Fabiana Stefanoni
Il 5 maggio è sciopero generale della scuola. Una data che unisce le mobilitazioni degli insegnanti (e di tutto il personale della scuola) con quelle degli studenti. Una giornata di lotta importante che però, per essere realmente incisiva, non deve limitarsi a un'azione meramente simbolica. Il governo Renzi, sordo a qualsiasi rivendicazione della classe lavoratrice, ha già dimostrato, in occasione delle mobilitazioni dello scorso autunno contro il Jobs Act, di non avere alcuna intenzione di fare passi indietro rispetto alle politiche di austerity. Ciò che serve è allora un'azione prolungata e incisiva, che imponga il ritiro dei piani del governo.
Ma quale "Buona scuola"...
"Renzi ha fatto in 11 mesi quello che non è stato fatto in anni interi. Lasciamolo lavorare, non ostacoliamolo". Sono parole di Sergio Marchionne, che, non a caso, loda l'operato del governo Renzi. Prima lo smantellamento definitivo dell'articolo 18, ora la privatizzazione e aziendalizzazione dell'istruzione: i padroni hanno buone ragioni per cantare vittoria. Nessun governo, fino ad oggi, aveva fatto tanto per loro.
Ma che cosa prevede il Disegno di Legge sulla scuola che piace tanto a Marchionne e Confindustria? Sintetizzando, il modello autoritario già sperimentato in Fiat viene applicato anche al sistema dell'istruzione, favorendo le logiche aziendali e depotenziando la partecipazione dei lavoratori e degli studenti nella definizione dei percorsi didattici.
Di fatto, i dirigenti scolastici si trasformano in sceriffi, in grado di decidere il bello e cattivo tempo degli istituti a loro assegnati. Le tante sbandierate assunzioni dei precari della scuola avverranno su chiamata diretta dei dirigenti, che potranno scegliere chi chiamare e chi no: sappiamo bene cosa questo significhi in termini di logiche clientelari e favoritismi. Non solo: i dirigenti potranno anche disporre delle vite dei loro dipendenti, decidendo in modo totalmente discrezionale chi premiare e chi invece penalizzare.
Gli istituti collegiali degli insegnanti saranno ridotti a meri organismi consultivi, mentre si creerà una sorta di organismo direttivo - costituito dal dirigente e da pochi accoliti - che, in cambio di qualche piccolo privilegio stipendiale, potrà assumere tutte le decisioni relative alla didattica e al finanziamento della scuola. L'ingerenza dei privati diventerà sempre più pesante, soprattutto considerando che non vengono stanziate risorse pubbliche per soddisfare il fabbisogno delle scuole.
Tutto questo mentre aumentano i finanziamenti pubblici alle scuola private - che in Italia sono a larga maggioranza gestite dalla Chiesa cattolica - e il Contratto nazionale degli insegnanti non viene rinnovato dal 2006 (le buste paga degli insegnanti italiani sono tra le più basse d'Europa).
"Renzi ha fatto in 11 mesi quello che non è stato fatto in anni interi. Lasciamolo lavorare, non ostacoliamolo". Sono parole di Sergio Marchionne, che, non a caso, loda l'operato del governo Renzi. Prima lo smantellamento definitivo dell'articolo 18, ora la privatizzazione e aziendalizzazione dell'istruzione: i padroni hanno buone ragioni per cantare vittoria. Nessun governo, fino ad oggi, aveva fatto tanto per loro.
Ma che cosa prevede il Disegno di Legge sulla scuola che piace tanto a Marchionne e Confindustria? Sintetizzando, il modello autoritario già sperimentato in Fiat viene applicato anche al sistema dell'istruzione, favorendo le logiche aziendali e depotenziando la partecipazione dei lavoratori e degli studenti nella definizione dei percorsi didattici.
Di fatto, i dirigenti scolastici si trasformano in sceriffi, in grado di decidere il bello e cattivo tempo degli istituti a loro assegnati. Le tante sbandierate assunzioni dei precari della scuola avverranno su chiamata diretta dei dirigenti, che potranno scegliere chi chiamare e chi no: sappiamo bene cosa questo significhi in termini di logiche clientelari e favoritismi. Non solo: i dirigenti potranno anche disporre delle vite dei loro dipendenti, decidendo in modo totalmente discrezionale chi premiare e chi invece penalizzare.
