giovedì 15 giugno 2017

Una risposta a Falcone, Montanari e a tutta la sinistra in buona fede

Beniamino Simioli (ex opg "Je so' pazzo")


In questi giorni sta facendo discutere un appello lanciato da Anna Falcone e Tomaso Montanari per creare una lista di Sinistra Unita alle prossime elezioni. Tanti militanti, ormai privi di riferimenti nei partiti, hanno letto in questo appello parole condivisibili, un segnale di apertura e di novità.
Altri, invece, scottati da esperienze simili, lo hanno accolto come l’ennesima proposta di accrocchio pre-elettorale. Anche perché il ceto politico della sinistra si è subito mosso per cavalcarlo, vedendo in questa proposta l’occasione d’oro, forse l’ultima, di riciclarsi… 
Ma che ne pensano di questo appello le realtà di lotta, i movimenti di base, i giovani precari, studenti, disoccupati, chi fa militanza ogni giorno sui territori? Di che cosa avrebbe davvero bisogno la sinistra? 
In questa lettera aperta abbiamo provato a far sentire questa voce, a dire come la vediamo da qui, dal basso. Abbiamo voluto urlare cosa secondo noi si dovrebbe fare non fra venti anni, ma subito; provato a esprimere la rabbia e l’urgenza di rottura che dovrebbe muovere qualsiasi progetto di vera sinistra oggi.  
Speriamo di aver interpretato il sentimento di tante e tanti... La condizione terribile in cui siamo e in cui stiamo scivolando sempre di più – almeno noi che non abbiamo paracadute – non dovrebbe consentire più a nessuno di fare giochini, di provocare ulteriori fallimenti e scoraggiamento, di stare a guardare... 


Cara Anna, caro Tomaso, 
vi ricordate? Ci siamo conosciuti proprio all’Ex OPG “Je so’ pazzo” di Napoli. Eravamo nel pieno della campagna referendaria, e vi volemmo da noi perché ci sembrava che, a differenza di molti improvvisati difensori della Costituzione, eravate determinati, ci credevate come noi. Non solo in quella carta scritta con il sangue dei partigiani e delle masse popolari di questo paese, ma anche nella possibilità di far cadere, attraverso un forte NO, il Governo Renzi, uno dei più reazionari di sempre. Un governo che era stato sostenuto da D’Alema, Bersani, Speranza, Civati, Fassina, tutti allegramente nel PD (partito che, ben prima del dicembre del 2016 o del febbraio 2014, era quello della borghesia, del padronato e degli speculatori – ed è davvero strano che nel 2013 la SEL di Vendola e Fratoianni non se ne fossero accorti, e ancora oggi su molti territori siano alleati)…  

Vi ricorderete sicuramente l’emozione e il calore di quelle assemblee con centinaia di persone, e vi scriviamo con amicizia, perché vogliamo portare il nostro punto di vista, di un’organizzazione di base, che siccome è fatta da giovani, da precari e dai disoccupati, da chi sta in lista d’attesa nella sanità sfasciata e la mattina va a lavorare con i mezzi di trasporto pubblici, da quelli che non votano, forse può dire qualcosa in cui molti si possono rivedere… 

Tante cose che avete scritto nel vostro appello sono condivisibilissime. Anche noi vediamo il pericolo arrivare, vediamo l’opportunità storica di ribaltare “l’economia che uccide”, pensiamo che la disuguaglianza sia la matrice di ingiustizie e guerre, pensiamo che rivadano messe al centro del dibattito le esigenze degli sfruttati, degli ultimi... Anche noi pensiamo che bisogna mettere insieme tutto ciò che si muove dal basso, i comitati, le lotte, i movimenti che hanno anni di duro lavoro dietro, e proiettarli in una dimensione di massa. Soprattutto, anche noi pensiamo che “una sinistra di popolo non può che rinascere dal popolo”. 

