martedì 27 settembre 2016

ANPI Frosinone: una giornata piuttosto intensa e di mobilitazione su più fronti

Associazione Nazionale Partigiani d’Italia

Comitato Provinciale di Frosinone


Venerdì 23 settembre è stata una giornata piuttosto intensa e di mobilitazione su più fronti da parte dell’ANPI provinciale.


Al mattino abbiamo presenziato all’intitolazione del giardino antistante la biblioteca comunale di Serrone ad Antoio Roazzi, Partigiano serronese di Bandiera Rossa caduto alle Fosse Ardeatine.
Dopo lo svelamento della targa a ricordo da parte del Sindaco e del Presidente provinciale dell’ANPI,  alla presenza delle autorità cittadine, del parroco e di alcuni parenti del Partigiano, la commemorazione è continuata incontrando i ragazzi e le ragazze delle Terze Medie della scuola statale locale, una trentina di giovani cui va il nostro ringraziamento per l’accoglienza e l’apprezzamento per l’attenzione che ci hanno riservato.
Studenti interessati, sebbene si trattassero argomenti a loro ancora in gran parte ignoti, visto che il loro corso di studi prevede di affrontarli nella prossima primavera.
A questo proposito, su proposta di una delle insegnanti che accompagnava le classi, si è deciso di organizzare un nuovo incontro per la giornata della Memoria o per il 25 Aprile prossimi, in modo da interloquire meglio con i ragazzi, opportunamente preparati allo scopo.
Serrone ha dato alla lotta di Liberazione anche altri suoi figli, e con il Sindaco e l’Assessore Damizia si lavorerà per onorarne degnamente la memoria e farne conoscere il sacrificio ai cittadini più giovani.
Ringraziamo quindi il Sindaco e l’Assessore Antonietta Damizia, che ha svolto un lavoro davvero encomiabile augurando loro nuovi successi e restando a disposizione per ogni battaglia di civiltà e di democrazia.



Nel pomeriggio si è tenuta una partecipata conferenza sulle ragioni del NO al referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo.
Ha aperto i lavori una relazione del Presidente provinciale dell’ANPI sulle origini ed il cammino della nostra Carta costituzionale sul piano storico-sociale, che ha messo in luce, sia pure nel breve spazio di una relazione, il rapporti di forza che l’hanno materialmente prodotta e quelli che l’hanno invece minacciata nei decenni successivi, fino ad oggi. Sono stati affrontati dalla relazione i nodi dello sviluppo sociale e delle condizioni politiche sia interne che internazionali di una Costituzione “conquistata”, non elargita, e quindi suscettibile di tentativi di suo superamento da parte di diverse forze che via via si sono consolidate nello sviluppo economico successivo, soprattutto dagli anni ’80 (finanziarizzazione dell’economia, perdita di importanza del lavoro, fine della rappresentanza e demolizione o trasformazione delle strutture della partecipazione effettiva quali le cooperative, il sindacato, i partiti e tutti i corpi intermedi).
Il tema delle riforme – non solo costituzionali – non è quindi asettico, ed assume nella sua declinazione attuale, almeno a partire dall’inizio degli anni ’80, una connotazione regressiva nei fatti, registrando e potenziando l’arretramento dei diritti diffusi, a partire da quelli del lavoro per allargarsi a quelli delle condizioni materiali di vita delle fasce subalterne della società (sanità, trasporti, scuola, servizi).
La riforma Boschi rappresenta quindi, anziché la novità taumaturgica strillata ai quattro venti con slogan ritagliati su quelli della pubblicità consumistica più che presentata con una chiamata alla riflessione cosciente, null’altro che la fase avanzata (e purtroppo è facile prevedere non terminale) di un lavoro che parte da lontano ed è perseguito con impegno e costanza degni di ben altra causa.
A partire da Licio Gelli e dal suo “Piano di Rinascita democratica”, che prevedeva ad esempio la cancellazione del contratto nazionale collettivo di lavoro (CCNL) e dell’art. 18, il bipartitismo, la differenziazione delle funzioni delle camere, la sottomissione del CSM al governo, in sostanza il disarmo dei lavoratori e la fine dei contrappesi istituzionali per l’inaugurazione di un semipresidenzialismo con poteri pressoché assoluti, ma che non arrivava a teorizzare i livelli di aggressione alla rappresentanza che invece questa riforma prevede sia in sé che in combinato con la legge elettorale Italicum.
Questi elementi sono stati dettagliati e messi in relazione non certo ad una presunta “cattiveria” di un ceto dominante o di una spuria e raccogliticcia maggioranza governativa, ma di processi storici ed economici ben definiti e chiaramente leggibili, a patto che lo si voglia.

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