Ho trovato l'articolo che segue emblematico di come le vite private dei jazzisti possano incrociarsi e interagire, nel loro linguaggio musicale . Il set di Billie Holiday,ripreso per la TV , nello studio 58 di New York l'8 dicembre 1957, è un momento magico. Un momento in cui Lady Day rivive, nel cantare "Fine and Mellow" ,con la stessa passione, le storie d'amore che aveva avuto con Ben Webster e soprattutto con Lester Young, due dei più grandi sassofoni tenori della storia del jazz. Musicisti che, proprio in quel momento magico accompagnavano Billie. La descrizione dell' esibizione testimonia come quell'8 dicembre 1957 non c'erano musicisti che suonavano insieme, ma persone che facevano rivivere amore, passione, rabbia, esaltazione, scoramento, sentimenti che avevano provato l'uno per l'altra. E' l'appassionato racconto di una storia d'amore. Il pezzo è anche una eccellente e potente descrizione della straordinaria personalità di Billie Holiday. Alla fine del testo si può apprezzare il video di quel momento magico. E ci si potrà rendere conto che siamo di fronte ad una grande pagina di musica ma anche ad un suggestivo affresco delle vicende umane di una straordinaria cantante.
Luciano Granieri.
Nel nuovo brillante libro di Martin Torgoff “Bop Apocalypse”
– una larga esplorazione nelle connessioni fra jazz, letteratura e droghe, con un’analisi di come gli stupefacenti abbiano inciso nella vita e nel lavoro di artisti come
Charlie Parker, Jack Kerouac, Lester Young, William Burroughs e Allen Ginsberg -Torgoff dedica un capitolo
al travaglio che soffrì Billie Holiday per l’abuso di droga. Mette anche in risalto come la stessa Holiday ammetta pubblicamene di fare uso di stupefacenti nella sua autobiografia “Ladies sings the
blues” pubblicata
nel 1956.
L’ autobiografia contiene errori che hanno lasciato molti dubbi
in critici e biografi sulla sua veridicità. Come Torgoff scrive con molto rispetto: “il
libro è molto attendibile in relazione
ai primi anni di Billie a Baltimora e circa
il periodo in cui si prostituiva. E’ ricco di notizie sulla sua vita segnata dalle
droghe e dalla tossicodipendenza”. Nel libro, Billie scrisse: “Ho patito per
quindici anni molte difficoltà a causa della dipendenza , con l’alternanza di
momenti si e momenti no. Mi sono esalata e mi sono abbattuta. Come ho detto prima quando ero veramente
euforica nessuno mi importunava. Ho avuto guai entrambe le volte che ho provato
a distruggermi . Ho dilapidato una
piccola fortuna per la roba. Ho lottato,mi sono disintossicata ho subito le mie sconfitte e ho dovuto lottare di nuovo contro tutto e
tutti per raddrizzare le cose”.
Queste erano le drammatiche
parole scritte nell’autobiografia
uscita nel 1956, un periodo in cui ogni dichiarazione o ammissione sull’uso delle droghe ti rendeva un
emarginato. Torgoff ci ricorda come pubblicazioni
che riportavano vicende legate all’uso dei narcotici fossero state bandite dal Motion Picture Production Code del 1930 e
nessuna major cinematografica o casa editrice avrebbe voluto pubblicare soggetti legati alla tossicodipendenza, ma il
personaggio del jazzista
tossico-dipendente che Frank Sinatra interpretò
nel film di Otto Pirminger “ The man of
the golden arm” trasgredì la regola . Lady
Day (così veniva anche chiamata Billie ndr) capì così che forse i tempi erano maturi per raccontare
la sua storia.
