Questa è una storia di ordinaria disperazione. Alla fine degli anni ’90 il lungo e devastante
percorso della grande industrializzazione nel nostro territorio si avviava all’epilogo. Grandi aziende e multinazionali, facevano
incetta dei contributi pubblici, messi a disposizione della cassa del mezzogiorno, per colonizzare la nostra Provincia. Una volta sfruttati, fino all’ultimo
centesimo ingenti quantità di denaro pubblico, la grande industria, così
invocata e idolatrata, toglieva le tende per cercare altrove altri polli
pubblici da spennare.
L’abbandono pianificato da questi squali, con le tasche
piene del denaro dei contribuenti, lasciava sul terreno la disperazione dei
lavoratori licenziati e il deserto di un territorio defraudato della sua originaria vocazione agricola, sacrificata sull’altare della grande speculazione fondiaria
e finanziaria.
Colpiti da sindrome di Keynes, ci si inventava la formula dei
lavoratori socialmente utili (LSU). I lavoratori spremuti e abbandonati dalle aziende
private, venivano riutilizzati per
svolgere attività in favore delle città e delle Province. A loro erano
demandati i servizi di pubblica utilità fra i quali, la manutenzione dell’arredo
urbano, delle strade, dei parchi, i
servizi cimiteriali, la mobilità scolastica e la cura dei disabili. Attività
importanti molte vote di grande responsabilità e pagati con un piatto di
lenticchie.
Gli enti locali, i Comuni e
le Province in particolare, hanno avuto nella loro disponibilità mano d’opera
gratuita per svolgere una serie infinita di servizi risparmiando ragguardevoli
somme di denaro. Infatti per un lungo
periodo questi lavoratori sono stati
retribuiti per metà dallo Stato,
attraverso il fondo nazionale per la disoccupazione, per metà dalla Regione.
Nello specifico, dal 1997 al 2007 una buona parte degli operali lasciati per
strada dalla voracità delle multinazionali sbarcate a bivaccare in Provincia, hanno messo a disposizione le
proprie professionalità a favore dei cittadini di Frosinone, Alatri, e della
Provincia di Frosinone, senza che questi
enti sborsassero una lira per il loro salario .
Nel 2007, secondo il programma dedicato ai lavoratori socialmente utili, gli
enti beneficiari hanno dovuto costituire una società in-house per stabilizzare questi operai e
accollarsi il relativo onere contributivo sollevando lo Stato e la Regione. E’ nata così la Multiservizi Spa i cui soci (Comune di Frosinone, Provincia di
Frosinone, Comune di Alatri) avrebbero dovuto pagare quegli stessi addetti che per
dieci anni avevano contribuito al benessere dei proprio concittadini.
C’è da
rimarcare, inoltre, che fra sgravi contributivi e agevolazioni fiscali gli azionisti della Multiservizi hanno continuato ad usufruire quasi gratuitamente dell’opera di questi la
lavoratori. A partire dal 2010, quando l’onere è definitivamente passato agli
enti soci questi si sono trovati in una posizione economicamente invidiabile. La società riceveva commesse esclusivamente dei suoi azionisti, con la perpetua assicurazione del lavoro,
senza concorrenza alcuna e zero possibilità di fallimento.
Ma si sa
la longa manus dei comitati elettorali che gestiscono le amministrazioni
locali è più spietata delle multinazionali private. Immediatamente la
Multiservizi spa diventava il verdeggiante campo dove pascolare le mandrie clientelari. La dirigenza della società
diventava ipertrofica con un consiglio di amministrazione funzionale a pagare laute cambiali elettorali. Crebbe un
conglomerato di manager e amministratori dallo stipendio iperbolico, (250mila
euro annui per presidente e consiglio di amministrazione), la cui
retribuzione era pari alla loro incapacità.
Non è un caso che una parte
del debito della Multiservizi (156mila
euro) si sia determinato per le cantonate amministrative prese da lor signori. E mentre i costi di gestione aumentavano
vertiginosamente per alimentare le clientele, gli enti soci (Provincia e Comune di Frosinone, Comune di Alatri) pensavano bene di sotto pagare i servizi, di corrispondere il corrispettivo dovuto in enorme
ritardo, producendo così un debito pari al 40% di una somma complessiva stimata in 9.319.000 euro. Un salasso così ripartito: 1 milione800 mila euro per la
Provincia di Frosinone, più o meno altrettanto per il Comune capoluogo, 1
milione per il Comune di Alatri, 4 milioni e mezzo per la Regione.
In questo
perverso meccanismo, sono rimasti incastrati proprio quei lavoratori per la
cui salvaguardia del posto di lavoro tutto il progetto era stato
pensato. 306 addetti venivano messi in cassa integrazione e quindi
licenziati fino all’epilogo del fallimento della società decretato dal tribunale fallimentare il 27
gennaio del 2015.
Nel frattempo gli enti
hanno provveduto a foraggiare ulteriormente il proprio bestiame elettorale
attraverso l’affidamento dei servizi, precedentemente svolti dai lavoratori licenziati, a
cooperative amiche, amiche degli amici, secondo una modalità, poco trasparente,
più onerosa per la comunità. L’altra ha riguardato la forma del fallimento,
parametrato, su una tipologia di società, non rispondente alle caratteristiche
della Multiservizi, ma utile a sollevare gli enti, primi responsabili dello
sfascio, da ogni addebito. E soprattutto funzionale a non pagare i risarcimenti e le indennità ai lavoratori
licenziati.
Un epilogo drammatico ma che apre un’opportunità. L’attuale situazione di crisi del mercato
basato sulla compravendita delle merci, ha reso fortemente appetibili le
opportunità di profitto fornite dalla gestione dei servizi. Ecco perché la
speculazione privata sta investendo sempre maggiori risorse sull’acquisizione
di queste attività.
Quindi una società
di servizi che un fallimento pilotato
ha reso pulita da debiti, può tornare appetibile per il profitto privato. Pare
che una società privata si sia proposta per la compartecipazione del 50% al
capitale di una new company che possa assorbire gli addetti licenziati. Le mire
di una tale compartecipazione privata sono tristemente note e non propriamente
favorevoli ai lavoratori, ma intanto uno
spiraglio si è aperto, e se ciò è avvenuto lo si deve alla caparbia lotta di donne e uomini che da più di 300 giorni resistono per protesta sotto una
tenda davanti al Comune. La lotta paga?
Forse si ma è necessario tenere alta la guardia affinchè non vada in scena l’ennesima triste storia di
speculazione costruita sulla pelle dei lavoratori.
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