggi, a parte un ostinato Iran, restano sempre meno ostacoli a un’indipendenza curda de facto nell’Iraq settentrionale. Turchia e Israele hanno promesso sostegno mentre Siria e Iraq hanno le mani legate dalla rapida avanzata dello Stato Islamico (ex ISIS).
Con la bandiera curda che sventola alta su tutti gli edifici ufficiali e i peshmerga che tengono a freno gli islamisti con l’assistenza da tempo in ritardo dell’aiuto militare statunitense, il Kurdistan meridionale (Iraq) si unisce ai suoi compagni del Kurdistan orientale (Siria) come seconda regione autonoma de facto del nuovo Kurdistan. Hanno già cominciato a esportare il proprio petrolio e hanno riconquistato Kirkuk, ricca di petrolio, hanno il proprio parlamento laico eletto e una società pluralista, hanno presentato la propria richiesta di riconoscimento dello stato all’ONU e non c’è nulla che il governo iracheno possa fare – o che gli USA farebbero senza sostegno israeliano – per fermarli.
La lotta curda, comunque, è tutt’altro che strettamente nazionalista. Nelle montagne sopra Erbil, nell’antico cuore del Kurdistan che si estende oltre i confini di Turchia, Iran, Iraq e Siria, è nata una rivoluzione sociale.
La teoria del confederalismo democratico
Al volgere del secolo, mentre il radicale statunitense da una vita Murray Bookchin rinunciava al tentativo di rivitalizzare il movimento anarchico contemporaneo con la sua filosofia dell’ecologia sociale, il fondatore e leader del PKK Abdullah Ocalan era arrestato in Kenia da autorità turche e condannato a morte per tradimento. Negli anni che seguirono l’anziano anarchico si conquistò un improbabile devo nell’indurito militante, la cui organizzazione paramilitare – il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) – è diffusamente elencata tra le organizzazioni terroristiche per aver condotto una guerra violenta di liberazione nazionale contro la Turchia.
Nei suoi anni in cella d’isolamento, guidando il PKK da dietro le sbarre quando la sua sentenza era stato commutata in ergastolo, Ocalan ha adottato una forma di socialismo libertario così oscura che pochi anarchici ne hanno addirittura sentito parlare: il municipalismo libertario di Bookchin. Ocalan ha ulteriormente modificato, affinato e cambiato definizione alla visione di Bookchin in “confederalismo democratico” con la conseguenza che il Gruppo di Comunità del Kurdistan (Koma Civaken Kurdistan o KCK), l’esperimento territoriale di una società libera e direttamente democratica è stato largamente tenuto segreto alla vasta maggioranza degli anarchici, per non parlare del pubblico in generale.
Anche se il punto di svolta è stato la conversione di Ocalan, un rinascimento di letteratura di sinistra e indipendente era affluito attraverso le montagne ed era passata di mano in mano tra i membri della base dopo il crollo dell’Unione Sovietica negli anni ’90. “Analizzavano libri e articoli di filosofi, femministe, (neo)anarchici, comunisti libertari, comunalisti ed ecologi sociali. E’ così che autori come Murray Bookchin [e altri] sono finiti al centro della loro attenzione”, ci dice l’attivista curdo Ercan Ayboga.
Ocalan si è imbarcato, nei suoi scritti in carcere, in un riesame generale e in un’autocritica della terribile violenza, dogmatismo, culto della personalità e autoritarismo che aveva promosso: “E’ diventato chiaro che la nostra teoria, programma e prassi degli anni ’70 non hanno prodotto altro che futile separatismo e violenza e, ancor peggio, che il nazionalismo cui avremmo dovuto opporci, ci infestava tutti.” Un tempo leader indiscusso, Ocalan a quel punto ragionava:  “il dogmatismo si nutre di verità astratte che diventano modi abituali di pensare. Non appena si traspongono in parole quelle verità generali uno si sente come un alto sacerdote al servizio del proprio dio. E’ stato un errore che ho commesso.”
