domenica 1 gennaio 2017

I regali di Natale del governo Gentiloni Le manovre borghesi dopo la vittoria del No al referendum costituzionale

Fabiana Stefanoni
 
La notizia della funivia sospesa nell’aria a Cervinia, di cui tanto si è parlato alla vigilia di Natale, pareva quasi una metafora. Mentre gli sciatori dondolavano sulla neve in balìa del vento gelido, anche il sistema economico e politico italiano mandava segnali di instabilità: il fallimento del piano di salvataggio di Mps, il governo Gentiloni travolto dalle polemiche subito dopo la nomina, i sindaci delle due più grandi metropoli italiane (Roma e Milano) screditati da scandali di corruzione e, ciliegina sulla torta, persino il capo dell’Arma dei carabinieri coinvolto in un’inchiesta sugli appalti. Un quadro disastrato del capitalismo italiano e dei suoi rappresentati nelle istituzioni, che, a differenza della funivia di Cervinia, non si riaggiusterà in breve tempo. Anzi, tutto lascia presagire che la fune alla fine si spezzerà, trascinando nel baratro tutto il sistema.
 
La grande borghesia non si dimette
Il 4 dicembre il governo Renzi è stato sconfitto: milioni di proletari hanno detto no alla riforma della Costituzione. Un no che ha rappresentato, anzitutto, il rifiuto da parte delle masse popolari delle politiche del governo. Se, per un certo periodo, le sparate del premier fanfarone avevano seminato illusioni, ad un certo punto i nodi sono venuti al pettine: i lavoratori e le lavoratrici che non hanno i soldi per tirare avanti dignitosamente, i milioni di operai licenziati o in cassa integrazione, i giovani che non trovano un lavoro hanno espresso con il No alla riforma la loro rabbia e delusione.
Renzi ha deciso di rassegnare le dimissioni. Ma non si sono dimessi ovviamente quelli che gli avevano dettato l’agenda di governo:i grandi industriali e i banchieri.
Con un’operazione di maquillage che ha lasciato perplessa persino la stampa borghese – che lo ha definito “governo fotocopia” – è stato nominato un esecutivo a guida Gentiloni: una rispolverata al vecchio cappotto prima del pranzo di Natale. I nomi ai ministeri chiave sono rimasti gli stessi e perfino la Boschi, di cui la riforma sonoramente bocciata portava il nome, ha conservato un ruolo di primo piano come sottosegretaria della presidenza del Consiglio. Un governo raffazzonato in pochi giorni e già sommerso dalle polemiche subito dopo il giuramento, come quella sulla ministra dell’Istruzione che ha dichiarato di possedere una laurea che non ha (se l'avesse fatto un insegnante sarebbe stato licenziato in tronco).
Ma la grande borghesia, con l’appoggio della Troika europea, aveva bisogno subito di un governo per approvare la legge di bilancio e, soprattutto, per rimpinzare la pancia dei banchieri in bancarotta. I titoli della ministra dell’Istruzione, (per tacere delle competenze effettive) sono un particolare di scarso interesse per chi si appresta a ricevere regali per diversi miliardi di euro. 
 
Che regalo ai banchieri!
Non si può dire che il governo Gentiloni non abbia fatto il suo dovere di fronte alle richieste dei capitalisti: in meno di due settimane ha varato una manovra finanziaria (“legge di bilancio”) che prevede 6,7 miliardi di tagli alla spesa pubblica e un decreto che stanzia 20 miliardi di euro di aiuti ai banchieri.
Il “decreto banche”, che ha avuto il sostegno dell’Unione Europea, serve per sostenere i profitti miliardari della borghesia finanziaria a scapito delle masse popolari. Il cospicuo regalo comporta, infatti, l’ulteriore aumento del debito dell’Italia che - vale la pena ricordarlo - è uno dei Paesi al mondo con il più alto debito pubblico, il secondo in Europa dopo la Grecia.
Bisogna guardare proprio alla Grecia per capire quali saranno, nel medio periodo, le conseguenze di questo decreto: si prospettano nuovi drastici tagli al welfare, con un’ulteriore privatizzazione dei servizi pubblici. Non solo: anche la semplice gestione delle emissioni a favore delle banche avrà un costo pari a 582 milioni che, come recita il decreto, saranno reperiti attraverso “accantonamenti” (leggi tagli) nella sanità (2 milioni nel 2017 e 4 milioni a partire dal 2018) e nelle infrastrutture (4 milioni all’anno a partire dal 2018).
Quello che più indigna è che questa misura, che si riverserà sulle spalle di lavoratori, operai e disoccupati, viene presentata da Gentiloni e dal ministro dell’economia Padoan come un tentativo di “tutelare i piccoli risparmiatori”. La realtà è molto diversa: i “piccoli risparmiatori” sono stati prima ingannati dalle banche e ora si vedranno anche costretti a pagare un risarcimento ai loro truffatori.
 