Gli istituti collegiali degli insegnanti saranno ridotti a meri organismi consultivi, mentre si creerà una sorta di organismo direttivo - costituito dal dirigente e da pochi accoliti - che, in cambio di qualche piccolo privilegio stipendiale, potrà assumere tutte le decisioni relative alla didattica e al finanziamento della scuola. L'ingerenza dei privati diventerà sempre più pesante, soprattutto considerando che non vengono stanziate risorse pubbliche per soddisfare il fabbisogno delle scuole.
Tutto questo mentre aumentano i finanziamenti pubblici alle scuola private - che in Italia sono a larga maggioranza gestite dalla Chiesa cattolica - e il Contratto nazionale degli insegnanti non viene rinnovato dal 2006 (le buste paga degli insegnanti italiani sono tra le più basse d'Europa).
Giannini fa rima con Gelmini
"Giannini fa rima con Gelmini": è questo uno degli slogan più gridati dai precari della scuola in questi ultimi anni. Ed è uno slogan azzeccato. La ministra dell'istruzione Giannini, all'ombra di un governo a guida Pd, sta portando avanti lo stesso progetto inaugurato dalla Gelmini ai tempi di Berlusconi.
I lavoratori della scuola si ricordano bene che il Pd, ai tempi della controriforma Gelmini, stigmatizzava il taglio di 8 miliardi all'istruzione pubblica voluto da Berlusconi: un taglio che ha comportato il licenziamento di fatto di circa 180 mila precari (in gran parte donne), che hanno visto sfumare per sempre la possibilità di essere assunti a tempo indeterminato. "Il più grande licenziamento di massa della scuola d'Italia", lo aveva ipocritamente definito allora Dario Franceschini.
Fatto sta che oggi il Pd sta sostenendo a spada tratta il proseguimento, o meglio l'ulteriore peggioramento, di quella controriforma. I tagli della Gelmini non sono stati ritirati né nella scuola primaria né in quella secondaria. Alcune materie di insegnamento sono state quasi cancellate, con il conseguente peggioramento sia della condizione lavorativa degli insegnanti sia della qualità dell'istruzione. Gli edifici sono fatiscenti e sono all'ordine del giorno crolli di soffitti e pareti, per non dire cedimenti di intere strutture (con rischi per la vita nelle tante zone sismiche del Paese). Studenti e lavoratori della scuola sanno che basta a volte un forte acquazzone per mettere in crisi gli edifici scolastici. E conoscono fin troppo bene lo spettacolo quotidiano dei secchi o delle bacinelle per raccogliere l'acqua piovana che gocciola dai soffitti...
"Giannini fa rima con Gelmini": è questo uno degli slogan più gridati dai precari della scuola in questi ultimi anni. Ed è uno slogan azzeccato. La ministra dell'istruzione Giannini, all'ombra di un governo a guida Pd, sta portando avanti lo stesso progetto inaugurato dalla Gelmini ai tempi di Berlusconi.
I lavoratori della scuola si ricordano bene che il Pd, ai tempi della controriforma Gelmini, stigmatizzava il taglio di 8 miliardi all'istruzione pubblica voluto da Berlusconi: un taglio che ha comportato il licenziamento di fatto di circa 180 mila precari (in gran parte donne), che hanno visto sfumare per sempre la possibilità di essere assunti a tempo indeterminato. "Il più grande licenziamento di massa della scuola d'Italia", lo aveva ipocritamente definito allora Dario Franceschini.
Fatto sta che oggi il Pd sta sostenendo a spada tratta il proseguimento, o meglio l'ulteriore peggioramento, di quella controriforma. I tagli della Gelmini non sono stati ritirati né nella scuola primaria né in quella secondaria. Alcune materie di insegnamento sono state quasi cancellate, con il conseguente peggioramento sia della condizione lavorativa degli insegnanti sia della qualità dell'istruzione. Gli edifici sono fatiscenti e sono all'ordine del giorno crolli di soffitti e pareti, per non dire cedimenti di intere strutture (con rischi per la vita nelle tante zone sismiche del Paese). Studenti e lavoratori della scuola sanno che basta a volte un forte acquazzone per mettere in crisi gli edifici scolastici. E conoscono fin troppo bene lo spettacolo quotidiano dei secchi o delle bacinelle per raccogliere l'acqua piovana che gocciola dai soffitti...
