lunedì 25 settembre 2017

28 settembre: giornata globale per la depenalizzazione e la legalizzazione dell’aborto

Commissione lavoro donne Pdac
 

Nel centenario della rivoluzione d’Ottobre vale la pena di ricordare che le donne russe furono le prime nella storia a vedersi riconosciuto il diritto all’aborto libero, gratuito e sotto controllo medico. Esse potevano accedere a questa pratica senza dover ottenere il consenso di alcuno, medico o familiare che fosse, conquistando così il grado più alto a livello mondiale della loro autodeterminazione, un livello non ancora raggiunto nemmeno nel più avanzato dei Paesi capitalisti oggi.
Il 28 settembre, infatti, come ormai accade dal 1990 (anno di istituzione della Giornata globale per la depenalizzazione e la legalizzazione dell’aborto, voluta al fine di promuovere l’aborto come un diritto umano, per frenare la mortalità materna e i rischi per la salute delle donne conseguenti agli aborti clandestini), saremo di nuovo in piazza a reclamare la piena concessione di un diritto. 
La situazione cambia da Paese a Paese, ma a livello globale rimane la certezza che impedire alle donne di ricorrere all’aborto non ha fatto che accrescere il mercato delle pratiche clandestine: è ancora alto, e non diminuisce, il numero di decessi a causa di aborti a rischio perché meno della metà degli aborti effettuati avviene in condizioni di sicurezza e per ogni donna che muore, circa 20 sono colpite da gravi invalidità o patologie. Nei Paesi in via di sviluppo sono soprattutto le giovani donne e le adolescenti a subire le complicazioni dovute ad aborti clandestini e rappresentano la percentuale più alta di bisogno insoddisfatto di contraccezione: più del 40% (8,7 milioni) degli aborti non sicuri riguarda infatti donne di età compresa tra 15 e i 24 anni.
 
La situazione italiana
Anche nei Paesi a cosiddetto “capitalismo avanzato”, abortire non è facile: in Italia ad esempio l’interruzione volontaria di gravidanza, tutelata dalla L. 194/78, è riconosciuta come una pratica legale, libera, gratuita ed assistita. La reale applicazione della 194, tuttavia, è ostacolata da una serie di attacchi trasversali tra i quali in particolare vanno menzionati i definanziamenti ai consultori causati dai continui tagli alla spesa pubblica con conseguente riduzione dei servizi erogati o addirittura con la chiusura di molti presìdi, e la possibilità per il personale medico, infermieristico e ausiliario di avvalersi dell’obiezione di coscienza, ossia di astenersi dalla pratica abortiva in virtù di convinzioni ideologiche o religiose. In Italia la scelta dell’obiezione è in continuo aumento e più del 70% dei ginecologi non pratica interruzioni di gravidanza, con punte anche dell’85% in alcune regioni del centro sud. Questa situazione impedisce l’applicabilità della legge e contribuisce ad alimentare il mercato degli interventi illegali: si parla di circa 15.000 aborti clandestini, cifra evidentemente sottostimata che non tiene conto ad esempio delle donne immigrate che spesso non si avvicinano alla sanità pubblica, soprattutto se clandestine.
L’aspetto più allarmante è che oltre a stratificarsi nella gerarchia ospedaliera con un raggio di copertura che va dal vertice di medici e anestesisti, passando per il personale infermieristico, fino alla base del personale ausiliario, l’obiezione di coscienza si sta estendendo anche come campo di applicazione: la scelta non coinvolge più soltanto la pratica dell’IVG, ma persino la prescrizione di farmaci contraccettivi o di tecniche abortive alternative. L’adozione della RU486, per l’aborto farmacologico meno invasivo di quello chirurgico, è boicottata nei fatti dalla circolare che impone un ricovero più lungo (tre giorni) di quello previsto per l’intervento, con pazienti sottoposte a vere e proprie vessazioni psicologiche e fisiche, umilianti e dolorose (i forum in rete sono pieni di racconti ad esempio di personale obiettore che rifiuta persino la somministrazione di analgesici per lenire i dolori abortivi) e con l’impossibilità ad accedervi a causa della lunga degenza per le lavoratrici precarie, per le minorenni, per le immigrate, spesso non in grado di giustificare assenze prolungate sul posto di lavoro o in famiglia.
Oggi, in Italia, abortire seguendo la legge è spesso quasi impossibile. La percentuale di adesione all’obiezione di coscienza e la conseguente inaccessibilità di numerosi presìdi ginecologici, comporta trafile da incubo fra porte sbattute in faccia, pellegrinaggi alla ricerca di medici non obiettori, lunghe file di attesa, prenotazioni, giornate perse, settimane che passano con il corpo che cambia e la gravidanza che procede inesorabile con conseguenze facilmente immaginabili. Questo significa che praticare l’interruzione di gravidanza è diventato per le donne italiane un percorso ad ostacoli e contro il tempo. La loro possibilità di autodeterminare la propria sessualità sia nella contraccezione sia nella maternità è sottoposta al ricatto di un’altra scelta, quella dell’obiezione di coscienza, frutto di una cultura maschilista che le preferisce succubi e relegate tra le mura domestiche ad accudire forza lavoro per il capitale.
 
