La lunga ed estenuante campagna elettorale per la poltrona di sindaco di
Frosinone è arrivata al capitolo: “Magagne delle consiliature precedenti”. I vari
schieramenti si stanno dilettando a
denunciare le stupidaggini compiute dal
sindaco uscente Ottaviani , ma anche dai suoi predecessori. La lista è lunga e uno dei disastri principali
riguarda la raccolta dei rifiuti. La storia di appalti e affidamenti pericolosi
comincia da lontano, dal 2006. Non voglio qui riproporre l’annosa odissea del
rifiuto nella nostra città, fatto sta che per legge avremmo dovuto essere al 65%
di raccolta differenziata, invece arriviamo a malapena al 18%. Come risponde la
coalizione che probabilmente spingerà Ottaviani alla conquista di un secondo
mandato alla guida della città? Non se ne cura. Tant’è vero che alcuni
candidati consiglieri si divertono a insozzare le
strade e i cortili dei singoli cittadini con cartaccia elettorale. Oltre a
chiedere una tariffa spropositata per lo smaltimento dei rifiuti, gli attuali
amministratori, lanciati verso una ipotetica riconferma , testano la pazienza dei
cittadini costringendoli a rimuovere dai loro cortili e androni volantini e altre amenità cartacee. Resta da vedere se tale comportamento influirà
sulle dinamiche del voto. Ma questo a Ottaviani e al suo esercito di candidati,
non sembra preoccupare. Gli elettori sono abituati alle modalità di governo del
sindaco uscente, il quale fa un po’ come cazzo gli pare, tanto fino ad oggi un’opposizione
vera non l’ha mai avuta.
sabato 22 aprile 2017
2017 - Elezioni comunali a Frosinone
Severo Lutrario
Come fosse una catastrofe ricorrente, sui cittadini sta per abbattersi il solito tsunami.
Un pugno di notabili, acquattati dietro i soliti partiti, fanno incetta di avvocati, medici e di chiunque abbia un “pacchetto” di clienti, cui offrire un posto in prima fila per sedere in silenzio in Consiglio Comunale.
Poi, sempre i capi bastone dei soliti partiti, fanno a gara per accaparrarsi candidati tra le famiglie “numerose”, puntando a mettere in piedi il numero più alto possibile di liste elettorali, non importa se assolutamente strampalate.
Non mancanno, ancora, i pruriti di qualche aspirante notabile che si costruirà attorno la sua brava lista sedicente “civica”.
E i programmi?
Sono solo una noiosa incombenza burocratica, carta, che in campagna elettorale meriterà al massimo qualche accenno.
E i riferimenti politici, le parti sul campo di pallone in cui ci si schiera?
Sono utili solo ad assicurarsi il voto di quello zoccolo duro che non ha ancora capito che gli uni e gli altri, useranno pure strumenti diversi, ma suonano la medesima musica.
Ancora una volta, anche nel 2017, succedetutto questo, ancora una volta il voto sarà quello di clienti e familiari, al massimo di amici. Certamente non quello di cittadini.
Eppure il risultato di questo ricorrente tsunami è già sotto gli occhi di tutti.
Frosinone è in fondo a tutte le classifiche sulla qualità della vita. Frosinone è uno dei posti dove si vive peggio in Italia. Frosinone è una piccola città che non è a misura d’uomo ma è a misura di affare e malaffare, di clientela e di favore.
Il lavoro, la casa, i servizi sociali, l’acqua, la sanità, i trasporti, i rifiuti, la scuola, la viabilità, il tessuto urbano, la cultura e tutto il resto sono solo, da una parte, il terreno di caccia del sistema degli appalti e degli affari del privato e, dall’altra, gli ambiti in cui i diritti dei cittadini vengono ridotti a favori utili a costruire il consenso personale dell’amministratore.
Chi in questi anni si è impegnato in prima persona, dalla sanità all’acqua, dal lavoro ai rifiuti, cittadino tra i cittadini, a difesa dei diritti delle persone e con l’idea di una città finalmente a misura d’uomo; che in questi anni si è scontrato con il muro di gomma di istituzioni sorde ai diritti ed ai bisogni dei cittadini, almeno, non dovrebbe accettare che nel 2017 si ripeta, come una sorta di castigo divino, quanto avvenuto nel passato.
