venerdì 21 luglio 2017

La chiameremo Roma

Il 22 luglio 1927, esattamente 90 anni fa, in Via degli Uffici del Vicario al n.35 nasceva l’AS Roma. Primo presidente l’on. Italo Foschi. Per chi ama la Roma  il 22 luglio è una data storica. Ma anche per la storia del calcio quel 22 luglio può essere considerato un giorno importante. Di seguito pubblico il racconto di questa nascita tratto  da “La storia illustrata della Roma” una pubblicazione, curata dal giornalista e scrittore Lino Cascioli,  uscita  nel 1986  per  "Edizioni Casa dello Sport".

Auguri splendida novantenne
Luciano Granieri



L’intesa venne raggiunta nel tardo pomeriggio. Faceva caldo e aprirono le grandi finestre per respirare un poco  e concedersi una pausa. “Allora siamo d’accordo” disse l’on. Foschi “ la chiameremo Roma”. Dal cortile salì un fresco odore di terra appena  bagnata. Erano andati avanti per ore , senza un’oscillazione, evitando con cura ogni possibile avversità, quasi per vincere una scommessa segreta, a tutti sconosciuta. Fu allora che Vincenzo Biancone improvvisò un discorsetto, mentre i fratelli Crostarosa , da buoni padroni di casa, facevano saltare i tappi alle bottiglie dello champagne: “Abbiamo messo in piedi un’intesa, adesso dobbiamo costruire un società. E insieme alla società dobbiamo costruire una squadra. Il nostro dovere è di farla subito grande, altrimenti avremmo sbagliato tutto e alzeremmo i calici per salutare un generoso fallimento”. “E’ forse obbligatorio diventare grandi?” Chiese Sebastiano Bartoli, nominato da pochi minuti segretario.

Faceva mostra di scherzare , parlando così, ma tutti sapevano quanto anche lui ci credesse. E avevamo ragione, in fin dei conti. La lenta e difficile ascesa  del calcio romano aveva messo in luce un ’Alba all’ultimo posto del girone A e la Fortitudo all’ultimo posto del girone B. Avendo conquistato anche la Lazio il diritto alla serie A, nel 1927-28  ci sarebbero state tre squadre di Roma nel massimo campionato. Da qui era partita l’idea che aveva portato alla nascita della Roma: meglio una squadra forte che tre squadre deboli. Ma la Lazio rifiutò subito sdegnosamente ogni accordo, gelosa della sua tradizione. Il suo presidente rispose che preferiva i giornalieri disinganni all’aspro fiele di dover rinnegare la bandiera. Ed erano poi tanto sicuri che il conto sarebbe tornato, come calcolavano nei loro sogni, il marchese Sacchetti, Scialoia e i Crostarosa? 

L’idea piacque  invece ai dirigenti del Roman (nato nel 1903), della Fortitudo (1906) e dell’Alba (1911), che si erano dati appuntamento per quel pomeriggio del 22 luglio 1927 in Via degli Uffici del Vicario 35, nel cuore della vecchia Roma. “Non è mica obbligatorio diventare grandi: ribattè Pietro Crostarosa, “all’inizio potremmo anche contentarci di stare nel mezzo”.”Oh” rispose Vincenzo Biancone “questo è l’ultimo pericolo che corriamo veramente”. Poi, per non sembrare polemico, girò il discorso su alcune questioni marginali da risolvere.

Il mondo era alle soglie della prima, pesante recessione economica, e ormai lontano dai fantasmi tragici della guerra mondiale. In Italia Mussolini stava raggiungendo la consapevole pienezza del potere, e imponeva ormai l’arrogante autorità del Partito Nazionale Fascista in ogni settore della vita del paese, comprese le attività ricreative e gli sport. Il calcio era stato assimilato a questa logica da pochi mesi ed erano già partite direttive per riorganizzarlo in base a criteri più consoni alle nuove esigenze della politica nazionale: girone unico, squadra azzurra più competitiva sulla scena mondiale, ecc.