La criminalizzazione dell'aborto è un'altra forma di violenza contro la donna
La società capitalista condanna le donne che praticano l'aborto, anche quando formalmente accorda loro la possibilità di ricorrervi. La maggior parte dei Paesi non garantisce un'adeguata educazione sessuale nelle scuole, né distribuisce gratuitamente gli anticoncezionali, negando alle donne in maniera cosciente la conoscenza ed il controllo del proprio corpo, della sessualità e della riproduzione. Le donne della classe lavoratrice e dei settori più poveri della società, condannate ad avere gravidanze indesiderate, non possono garantire le minime condizioni materiali ed emotive per un giusto sviluppo armonico di questi figli. Il sistema capitalista condanna questi bambini a diventare facile preda dei peggiori mali della società: criminalità, tossicodipendenza, disoccupazione. D'altra parte, con posti di lavoro precari, gli unici cui ha accesso la stragrande maggioranza delle giovani lavoratrici, la gravidanza è spesso causa immediata di licenziamento. Si tratta di un'altra forma di violenza contro le donne che vogliono essere madri.
Il numero di aborti clandestini e delle morti di donne in relazione alla gravidanza confermano che le posizioni che criminalizzano l'aborto e che sostengono di difendere la vita non sono altro che ipocrisia. È deleterio in particolare il ruolo della Chiesa cattolica che non solo contrasta la legalizzazione dell'aborto, ma anche l'uso del preservativo, condannando i suoi giovani seguaci al contagio dell'Aids.
Però mentre le condanna e le censura quando esercitano liberamente la loro sessualità, questa stessa società le svilisce, le prostituisce e le utilizza come oggetti sessuali. Alle donne si chiede sottomissione attraverso false ideologie della classe dominante e dei settori più conservatori della società, e in maniera cosciente si nega loro la conoscenza ed il controllo del proprio corpo, della sessualità e della riproduzione. Come una cartina al tornasole, l’aborto, il momento più esclusivo di affermazione di volontà da parte di una donna, dà l’esatta misura del livello di oppressione delle donne nel sistema capitalistico: la legislazione borghese (che sull’argomento riesce a sbizzarrirsi in restrizioni e tempistiche ai limiti del ridicolo) rende la sua negazione lo strumento ideale per relegare maggiormente la donna nella sua funzione riproduttiva, soprattutto in questo momento in cui per la crisi economica è necessario “liberare” posti di lavoro in favore degli uomini e sopperire ai tagli ai servizi sociali con manodopera gratuita.
 
Insieme in piazza il 28 settembre!
Consapevoli che solo nel socialismo sarà possibile per le donne autodeterminarsi così come lo fu per le donne russe nel ‘17, come donne lavoratrici e sfruttate saremo in piazza il 28 settembre insieme ai lavoratori e compagni maschi con cui lottiamo quotidianamente, perché la violenza e gli abusi sono meccanismi di oppressione che servono a tenere in piedi lo sfruttamento del sistema capitalista contro migliaia di milioni di lavoratori e poveri del mondo.
Il Partito di alternativa comunista, sezione italiana della Lega internazionale dei lavoratori-Quarta internazionale, nel riconoscere la necessità di estendere e garantire il diritto di aborto al di là dei limiti della 194, si batte per garantirne l’applicazione in tutti gli ospedali attraverso l'abolizione dell'obiezione di coscienza e l'introduzione delle migliori tecniche per la salvaguardia della salute delle donne (pillola abortiva), per l’estensione alle minorenni del ricorso all’IVG senza la necessità dell'autorizzazione vincolante degli esercenti la responsabilità genitoriale o dei tribunali borghesi, per l’accesso gratuito e senza prescrizione medica alla “pillola del giorno dopo” (senza l'obiezione di coscienza dei farmacisti), per l'esclusione del Movimento per la vita e delle altre associazioni antiabortiste dai consultori e dai reparti di ginecologia, per il potenziamento dei servizi pubblici a supporto delle donne, abolendo ogni finanziamento ai servizi privati e del privato sociale, per la sostituzione a scuola dell'ora di religione con un'ora di educazione alla sessualità, alla contraccezione e alla salute, per il controllo delle lavoratrici, delle giovani e delle immigrate sull'erogazione e la gestione di tali servizi, per difendere il diritto ad una procreazione e ad una sessualità libere e responsabili per le donne attraverso la lotta per un’educazione sessuale laica e libera da pregiudizi, per l’accesso gratuito alle misure anticoncezionali, per il potenziamento dei consultori pubblici, per un aborto libero, gratuito e sicuro.

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