La truffa delle assunzioni
E' da settembre che Renzi e la Giannini fingono di interloquire con insegnanti e studenti in vista dell'approvazione della legge sulla scuola. In realtà, non c'è stato nessun reale dialogo, come dimostra la recente vicenda dei precari e studenti bolognesi a cui è stato impedito di intervenire ad un dibattito con la Giannini alla festa dell'Unità: la loro protesta è stata bollata come "atto squadristico" dalla ministra. Una vera e propria provocazione: dopo che per anni e decenni gli insegnanti precari sono stati utilizzati come tappa-buchi usa e getta, oggi si prendono anche degli squadristi!
La condizione dei precari della scuola in Italia è quasi da romanzo di fantascienza. Nonostante esista una legislazione che impone l'assunzione dei precari dopo 36 mesi di lavoro nella pubblica amministrazione, gli insegnanti nel nostro sistema di istruzione restano precari per decenni. Ogni anno vengono, se va bene, assunti a settembre, per poi, se va bene, essere licenziati a giugno (spesso sono licenziati molto prima). Quindi ci sono i soliti due mesi di disoccupazione (con un assegno sempre più misero che arriva con mesi di ritardo) e poi di nuovo la sempiterna odissea delle supplenze. E, se una volta tutto questo avveniva nella speranza di migliorare in futuro la condizione lavorativa, oggi tutto ciò avviene con la certezza che ogni anno sarà sempre peggio (meno ore di lavoro, scuole sempre più distanti, contratti sempre più spesso a breve o brevissimo termine, stipendi che non arrivano mai, ecc.). Il tutto aggravato dalle recenti leggi finanziarie, che hanno deciso di togliere ai precari persino la monetizzazione delle ferie non godute "per contribuire ai bilanci dello Stato" (un taglio di circa 1000 euro all'anno).
E oggi il governo Renzi che fa? Dopo la sentenza della Corte di giustizia europea, che ha sanzionato l'Italia per l'illegittima reiterazione dei contratti precari, pensa bene di spacciare per assunzione di massa quello che invece sarà un licenziamento di massa. Le centinaia di migliaia di precari che lavorano nella scuola potrebbero essere assunte solo se venissero ritirate le controriforme dell'era berlusconiana: cosa che Renzi non ha nessuna intenzione di fare. Dell'enorme esercito di precari che lavorano nella scuola solamente una piccolissima parte verrà assunta... e sarà assunta su chiamata dei dirigenti scolastici, a seconda delle loro preferenze. Per tutti gli altri non resterà che la disoccupazione... e poi si vedrà.
La parte di precariato che verrà esclusa a priori dal piano di assunzioni è proprio quella a cui in questi anni sono stati chiesti i sacrifici più duri: corsi di abilitazione costosissimi (3000 euro o più) e a frequenza obbligatoria, tirocini, esami di selezione, stipendi pagati con tre mesi di ritardo! Prima sono stati spremuti come limoni per risanare le casse delle facoltà universitarie (a cui il governo ha appaltato i corsi) e adesso ricevono il benservito.
E' da settembre che Renzi e la Giannini fingono di interloquire con insegnanti e studenti in vista dell'approvazione della legge sulla scuola. In realtà, non c'è stato nessun reale dialogo, come dimostra la recente vicenda dei precari e studenti bolognesi a cui è stato impedito di intervenire ad un dibattito con la Giannini alla festa dell'Unità: la loro protesta è stata bollata come "atto squadristico" dalla ministra. Una vera e propria provocazione: dopo che per anni e decenni gli insegnanti precari sono stati utilizzati come tappa-buchi usa e getta, oggi si prendono anche degli squadristi!