Ma appunto. Che c’entrano con il popolo Fratoianni o Civati, che prontamente hanno risposto “ci sono”? Loro che fino a qualche ora fa e forse ancora ora cercano disperatamente l’accordo con Pisapia (uno che ha votato Si al referendum)? Perché continuare a coinvolgere persone che con il popolo non hanno niente a che vedere? Perché lasciare che siano personaggi come questi a mettere il cappello su processi che negli altri paesi d’Europa (ma anche fuori, se pensiamo al Sudamerica, al Kurdistan etc), sono stati molto più genuini, hanno messo al centro le giovani generazioni e chi non aveva mai partecipato alla spartizione delle torte?

I dirigenti della “sinistra”, come testimoniano le storie personali, sono parte del problema e non della soluzione. L’unico modo che hanno di contribuire è farsi da parte. Se non si parte da questa premessa nulla di buono potrà mai realizzarsi. 

Sappiamo che può suonare duro, ma la realtà è così. Questa è gente che ha vissuto di politica, non può capirci, non può parlare il linguaggio della maggioranza, sarebbe falsa. È gente che ha traghettato la sinistra sempre più a destra, l’ha svergognata davanti alle masse (quale tarantino intossicato dall’ILVA dimenticherà mai la telefonata di Vendola al faccendiere della famiglia Riva?). Appena vedono i loro simboli e i loro nomi, le masse iniziano a bestemmiare... 

Noi pensiamo che debba essere data a tutti la possibilità di ravvedersi. Siamo umani e comprensivi. Ma quando ti ravvedi, se sei sincero, ricominci da capo, dai volantinaggi e dallo spazzare a terra, come fanno tanti militanti di 50 e 60 anni in tanti circoli, associazioni, centri sociali di questo paese. Se ti sei ravveduto cerchi di metterti al servizio, non di comandare ancora, o di andare in televisione. Cerchi di riguadagnarti la fiducia con il lavoro, non evitando ancora il lavoro o la lotta contro la sopravvivenza che noi viviamo ogni giorno.  

Secondo punto. Il vostro appello dice cose giuste, ma appunto, le dice solo. Sono parole. Di fatti in Italia ce ne sono pochi: li stanno facendo le reti di mutualismo, chi occupa le case, chi evita la devastazione dei territori con i propri corpi, prendendo decine di anni di denunce, i lavoratori della logistica o quelli che si prendono il rischio di votare NO ai referendum caldeggiati da padroni e sindacati confederali… 

Il vostro appello è carente perché non parla di questi fatti, non li valorizza. Come al solito si dice cosa si dovrebbe fare ma non il come, non si danno esempi, non si cerca il metodo di quei fatti, dei successi che pure raccogliamo. E così tutto non può che ridursi alla solita petizione d’intenti, al conseguente cartello elettorale che nel migliore dei casi potrà esprimere una rappresentanza parlamentare che si limiterà a fare testimonianza.

Pensiamo che quella sinistra che si sveglia ogni volta sotto elezioni debba avere l’umiltà di imparare da quei movimenti che vengono tanto invocati nell’appello ma non sono mai presi ad esempio. La rappresentanza nelle istituzioni trova un suo senso solo se è strumento a servizio di pratiche che hanno già dimostrato la loro efficacia nel migliorare le condizioni di vita delle classi popolari. La rappresentanza ha senso solo se è irruzione nel teatrino dei borghesi, solo se è di disturbo alla promulgazione di leggi pensate sempre contro di noi, solo se è la voce degli oppressi in luoghi dove quella voce si vuole ignorare. 

La rappresentanza ha senso solo se è Controllo Popolare, solo se è diffusione di quello che accade nelle stanze ammuffite, solo se è antagonismo parlamentare. Le elezioni sono un mezzo tra i tanti e non il fine. I comunisti e la vera sinistra lo hanno sempre saputo. Negli ultimi trent’anni i dirigenti e gli intellettuali lo hanno invece dimenticato. Se non si ha coscienza di questo si parte già sconfitti.

Terzo punto. Serve un cambio anche nel linguaggio, una rottura visibile rispetto al passato. Con il parlare forbito, con l’educazione, non si cambiano le cose. Non è che non siete bravi voi, ma è proprio il limite di ogni progetto che parta dal mondo intellettuale. Negli ultimi quindici anni abbiamo già visto il fallimento dei “Girotondi”, della “Sinistra Arcobaleno”, di “Rivoluzione Civile”, delle liste dei “professori”…. Ci è bastato. Se gli intellettuali vogliono essere utili si devono mettere a servizio delle masse popolari e non tentare di rappresentarle. Non devono fare gli “illuminati”, ma mettere a disposizione dei più deboli le loro risorse, i loro soldi, i loro contatti, la loro visibilità. 

