domenica 3 luglio 2016

Terrorismo in Bangladesh. Drammatico effetto collaterale

Luciano Granieri



Come si sta nel mondo globalizzato? Bene tutto sommato. 2,7 miliardi di persone vivono con meno di 2,5 $  al giorno. Però  85 super ricchi possiedono l’equivalente di quanto detenuto da metà della popolazione mondiale.  In Africa le grandi multinazionali – in particolare quelle dell’industria mineraria/estrattiva – sfruttano la propria influenza per evitare l’imposizione fiscale, riducendo in tal modo la disponibilità di risorse che i governi potrebbero utilizzare per combattere la povertà.  

Altro vantaggio del mondo globalizzato è che non si pagano le tasse. In molti paesi, i ricchi non solo guadagnano di più, ma sono gravati da minori imposte. Questa conquista di opportunità dei miliardari,  a spese delle classi povere e medie, ha contribuito a creare una situazione in cui, nel mondo, 7 persone su 10 vivono in paesi dove la disuguaglianza è aumentata negli ultimi trent’anni, e dove l’1% delle famiglie del mondo possiede il 46% della ricchezza globale (110.000 miliardi dollari). 

In questo eldorado non sono evitabili alcune seccature, o effetti collaterali. 230 milioni di persone, estromesse dalle loro economie,  o profughi  di guerre scatenate per accaparrarsi risorse energetiche e incrementare il business delle armi, invadono la nostra isola felice, sempre che  riescano a non diventare mangime per i pesci in fondo al mare. Vengono a turbare la nostra serenità di consumatore contento. Bisogna perfino darsi pena di andarli a salvare o di spendere dei soldi per riportare in superficie un’imbarcazione naufragata la cui  stiva potrebbe contenere più di 800 cadaveri. 

Anche in Bangladesh, la globalizzazione offre notevoli opportunità. Il piccolo Paese asiatico, confinante con l’India, presenta  una popolazione  estremamente povera.  Però qui   aziende di abbigliamento a grande distribuzione,  come Walmart, Benetton, ma anche marchi di lusso del calibro di Armani, Ralph Laurent, Hugo Boss, possano trovare degli schiavi disposti a lavorare giorni interi senza mai riposare se non per assolvere  le funzioni fisiologiche. Bambini di 12-14 anni sgobbano in lager malsani  percependo una paga di 2 euro al giorno. Circa un anno fa nella capitale, Dacca, uno di queste fatiscenti prigioni è crollata uccidendo più di  mille bambini che li sotto stavano lavorando. 

E’ dunque assolutamente normale che imprenditori,  manager del tessile, da tutto il mondo globalizzato, giungano in Bangladesh  per aumentare i loro profitti, sfruttando una mano d’opera schiavizzata il cui stipendio medio va  dai 50 ai 68 dollari al mese. Un costo del lavoro che incide solo per lo 0,6% sul prezzo finale è una vera e propria manna. Però anche in questo frangente capita qualche  spiacevole, e in questo caso drammatico, effetto collaterale. L’altro  ieri a Dacca  imprenditori, operatori, per lo più impegnati nel business del  tessile, ospiti del ristorante Holey Artisan Bakery, sono stati vittime di un sanguinoso assalto da parte di un commando di jihadisti. 

20 persone sono state trucidate fra queste 9 erano italiani. Al di la delle motivazioni che hanno mosso i terroristi, resta il fatto che se il Bangladesh non fosse un grande serbatoio di schiavi per la manifattura e l’abbigliamento, molti di quei manager  sarebbero restati a casa. Avrebbero realizzato meno profitti? Certamente, ma forse avrebbero creato posti di lavoro nel proprio Paese e sicuramente avrebbero avuto salva la pelle. 

E’ drammatico forse crudele, cinico, ma i nostri connazionali, più che vittime della furia jihadista, sono stati coinvolti nella  tragica dinamica  di un effetto collaterale. Già perché il mondo globalizzato, la corsa neoliberista, sono ingranaggi  inarrestabili, meravigliosi , ma gli effetti collaterali spesso sono drammatici.

Le vittime.


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