Ocalan, un ateo, alla fine scriveva come un libero pensatore, liberatosi dalla mitologia marxista-leninista. Ha indicato che stava cercando un’”alternativa al capitalismo” e un “sostituto del modello crollato del … ‘socialismo realmente esistente’” quando ha incontrato Bookchin. La sua teoria del confederalismo democratico si sviluppata da una combinazione di ispirazione da intellettuali comunalisti, “movimenti come gli zapatisti”, e da altri fattori storici della lotta nel Kurdistan settentrionale (Turchia). Ocalan si è dichiarato studente di Bookchin e dopo una fallita corrispondenza email con l’anziano teorico che, con suo rammarico era troppo malato per uno scambio dal suo letto d’agonia nel 2004, il PKK lo ha celebrato come “uno dei più grandi sociologi del ventesimo secolo” in occasione della morte di Bookchin due anni dopo.
La pratica del confederalismo democratico
Lo stesso PKK ha evidentemente seguito il suo leader, non solo adottando il genere specifico di eco-anarchismo di Bookchin, ma anche interiorizzando attivamente nuova filosofia nelle proprie strategie e tattiche. Il movimento ha abbandonato la guerra sanguinosa per una rivoluzione stalinista-maoista e le tattiche terroristiche che l’accompagnavano e ha cominciato a esaminare una strategia in larga misura nonviolenta mirata a una maggior autonomia regionale.
Dopo decenni di tradimenti fratricidi, cessate il fuoco falliti, arresti arbitrati e ostilità rinnovate, il 25 aprile di quest’anno il PKK ha annunciato un ritiro immediato delle proprie forze dalla Turchia e il loro dispiegamento nell’Iraq settentrionale, ponendo efficacemente fine al suo trentennale conflitto con lo stato turco. Il governo turco ha contemporaneamente intrapreso un processo di riforme costituzionali e legali per incorporarvi i diritti umani e culturali della minoranza curda entro i suoi confini. Ciò è arrivato come componente finale di negoziati da lungo attesi tra Ocalan e il primo ministro turco Erdogan, come parte di un processo di pace iniziato nel 2012. Per un anno non ci sono state violenze da parte del PKK e sono avanzate ragionevoli richieste che il PKK sia cancellato dalla lista dei terroristi mondiali.
Resta, comunque, una storia buia per il PKK, pratiche autoritarie che mal si confanno alla nuova retorica libertaria. A settori del partito sono stati in varie occasioni attribuite raccolte di fondi tramite traffico di eroina, estorsioni, arruolamento forzato e criminalità in genere. Se è vero, nulla può scusare tale genere di opportunismo violento, nonostante l’evidente ironia che lo stesso stato turco genocida è stato finanziato in non piccola parte da un monopolio lucroso di esportazioni legali di oppiacei  “medici” coltivati dallo stato verso l’occidente e reso possibile dalla coscrizione e tassazione per un massiccio bilancio dell’antiterrorismo e per le forze armate sovradimensionata (la Turchia ha il secondo più vasto esercito della NATO, dopo gli Stati Uniti).
Nella normale ipocrisia della guerra al terrorismo, quando movimenti di liberazione nazionale imitano la brutalità dello stato, sono invariabilmente i non rappresentati che sono marchiati da terroristi. Lo stesso Ocalan descrive quel vergognoso periodo come un periodo di “bande all’interno della nostra organizzazione e aperto banditismo [che]organizzarono operazioni inutili e pericolose, mandando alla morte giovani a frotte.”
Correnti anarchiche nella lotta
Come ulteriore segnale che sta abbandonando i suoi percorsi marxisti-leninisti, il PKK ha recentemente comincia a mostrare esplicite aperture all’internazionalismo anarchico, persino conducendo un seminario presso la Riunione Internazionale sull’Anarchismo a St. Imier, Svizzera, nel 2012 che ha causato confusione, sconcerto e dibattiti in rete, ma che è andato largamente ignorato dalla più ampia stampa anarchica.