Il campionato organizzato su basi provinciali, fino ad allora aveva proceduto impavido tra la beatitudine e il lacrimato dramma, alimentando la passione in dosi minime, innocue, borghesi. Bisognava esasperarne i contorni. I giocatori tesserati erano già 38.000, con circa 2.000 arbitri. Nei programmi dei nuovi dirigenti  nominati dal Partito presero corpo norme intese a incoraggiare il trapasso dal dilettantismo sospetto al professionismo dichiarato. Le grandi società del passato, di stampo agricolo e provinciale , come la Pro Vercelli   il Casale, dovettero cedere il posto alle ambizioni delle squadre metropolitane. 

Ormai soltanto i grandi stadi Avrebbero infatti potuto ospitare quelle manifestazioni di massa capaci di garantire la coreografia del consenso di cui si compiaceva i fascismo. Il primo a recepire questo messaggio e a seminare tra le moltitudini di una grande città il calore di un sogno di evasione fu Edoardo Agnelli, ponendo subito le basi per trasformare in pochi anni la scialba Juventus, che aveva vivacchiato sino ad allora, nella Signora degli scudetti. Le cinque consecutive vittorie dei bianconeri, tra il 1930 e il 1935, furono il sintomo più chiaro del mutamento dei tempi e che   il calcio stava ormai lievitando come industria dello spettacolo. Anche la Roma nasce dai fermenti di queste nuove esigenze.  I suoi dirigenti avevano già fatto la scelta, disdegnando l’ombra mediana di un destino anonimo, sospinti da qualche forza più intensa del loro stesso orgoglio. Ma c’erano ancora molti problemi da risolvere febbrilmente.

Il primo nodo da sciogliere dopo il brindisi, fu la scelta dei colori sociali , mentre strisce di caligine offuscavano il cielo serotino. Si dissero però tutti d’accordo nel prediligere la maglia del Roman, rossa bordata di giallo. Erano i colori del comune di Roma. Colori che scioccamente i dirigenti della Lazio avevano snobbato, classicamente infatuati, agli albori del secolo, del mito greco di Olimpia. Insomma avevano scelto quelli della bandiera greca , con una decisione elitaria aristocratica , incomprensibile alle masse, che invece accorsero subito al richiamo di Roma e dei vessilli capitolini. E questo forse serve a spiegare perché la Roma fu subito squadra visceralmente popolare, cara alla gente dei vecchi rioni e de suburbio.

Ma la discussione si riaccese con un accanimento senza precedenti quando si trattò di scegliere il campo capace di ospitare tutti i tifosi delle tre squadre. La Fortitudo giocava su campetto della Madonna del Riposo, l’Alba in un prato dove adesso c’è Piazza Melozzo da Forlì e il Roman in Viale Tiziano. Questi tre campi furono però tutti scartati. La preferenza venne data, in via provvisoria, al Motovelodromo Appio, che bisognava però riadattare alle nuove esigenze, in attesa  di costruire uno stadio di proprietà della Roma, accanto al monte dei cocci di Testaccio, ricalcando il modello di quello  dell’Everton a Liverpool.

Un altro problema spinoso da risolvere fu quello della squadra. Bisognava rinunciare a circa trenta giocatori, scegliendo tutti i migliori, ma Italo Foschi non si lasciò sgomentare. Fu deciso di affidare l’incarico ad una commissione tecnica composta da Pietro Crostarosa, Danilo Baldoni, Vincenzo Bianconi, Amerigo De Bernardinis e Giuseppe Stinchelli.  La discussione si fece così animosa e serrata che spesso dovette intervenire, come paciere, lo stesso presidente. Alla fine fu stabilito di mettere a disposizione dell’allenatore Garbutt (strappato al Genoa) una rosa di ventotto elementi. Tredici avevano militato nella Fortitudo, dieci provenivano dall’Alba, cinque infine vennero scelti  dal Roman.


