domenica 5 giugno 2016

5 giugno 1975, Margherita (Mara) Cagol, membro del comitato esecutivo delle Br moriva colpita a morte da un carabiniere.

Tratto dal libro:  A Viso Aperto, di Renato Curcio e Mario Scialoja. Pubblicato nel 1993 per Monadori

La cascina Spiotta
Renato Curicio, intervistato da Mario Scialoja, ripercorre le drammatiche fasi dell’omicidio della moglie Margherita (Mara)  Cagol.


Margherita Cagol è morta il 5 giugno 1975 alla cascina Spiotta,dove teneva prigioniero l’industriale Vallarino Gancia. Nella sparatoria fu ucciso anche il carabiniere  Giovanni D’Alfonso. Perché avete deciso quel sequestro?
Si è trattato del nostro primo sequestro a scopo di finanziamento. Fino a quel momento i soldi ce li eravamo procurati con le rapine alle banche ….. Ma con l’andare del tempo l’organizzazione era diventata sempre più grossa e le esigenze della clandestinità ancora più complesse e onerose….Gli attacchi  alle banche spesso fruttavano solo piccole somme. Nell’aprile del ’75 ci riunimmo, Margherita, Moretti ed io, in una casa del piacentino per discutere  il da farsi:  pensammo che era venuto il momento di seguire l’esempio dei guerriglieri latino-americani che già da tempo sequestravano gli industriali per finanziarsi.
Come mai avete scelto proprio Villarino Gancia?
Puntammo su Gancia perché con lui potevamo agire in una zona che conoscevamo bene, perché l’operazione non comportava troppe difficoltà, perché era molto ricco e perché ci risultava che avesse finanziato  delle organizzazioni fasciste. Volevamo chiedere un riscatto di circa un miliardo, ma, soprattutto, miravamo ad un sequestro rapido, semplice e il meno rischioso possibile.
Tu hai partecipato all’azione ?
Non facevo parte del gruppo operativo perché ero super ricercato, la polizia aveva le mie foto, non mi potevo spostare con facilità. Avevamo studiato i movimenti di Gancia e stabilito che lo avremmo preso in una strada di campagna che percorreva abitualmente per andare alla “Camillina”, la sua villa-castello di Canelli, vicino ad Asti.  L’azione si svolse il 4 giugno e sis volse senza intoppi. Appena prelevato l’industriale venne caricato su un furgone e portato alla cascina Spiotta, sulle colline di Acqui Terme.
Cosa era la cascina Spiotta?
Un nostro rifugio segreto, molto tranquillo e ben situato: a circa un’ora di macchina da Milano, Torino e Genova. Un antico cascinale di pietra in mezzo alla vigna e agli alberi da frutta, sul cocuzzolo di una collina a pochi chilometri dal borgo di Arzello. Lo aveva scoperto Margherita e comperato per pochi milioni…..Avevamo fatto amicizia con una famiglia di contadini di un cascinale vicino…La figlia, di quindici-sedici anni, veniva spesso a trovarci, ci portava le uova fresche e il latte appena munto. Quando Franceschini ed io eravamo stati arresati e le nostre foto erano apparse su tutti i giornali , nessuno di loro aveva detto niente e così pensammo che potevamo fidarci…Tanto più che l’unica strada di accesso poteva essere controllata dalla casa lungo vari chilometri.
Chi rimase a sorvegliare Gancia?
Margherita e un altro compagno che non posso nominare perché non è stato inquisito per questa operazione. Il sequestro doveva durare al massimo quattro, cinque giorni….Ma la mattina successiva l sequestro ci fu l’irruzione dei carabinieri.
Come mai i carabinieri sono riusciti ad arrivare alla cascina senza essere visti lungo la strada che sale sulla collina?
Per colpa di una tragica disattenzione dovuta alla stanchezza. Il compagno che stava con Margherita  si era addormentato durante il suo turno di guardia.
Tu sai esattamente cosa è successo su nella vostra cascina quella mattina di giugno?