Il caso emblematico di Mps
E’ emblematica in tal senso la vicenda del Monte dei Paschi, il terzo istituto bancario italiano, da tempo sull’orlo del fallimento. Lo Stato ha deciso di intervenire nel salvataggio, diventando primo azionista e garantendo ai privati un finanziamento di diversi miliardi (alla faccia della "nazionalizzazione"!). Tutto questo avviene dopo che Mps - come del resto molti altri istituti bancari - ha per anni orchestrato una diabolica truffa ai danni dei piccoli correntisti. Come è costretto ad ammettere persino il Sole 24 ore, “in Italia ad aiutare gli istituti creditizi sono stati ignari risparmiatori”: in soli quattro anni dal 2008 al 2012 (“gli anni più bui della crisi”) le banche italiane hanno propinato obbligazioni rischiose alle famiglie “per 578 miliardi di euro” con un rendimento “troppo basso rispetto ai rischi che gli stessi risparmiatori correvano” (1). Una truffa che, nella vicenda Mps, si è tradotta anche in una penosa guerra tra poveri: dipendenti della banca, sotto minaccia di licenziamento, costretti ad abbindolare anziani o operai in cassa integrazione per convincerli a impegnare i risparmi di una vita in titoli destinati a diventare carta straccia…
Sembra una favola di Natale al contrario, in cui l’orco cattivo che ha imprigionato i bambini viene alla fine della storia ricompensato con le caramelle che erano rimaste nelle tasche degli sventurati. La beffa è che nessuno crede veramente in questo “piano di salvataggio”, tantomeno la stessa fondazione Mps che, infatti, si tiene per sé solo una piccolissima quota dello 0,1% (“Abbiamo scelto di tutelare il patrimonio, di ridurre al minimo il rischio”, ha dichiarato il presidente Marcello Clarich). E ovviamente sono in arrivo licenziamenti di massa nel gruppo, con la solita generosa collaborazione delle grandi burocrazie sindacali, che già hanno firmato un accordo che prevede centinaia di “esuberi volontari”.
 
Rilanciare la lotta di classe
Gli interessi di classe in gioco in queste vicende emergono con sempre maggiore chiarezza. Mentre persino i dati ufficiali dell’Istat parlano di un italiano su tre in condizioni di povertà (uno su due al sud); mentre i dati sull’occupazione sono tra i peggiori d’Europa (57% di occupati, a dimostrazione tra l’altro del fallimento del Jobs Act); mentre tra gli effetti della crisi spicca un aggravarsi delle politiche razziste e delle violenze maschiliste; i governi – eletti o nominati che siano – non si fanno scrupoli a distruggere quel poco di welfare state che ancora sopravvive: lo scopo è quello di rimpinguare le tasche di capitalisti miliardari che godono della licenza di truffare (con tanto di benedizione delle alte cariche dello Stato). Uno squallido quadro di un capitalismo in putrefazione, a cui contribuiscono anche quegli apparati sindacali burocratici che, anziché chiamare i lavoratori alla lotta, stanno sottoscrivendo rinnovi contrattuali peggiorativi (dai metalmeccanici al pubblico impiego ai trasporti), senza nemmeno proclamare uno sciopero.
Ma le lotte non si fermano, nonostante i numerosi pompieri. Sono tanti i lavoratori e le lavoratrici che sono in sciopero o in mobilitazione, spesso contro le indicazioni delle burocrazie sindacali: dai dipendenti Tim ai lavoratori di Almaviva, dai precari delle cooperative in appalto al Comune di Roma (in vertenza contro la giunta grillina) ai lavoratori dei trasporti, dalle donne scese in piazza contro il maschilismo fino agli operai immigrati della logistica. E’ da queste lotte e dalla necessità di una loro unificazione che occorre ripartire per trasformare la vittoria del No in opposizione di classe a questo ennesimo governo dei banchieri e dei padroni.
 


(1) Si veda l’articolo “Quei bond ad alto rischio e alto rendimento” di Morya Longo, Il Sole 24 ore, 24 dicembre 2016.

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