La formazione con cui la Roma scese in campo per la prima volta. In altro da sinistra: Il presidente Foschi, l'allenatore Garbutt, Ziroli, Fasanelli Bussich, Cappa, Chini , il massagiatore Cerretti e il suo vice Moggiani. Al centro: FerrarisIV, Degni, Rovida e (col pigiama da riserve) Bianchi. In basso: Mattei, Repetti e Corbyons.


Ormai la notte afosa gravava su quegli uomini stanchi come una spessa tavola di ferro. Lungo il filo smussato dei vecchi palazzi che circondavano Piazza Montecitorio, passavano uomini  e cavalli.  Nominato prefetto a La Spezia, l’on. Italo Foschi fu presidente per poco tempo.

La Roma scese per la prima volta in campo sul terreno del Motovelodromo Appio, il 28 luglio 1927, battendo gli ungheresi dell’Ujpest per 2-1. Il primo gol messo a segno da un giocatore in maglia giallorossa venne realizzato dalla mezzala Cappa. Fu il Livorno la prima formazione italiana  che sfidò la Roma. I giallorossi vinsero con un gol di scarto (3-2) e il centravanti Bussich, al suo esordio, mise a segno due gol. Intanto  bisognava superare l’ostacolo dell’iscrizione al campionato. 

L’iscrizione della Roma era osteggiata dalla Lazio, allora molto influente a livello federale, e dalle società del nord, che cercavano di impedirle l’attività agonistica ufficiale condannandola allo stato di mora per un anno. La situazione era imbarazzante. Un giornale di Milano, tanto per spiegare il clima con cui era stata salutata la nascita della nuova società, scrisse infatti in quei giorni: “Questa Roma è solo un sogno di mezza estate”.
Invece la soluzione per iscrivere la Roma al campionato venne offerta da un’altra fusione, quella tra Doria e Sampierdarenese nella Dominante, per cui la squadra giallorossa potè regolarmente disputare il campionato, il 25 settembre 1927, incontrando il Livorno. La Roma vinse 2-0 con gol di Ziroli e Fasanelli.

Il primo successo di un certo prestigio della nuova squadra fu però la vittoria della Coppa CONI, un torneo  a due gironi che impegnava le quattordici squadre  escluse dalle finali per lo scudetto. La Roma battè in finale il Modena sul campo neutro di Firenze e l’annuncio della sua vittoria, comunicato da un cartello esposto al balcone della redazione romana della “Gazzetta dello Sport”, suscitò tale entusiasmo da bloccare il traffico per le vie del centro. 

I romani avevano già eletto la Roma a squadra del cuore  e accolsero con tutti gli onori Fulvio Bernardini, che Renato Sacerdoti, diventato nel frattempo presidente della società, aveva strappato all’Inter. Per l’esordio di Fulvio (Roma-Genoa 5-3) vennero fissati prezzi da capogiro: un biglietto dei popolari costò 5 lire, uno dei distinti 10 e un posto in tribuna centrale addirittura 20 lire! In seguito a questa politica esosa  da parte della società nacquero le prime polemiche, ma vennero presto dimenticato allorchè il grande “Fuffo”, schierato centravanti, mandò subito tutti in delirio mettendo a segno due gol. 

I primi derby furono disputati nella stagione 1929-30 la prima a girone unificato per cui Roma e Lazio si trovarono per la prima volta di fronte. L’8 dicembre 1929 su disputò il primo derby sul terreno dei biancazzurri. Manco a dirlo vinse la Roma per 1-0 con un gol di Volk realizzato nella ripresa. Nella partita di ritorno disputata il 4 maggio 1930, la vittoria della Roma fu ancora più netta (3-1) con reti di Bernardini, Volk e Chini. Per la Lazio segnò Pastore. La lunga storia di vittorie del popolo giallorosso  contro l’aristocrazia biancazzurra era iniziata. 

 

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