Si, ho ricostruito accuratamente i fatti parlando con il brigatista che si è salvato. Margherita, dopo avermi telefonato, torna alla Spiotta e , siccome è stata di guardia tutta la notte, dice al compagno: “Io adesso vado a riposare, controlla tu dalla finestra con il binocolo, se vedi qualcosa di sospetto avvertimi e ce la filiamo”. Il piano previsto era molto prudente: avevamo studiato le cose in modo da evitare ad ogni costo un conflitto a fuoco e per questo avevamo pensato di poter lasciare  solo due persone a sorvegliare il sequestrato. Se una pattuglia o qualcuno di sospetto si fosse avvicinato alla cascina , Margherita e il compagno dovevano legare ed imbavagliare Gancia abbandonandolo sul posto, correre dietro al dosso del nostro terreno, due minuti a piedi, scendere giù per un pendio e fuggire con un’auto che era stata lasciata apposta  vicino ad uno stradello sterrato. Il fatto che il sequestrato potesse essere liberato era previsto e accettato, proprio perché avevamo deciso di stare lontani da ogni rischio. Dunque Margherita va a dormire, il compagno si apposta davanti alla finestra con il binocolo, ma poco dopo viene preso da un colpo di sonno. E non si accorge che una 127 blu  dei carabinieri sale per la strada comunale , si ferma a controllare qualche cascina lungo il percorso, imbocca il viottolo sterrato  che porta da noi.  Lì doveva esserci un tronco d’albero  messo di traverso per permettere di guadagnare tempo in caso di fuga, ma anche questa precauzione era stata trascurata. I carabinieri arrivano nell’aia. Le finestre della cascina da quella parte sono chiuse, ma vedono due macchine posteggiate sotto il porticato. Capiscono  che c’è qualcuno. Prudenti, spostano a retromarcia la loro auto sul lato dell’edificio bloccando lo stradello d’accesso. Poi cominciano a chiamare e bussare alla porta. Margherita si sveglia di botto. Dalla finestra vede i carabinieri, pensa si tratti di una pattuglia che gira a piedi per la campagna: “Non ti sei accorti di niente, ci sono i carabinieri, che si  fa?” dice al compagno allibito. Dopo un attimo di indecisione stabiliscono di affrontare i militari per tentare di raggiungere le macchine e scappare. I carabinieri, però, insospettiti del fatto che dalla casa non arriva risposta, non si fanno prendere alla sprovvista. Quando Margherita e il compagno si buttano fuori dalla porta con i mitra imbracciati e le bombe a mano Srcm pronte, esplode istantaneo il conflitto a fuoco. I colpi si susseguono a raffica e viene lanciata anche una bomba. Due carabinieri, colpiti gravemente, rimangono a terra. Uno di loro, l’appuntato Giovanni D’Alfonso, morirà pochi giorni dopo; l’altro, Umberto Rocca, perderà un occhio e un braccio. Il terzo scappa per i campi. Margherita ha una leggera ferita al braccio il compagno è illeso. Riescono a salire sulla loro auto, lei parte per prima a tutto gas. Girato l’angolo della casa si trova davanti la 127 dei carabinieri e per non sbatterci contro finisce con le ruote nel fosso. Il compagno che la segue rimane bloccato anche lui. Vengono subito presi sotto tiro da un quarto carabiniere che era stato lasciato di guardia in quel punto. Margherita esce dalla macchina disarmata , il compagno ha invece due Srcm in tasca. Gli viene ordinato di sedersi sul prato con le mani alzate. Sono prigionieri. Il compagno informa Margherita che ha le bombe e propone di tentare la fuga appena il carabiniere che li tiene di mira  si distrae un attimo. Lei è d’accordo. Il carabiniere a un cero punto si allontana di qualche passo per andare alla macchina e sollecitare i soccorsi via  rado. Il compagno si alza di scatto, lancia malamente la bomba che esplode senza fare danni  e si precipita in direzione del bosco. Margherita non è abbastanza veloce: rimane sotto il tiro del carabiniere che preferisce controllare lei piuttosto  che aprire il fuoco contro il fuggiasco. Il  compagno arrivato al riparo, si ferma per capire se è ancora possibile tentare qualcosa. Dopo qualche minuto sente un colpo. Forse anche una raffica di mitra. Si affaccia sul prato, capisce che non c’è più niente da fare e si allontana. I risultati dell’autopsia parlano chiaro. Margherita era seduta con le braccia alzate. Le è stato sparato un solo colpo di pistola sul fianco sinistro, proprio sotto l’ascella. Il classico colpo per uccidere….