Janet Biehl, la vedova di Bookchin, è uno dei pochi anarchici a studia il KCK sul campo e ha scritto estesamente delle proprie esperienze sul sito New Compass, anche condividendo interviste con radicali curdi coinvolti nelle attività quotidiani delle assemblee democratiche e delle strutture federali e anche traducendo e pubblicando il primo studio anarchico a livello di libro sul tema: Democratic Autonomy in North Kurdistan: The Council Movement, Gender Liberation, and Ecology (2013) [Autonomia democratica nel Kurdistan settentrionale: il movimento dei consigli, liberazione di genere ed ecologia].
L’unica altra voce anarchica a esprimersi in inglese è il Forum Anarchico del Kurdistan (KAF), un gruppo pacifista di curdi iracheni residenti in Europa che afferma di “non avere alcun rapporto con altri gruppi di sinistra”. Pur appoggiano un Kurdistan federato, il KAF dichiara che appoggerà “il PKK solo quando rinuncerà completamente alla lotta armata, si impegnerà nell’organizzare movimenti di base popolari di massa al fine di realizzare le richieste sociali del popolo, denuncerà a smantellerà il modi gerarchici e centralizzati di lotta e passerà invece a gruppi locali autonomi federati, porrà fine a tutte le relazioni e gli accordi con stati del Medio Oriente e dell’occidente, denuncerà la politica del potere carismatico e si convertirà all’anti-statismo e all’antiautoritarismo; solo allora saremo felice di collabora pienamente con esso.”
Bookchin seguito alla lettera
Quel giorno (pacifismo a parte) potrebbe non essere troppo lontano. Il PKK/KCK pare seguire alla letteral’ecologia sociale di Bookchin, in quasi tutto fino alla, e compresa, sua contraddittoria partecipazione all’apparato statale attraverso le elezioni, proprio come prescritto dalla letteratura.
Come scrivono Joost Jongerden e Ahmed Akkaya “il lavoro di Bookchin distingue tra due idee di politica: il modello ellenico e quello romano”, cioè democrazia diretta e democrazia rappresentativa. Bookchin considera la sua forma di neo-anarchismo come rinascita pratica dell’antica rivoluzione ateniese. Il ‘modello di Atene esiste come corrente contraria e sotterranea, trovando espressione nella Comune di Parigi del 1871, nei consigli (sovietici) della primavera della rivoluzione in Russia del 1917, e nella Rivoluzione Spagnola del 1936’”.
Il comunalismo di Bookchin include un approccio in tre fasi:
1. Dar potere alle municipalità esistenti attraverso la legge in un tentativo di rendere locali il potere decisionale.
2. Democratizzare tali municipalità attraverso assemblee della base.
3. Unire le municipalità “in reti regionali e confederazioni più vaste … lavorando sostituire gradualmente gli stati-nazione con confederazioni municipali”, assicurando contemporaneamente che i livelli “più alti” di confederazione abbiano funzioni principalmente di coordinamento e amministrative”.
4. “Unire movimenti sociali progressisti” per rafforzare la società civile e creare “un punto focale comune per tutte le iniziative e i movimenti dei cittadini”: le assemblee. Questa cooperazione non è [esaminata] “perché ci aspettiamo di vedere sempre un consenso armonioso ma – al contrario – perché crediamo nel dissenso e nella riflessione. La società si sviluppa attraverso dibattiti e conflitti”. Inoltre le assemblee devono essere laiche, “combattendo le influenze religiose sulla politica e sul governo” e un’”arena di lotta di classe”.
5. Al fine di realizzare la loro visione di una “società senza classi, basata sul controllo politico collettivo sui mezzi di produzione socialmente importanti”, sono necessarie la “municipalizzazione dell’economia” e una “allocazione confederale delle risorse per garantire equilibrio tra le regioni”. In parole povere ciò corrisponde a una combinazione di autogestione operaia e di pianificazione partecipativa per soddisfare i bisogni sociali: economia anarchica classica.