La condizione dei precari della scuola in Italia è quasi da romanzo di fantascienza. Nonostante esista una legislazione che impone l'assunzione dei precari dopo 36 mesi di lavoro nella pubblica amministrazione, gli insegnanti nel nostro sistema di istruzione restano precari per decenni. Ogni anno vengono, se va bene, assunti a settembre, per poi, se va bene, essere licenziati a giugno (spesso sono licenziati molto prima). Quindi ci sono i soliti due mesi di disoccupazione (con un assegno sempre più misero che arriva con mesi di ritardo) e poi di nuovo la sempiterna odissea delle supplenze. E, se una volta tutto questo avveniva nella speranza di migliorare in futuro la condizione lavorativa, oggi tutto ciò avviene con la certezza che ogni anno sarà sempre peggio (meno ore di lavoro, scuole sempre più distanti, contratti sempre più spesso a breve o brevissimo termine, stipendi che non arrivano mai, ecc.). Il tutto aggravato dalle recenti leggi finanziarie, che hanno deciso di togliere ai precari persino la monetizzazione delle ferie non godute "per contribuire ai bilanci dello Stato" (un taglio di circa 1000 euro all'anno).
E oggi il governo Renzi che fa? Dopo la sentenza della Corte di giustizia europea, che ha sanzionato l'Italia per l'illegittima reiterazione dei contratti precari, pensa bene di spacciare per assunzione di massa quello che invece sarà un licenziamento di massa. Le centinaia di migliaia di precari che lavorano nella scuola potrebbero essere assunte solo se venissero ritirate le controriforme dell'era berlusconiana: cosa che Renzi non ha nessuna intenzione di fare. Dell'enorme esercito di precari che lavorano nella scuola solamente una piccolissima parte verrà assunta... e sarà assunta su chiamata dei dirigenti scolastici, a seconda delle loro preferenze. Per tutti gli altri non resterà che la disoccupazione... e poi si vedrà.
La parte di precariato che verrà esclusa a priori dal piano di assunzioni è proprio quella a cui in questi anni sono stati chiesti i sacrifici più duri: corsi di abilitazione costosissimi (3000 euro o più) e a frequenza obbligatoria, tirocini, esami di selezione, stipendi pagati con tre mesi di ritardo! Prima sono stati spremuti come limoni per risanare le casse delle facoltà universitarie (a cui il governo ha appaltato i corsi) e adesso ricevono il benservito.
Lo sciopero del 5 maggio: non è che l'inizio!
Da settimane i comitati di lotta dei precari e dei lavoratori della scuola chiedono a gran voce uno sciopero unitario su una piattaforma che preveda il ritiro del Ddl Scuola. La prima azione di sciopero si è avuta il 24 aprile, promossa da alcuni sindacati autonomi della scuola, con la partecipazione attiva di numerosi coordinamenti di precari della scuola e il sostegno dell'area di opposizione interna alla Cgil.
Dopo la grande manifestazione del 18 aprile, anche Cgil, Cisl e Uil si sono decise a proclamare lo sciopero, seppure indicando la data del 5 maggio e ignorando le date di sciopero già in programma. La piattaforma dei sindacati concertativi non è condivisibile, poiché viene richiesta la modifica del Ddl, e non se ne richiede invece con fermezza il ritiro totale (non è da escludersi anzi che, dopo lo sciopero, le burocrazie contrattino col governo qualche insignificante modifica del Ddl, lasciando invariata la sostanza dello stesso). Alcuni sindacati di base (Cobas e Cub) hanno proclamato nello stesso giorno lo sciopero, con una piattaforma più radicale che rivendica il ritiro immediato della controriforma e un reale piano di assunzioni di tutti i precari.
Soprattutto, i coordinamenti di lotta dei precari e degli insegnanti di ruolo di tutta Italia, insieme con i collettivi e i sindacati degli studenti, si stanno preparando a riempire la giornata del 5 maggio di contenuti combattivi.
Occorre essere consapevoli del fatto che dalle burocrazie dei sindacati concertativi non potrà venire alcuna reale risposta di lotta a questo piano di privatizzazione della scuola pubblica. Soprattutto, una giornata di sciopero non basta: occorre un'azione di lotta ad oltranza che, unendosi alle mobilitazioni dei lavoratori degli altri settori, metta realmente il bastone tra le ruote del governo, costringendolo a ritirare i piani di privatizzazione.
