venerdì 13 gennaio 2017

Rferendum CGIL. Una garbata critica alla Corte Costituzionale

Pietro Adami, Coordinamento Referendum Costituzionale Roma


Cari,
tempo fa (nel 2012) depositai una memoria alla Corte Costituzionale , in relazione al referendum elettorale, per chiederne l'ammissione (a nome del Giuristi Democratici).
Avevo una tesi, molto articolata che vi risparmio.
Però svolgevo con garbo una critica al ruolo che la Corte si è ritagliata in questi anni.
Vi riporto il passaggio di allora:

"L’art. 75 recita:  E` indetto referendum popolare per deliberare l'abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.
I casi in cui non è ammesso il referendum abrogativo sono dunque un numerus clausus.
Questa norma è integrata con altra norma di rango costituzionale, l’art. 2 della Legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1:
“2. - Spetta alla Corte costituzionale giudicare se le richieste di referendum abrogativo presentate a norma dell'art. 75 della Costituzione siano ammissibili ai sensi del secondo comma dell'articolo stesso.”
La tradizionale giurisprudenza della Corte ha esteso il novero dei controlli ed valorizzato la necessità della permanente funzionalità di organi costituzionalmente necessari: “ciò che può rilevare, ai fini del giudizio di ammissibilità della richiesta referendaria, è soltanto una valutazione liminare e inevitabilmente limitata del rapporto tra oggetto del quesito e norme costituzionali, al fine di verificare se, nei singoli casi di specie, il venir meno di una determinata disciplina non comporti ex se un pregiudizio totale all'applicazione di un precetto costituzionale, consistente in una diretta e immediata vulnerazione delle situazioni soggettive o dell'assetto organizzativo risultanti a livello costituzionale» (sentenza n. 45 del 2005). Ed in tema di referendum elettorali: “Questa Corte può spingersi soltanto sino a valutare un dato di assoluta oggettività, quale la permanenza di una legislazione elettorale applicabile, a garanzia della stessa sovranità popolare, che esige il rinnovo periodico degli organi rappresentativi”. (Sentenza Corte Costituzionale N° 15 del 2008).
La Corte ha quindi valutato di dover estendere il proprio sindacato alla normativa di risulta, non tanto per verificare la costituzionalità della stessa, quanto per accertare se l’abrogazione referendaria può condurre alla paralisi della funzionalità di un organismo necessario costituzionalmente.
In questi casi la Corte ha dichiarato inammissibili i referendum.
2.2. Vi è però da verificare se la soluzione adottata dalla Corte sia stata quella che ha maggiormente consentito il pieno dispiegarsi della previsione costituzionale dell’art. 75.
Concorrono infatti due interessi: da un lato il pieno dispiegarsi della sovranità popolare ‘diretta’ ed il diritto costituzionalmente garantito alla sottoposizione di una norma al referendum popolare. Dall’altro la necessità di garantire che l’abrogazione della norma non generi una cesura nella funzionalità di un organo. 
Nella scelta adottata dalla Corte, però, piuttosto che una composizione tra i due interessi si è generato un sacrificio totale del primo, in tutti gli innumerevoli casi in cui il referendum poteva incidere su un precetto costituzionale nel senso sopra esposto.
Con il risultato di snaturare completamente l’istituto referendario. E’ infatti possibile , ma non certo, che attraverso un intervento manipolativo si possa garantire la perdurante funzionalità dell’organo. Inoltre, di fatto, è lasciato alla più completa causalità la possibilità di sottoporre una norma al referendum abrogativo. 

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Fin qui quello che ho scritto all'epoca. quello che mi interessava riferirvi è che nel caso di specie sembra che la Corte abbia deciso di non ammettere il quesito sull'art.18 in quanto 'manipolativo'. 
Ora a me pare che siamo andati oltre i limiti, visto che , alla fin fine , è solo la legge che dice quando la Corte può non ammettere il quesito. 
 E la legge è chiara "Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.".
Ogni altro giudizio non spetta alla Corte. 
Non spetta loro verificare cosa accadrebbe dopo il referendum. La normativa di risulta non è chiara? C'è un Parlamento ed un Governo.
C'è la norma dell'art. 37 della legge del 1970 che prevede "Il Presidente della Repubblica nel decreto stesso, su proposta del Ministro interessato, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, può ritardare l'entrata in vigore della abrogazione per un termine non superiore a 60 giorni dalla data della pubblicazione”
Dunque è espressamente previsto che la normativa di risulta possa essere confusa, e si dà tempo per sistemarla. 

Insomma, quello che dico è che con garbo, alla Corte questa critica va fatta. 
Infatti ora la Corte adotta tre principi giurisprudenziali che generano un effetto pericoloso:
- il quesito non può lasciare un buco che lede i diritti costituzionali. 
Posta la larghezza degli stessi è facile capire quanto incide questo principio.
- l'abrogazione referendaria non genera la reviviscenza delle precedenti norme. Ed è corretto, ma il problema aumenta.
- ed ora si valorizza anche il profilo della manipolatività del quesito.

In sostanza, il buco non va bene, ma neanche la manipolazione. E quindi? 
Se tirò giù tutta la norma, mi dici che il buco non posso lasciarlo, se tiro giù solo una parte e lascio una norma modificata, mi dici che il referendum è abrogativo e dunque deve fare buchi totali e non modificare.

A questo punto in alcuni settori, di fatto, il referendum non si può più fare, e resta possibile per materie residuali. 
Criticherei questi principi anche se fosse compito della Corte definirli, ma a maggior ragione quando non trovo una norma in cui si dice che le viene attribuito questo compit

Saluti
Pietro Adami

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