venerdì 21 ottobre 2016

Wellcome to Minton's Playhouse

Luciano Granieri



E’ dura per un musicista nero sopravvivere a New York  nel dopoguerra degli anni ‘40.  Le  grandi orchestre ti sfruttano, devi esibirti svendendo il tuo talento alla borghesia bianca. E’ dura per un musicista nero entrare nei locali da una porta secondaria, mentre i tuoi compagni bianchi possono usare l'ingresso  principale. E’ dura per un musicista nero  girovagare per la città  dove è in tournee in cerca di un albergo, anche di ordine infimo, perché non può dormire nello stessa struttura degli orchestrali bianchi. 

Una frustrazione tremenda ti cattura il cervello  e vorresti mandare affanculo tutti quei signori bianchi che ti incitano a soffiare nel tuo strumento mentre loro si dimenano imbolsiti  senza neanche curarsi di quello che stai suonando.  Spesso,  se ti scappa una nota o una sequenza armonica strana, devi pure subire le ire del capo orchestra bianco, o ancora peggio nero zio tomista, che minaccia di licenziarti se continui  a suonare quella specie di musica cinese.  

Per fortuna dentro un paio di sale del  Cecil Hotel, sulla 118° ovest ad Harlem, non lontano da Morning side park, Teddy Hill, un sassofonista che aveva già diretto una sua orchestra al Savoy Balloroom, ha aperto  il Minton’s Playhouse. Un localino niente male, intimo, dove si suona  e si ascoltano dischi. Non c’è  un’orchestra scritturata  . Qui l’uomo bianco non può  dimenarsi al suono dell’esotico solista nero. In quel localino possono  suonare tutti. O meglio tutti coloro che sono  in possesso di talento e disposti a rompere le consuetudini armoniche e melodiche che stanno  portando  alla dissoluzione la musica jazz. 

Ogni  notte  i musicisti neri, ma non solo, dopo essersi umiliati nelle orchestre per tirare su un minimo di salario, si recano  al Minton’s impazienti di  improvvisare ed esprimere tutta la loro creatività. Il via vai è intenso  soprattutto di lunedì, giorno di riposo delle orchestre. Al Minton’s l’improvvisazione è  padrona assoluta. Attorno ad un piccolo nucleo fisso, composto dal batterista Kenny Clarke, dal pianista Thelonius Monk, dal bassista Nick Fenton, e dal trombettista Joe Guy, può   esibirsi ed improvvisare  chiunque sia  dotato di talento. Non è un caso che a questo gruppetto si siano aggiunti  stabilmente Dizzy Gillespie e Charlie Parker.  

Chi  non è  veramente in possesso di una notevole vena   creativa  rischia la brutta figura.  Lo zoccolo duro del Minton’s è  veramente particolare. Kenny Clarke ad un certo  punto decide che  la cassa  e  il rullante della sua batteria sono  troppa roba per segnare il tempo. Due mani e due piedi  asserviti alla scansione del ritmo sono un’esagerazione. Molto meglio dedicare alla causa del timing solo la mano destra sul piatto grande e lasciare liberi piedi e mano sinistra di profondere accenti e controtempi in assoluta libertà . 

Anche il pianista Thelonius Monk è un tipo veramente strano. Uno capace di tirare fuori dal suo pianoforte dei mutamenti armonici assolutamente impensabili, per chiunque si fosse messo dietro  ad una tastiera prima di allora . Dizzy poi suona delle scale velocissime, capaci di stravolgere il tema e ricostruirlo, disarticolando  completamente il rapporto, melodia-armonia. 

Charlie Parker però è più avanti di tutti con il suo sax alto. Lo avevano scovato Monk e Dizzy al Monroe’s un locale in cui si esibiva con l’orchestra di Jay McShann. Clarke rimase impressionato. “Suona della roba   che  non avevamo mai sentito prima, suona  delle frasi che credevo di avere inventato io per la batteria. E’  due volte più veloce di Lester Young e la sua concezione armonica è qualcosa che Lester non si sognava nemmeno” Così il batterista descrisse il suo stupore per Parker  . Per un po’ di dollari Charlie si convinse a trasferirsi da Monk e Dizzy. 

Improvvisazione? Certamente, ma secondo le regole del Minton’s. Gillespie, Monk, Clarke e Guy alcune volte si riuniscono il pomeriggio per inventare progressioni armoniche complicate stilisticamente rivoluzionarie , tali da scoraggiare chiunque non fosse  notevolmente dotato da improvvisarci sopra. I tipi senza talento non sono ammessi. Nonostante tutto il locale è pieno di musicisti pronti a misurarsi con le nuove provocazioni armoniche. Il batterista Max Roach, il contrabbassista Oscar Pettiford, il pianista Bud Powell, il maestro di Dizzy, Roy Eldridge e molti altri  spesso rimangono a deliziare gli appassionati con la loro maestria. 

Ma le cose più strane le suona un ragazzetto con la chitarra. Charlie Christian è il suo nome. Lo  strumento, solitamente  usato come elemento essenzialmente ritmico, nelle mani di Christian diventa un potente propulsore, dispensatore di scale e arpeggi  che lasciano senza fiato. Charlie Christian suona la chitarra in un modo del tutto nuovo, mai ascoltato prima.  

Al  Minton’s non si fa  musica per il pubblico, ma  per il cervello del pubblico. Chi è disposto ad a aprirsi al nuovo linguaggio è bene accetto, chi pretende di divertirsi nell’umiliare il jim crow nero è meglio che cambi strada. Al Minton’s non si cerca l’applauso, non si ammicca al pubblico, anzi di certi soggetti se ne può fare tranquillamente a meno. Eppure nonostante questa ostilità da parte dei musicisti verso un certo tipo di auditorio   il locale è sempre pieno. Soprattutto di lunedì quando dopo  mezzanotte va in scena l” hash and grits nights”. Gli appassionati possono gustare  un manicaretto a base di carne tritata e fiocchi d’avena.  Resta ancora da capire se la gente viene per sentire la musica o mangiare carne e fiocchi d’avena gratis. Un fatto è comunque certo, al Minton’s si sta facendo la rivoluzione. 

Di seguito il quartetto di Thelonius Monk.
Good Vibrations. 


Thelonious Monk, piano
Charles Rouse, tenor sax
Lawrence Gales, bass
Benjamin Riley, drums

Nessun commento:

Posta un commento