“Billie Holiday si trovava nella scomoda posizione di essere
la criminale scrittrice di un libro dedicato
ad una vicenda per la quale era stata condannata, reclusa in cella, per
cui aveva subito di recente l’ennesimo arresto per uso di stupefacenti- naturalmente
faceva ancora uso di droghe”, scrive Torghoff e prosegue:“L’autobiografia si conclude con capitolo interamente focalizzato
sui narcotici… con una parte finale dedicata ai più
recenti problemi che Lady Day aveva avuto con a legge”. Il libro in ultima
analisi “ fu la prima vera testimonianza
confessionale di una celebrità tossicodipendente dell’era moderna” e contribuì al
sorgere della “leggenda di una Billie Holiday grande cantante americana tossico dipendente devastata dal dolore. Leggenda che si trasformò in un marchio indelebile
”
Nel novembre del 1956 in un intervista alla radio Mike
Wallace chiese a Billie:” Perché tanti grandi jazzisti sembrano morire così
presto- Bix Beiderbecke, Fats Waller, Charlie Christian, Charlie Parker?” La
sua pronta replica divenuta famosa fu: “ Posso rispondere a questa domanda in
un solo modo Mike . E’ perché tentiamo di vivere cento giorni in un giorno solo
e perché dobbiamo cercare di piacere a tante persone. Io voglio forzare questa
nota ma anche quell’altra nota ,cantare in questo modo ma anche in un
altro modo, voglio prendermi tutto il feeling, mangiare
tutto il buon cibo e viaggiare per tanti luoghi, tutto in un solo giorno, e non puoi farlo”.
Quando la Stazione
televisiva CBS decise di produrre
“ The Sound of jazz” una selezione
speciale della loro serie “The Seven
Lively Arts” il produttore Robert
Herridge chiese a critici di jazz Nat
Hentoff e Whitney Balliet di riunire i
più grandi jazzisti del periodo per farli esibire in uno show che sarebbe
andato in onda l’otto dicembre del 1957. Fra questo gruppo di
musicisti,ovviamente, c’era Billie Holiday,ma
il marchio di cantante tossico-dipendente
devastata dal dolore convinse lo
sponsor della trasmissione a richiedere la sua esclusione dal programma. “ Non
possiamo portare nelle case degli americani , specialmente di domenica,
qualcuno che è schiavo degli
stupefacenti”. E’ questo in contesto in cui si sviluppa l’estratto da Bop Apocalypse. Il “momento magico” impresso indelebilmente nelle
menti di coloro che onorano questa grande donna e l’accompagnarono a questo
appuntamento.
Forse nessuno ha mai
descritto lo spirito fondamentale e la sensibilità della vita da
jazzista con più realismo o più onestamente. “ Nel
vivere cento giorni in un giorno” Lady Day ha posto l’accento su quella forza
vitale molto romantica, ed enigmatica che ha permeato il jazz , creato molte delle sue innovazioni e trionfi. Ma, allo stesso tempo, è
sembrato generare quel tipo di tossicodipendenza e alcolismo che avrebbero consumato alcuni dei suoi più grandi artisti. Nessuno
ha personificato questo spirito meglio
di Billie Holiday.
Quando Herridge,
Balliet ed Hentoff valutarono l’ipotesi di fare lo show senza di lei capirono semplicemente che non avrebbero potuto accettare tale prospettiva. Herridge diffuse un comunicato in
base al quale, se a Billie Holiday fosse stato impedito di esibirsi, loro avrebbero
cancellato lo show. Lo stratagemma funzionò e l’otto dicembre del 1957 il set
fu così introdotto da Bing Crosby: “Billie Holiday è una delle poche cantanti di jazz veramente
grandi. I suoi blues sono poetici estremamente intensi. A suonare con lei oggi ci sono alcuni dei musicisti che l’anno
accompagnata in passato, negli anni trenta, in alcune delle più belle incisioni
mai realizzate”
Ed erano li posizionati in semicerchio attorno ad uno
sgabello dello studio 58: Roy Eldridge e Doc Cheatham alle trombe, Lester
Young, Ben Webster, e Coleman Hawkins, tre dei più grandi sassofoni tenori della
storia del jazz, Gerry Mulligan, il più giovane del gruppo, al sax baritono,
Mal Waldrom al pianoforte, Milt Hinton al contrabbasso, Vic Dickenson al
trombone, e Ossie Johnson alla batteria.
“Ci sono due tipi di
blues, c’è un blues allegro e uno triste” osservò Billie mentre raggiungeva lo sgabello e si posizionava
davanti al microfono. “Io non lo so, il
blues è una sorta di miscuglio di cose, devi solo sentirle. Qualsiasi cosa io
canti è parte della mia vita”
Anche se fu spesso
etichettata come cantante di blues, Lady Day ha registrato solo tre brani nella classica
forma delle dodici battute tipica del blues. La band attaccò proprio uno di questi pezzi: “Fine and mellow”. Il
lato B di “Strange Fruit”, il famoso pezzo o registrato nel 1939. Lei si predispose al canto e non appena apri
bocca nello studio si diffuse magia.
