mercoledì 21 gennaio 2015

Dal Caos all'Internazionale

Luciano Granieri


Quando il  processo di degrado della rappresentanza, arriva ad un punto di non ritorno, tanto da escludere i cittadini dal processo democratico,  l’aggettivo “partecipato/a”  diventa inflazionato in molti discorsi e ragionamenti inerenti la politica. Inutile negarlo la deriva autoritaria che si sta materializzando  attraverso le riforme di Renzi  e Berlusconi - attraverso   una legge elettorale dove la Camera sarà infarcita di “nominati” e un’ antidemocratica sterilizzazione  del Senato, non  più elettivo,  ma  composto egualmente  da “nominati” provenienti degli enti locali - pone con forza la questione della rappresentanza , se non addirittura  della partecipazione  politica . 

L’aggettivo partecipato/a ha qualificato diversi  elementi relativi alle dinamiche di governo della Cosa Pubblica o anche ad altre branche delle attività sociali. Dal bilancio partecipato di una comunità, alla gestione partecipata di beni e servizi inerenti la collettività,  all’urbanistica partecipata, al giornalismo partecipativo,  fino al sommo concetto di democrazia partecipata.  Alla fine degli anni ’90 e agli inizi del 2000, la democrazia partecipata si era proposta  prepotentemente nel progetto di governo di una società . Un movimento importante era riuscito ad imporsi, all’attenzione mondiale.  Ma, come è noto, per l’ èlite politico-finanziaria la partecipazione è da evitare come la peste e si è  scatenata una violenta contro rivoluzione  , in cui  questa imponente galassia di organizzazioni,   o è stato infettata, corrotta e inglobata  dal sistema capitalistico, o repressa con la violenza di Stato. 

Non tutti sanno però che negli anni ’70 l’aggettivo partecipato/a avrebbe potuto tranquillamente qualificare la musica. Accadde nel  1976 quando il gruppo degli Area, nell’ultimo concerto del festival del parco Lambro,  tentò un esperimento di “MUSICA PARTECIPATA”. Non una jam session aperta, ma proprio un’esecuzione a cui partecipò tutto il pubblico. In realtà, l’intento  dichiarato era più articolato e ideologicamente connotato.  Si basava, secondo Stratos e compagni,   sull’applicazione del materialismo storico all’estetica del suono per permettere alla dimensione sociale esistente di modificare  la realtà  sonora .   Ma l’esito finale desiderato era proprio quello della partecipazione totale di tutto il pubblico. 

Spieghiamo brevemente come la cosa si sia potuta realizzare tecnicamente.  Durante l’esecuzione del  brano “Caos 1° parte” due fili elettrici, collegati a due oscillatori del sintetizzatore di Paolo Tofani, furono portati in mezzo al pubblico da Patrizio Fariselli. 

Toccando i fili  e prendendosi per mano, o sfiorandosi  fra di loro gli spettatori chiudevano il circuito  e intervenivano con la propria termodinamica sull’intensità e la frequenza del suono emesso dal sintetizzatore. Crearono così una sequenza ritmico sonora su cui poi il gruppo sviluppò la propria improvvisazione. Imporvvisazione che  sfociò  nel tema  de “L’Internazionale” (quelli si che erano compagni veri).  

Ma l’happening non finì lì, perché una ragazza salì sul palco e iniziò a ballare sulle ultime note degli Area.  Altri musicisti si aggiunsero e dettero vita ad una jam session assolutamente improvvisata suonando tamburi, percussioni ed ogni elemento che potesse produrre suono.  Dal Caos, all’Internazionale, alla  jam session aperta, un’evoluzione potente se tradotta in programma politico. Rivoluzione, comunismo, comunitarismo. Bello no?

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