Se vogliamo vincere, magari non oggi, ma domani sicuro, a dare la linea devono essere quelli che quotidianamente mettono le mani nella merda, che sono forse un po' rozzi ma sanno cos’è il lavoro salariato, l’antifascismo in periferia, la violenza del padrone, la distribuzione di pasti ai senza tetto, l’accoglienza dei rifugiati.
 
Se vogliamo vincere – e guardate che vincere non è piazzare un parlamentare o superare soglie di sbarramento, ma in questa fase è radicarsi fra le masse, far sì che ascoltino con interesse un messaggio diverso, che siano colpite da un’altra umanità possibile –, è inutile stilare bei programmi super dettagliati che non verranno mai realizzati. Servono – a tutti i livelli, non solo come leader! – persone vere, umane, credibili. Servono poche parole chiare e comprensibili sulle quali politicizzare le persone, aggregarne qualcuna in più e basare la nostre pratiche quotidiane. 

È questo che secondo noi bisogna fare, insieme a tutte le realtà che ci vogliono stare. L’abbiamo già scritto: più che di accrocchi elettorali, abbiamo bisogno di una vera campagna politica che attraversi il dibattito elettorale. Una campagna che ci porti a un maggiore livello di coordinamento a partire dalle pratiche, che ci faccia animare il dibattito e imponga dal basso il nostro ordine del giorno. 

Diremo poche cose ma chiare: 

1. In questo paese la ricchezza c’è, sappiamo anche dov’è, dobbiamo andarcela a prendere e redistribuirla. Dobbiamo attaccare i grandi patrimoni e l’evasione fiscale come non è mai stato fatto prima. 

2. In questo paese, e soprattutto al Mezzogiorno, c’è bisogno di lavoro. Oggi non c’è perché i rapporti di produzione e i rapporti di forza sono strutturati a nostro svantaggio. Dobbiamo spingere con la lotta per avere lavoro vero, intervento pubblico, rispetto dei diritti sui posti di lavoro, democrazia sindacale, maggiori salari, pensionamenti, ricambio generazionale, riduzione dell’orario di lavoro. 

3. In questo paese il pubblico funziona male, non per colpa dei lavoratori ma per colpa della politica, dei dirigenti, delle clientele, delle commistioni con il privato. Solo il controllo popolare, solo le conoscenze dei lavoratori e dei cittadini che usano quel servizio, solo la vigilanza dal basso può impedire che vengano violati i nostri diritti. Dobbiamo estendere ovunque il controllo popolare e dargli visibilità. Dobbiamo stare con il fiato sul collo su chi fa grandi e piccole truffe, sui mafiosi, sui conniventi.  

4. L’Italia non è solo l’Italia ignorante, che odia, in competizione, schiacciata fra ansia e depressione. C’è un po’ dovunque un’Italia che resiste, allo stesso tempo arrabbiata e solare, che si dà una mano, che si viene in soccorso. Cristiana o comunista, laica o credente, proletaria e a volte pure borghese: magari sporca, ma generosa. È un’Italia di cui andare fieri, che deve smettere di nascondersi, che deve essere orgogliosa. Questa è l’Italia a cui bisogna dare voce, che va mostrata alle masse, che deve diventare modello.   

Cara Anna, caro Tomaso, 
conoscendo la vostra intelligenza e umanità, crediamo che vi siate rivisti in queste riflessioni, e che ci vorrete rispondere. In ogni caso, chiunque condivida queste paginette sappia che noi siamo a disposizione, pronti da subito ad avviare collaborazioni. Non possiamo subire mesi di campagna elettorale, e guardarci la partita fra le tre destre di Salvini, del PD e di Grillo! Dobbiamo subito irrompere con un’immagine concreta di speranza e di riscatto!

Potere al popolo!

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