Sappiamo che un'azione di questo tipo in Italia è difficile, anche a causa delle leggi antisciopero volute dai sindacati concertativi: leggi liberticide che impediscono l'organizzazione di azioni di sciopero a oltranza nel pubblico impiego e nei servizi cosiddetti essenziali. Ma la storia e anche esempi recenti - come gli scioperi prolungati nel settore dei trasporti - ci dimostrano che, in definitiva, sono i lavoratori in lotta che decidono le regole, e non le leggi o gli accordi scritti a tavolino da padroni e burocrati sindacali.
Oggi più che mai serve, sia nel pubblico che nel privato, una mobilitazione unitaria e prolungata che respinga tutte le politiche di austerity e di privatizzazione, dalla scuola ai trasporti. La battaglia contro la cattiva scuola renziana deve unirsi alla lotta per il ritiro del Jobs Act e di tutte le misure antioperaie del governo Renzi. Difendere la scuola pubblica significa difendere il diritto dei figli dei lavoratori ad avere un'istruzione: anche per questo la mobilitazione non deve essere settoriale ma quanto più ampia e unitaria possibile.
Da settimane i comitati di lotta dei precari e dei lavoratori della scuola chiedono a gran voce uno sciopero unitario su una piattaforma che preveda il ritiro del Ddl Scuola. La prima azione di sciopero si è avuta il 24 aprile, promossa da alcuni sindacati autonomi della scuola, con la partecipazione attiva di numerosi coordinamenti di precari della scuola e il sostegno dell'area di opposizione interna alla Cgil.
Dopo la grande manifestazione del 18 aprile, anche Cgil, Cisl e Uil si sono decise a proclamare lo sciopero, seppure indicando la data del 5 maggio e ignorando le date di sciopero già in programma. La piattaforma dei sindacati concertativi non è condivisibile, poiché viene richiesta la modifica del Ddl, e non se ne richiede invece con fermezza il ritiro totale (non è da escludersi anzi che, dopo lo sciopero, le burocrazie contrattino col governo qualche insignificante modifica del Ddl, lasciando invariata la sostanza dello stesso). Alcuni sindacati di base (Cobas e Cub) hanno proclamato nello stesso giorno lo sciopero, con una piattaforma più radicale che rivendica il ritiro immediato della controriforma e un reale piano di assunzioni di tutti i precari.
Soprattutto, i coordinamenti di lotta dei precari e degli insegnanti di ruolo di tutta Italia, insieme con i collettivi e i sindacati degli studenti, si stanno preparando a riempire la giornata del 5 maggio di contenuti combattivi.
Occorre essere consapevoli del fatto che dalle burocrazie dei sindacati concertativi non potrà venire alcuna reale risposta di lotta a questo piano di privatizzazione della scuola pubblica. Soprattutto, una giornata di sciopero non basta: occorre un'azione di lotta ad oltranza che, unendosi alle mobilitazioni dei lavoratori degli altri settori, metta realmente il bastone tra le ruote del governo, costringendolo a ritirare i piani di privatizzazione.
Sappiamo che un'azione di questo tipo in Italia è difficile, anche a causa delle leggi antisciopero volute dai sindacati concertativi: leggi liberticide che impediscono l'organizzazione di azioni di sciopero a oltranza nel pubblico impiego e nei servizi cosiddetti essenziali. Ma la storia e anche esempi recenti - come gli scioperi prolungati nel settore dei trasporti - ci dimostrano che, in definitiva, sono i lavoratori in lotta che decidono le regole, e non le leggi o gli accordi scritti a tavolino da padroni e burocrati sindacali.
Oggi più che mai serve, sia nel pubblico che nel privato, una mobilitazione unitaria e prolungata che respinga tutte le politiche di austerity e di privatizzazione, dalla scuola ai trasporti. La battaglia contro la cattiva scuola renziana deve unirsi alla lotta per il ritiro del Jobs Act e di tutte le misure antioperaie del governo Renzi. Difendere la scuola pubblica significa difendere il diritto dei figli dei lavoratori ad avere un'istruzione: anche per questo la mobilitazione non deve essere settoriale ma quanto più ampia e unitaria possibile.
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