domenica 5 marzo 2017

Che cosa significa lo sciopero delle donne

Cinzia Arruzza e Tithi Bhattacharya.  Fonte Jcobine Magazine


Le organizzazioni femministe, locali e socialiste hanno indetto uno Sciopero Internazionale delle Donne, l’8 di marzo in difesa dei diritti riproduttivi e  contro la violenza, intesa come violenza economica, istituzionale e interpersonale.
Lo sciopero si svolgerà in almeno 40 paesi: la prima giornata coordinata a livello internazionale di portata così grande , dopo anni: in termini di grandezza e di diversità di organizzazioni e di paesi coinvolti, sarà paragonabile alle dimostrazioni internazionali contro l’attacco imperialista all’Iraq nel 2003 e alle proteste internazionali coordinate sotto la bandiera del Forum Sociale Mondiale e del movimento per la giustizia globale all’inizio degli anni 2000.
Mentre Occupy, gli Indignados e Le Vite dei neri sono importanti (Black Lives matter), sono davvero riusciti a avere un’eco internazionale e a innescare dimostrazioni, occupazioni e proteste in molti paesi, c’è stato poco coordinamento internazionale consapevole tra le varie organizzazioni e gruppi coinvolti.  Le rivoluzioni arabe sono state un evento straordinario e storico, ma le organizzazioni sociali e politiche in altri paesi non sono riuscite a dar vita a una mobilitazione coordinata a livello internazionale in loro appoggio.
Se avrà successo, lo Sciopero Internazionale delle Donne, segnerà un salto qualitativo e quantitativo nel lungo processo di ricostruzione di una nuova mobilitazione sociale internazionale contro il neoliberalismo e l’imperialismo, a cui i vari movimenti di anni recenti, da Occupy a Gezi Park, dagli Indignados Standing Rock e a  Le Vite dei neri sono importanti (Black Lives Matter) hanno dato forma. Segnalerà anche la possibilità concreta per un nuovo movimento femminista, potente, anticapitalista e Internazionalista.
Perché lo chiamiamo sciopero?
Molte discussioni riguardo allo sciopero, particolarmente negli Stati Uniti, sono state incentrate sul fatto che sia proprio corretto chiamare “sciopero” l’evento dell’8 marzo, invece che dimostrazione. Questa critica manca l’obiettivo. Gli scioperi delle donne sono stati sempre più onnicomprensivi nei loro obiettivi e scopi, in confronto ai tradizionali scioperi per i salari e le condizioni di lavoro.
Nel 1975, il 90% delle donne islandesi organizzarono uno sciopero sul posto di lavoro e si  rifiutarono di  compiere il  lavoro non pagato socialmente riproduttivo   per un giorno,   per rendere visibile il lavoro delle donne islandesi e il loro contributo alla società. Chiesero salari uguali a quelli degli uomini e la  fine della discriminazione in base al sesso sul luogo di lavoro.
Nell’autunno 2016,  le attiviste polacche adottarono la strategia e il messaggio del 1974  dello sciopero delle donne islandesi e organizzarono un massiccio sciopero di donne per bloccare una legge al parlamento che avrebbe proibito l’aborto. Le attiviste argentine fecero la stessa cosa nello scorso ottobre per protestare conto la violenza maschile conto le donne.
Quegli avvenimenti che incoraggiarono l’idea di uno sciopero più grande nella Giornata delle Donne, dimostrano come uno sciopero di donne sia diverso da uno sciopero generale. Lo sciopero delle donne nasce dalla riflessione politica e teorica sulle forme concrete del lavoro delle donne nelle società capitaliste.
Nel capitalismo, il lavoro delle donne nel mercato formale del lavoro, è soltanto parte dell’attività che svolgono; le donne sono anche le principali fornitrici di lavoro riproduttivo (o lavoro casalingo) che è un lavoro non retribuito che è ugualmente importante per riprodurre la società e le relazioni sociali capitaliste. Lo sciopero delle donne è designato a rendere visibile questo lavoro non retribuito e a sottolineare che la riproduzione sociale   è anche un ambito di lotta.
Inoltre, a causa della divisione del lavoro in base al sesso sul mercato informale del lavoro, un gran numero di donne hanno lavori precari, non hanno diritti del lavoro, sono disoccupate o sono lavoratrici prive di documenti.