Nelle parole di Eirik Eiglad, già curatore di Bookchin e analista del KCK:
Di particolare importanza è la necessità di combinare le idee dei movimenti femministi ed ecologisti progressisti con i nuovi movimenti urbani e le iniziative dei cittadini nonché con i sindacati e le cooperative e i collettivi locali … Crediamo che le idee comunaliste di una democrazia a base assembleare contribuiranno a rendere possibile questo scambio progressista di idee su base più permanente e con conseguenze politiche più dirette. Tuttavia il comunalismo non è soltanto un modo tattico per unire questi movimenti radicali. Il nostro appello alla democrazia municipale è un tentativo di portare la ragione e l’etica al primo posto nel dibattito pubblico.
Per Ocalan il confederalismo democratico significa una “società democratica, ecologica, liberata quanto ai generi” o semplicemente “una democrazia senza lo stato”. Egli contrappone esplicitamente la “modernità capitalista” alla “modernità democratica”, in cui “i tre elementi fondamentali [della prima], capitalismo, stato-nazione e industrialismo” sono sostituiti da una “nazione democratica, economia comunalista e industria ecologica”. Ciò implica “tre progetti: uno per una repubblica democratica, uno per un confederalismo democratico e uno per l’autonomia democratica”.
Il concetto di “repubblica democratica” si riferisce essenzialmente a  ottenere per i curdi i diritti civili e di cittadinanza a lungo negati, tra cui la possibilità di parlare e insegnare liberamente la propria lingua. L’autonomia democratica e il confederalismo democratico si riferiscono entrambi alle “capacità autonome del popolo, una forma di struttura politica più diretta e meno rappresentativa”.
Contemporaneamente Jongerden e Akkaya fanno notare che “il modello del libero municipalismo mira a realizzare un organismo amministrativo partecipativo dal basso, da livelli locali e provinciali”. Il “concetto di libero cittadino (ozgur yarttas) [ne]è il punto di partenza” che “include libertà civili fondamentali, come la libertà di parola e di organizzazione”. L’unità centrale del modello è l’assemblea di quartiere o i “consigli”, con i due termini che sono usati come interscambiabili.
Nei consigli c’è partecipazione popolare, anche di non curdi, e mentre le assemblee di quartiere sono forti in varie province, “a Diyarbakir, la più grande città del Kurdistan turco, ci sono assemblee quasi dovunque”. Altrove, “nelle province di Hakkari e Sirnak  … ci sono due autorità parallele [il KCK e lo stato], delle quali, nella pratica, la più forte è la struttura democratica confederale”. Il KCK in Turchia “è organizzato a livello di villaggio (koy), di quartiere urbano (mahalle), di distretto (ilçe), di città (kent) e di regione (bolge), chiamata “Kurdistan settentrionale”.
Il livello “più alto” di federazione nel Kurdistan settentrionale. Il DTK (Congresso della Società Democratica) è un insieme di delegati dalla base dei propri pari con mandati suscettibili di revoca, con ne costituisce il 60 per cento, e di rappresentanti di “più di cinquecento organizzazioni delle società civile, sindacati e partiti politici” che costituiscono sino al 40 per cento, di cui circa il 6 per cento è “riservato a rappresentanti di minoranze religiose, studiosi o altri con particolari competenze”.
La composizione percentuale del 40 per cento di quelli che sono similmente delegati da gruppi direttamente democratici, non statali della società civile paragonata a quelli che sono burocrati non eletti o eletti da partiti non è chiara. La sovrapposizione di individui tra movimenti curdi indipendenti e partiti politici curdi, così come l’interiorizzazione di numerosi aspetti della procedura della democrazia diretta da parte di questi partiti, complica ulteriormente la situazione. L’opinione comune informale dei testimoni, tuttavia, è che la maggior parte del processo decisionale è direttamente democratica attraverso una soluzione o l’altra; che la maggior parte di queste decisioni sono prese a livello di base; e che le decisioni sono attuate dal basso in accordo con la struttura federale.