Ma oggi la situazione è ben più grave che nel passato.
Queste elezioni comunali cadono al termine di un processo di cosiddetta riforma delle autonomie locali che nella sostanza e nella forma svuota le concrete possibilità per le comunità di governare il proprio territorio, di scegliere cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. In una frase: di decidere della propria vita.
Le politiche di bilancio adottate da tutti i governi, sedicenti di destra e di sinistra, hanno scaricato il debito sui territori strangolando le amministrazioni.
Le cosiddette riforme, dalla Delrio alla Madia, svuotano e trasformano i comuni – meglio, le unioni dei comuni o gli Ambiti Territoriali Ottimali, cioè organismi gestiti da nominati – in stazioni appalti in cui gli stessi contratti, i capitolati tecnici, i costi e le tariffe sono decise altrove, da “autorità” non elette da nessuno, pagate dai gestori e sotto il diretto controllo della Presidenza del Consiglio.
Queste cosiddette riforme fanno dell’erogazione dei servizi un fatto meramente economico cui i cittadini devono sempre più trovare soluzione sul mercato ed ai prezzi di mercato. Trasformano cioè i diritti in bisogni cancellando dal governo della cosa pubblica la stessa nozione di qualità della vita, scambiando magari questa con l’andamento del PIL.
In pratica questo tsunami elettorale è dunque chiamato, in ossequio alla legislazione vigente o in fase di promulgazione, a nominare il collegio dei liquidatori dei diritti dei cittadini, il commissario fallimentare dell’ente locale.
Allora, denunciare i meccanismi perversi e niente affatto democratici delle elezioni, auspicare un cambiamento, cercare di far eleggere qualche persona perbene, predisporre in tutta buonafede il miglior libro dei sogni in forma di programma elettorale è assolutamente inutile e in ultima analisi deleterio, perché finisce per riconoscere ad istituzioni ademocratiche e deprivate di ogni capacità di autonomia di governo, una funzione ed un ruolo che nei fatti non sono praticabili se non violando programmaticamente le leggi ingiuste che ne impediscono la reale attuazione.
Cosa sarebbe stato necessario fare?
Sarebbe occorso che i cittadini, a cominciare da coloro che, cittadini tra i cittadini, sono impegnati nel concreto delle mille battaglie che segnano le facce della qualità della vita, si fossero assunti il compito di costruire un’alternativa fondata sulla partecipazione diretta dei cittadini al governo della città.
Non l’ennesima lista elettorale, perché è ora che nessuno deleghi la propria rappresentanza a nessun notabile; che nessuno voti per fare un favore al parente o all’amico; che nessuno si offra di fare numero per assicurare a questo o a quel capo-bastone quella manciata di voti che spera di raccattare.
Si sarebbe dovuto aprire un dialogo tra tutte le associazioni, in tutti i quartieri, in tutti gli ambiti specifici, per costruire un programma di governo condiviso, scritto con i cittadini e fondato sull’obiettivo di rendere Frosinone a misura d’uomo ed un posto dove sia gradevole abitare.
Si sarebbe dovuto individuare, insieme, dal basso, coloro che si sarebbero candidati ad attuare nell’istituzione questo programma, non come delegati a fare ma come terminali istituzionali dei cittadini e della loro volontà.
Si sarebbe dovuto immaginare un’amministrazione determinata – anche ad andare in galera a testa alta - a perseguire il bene comune e la giustizia, a dispetto dei poteri forti e delle leggi ingiuste –.
Si sarebbe dovuta costruire un’amministrazione di lotta che, a dispetto dei poteri economici e dei governi … governasse con i cittadini e per i cittadini.
Sarebbe stato evidente come questo percorso sarebbe stato incompatibile con l’attuale quadro politico ed istituzionale e non sarebbe stato riducibile alle logiche della politica politicante.
In un quadro totalmente estraneo alle vecchie logiche di schieramento, gli unici valori irrinunciabili sarebbero stati quelli che accomunano tutte le associazioni che lavorano nel sociale: solidarietà, democrazia, partecipazione, equità, integrazione, accoglienza, giustizia sociale e pace.
Queste stesse cose le ho dette mesi fa.
