sabato 25 marzo 2017

Vertenza Frusinate. Il lavoro non ha bandiere, il lavoro è la bandiera.

Luciano Granieri




Giovedì scorso  ho partecipato, presso la sede della Provincia,  al dibattito organizzato dal Fronte della Gioventù Comunista, sul tema dell’uscita dall’Unione Europea. Qui ho incontrato i ragazzi della vertenza frusinate, riuniti in assemblea permanente per chiedere la proroga degli ammortizzatori sociali , in scadenza nel prossimo mese di giugno. Come è noto vertenza frusinate è un'organizzazione di  lavoratori  che hanno perso la propria occupazione  a seguito della dismissione di diverse unità produttive della nostra Provincia, la maggior parte  di essi  era impiegata alla Videocon di Anagni. 

Per manifestare vicinanza ad una lotta così  dura ed estenuante,  ho acconsentito a  farmi scattare una foto fra di  loro. Per rendere più significativa l’immagine, ci siamo posizionati dietro uno  striscione ed ognuno di noi mostrava un cartello con dei messaggi di protesta. Il mio recitava: “Il lavoro non ha bandiere”. Scrivere “Il lavoro non ha bandiere” è incompleto bisognerebbe aggiungere che   il lavoro  è esso stesso una bandiera. E’ la bandiera della lotta per la presa del potere da parte della classe lavoratrice. Per non soccombere  bisogna esporla quella bandiera, esibirla  sempre e  in ogni luogo. 

Il potere sta nelle mani dei lavoratori è un dato inconfutabile. Fino a quando la scienza non riuscirà a trovare una enzima in grado di indurre  l’apparato digerente umano a metabolizzare  la carta filigranata dei soldi,  o la cellulosa delle cedole azionarie, ci sarà  sempre bisogno di qualcuno in grado di  produrre  pane e mortadella, e di qualcun altro abile a realizzare i macchinari e le strutture necessarie per fare sia il pane che la mortadella.  C’è bisogno, cioè, di quei lavoratori che per quanto bistrattati, derisi, ridotti a schiavi, sono la base per il procedere della vita. Non è un potere da poco, a pensarci bene, e come tale andrebbe rivendicato con forza.  

E' dunque  necessario un salto di qualità nell’agire il conflitto . I ragazzi di vertenza frusinate, stremati dalla permanenza ad oltranza nel salone provinciale, sono in lotta per ottenere, mi sia consentita la brutalità,  l’elemosina di un  prolungamento della  mobilità, o di un salario da fame come  lavoratore socialmente utile, o la miseria di un reddito minimo garantito.  Si sono confrontati a tutti i livelli istituzionali locali (Comuni, Provincia, Regione) senza ottenere neanche lo straccio di una questua . L’ultimo calcio in faccia risale all’altro ieri quando, ricevuti dall’assessore regionale al lavoro  Lucia Valente, si sono visti rifiutare il prolungamento  della mobilità, misura di competenza del governo centrale. Alla Regione,  infatti, spetta solo la somministrazione della cassa integrazione in deroga. Dunque, è stato il suggerimento, che si mobilitino gli eletti della provincia per esercitare pressioni sull’esecutivo affinchè si riesca ad ottenere un provvedimento governativo ad hoc. I ragazzi di vertenza frusinate hanno deciso di continuare il presidio in provincia, fino a quando non si concretizzerà l’incontro con i deputati, Frusone, Pilozzi e i senatori Scalia e Spilabotte, per sollecitare l’impegno governativo. 

E’ sacrosanto coinvolgere le Istituzioni, organi deputati a risolvere questo problema, così come è indispensabile, per tirare avanti, ottenere un minimo di retribuzione, sia essa derivata da mobilità o da reddito minimo. Ma bisogna andare oltre, alzare il livello dello scontro, imporre quella bandiera del lavoro prima citata. Un vessillo che la globalizzazione, cui l’Unione Europea è elemento integrante, ha dissolto, bruciato. La vicenda di vertenza frusinate, è una dei tanti sfaceli prodotti dalla natura liberista di questa Unione Europea,   dei governi nazionali e locali,  braccio armato dello sfruttamento capitalistico finanziario. 

La storia della Videocon è emblematica in questo senso. Nel 2005 la Thomson, proprietaria dell’azienda di Anagni , decide di cedere l’unità produttiva, in forte attivo,  alla plurimiliardaria famiglia indiana dei Dooth,  maggiori azionisti del marchio Videocon. Tale operazione genera importanti dividendi sia per gli azionisti francesi che per gli indiani, ma mette a rischio il futuro di 2.400 lavoratori. La Videocon, presentando un piano industriale basato sul rilancio produttivo del sito anagnino, ottiene fondi dalla Regione, allora guidata da Marrazzo, e dalla Provincia il cui presidente era Scalia (ironia della sorte  lo stesso che deve adoperarsi per  ottenere  la proroga della mobilità per gli operai). Inoltre può godere di linee di credito agevolate e di un finanziamento europeo di 180 milioni. 

In realtà quel mirabolante piano industriale si risolve nello stoccaggio nel sito di Anagni di vecchi macchinari comprati, a prezzo di ferro vecchio, da una vetusta  fabbrica di Taiwan. Ferraglia  del tutto  insufficiente per portare avanti la produzione. Il fallimento è la naturale conseguenza. I miliardari indiani, dopo aver intascato ingenti dividendi azionari,  i soldi pubblici di Regione, Provincia ed Unione Europea, si ritirano in buon ordine,  producendo la macelleria sociale di 1197 disoccupati. Siamo di fronte ad un’ordinaria storia di speculazione finanziaria, che ha prodotto immani profitti per gli azionisti e la disperazione per i lavoratori. Il tutto foraggiato da soldi pubblici.

 Alla luce dei fatti, non basta battersi per l’elemosina di un ammortizzatore sociale, si deve obbligare i dirigenti locali di allora, Marrazzo e Scalia, a rendere conto dell’incauto finanziamento concesso alla Videocon, ricorrere presso la Corte europea per i diritti Umani  affinchè si ottenga la restituzione dei fondi dalla  famiglia Dooth, ottenere  da parte dello Stato la nazionalizzazione della Videocon e affidarne la gestione agli operai licenziati. 

Se si sono trovati venti milioni di euro per finanziare le banche, non è un problema trovare i soldi per acquisire  la fabbrica di Anagni. Ciò è contrario alle normative Europee? Un motivo in più per unire, alla lotta per un lavoro decente, la lotta per il rifiuto di questa Unità Europea. La bandiera del lavoro esiste, facciamola sventolare alte e fiera, non solo per i diritti dei lavoratori, ma anche per il dissolvimento del sistema capitalista. 

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