E’ dura per un musicista nero sopravvivere a New York nel dopoguerra degli anni ‘40. Le grandi orchestre ti sfruttano, devi esibirti
svendendo il tuo talento alla borghesia bianca. E’ dura per un musicista nero
entrare nei locali da una porta secondaria, mentre i tuoi compagni bianchi
possono usare l'ingresso principale. E’ dura per un musicista nero girovagare per la città dove è in tournee in cerca di un albergo, anche
di ordine infimo, perché non può dormire nello stessa struttura degli orchestrali
bianchi.
Una frustrazione tremenda ti cattura il cervello e vorresti mandare affanculo tutti quei
signori bianchi che ti incitano a soffiare nel tuo strumento mentre loro si dimenano
imbolsiti senza neanche curarsi di
quello che stai suonando. Spesso, se ti scappa una nota o una sequenza armonica
strana, devi pure subire le ire del capo orchestra bianco, o ancora peggio nero
zio tomista, che minaccia di licenziarti se continui a suonare quella specie di musica cinese.
Per fortuna dentro un paio di sale del Cecil Hotel, sulla 118° ovest ad Harlem, non
lontano da Morning side park, Teddy Hill, un sassofonista che aveva già diretto
una sua orchestra al Savoy Balloroom, ha aperto il Minton’s Playhouse. Un localino niente
male, intimo, dove si suona e si ascoltano
dischi. Non c’è un’orchestra scritturata
. Qui l’uomo bianco non può dimenarsi al suono dell’esotico solista nero.
In quel localino possono suonare tutti.
O meglio tutti coloro che sono in
possesso di talento e disposti a rompere le consuetudini armoniche e melodiche
che stanno portando alla dissoluzione la musica jazz.
Ogni notte i
musicisti neri, ma non solo, dopo essersi umiliati nelle orchestre per tirare
su un minimo di salario, si recano al
Minton’s impazienti di improvvisare ed esprimere tutta la loro creatività. Il via vai è intenso soprattutto di lunedì, giorno di riposo delle
orchestre. Al Minton’s l’improvvisazione è padrona assoluta. Attorno ad un piccolo nucleo
fisso, composto dal batterista Kenny Clarke, dal pianista Thelonius Monk, dal
bassista Nick Fenton, e dal trombettista Joe Guy, può esibirsi
ed improvvisare chiunque sia dotato di talento. Non è un caso che a questo gruppetto si siano aggiunti stabilmente Dizzy
Gillespie e Charlie Parker.
Chi non è veramente in possesso di una notevole vena creativa rischia la brutta figura. Lo
zoccolo duro del Minton’s è veramente
particolare. Kenny Clarke ad un certo
punto decide che la cassa e il
rullante della sua batteria sono troppa
roba per segnare il tempo. Due mani e due piedi asserviti alla scansione del ritmo sono un’esagerazione.
Molto meglio dedicare alla causa del timing solo la mano destra sul piatto
grande e lasciare liberi piedi e mano sinistra di profondere accenti e
controtempi in assoluta libertà .
Anche il pianista Thelonius Monk è un tipo
veramente strano. Uno capace di tirare fuori dal suo pianoforte dei mutamenti
armonici assolutamente impensabili, per chiunque si fosse messo dietro ad una tastiera prima di allora . Dizzy poi
suona delle scale velocissime, capaci di stravolgere il tema e ricostruirlo, disarticolando
completamente il rapporto,
melodia-armonia.
Charlie Parker però è più avanti di tutti con il suo sax alto.
Lo avevano scovato Monk e Dizzy al Monroe’s un locale in cui si esibiva con l’orchestra
di Jay McShann. Clarke rimase impressionato. “Suona della roba che non avevamo mai sentito prima, suona delle frasi che credevo di avere inventato io
per la batteria. E’ due volte più veloce
di Lester Young e la sua concezione armonica è qualcosa che Lester non si
sognava nemmeno” Così il batterista descrisse il suo stupore per Parker . Per un po’ di dollari Charlie si convinse a trasferirsi
da Monk e Dizzy.
Improvvisazione? Certamente, ma secondo le regole del Minton’s.
Gillespie, Monk, Clarke e Guy alcune volte si riuniscono il pomeriggio per
inventare progressioni armoniche complicate stilisticamente rivoluzionarie ,
tali da scoraggiare chiunque non fosse notevolmente dotato da improvvisarci sopra. I tipi
senza talento non sono ammessi. Nonostante tutto il locale è pieno di musicisti
pronti a misurarsi con le nuove provocazioni armoniche. Il batterista Max
Roach, il contrabbassista Oscar Pettiford, il pianista Bud Powell, il maestro
di Dizzy, Roy Eldridge e molti altri spesso rimangono a deliziare gli
appassionati con la loro maestria.
Ma le cose più strane le suona un ragazzetto
con la chitarra. Charlie Christian è il suo nome. Lo strumento, solitamente usato come elemento essenzialmente ritmico,
nelle mani di Christian diventa un potente propulsore, dispensatore di scale e
arpeggi che lasciano senza fiato.
Charlie Christian suona la chitarra in un modo del tutto nuovo, mai ascoltato
prima.
Al Minton’s non si fa musica per il pubblico, ma per il cervello del pubblico. Chi è disposto
ad a aprirsi al nuovo linguaggio è bene accetto, chi pretende di divertirsi
nell’umiliare il jim crow nero è meglio che cambi strada. Al Minton’s non si
cerca l’applauso, non si ammicca al pubblico, anzi di certi soggetti se ne può
fare tranquillamente a meno. Eppure nonostante questa ostilità da parte dei
musicisti verso un certo tipo di auditorio il
locale è sempre pieno. Soprattutto di lunedì quando dopo mezzanotte va in scena l” hash and grits
nights”. Gli appassionati possono gustare un manicaretto a base di carne tritata e
fiocchi d’avena. Resta ancora da capire
se la gente viene per sentire la musica o mangiare carne e fiocchi d’avena
gratis. Un fatto è comunque certo, al Minton’s si sta facendo la rivoluzione.
Di seguito il quartetto di Thelonius Monk.
Good Vibrations.
Thelonious Monk, piano
Charles Rouse, tenor sax
Lawrence Gales, bass
Benjamin Riley, drums
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