Ma non c’è stata la volontà per tentare questa follia.
C’è stato chi, stolidamente, non vedendo o fingendo di non vedere la corrosione dell’istituzione, ha scelto di fare il compitino delle domandine ai “candidati”, finendo per fare da megafono alla solita fiera delle banalità e delle intenzioni che lastricano le vie dell’inferno.
C’è stato chi, mosca cocchiera, s’è aggregato al carro trainato dal PdR – proprio quello della Delrio e della Madia – finendo per fare l’utile idiota nella speranza di conquistare uno strapuntino in consiglio.
Ci sono i pentastellati, che almeno sono fedeli a loro stessi, ma che confondono la giustizia con la legalità …
… Io, mi preparo a sopravvivere a questo tsunami, sapendo che domani, comunque vada, avrò comunque una controparte nell’istituzione e, a testa alta, mi astengo.
Orfini lascia i partigiani, si tenga i boy scout
Massimo Villone da "il manifesto" del 22 aprile
Il presidente Orfini ci informa che il Pd non sarà al corteo Anpi di Roma perché l’associazione partigiani è «divisiva». Ma chi divide chi, e per cosa? Avremmo apprezzato se il Pd avesse provato a evitare la frattura, ingiustificata, tra comunità ebraica romana e un pezzo della sinistra.a comunità ebraica non può non sapere che a sinistra il legame con il popolo d’Israele è stato ed è forte e radicato, mentre tale non è l’apprezzamento per le politiche dello stato d’Israele. I palestinesi esistono, e i loro diritti – ivi inclusa l’aspirazione a uno stato autonomo – sono largamente riconosciuti, certo non solo dall’Anpi. Etichettare i palestinesi di oggi come i discendenti del Gran Muftì non ha niente a che fare con la politica, quella vera. E quindi c’era ampio spazio per un partito serio che volesse operare per una ricomposizione ragionata e ragionevole. Il corteo Anpi poteva essere una felice occasione. Così non è stato. Al contrario, la pesantissima dichiarazione di un così alto esponente del Pd cade come una pietra su una associazione che è nella storia del paese assai più che il Pd.
È corposo il sospetto, da molti avanzato, che le parole di Orfini trovino la radice ultima nello scontro referendario, con l’associazione dei partigiani protagonista del No. E per quanto ci riguarda chi difendeva la Costituzione operava per unire, e chi la attaccava operava per dividere. Non partecipare a un corteo per il 25 aprile, con la motivazione data da Orfini, conferma che il Pd come partito non ha imparato dal 4 dicembre. Non aveva allora idea di cosa sia la Costituzione di un paese, e cosa significhi in termini di identità e di progetto di futuro. Non ha idea oggi di cosa significhi la celebrazione del 25 aprile, almeno per la parte del popolo italiano che il Pd vorrebbe rappresentare. Capiamo bene che l’attuale dirigenza Pd è nata molti anni dopo la Costituzione. Non ha vissuto la battaglia per la libertà, i diritti, l’eguaglianza, la solidarietà, la pace. Ma si può anche studiare e imparare. Per chi sa leggere, i libri di storia esistono per questo. E soprattutto le Costituzioni non si fanno secondo lo stato anagrafico di chi comanda, o per la voglia di mantenere la poltrona.
Dopo il 4 dicembre, avremmo pensato che convenisse al Pd riavvicinarsi ad un popolo di sinistra che aveva voltato le spalle al partito. Anche in una prospettiva biecamente elettoralistica sarebbe stata questa la scelta utile. Invece, risentiamo l’argomento che l’Anpi non rappresenta i veri partigiani. Che, a quanto pare, avrebbero dovuto essere e tuttora sarebbero, alla fine, quelli pronti all’obbedienza per il capo. Noi siamo invece lieti che ci sia un’associazione in cui trova spazio chi ha il coraggio di affermare la continuità con l’identità più profonda del paese, e di professare idee che certo non sono estranee al patrimonio storico della sinistra. Mentre il Pd conferma ancora una volta di dividersi, come partito, da pezzi del proprio mondo, di cui disconosce il senso e l’importanza. Una volta reciso il legame con l’Anpi, la sostituiremo forse con le associazioni dei boy scout? La colpa più grave del renzismo è avere tolto al Pd quel poco di identità che ancora aveva. Un partito innominato che, per non essere né di destra né di sinistra, risponde torpidamente all’ultimo sondaggio. Ma perché una persona di sinistra dovrebbe oggi votare Pd? Questa è una domanda che il gruppo dirigente dovrebbe porsi. Se non altro perché, se non guarda a sinistra, il Pd i voti dovrà pur sempre trovarli da qualche altra parte. E non è che i competitors in campo siano disponibili ad aprire spazi senza combattere. Questo i sondaggi ce lo dicono in chiaro, che si voti in autunno o dopo. Per il resto, Orfini stia sereno. Dovendo scegliere tra Anpi e Pd, non esiteremo.