My man
don’t love me
Treats me
oh so mean
Lady Day indossava un
vestito di lana chiaro, semplice, che
copriva appena le ginocchia, i suoi capelli erano raccolti all’indietro in una coda di cavallo
che lasciava scorgere due orecchini debolmente
rilucenti nello studio. La sua figura appariva minuta, soprattutto se paragonata
alla corporatura massiccia che la contraddistinse
in gioventù : “Era una piccola e delicata donna” osservò Roy Eldridge scioccato
da quanto fosse cambiata. Nonostante
tutto era un mistero come potesse apparire ancora più
luminosa e più bella di prima dopo i drammatici momenti che aveva passato.
Ben Webster prese il primo assolo, come altri nello studio aveva
avuto una storia con Lady Day “una piccola illuminazione intima”, Roy
Eldridge la descrisse così. Nel caso di Webster si trattava di un fugace
innamoramento che risaliva agli anni ’30. Una vicenda che si concluse quando Webster picchiò Billie procurandole
un occhio nero. La madre della Holiday si
arrabbiò così tanto quando vide l’occhio tumefatto di sua figlia
che inseguì Webster, dal loro appartamento fino in strada sul taxi picchiandolo con un ombrello.
Lester Young, fu il
secondo a suonare –l’amico prediletto di Billie- Sin da
quando Prez (soprannome di Young ndr) arrivò, due giorni prima per le prove, divenne malinconicamente ovvio a tutti che stava
peggiorando. Egli si prese con calma tutto il tempo necessario, indossava delle pantofole perche i piedi gli facevano
molto male. Quando Lady Day invitava i
musicisti nel suo appartamento per un
piatto di costolette e verdura lui non andava mai. Venti anni erano passati da quando avevano
diviso la loro prima esperienza, quando Prez suonava così brillantemente accompagnandola in “I must have
the man” la canzone che aveva dato inizio al loro romantica storia musicale. La
relazione fra i due alternò momenti esaltanti e periodi di crisi, una lungo menage alienante che lasciò entrambi molto tristi. All’età di
48 anni Prez si specchiò, afflitto, nei suoi occhi
verdi carichi di malinconia. Ma quando dalle sue labbra uscirono le note del
sassofono e suonò tutto quello che il ricordo di quella
passione aveva lasciato dentro di se,
Billie sentì forte tutto l’amore che lui provava per lei. Nat Hentoff descrisse
così l’assolo: “ Eseguì i più cristallini
e puri accordi di blues che abbia mai sentito, Billie sorridendo e seguendo con
il dondolio della testa il beat che si
diffondeva, guardava negli occhi Prez, e lui lei. Lady Day stava rivivendo il passato con malinconico rammarico, così come stava facendo Prez. Qualsiasi
cosa avesse rovinato la loro relazione fu dimenticata nella condivisione della
musica. Seduto nella stanza del mixer sentii le lacrime salirmi negli occhi e vidi le stesse lacrime sul viso di molti fra quelli che erano
li” Nel vivere quei momenti Hentoff rimase impressionato . Invece della “buccia avvizzita che era prima ” Lady Day “ si mostrava in pieno controllo, swingava sinuosamente con
quello straordinario strumento che era la sua voce”. Alternò suggestive linee melodiche con gli sfarzosi assoli di Mulligan,
Falco, Dickenson, ed Eldridge. “L’amore è
come un interruttore, gira di tanto in
tanto” cantò con un sorriso nostalgico, portando il brano nella sua
dimensione personale, non lasciando dubbi sul fatto che stesse raccontando la storia della sua vita come sempre aveva fatto. “A volte quando
pensi che sia acceso, baby, si spegne e tutto finisce”
E con quella esibizione la
signora che voleva vivere cento giorni in un giorno scivolò via .
“Il resto del programma procedette regolarmente” ricordò Hentoff” ma questo era stato il
climax, l’anima autentica del jazz” E’ una performance
che rimane, forse, il più grande momento mai registrato in un video. Tutto
in questa esibizione profuma d’amore. Amore reciproco e per la musica. Emerge il grande
legame musicale che tutti loro avevano condiviso durante un era che stava scivolando
via lungo le
loro vite.
traduzione di Luciano Granieri.
good vibrations.
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