Giovedì scorso ho partecipato, presso la sede della
Provincia, al dibattito organizzato dal
Fronte della Gioventù Comunista, sul tema dell’uscita dall’Unione Europea. Qui
ho incontrato i ragazzi della vertenza
frusinate, riuniti in assemblea permanente per chiedere la proroga degli ammortizzatori
sociali , in scadenza nel prossimo mese di giugno. Come è noto vertenza frusinate è un'organizzazione di lavoratori che hanno perso la propria occupazione a seguito della dismissione di diverse unità
produttive della nostra Provincia, la maggior parte di essi era impiegata alla Videocon di Anagni.
Per
manifestare vicinanza ad
una lotta così dura ed estenuante, ho acconsentito
a farmi scattare una foto fra di loro. Per
rendere più significativa l’immagine, ci siamo posizionati dietro uno striscione ed ognuno di noi mostrava un
cartello con dei messaggi di protesta. Il mio recitava: “Il lavoro non ha bandiere”.
Scrivere “Il lavoro non ha bandiere”
è incompleto bisognerebbe aggiungere che il lavoro è esso stesso una bandiera. E’ la bandiera
della lotta per la presa del potere da parte della classe lavoratrice. Per non
soccombere bisogna esporla quella
bandiera, esibirla sempre e in ogni luogo.
Il potere sta nelle mani dei
lavoratori è un dato inconfutabile. Fino a quando la scienza non riuscirà a
trovare una enzima in grado di indurre l’apparato
digerente umano a metabolizzare la carta
filigranata dei soldi, o la cellulosa
delle cedole azionarie, ci sarà sempre bisogno
di qualcuno in grado di produrre pane e mortadella, e di qualcun altro abile a
realizzare i macchinari e le strutture necessarie per fare sia il pane che la
mortadella. C’è bisogno, cioè, di quei
lavoratori che per quanto bistrattati, derisi, ridotti a schiavi, sono la base
per il procedere della vita. Non è un potere da poco, a pensarci bene, e come
tale andrebbe rivendicato con forza.
E' dunque necessario un salto di qualità nell’agire
il conflitto . I ragazzi di vertenza
frusinate, stremati dalla permanenza ad oltranza nel salone provinciale, sono
in lotta per ottenere, mi sia consentita la brutalità, l’elemosina di un prolungamento della mobilità, o di un salario da fame come lavoratore socialmente utile, o la miseria di
un reddito minimo garantito. Si sono
confrontati a tutti i livelli istituzionali locali (Comuni, Provincia, Regione)
senza ottenere neanche lo straccio di una questua . L’ultimo calcio in faccia
risale all’altro ieri quando, ricevuti dall’assessore regionale al lavoro Lucia Valente, si sono visti rifiutare il prolungamento
della mobilità, misura di competenza del
governo centrale. Alla Regione, infatti, spetta solo la somministrazione della cassa integrazione in deroga. Dunque, è stato il suggerimento, che
si mobilitino gli eletti della provincia per esercitare pressioni sull’esecutivo
affinchè si riesca ad ottenere un provvedimento governativo ad hoc. I ragazzi
di vertenza frusinate hanno deciso di
continuare il presidio in provincia, fino a quando non si concretizzerà l’incontro
con i deputati, Frusone, Pilozzi e i senatori Scalia e Spilabotte, per
sollecitare l’impegno governativo.
E’ sacrosanto coinvolgere le Istituzioni, organi deputati a risolvere questo problema, così come è indispensabile, per
tirare avanti, ottenere un minimo di retribuzione, sia essa derivata da
mobilità o da reddito minimo. Ma bisogna andare oltre, alzare il livello dello
scontro, imporre quella bandiera del lavoro prima citata. Un vessillo che la
globalizzazione, cui l’Unione Europea è elemento integrante, ha dissolto,
bruciato. La vicenda di vertenza
frusinate, è una dei tanti sfaceli prodotti dalla natura liberista di
questa Unione Europea, dei governi nazionali e locali, braccio armato dello sfruttamento capitalistico
finanziario.
La storia della Videocon è emblematica in questo senso. Nel 2005 la
Thomson, proprietaria dell’azienda di Anagni , decide di cedere
l’unità produttiva, in forte attivo, alla plurimiliardaria famiglia indiana dei Dooth, maggiori azionisti del marchio Videocon. Tale
operazione genera importanti dividendi sia per gli azionisti francesi che per
gli indiani, ma mette a rischio il futuro di 2.400 lavoratori. La Videocon,
presentando un piano industriale basato sul rilancio produttivo del sito
anagnino, ottiene fondi dalla Regione, allora guidata da Marrazzo, e dalla
Provincia il cui presidente era Scalia (ironia della sorte lo stesso che deve adoperarsi per ottenere la proroga della mobilità per gli operai). Inoltre può godere di linee di
credito agevolate e di un finanziamento europeo di 180 milioni.
In realtà quel
mirabolante piano industriale si risolve nello stoccaggio nel sito di Anagni di
vecchi macchinari comprati, a prezzo di ferro vecchio, da una vetusta fabbrica di Taiwan. Ferraglia del tutto insufficiente per portare avanti la
produzione. Il fallimento è la naturale conseguenza. I miliardari indiani, dopo
aver intascato ingenti dividendi azionari, i soldi pubblici di Regione, Provincia ed Unione Europea, si
ritirano in buon ordine, producendo la
macelleria sociale di 1197 disoccupati. Siamo di fronte ad un’ordinaria storia
di speculazione finanziaria, che ha prodotto immani profitti per gli azionisti
e la disperazione per i lavoratori. Il tutto foraggiato da soldi pubblici.
Alla luce dei fatti, non basta battersi per l’elemosina di un
ammortizzatore sociale, si deve obbligare i dirigenti locali di allora, Marrazzo
e Scalia, a rendere conto dell’incauto finanziamento concesso alla Videocon, ricorrere
presso la Corte europea per i diritti Umani affinchè si ottenga la restituzione dei fondi dalla famiglia Dooth, ottenere da parte dello Stato la nazionalizzazione della
Videocon e affidarne la gestione agli operai licenziati.
Se si sono trovati
venti milioni di euro per finanziare le banche, non è un problema trovare i
soldi per acquisire la fabbrica di
Anagni. Ciò è contrario alle normative Europee? Un motivo in più per unire, alla
lotta per un lavoro decente, la lotta per il rifiuto di questa Unità Europea. La
bandiera del lavoro esiste, facciamola sventolare alte e fiera, non solo per i
diritti dei lavoratori, ma anche per il dissolvimento del sistema capitalista.
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