mercoledì 9 novembre 2016

Trump ha vinto e allora?

Luciano Granieri




Ha- vinto Trump, evviva Trump. I media   italiani asserviti all’establishment  dem si stracciano le vesti prefigurando un futuro di stragi e catastrofi  , in conseguenza della vittoria di Donald Trump alle presidenziali americane.  Uno  scenario  drammatico che   neanche la vittoria del No al referendum costituzionale   potrebbe eguagliare .

Ha vinto Trump, la peggior specie di faccendiere puttaniere. Uno  che  incita all’evasione fiscale, razzista, fascista, maschilista, omofobo. Un ultraliberista egoista, egocentrico  che promette posti di lavoro e sicurezza ai poveracci, ma poi li priva delle più elementari protezioni sociali.  E’ vero, Donald Trump è questo tipo di Presidente, peggio di Reagan, Bush padre e figlio . Ma saranno affari  degli americani, soprattutto per le questioni interne. 

In   politica estera, Obama, Hilary o Donald pari sono. L’intervento in Siria, non l’ha deciso  Trump, men che meno l’aggressione alla Libia.   L’imposizione  al governo italiano affinchè schierasse 140 soldati in Lettonia al confine con la Russia  è opera dell’establishment democratico di Obama. La candidatura della signora Clinton  è stata sostenuta da una variegata coalizione comprendente banchieri, speculatori finanziari,     veterani della guerra fredda di Bush, come Paul Wolfowitz, fino agli sceicchi dell’Arabia Saudita, i migliori clienti delle fabbriche di armi italiane, usate per devastare lo Yemen e armare  le truppe del califfato, senza  contare l’esaltazione dell’alleato israeliano che contraddistingue tanto la Clinton che Trump.

 L’asservimento del Governo italiano all’imperialismo americano rimarrà immutato, indipendentemente da colui che abiterà la casa bianca. Renzi lo ha già precisato. Quindi a noi cosa ci cambia?  Nulla. Anzi, salta quel velo di ipocrisia, proprio dei movimenti riformisti , per cui sotto il  falso perseguimento della giustizia sociale si realizzano politiche di massima tutela al potere delle banche e della speculazione finanziaria. Con Trump, almeno, si ha a che fare  con  un nemico di classe autentico, fautore dichiarato   dell’arricchimento dei miliardari a spese delle classi subalterne.  

In realtà  il problema prioritario   per l’establishment finanziario non era combattere Trump, ma fare in modo che al duello con il lobbista newyorkese   ci arrivasse la Clinton e non il pericolosissimo Bernie Sanders. Il democratico, sfidante di Hilary alle primarie, lungi dall’essere un pericoloso bolscevico, proponeva nel suo programma un minimo di tutele sociali, di redistribuzione del reddito, di salvaguardia dell’ambiente, ma soprattutto era supportato, lui settantacinquenne, da una base giovanile molto numerosa. Una iattura per le banche e un ostacolo per  le libere scorribande dei capitali privati. Ricordiamo come i media  americani e non solo - i giornali italiani hanno pubblicato molto in merito - hanno sollevato forte e chiaro l’allarme che la politica troppo socialista di Sanders avrebbe condotto i democratici ad una sconfitta certa. Con Hilary Clinton, invece, la conquista della Casa Bianca sarebbe stata una formalità vista l’inconsistente  stravaganza di Trump. Come abbiamo constatato  la previsione di politici e osservatori democratici  si è rivelata del tutto errata.  

A proposito dei giornalisti italiani che vedevano in Sanders lo sfidante sconfitto e nella Clinton la sicura trionfatrice su Trump. Oggi questi si disperano , non solo per la deriva razzista e militarista che imboccherà l’America di Trump, ma sottolineano preoccupati come i repubblicani esprimano, oltre che il Presidente, anche la maggioranza assoluta al congresso, tanto alla camera quanto al senato, e che Trump nominerà per la Corte Suprema, (più o meno l’equivalente della nostra Corte Costituzionale), giudici di stretta osservanza conservatrice. Un’occupazione assoluta delle istituzioni che fa emergere, secondo questi osservatori,  una pericolosa deriva autoritaria nella nuova America di Trump. 

Quegli stessi giornalisti, però invitano un giorno si e l’altro pure, a votare la riforma Renzi-Boschi il 4 dicembre prossimo. Eppure quella riforma, insieme con la legge elettorale, consente ad un partito di occupare la Camera, esprimere il Presidente del Consiglio e nominare i giudici costituzionali. Lo stesso che sta avvenendo oggi negli Stati Uniti. Oltreoceano ciò costituisce un emergenza democratica, qui in Italia invece non esiste alcun pericolo di deriva autoritaria e chi lo afferma è un pericoloso disfattista. E’ proprio vero la democrazia è un fatto di opinione. A parità di quadro istituzionale se comanda Trump si è sotto dittatura, se comanda Renzi le prerogative democratiche non vengono minimamente intaccate. Vedi come è strana la storia!

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