Associazione Nazionale Partigiani d’Italia
Comitato Provinciale di Frosinone
Venerdì 23 settembre è stata una giornata piuttosto
intensa e di mobilitazione su più fronti da parte dell’ANPI provinciale.
Al mattino abbiamo presenziato all’intitolazione del
giardino antistante la biblioteca comunale di Serrone ad Antoio Roazzi,
Partigiano serronese di Bandiera Rossa caduto alle Fosse Ardeatine.
Dopo lo svelamento della targa a ricordo da parte del
Sindaco e del Presidente provinciale dell’ANPI,
alla presenza delle autorità cittadine, del parroco e di alcuni parenti
del Partigiano, la commemorazione è continuata incontrando i ragazzi e le
ragazze delle Terze Medie della scuola statale locale, una trentina di giovani
cui va il nostro ringraziamento per l’accoglienza e l’apprezzamento per
l’attenzione che ci hanno riservato.
Studenti interessati, sebbene si trattassero argomenti
a loro ancora in gran parte ignoti, visto che il loro corso di studi prevede di
affrontarli nella prossima primavera.
A questo proposito, su proposta di una delle
insegnanti che accompagnava le classi, si è deciso di organizzare un nuovo
incontro per la giornata della Memoria o per il 25 Aprile prossimi, in modo da
interloquire meglio con i ragazzi, opportunamente preparati allo scopo.
Serrone ha dato alla lotta di Liberazione anche altri
suoi figli, e con il Sindaco e l’Assessore Damizia si lavorerà per onorarne
degnamente la memoria e farne conoscere il sacrificio ai cittadini più giovani.
Ringraziamo quindi il Sindaco e l’Assessore Antonietta
Damizia, che ha svolto un lavoro davvero encomiabile augurando loro nuovi
successi e restando a disposizione per ogni battaglia di civiltà e di
democrazia.
Nel pomeriggio si è tenuta una partecipata conferenza
sulle ragioni del NO al referendum sulla riforma costituzionale voluta dal
governo.
Ha aperto i lavori una relazione del Presidente
provinciale dell’ANPI sulle origini ed il cammino della nostra Carta costituzionale
sul piano storico-sociale, che ha messo in luce, sia pure nel breve spazio di
una relazione, il rapporti di forza che l’hanno materialmente prodotta e quelli
che l’hanno invece minacciata nei decenni successivi, fino ad oggi. Sono stati
affrontati dalla relazione i nodi dello sviluppo sociale e delle condizioni
politiche sia interne che internazionali di una Costituzione “conquistata”, non
elargita, e quindi suscettibile di tentativi di suo superamento da parte di
diverse forze che via via si sono consolidate nello sviluppo economico
successivo, soprattutto dagli anni ’80 (finanziarizzazione dell’economia,
perdita di importanza del lavoro, fine della rappresentanza e demolizione o
trasformazione delle strutture della partecipazione effettiva quali le
cooperative, il sindacato, i partiti e tutti i corpi intermedi).
Il tema delle riforme – non solo costituzionali – non è
quindi asettico, ed assume nella sua declinazione attuale, almeno a partire
dall’inizio degli anni ’80, una connotazione regressiva nei fatti, registrando
e potenziando l’arretramento dei diritti diffusi, a partire da quelli del
lavoro per allargarsi a quelli delle condizioni materiali di vita delle fasce
subalterne della società (sanità, trasporti, scuola, servizi).
La riforma Boschi rappresenta quindi, anziché la novità
taumaturgica strillata ai quattro venti con slogan ritagliati su quelli della
pubblicità consumistica più che presentata con una chiamata alla riflessione
cosciente, null’altro che la fase avanzata (e purtroppo è facile prevedere non terminale)
di un lavoro che parte da lontano ed è perseguito con impegno e costanza degni
di ben altra causa.
A partire da Licio Gelli e dal suo “Piano di Rinascita
democratica”, che prevedeva ad esempio la cancellazione del contratto nazionale
collettivo di lavoro (CCNL) e dell’art. 18, il bipartitismo, la
differenziazione delle funzioni delle camere, la sottomissione del CSM al
governo, in sostanza il disarmo dei lavoratori e la fine dei contrappesi
istituzionali per l’inaugurazione di un semipresidenzialismo con poteri
pressoché assoluti, ma che non arrivava a teorizzare i livelli di aggressione
alla rappresentanza che invece questa riforma prevede sia in sé che in
combinato con la legge elettorale Italicum.
Questi elementi sono stati dettagliati e messi in
relazione non certo ad una presunta “cattiveria” di un ceto dominante o di una
spuria e raccogliticcia maggioranza governativa, ma di processi storici ed
economici ben definiti e chiaramente leggibili, a patto che lo si voglia.
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