Le donne che operano nel mercato formale e informale del lavoro e nella sfera sociale riproduttiva non pagata sono tutte operaie. Questa considerazione deve essere al centro di qualsiasi discussione riguardante la ricostruzione di un movimento della classe operaia non soltanto negli Stati Uniti, ma anche globalmente.
Mettere in evidenza l’unità tra il luogo di lavoro e la casa, è un elemento cruciale ed è un principio fondamentale di coordinamento per lo sciopero dell’8 marzo. Una politica che prende sul serio il lavoro delle donne deve includere non soltanto scioperi nei posti di lavoro, ma anche scioperi per lavoro sociale riproduttivo non retribuito, scioperi part-time, richieste di tempi di lavoro ridotti, e altre forme di protesta che riconoscono la natura  “sessuata”  delle relazioni sociali.
“Sciopero” è diventato il termine ombrella sotto il quale sono incluse queste varie forme di azione perché è il termine che meglio sottolinea la centralità del lavoro delle donne e la loro auto-identificazione come lavoratrici, qualsiasi forma assuma il loro lavoro.
Reclamare il diritto di scioperare
Gli Stati Uniti hanno forse le peggiori leggi del lavoro tra le democrazie liberali. Gli scioperi generali e quelli politici sono proibiti, gli scioperi  sono legati a  ristrette   richieste economiche rivolte ai datori di lavoro e i contratti spesso hanno esplicite clausole di non sciopero, la violazioni delle quali può  far sì che il lavoratore perda il lavoro e/o che il sindacato che organizza lo sciopero  riceva multe pesanti.   Inoltre, vari stati, come lo Stato di  New York, hanno leggi che proibiscono esplicitamente ai dipendenti  da scioperare.
La discussione su come capovolgere questa situazione e far emancipare i lavoratori è stata la principale preoccupazione della sinistra statunitense nei decenni passati. Tuttavia, uno dei pericoli di questa discussione è quello di ridurre la lotta di classe  soltanto a lotta economica, e di fondere le relazioni sociali capitaliste con l’economia formale in senso stretto.
Una trasformazione dei rapporti di lavoro negli Stati Uniti richiede non soltanto l’attivazione della classe operaia sulla base delle richieste economiche al posto di lavoro, ma anche la sua politicizzazione e radicalizzazione, cioè la capacità di condure una lotta politica affrontando la totalità dei rapporti di potere, le istituzioni e  le forme di sfruttamento esistenti.
Questo non si può ottenere migliorando ed espandendo l’organizzazione dei membri ordinari soltanto al posto di lavoro; uno dei principali problemi che affronta l’opera radicale di organizzazione del lavoro è il suo isolamento sociale e politico e l’invisibilità. Porre le basi del rinnovamento del potere della classe operaia richiederà che si operi a livelli diversi, creando grandi coalizioni sociali che agiscono all’interno e all’esterno dei posti di lavoro e stabilendo legami di solidarietà e di fiducia tra organizzatori e attivisti del lavoro, antirazzisti, femministi, il mondo studentesco e antimperialisti. Significa anche sfruttare l’immaginazione sociale tramite interventi creativi,  intellettuali e teorici e sperimentazione di nuove pratiche e linguaggi.
Invece di una limitata attenzione incentrata  sulle lotte per il posto di lavoro, è necessario che colleghiamo i movimenti basati sul genere, la razza, l’appartenenza etnica e sessualità, insieme all’organizzazione del lavoro e all’attivismo ambientalista. Soltanto creando  questa totalità collettiva, saremo in grado di affrontare la complessità di problemi e richieste presentate da queste varie forme di mobilitazione.
Questa è la strada che lo Sciopero Internazionale delle Donne sta perseguendo, con la sua piattaforma   e completezza.
L’8 marzo non sarà uno sciopero generale. Sarà, però, un passo importante verso la delegittimazione del diritto a scioperare contro le degradazioni del capitalismo che sono state sentite in tutte le sfere della vita da tutta la gente.
Cinzia Arruzza è assistente di filosofia presso la New School. Tithi Bhattacharya è docente associata di storia alla Purdue University.

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