Poiché le assemblee e il DTK sono coordinati dall’illegale KCK, di cui fa parte il PKK, sono considerati terroristi dalla Turchia e, per associazione,  dalla cosiddetta comunità internazionale (UE, Stati Uniti e altri). Il DTK sceglie anche i candidati del BDP filo-curdo (Partito della Pace e Democrazia)  al parlamento turco, che a sua volta propone “autonomia democratica” per la Turchia in un qualche genere di combinazione di democrazia rappresentativa e diretta. In linea con il modello federale, propone la creazione di circa 20 regioni autonome che amministrerebbero direttamente (secondo il modello anarchico, non quello svizzero) “istruzione, sanità, cultura, agricoltura, industria, servizi e sicurezza sociale, problemi femminili, giovani e sport”, con lo stato che continua a occuparsi di “affari esteri, finanza e difesa”.
La rivoluzione sociale decolla
Sul campo, nel frattempo, la rivoluzione è già iniziata.
Nel Kurdistan turco c’è un movimento indipendente d’istruzione di “accademie” che tiene forum di discussione e seminari nei quartieri. C’è la Via della Cultura dove Abdullah Demirbas, sindaco della municipalità Sur di Amed celebra “la diversità delle religioni e dei sistemi di credenze”, dichiarando che “abbiamo cominciato a restaurare una moschea, un chiesa cattolica caldea-aramaica, una chiesa ortodossa armena e una sinagoga ebraica”. Altrove, riferiscono Jongerden e Akkaya, “le municipalità DTP hanno avviato un ‘servizio municipale multilingue’ che ha suscitato un acceso dibattito. I cartelli municipali sono eretti in curdo e turco e i negozianti locali hanno seguito l’esempio”.
La liberazione delle donne è perseguita dalle donne stesse attraverso l’iniziativa del Consiglio delle Donne del DTK, facendo valere nuove regole come la “quota di genere del quaranta per cento” nelle assemblee. Se un dipendente pubblico malmena la propria moglie il suo salario è trasferito direttamente alla sopravvissuta per la sua sicurezza finanziaria e perché lo utilizzi come crede. “A Gewer, se un marito prende una seconda moglie, metà del suo patrimonio passa alla prima”.
Ci sono ‘Villaggi della pace’, comunità nuove o trasformate di cooperative, che attuano il proprio programma del tutto indipendentemente dai limiti logistici della guerra curdo-turca.  La prima di tali comunità è stata creata nella provincia di Hakkari, al confine con Iraq e Iran, dove “numerosi villaggi” hanno aderito all’esperimento. Nella provincia di Van è in costruzione un “villaggio ecologico femminile” per ospitare le vittime di violenze domestiche, autonomo “per tutta o quasi tutta l’energia necessaria”.
Il KCK tiene assemblee biennali nelle montagne con centinaia di delegati da tutti i quattro paesi, con la minaccia dello Stato Islamico al Kurdistan autonomo meridionale e occidentali ai primi posti nell’agenda. I partiti iraniani e siriani affiliati al KCK, il PJAK (Partito della Vita Libera in Kurdistan) e il PYD (Partito dell’Unione Democratica) promuovono anch’essi il confederalismo democratico. Il partito KCK iracheno , il PCDK (Partito per una Soluzione Democratica in Kurdistan), è relativamente irrilevanti, con il Partito del Kurdistan Democratico, centrista, e il suo leader Massoud Barzani, presidente del Kurdistan iracheno, che solo recentemente lo sta decriminalizzando e cominciando a tollerarlo.
Nelle aree montane più a nord del Kurdistan iracheno, dove vive la maggioranza dei guerriglieri del PKK e del PJAK, tuttavia, fioriscono la letteratura e le assemblee radicali, con l’integrazione tra i molti curdi delle montagne che prosegue dopo decenni di esilio. In settimane recenti, questi militanti sono scesi dalle montagne più a nord per combattere al fianco dei peshmerga iracheni contro l’ISIS, salvando 20.000 yazidi e cristiani dei Monti Sinjar e visitati da Barzani in una pubblica dimostrazione di gratitudine e solidarietà, con grande imbarazzo di Turchia e Stati Uniti.