La morte di  tua moglie è stata un dramma personale che ha anche modificato il tuo rapporto con la militanza e la lotta armata?
Quell’avvenimento ha cambiato molte cose: non solo per me, ma anche per le Brigate Rosse. Abbiamo per la prima volta vissuto veramente da vicino l’incontro con la morte e con il suo bagaglio di significati. La morte di Margherita, mia moglie, una nostra compagna, un capo colonna, e anche la morte di un carabiniere, padre i famiglia: questo l’epilogo drammatico di un’operazione che avevamo studiato in modo da evitare lo scontro a fuoco. Il grave fallimento ci portò a una durissima autocritica, ma anche alla presa di coscienza che continuare per la nostra strada significava accettare in concreto- e non solo come ipotesi astratta- il peso della morte, sia nel nostro campo che in quello avverso…
“…..E’ caduta combattendo Margherita  Cagol, “Mara”, dirigente comunista e membro del comitato esecutivo delle Brigate Rosse. La sua vita e la sua morte sono un esempio che nessun combattente per la libertà potrà mai dimenticare…Non possiamo permetterci di versare lacrime sui nostri caduti, ma dobbiamo imparare la lezione  di lealtà, coerenza, coraggio ed eroismo….Che tutti i sinceri rivoluzionari onorino la memoria di “Mara” meditando l’insegnamento politico che ha saputo dare con la sua scelta, con la sua vita. Che mille braccia  si protendano per raccogliere il suo fucile! Noi, come ultimo saluto le diciamo: “Mara, un fiore è sbocciato e questo fiore di libertà le Brigate Rosse continueranno a coltivarlo fina alla vittoria.”
Questi sono alcuni passi di un famoso volantino che le Br hanno diffuso il giorno dopo la morte di tua moglie. Un testo anomalo che mischia la commozione umana alla retorica guerrigliera. Lo hai scritto tu personalmente?
Si l’ho scritto io di getto….Il linguaggio che mi è venuto naturale usare esprime due rapporti diversi e contradditori con l’avvenimento: da un lato, la commozione e le tensioni personali, e dall’altro, l’esigenza di inquadrare il fatto nell’ambito politico della lotta armata . E’ vero che si tratta probabilmente dell’unico documento delle Br nel quale alla  freddezza del lessico politico-ideologico si sovrappone l’espressione di emozioni personali…Probabilmente quel volantino può essere letto come un documento cinico e, magari, grottesco. Oppure come un testo che esprime in pieno la contraddittorietà di venti umani in cui la politica e la lotta si fanno anche vita e morte.
Il volantino finisce con la parola “vittoria”: nel 1975 credevi davvero che la vostra lotta armata potesse conquistare un qualche tipo di vittoria?
Non ho mai pensato che lo sbocco vittorioso della lotta armata  dovesse significare la conquista del potere. Ma d’altro canto non ci si batte, come noi abbiamo fatto, pensando di essere per forza sconfitti. Sintetizzando le cose con una formula elementare, posso dire che quella società in cui vivevamo non mi andava assolutamente bene, non volevo a nessun costo accettarla, lottavo per cambiarla. E la parola “vittoria” significava la speranza di riuscire a modificare , almeno in parte lo stato delle cose….
Oggi credo di poter dire che il mio errore di valutazione della politica è stato quello di attribuire un peso eccessivo alla Democrazia Cristiana. Mi sono accorto che il regime teneva bloccata la situazione  era di fatto un blocco di alleanze che coinvolgeva l’intero sistema dei partiti, anche quelli di opposizione. Un’opposizione finta! In realtà, il “cuore dello Stato” che volevamo colpire non era rappresentato solo dalla Dc, ma da tutto il complesso politico-istituzionale che proteggeva se stesso in una continuità di regime. In quella situazione, comunque, per ottenere delle riforme vere si sarebbe dovuto scardinare il blocco e quindi “fare la rivoluzione”. Per ottenere le riforme bisognava armarsi.





1 commento:

  1. Rest in peace dear Mara. Your motivation was Nobel. Your commitment, heroic. You are loved by many. I will travel from California to Cascina Spiotta to place flowers in her memory.

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