Quando il processo di
degrado della rappresentanza, arriva ad un punto di non ritorno, tanto da
escludere i cittadini dal processo democratico, l’aggettivo “partecipato/a” diventa inflazionato in molti discorsi e
ragionamenti inerenti la politica. Inutile negarlo la deriva autoritaria che si
sta materializzando attraverso le
riforme di Renzi e Berlusconi - attraverso una legge elettorale dove la Camera sarà
infarcita di “nominati” e un’ antidemocratica sterilizzazione del Senato, non più elettivo, ma composto egualmente da “nominati” provenienti degli enti locali - pone con forza la questione della rappresentanza , se non addirittura
della partecipazione politica .
L’aggettivo partecipato/a ha qualificato diversi elementi relativi alle dinamiche di governo
della Cosa Pubblica o anche ad altre branche delle attività sociali. Dal bilancio partecipato di una comunità, alla gestione
partecipata di beni e servizi inerenti la collettività, all’urbanistica partecipata, al giornalismo partecipativo, fino al sommo concetto di democrazia
partecipata. Alla fine degli anni ’90 e
agli inizi del 2000, la democrazia partecipata si era proposta prepotentemente nel progetto di governo di una
società . Un movimento importante era riuscito ad imporsi, all’attenzione
mondiale. Ma, come è noto, per l’ èlite politico-finanziaria la partecipazione è
da evitare come la peste e si è scatenata una violenta contro rivoluzione , in cui questa imponente galassia di organizzazioni, o è
stato infettata, corrotta e inglobata dal sistema capitalistico, o repressa con la violenza
di Stato.
Non tutti sanno però che negli anni ’70 l’aggettivo partecipato/a avrebbe
potuto tranquillamente qualificare la musica. Accadde nel 1976 quando il gruppo degli Area, nell’ultimo
concerto del festival del parco Lambro, tentò un esperimento di “MUSICA PARTECIPATA”.
Non una jam session aperta, ma proprio un’esecuzione a cui partecipò tutto il
pubblico. In realtà, l’intento dichiarato era più articolato e
ideologicamente connotato. Si basava,
secondo Stratos e compagni, sull’applicazione del materialismo storico all’estetica
del suono per permettere alla dimensione sociale esistente di modificare la realtà sonora . Ma l’esito finale desiderato era proprio
quello della partecipazione totale di tutto il pubblico.
Spieghiamo brevemente
come la cosa si sia potuta realizzare tecnicamente. Durante l’esecuzione del brano “Caos 1° parte” due fili elettrici, collegati a due oscillatori del sintetizzatore di Paolo Tofani, furono portati
in mezzo al pubblico da Patrizio Fariselli.
Toccando i fili e prendendosi per mano, o sfiorandosi fra di loro gli spettatori chiudevano il
circuito e intervenivano con la propria
termodinamica sull’intensità e la frequenza del suono emesso dal
sintetizzatore. Crearono così una sequenza ritmico sonora su cui poi il gruppo
sviluppò la propria improvvisazione. Imporvvisazione che sfociò nel tema de “L’Internazionale” (quelli si che erano
compagni veri).
Ma l’happening non finì
lì, perché una ragazza salì sul palco e iniziò a ballare sulle ultime note
degli Area. Altri musicisti si aggiunsero
e dettero vita ad una jam session assolutamente improvvisata suonando tamburi,
percussioni ed ogni elemento che potesse produrre suono. Dal Caos, all’Internazionale, alla jam session aperta, un’evoluzione potente se
tradotta in programma politico. Rivoluzione, comunismo, comunitarismo. Bello
no?
Nessun commento:
Posta un commento