Il PYD siriano ha seguito la guida del Kurdistan Turco nella trasformazione rivoluzionaria della regione autonoma sotto il suo controllo dallo scoppio della guerra civile. Dopo “ondate di arresti” sotto la repressione baatista, con “10.000 persone incarcerate, tra cui sindaci, leader locali di partito, deputati, quadri e attivisti … le forze del PYD curdo hanno cacciato il regime Baath nella Siria settentrionale, o Kurdistan occidentale, [e] sono spuntati dovunque consigli locali”. Sono stati improvvisati comitati di autodifesa per offrire “sicurezza dopo il crollo del regime baath”, ed è stata fondata “la prima scuola che insegna in curdo” mentre i consigli sono intervenuti nell’equa distribuzione di pane e benzina.
Nel Kurdistan turco, siriano e, in misura minore, iracheno le donne sono oggi libere di togliersi il velo e fortemente incoraggiate a partecipare alla vita sociale. I vecchi vincoli feudali sono spezzati, le persone sono libere di seguire qualsiasi religione o nessuna, e le minoranze etniche e religiose convivono pacificamente. Se saranno in grado di confinare il nuovo califfato, l’autonomia del PYD nel Kurdistan Siriano e l’influenza del KCK nel Kurdistan iracheno potrebbero far fermentare un’esplosione ancor più profonda di cultura e valori rivoluzionari.
Il 30 giugno 2012 anche il Comitato Nazionale di Coordinamento per il Cambiamento Democratico (NCB), la più vasta coalizione rivoluzionaria di sinistra in Siria di cui il PYD è il gruppo principale, ha abbracciato “il progetto di autonomia democratica e confederalismo democratico come possibile modello per la Siria”.
Difesa della rivoluzione curda dall’IS
La Turchia, nel frattempo, ha minacciato di invadere territori curdi se “saranno create basi terroristiche in Siria” mentre centinaia di combattenti del KCK (PKK compreso) da tutto il Kurdistan attraversano il confine per difendere Rojava (l’occidente) dall’avanzata dello Stato Islamico. Il PYD denuncia che il governo islamista moderato della Turchia è già impegnato in una guerra per procura contro di esso agevolando i trasferimenti di jihadisti internazionali attraverso il confine per combattere a fianco degli islamisti.
Nel Kurdistan iracheno Barzani, i cui guerriglieri combatterono al fianco della Turchia contro il PKK negli anni ’90 in cambio di accesso ai mercati occidentali, ha sollecitato un fronte curdo unificato in Siria, mediante un’alleanze con il PYD. Barzani ha infranto l’accordo di Erbil nel 2012 creando il Consiglio Nazionale Curdo, con il leader del PYD Salih Muslim che conferma che “tutte le parti sono serie e determinate a continuare a collaborare”.
Tuttavia, anche se lo studio e la pratica delle idee socialiste libertarie presso la dirigenza e la base del KCK sono indubbiamente uno sviluppo positivo, resta da vedere quanto seri siano nel rinunciare al loro passato autoritario sanguinario. La lotta curda per l’autodeterminazione e la sovranità culturale e un raggio di luce tra le nuvole scure che si accumulano sullo Stato Islamico e sulle guerre inter-fasciste sanguinose tra l’islamismo, il baatismo e il settarismo religioso che gli hanno dato origine.
Una rivoluzione pan-curda socialmente progressista e laica con elementi socialisti libertari che unisca i curdi siriani e iracheni e rinvigorisca le lotte turche e iraniane può ancora essere una prospettiva. Nel frattempo quelli di noi che danno valore all’idea di civiltà debbono gratitudine ai curdi, che stanno combattendo i jihadisti del fascismo islamista giorno e notte al fronte in Siria e in Iraq, difendendo con le loro vite valori democratici radicali.
“I curdi non hanno altri amici che le montagne”.
- Proverbio curdo