venerdì 21 aprile 2017
Celebrazione del 25 aprile. A Roma non sfilerà la Brigata Ebraica e, secondo il miglior stile leghista, mancherà anche il Pd.
Luciano Granieri
Come è noto la Brigata Ebraica di Roma non parteciperà al
corteo organizzato dall’Anpi il 25 aprile prossimo a Roma. La Brigata sfilerà per proprio conto in via Balbo,
anziché seguire la manifestazione partigiana che partirà da P.zza Caduti della Montagnola e arriverà a Porta
San Paolo .
Giova ricordare che la posizione del Corpo Militare allora
inquadrato nell’esercito inglese, decisivo nella lotta di liberazione, non è condivisa dall’intera comunità ebraica
di Roma. Infatti la componente progressista degli ebrei romani sarà regolarmente a fianco dell’associazione
nazionale partigiani d’Italia.
Il motivo della mancata adesione è presto detto.
La Brigata Ebraica non tollera all’interno del corteo la presenza di una
rappresentanza della comunità palestinese con tanto di bandiere al seguito. Ne
teme aggressioni, come già accaduto, ma,
bisogna ricordare, che anche esponenti
della parte ebraica, in manifestazioni
passate, si sono lasciati andare ad
intimidazioni e minacce verso i palestinesi.
Da più parti, oltre che
dall’Anpi e dagli organi istituzionali, sono arrivate sollecitazioni affinchè
il tutto si ricomponesse attorno ai valori
condivisi della resistenza. Non c’è stato nulla da fare la presidente della
comunità , Ruth Dureghello ha accusato la stessa Anpi di considerare gli ebrei
di Roma come una comunità straniera e di non essere in grado di scongiurare aggressioni
verso i rappresentanti della Brigata. E’ un’assenza indubbiamente grave. L’apporto della Brigata Ebraica è stato
determinante nella lotta di liberazione dal nazifascismo.
Tornando ai valori
condivisi, il rispetto dei quali è stato quasi unanimemente richiamato, è utile
proporre qualche riflessione. Resistenza e liberazione, queste le basi su cui
si è saldata la lotta partigiana, così come resistenza e liberazione sono i
valori che dalla lotta al nazifascismo, tramandandosi nella storia, giungono oggi a caratterizzare il contrasto ad ogni tipo di oppressione ed
oppressore.
Razzismo discriminazione e violenza, ieri come oggi, sono
manifestazioni repressive decisamente presenti in tutta la comunità internazionale. L’internazionalizzazione
e l’ attualizzazione della lotta di
liberazione credo siano le prime finalità delle celebrazioni del 25
aprile. Per questo motivo all’interno del corteo sfilano, circoli Latino Americani, comunità Kurde e, per l’appunto, rappresentanti palestinesi. Entità
accomunate dalla resistenza ad un’oppressione e ad un oppressore e da una lotta
di liberazione .
Disgraziatamente per i Palestinesi, sfilare accanto ai
vessilli di Tel Aviv significa condividere un pezzo di strada con chi esercita
verso i loro connazionali un’insopportabile occupazione coloniale, una devastante e gratuita repressione,
incarcerando bambini, procurando torture e privazioni. Nessuno, tanto meno i palestinesi, mette in
discussione l’assoluta legittima partecipazione della Brigata Ebraica , infatti nessuno la osteggia, ma è indubbio che la comparsa nella brigata
delle bandiere dello Stato d’Israele, oggi protagonista dell’odiosa
occupazione dei territori palestinesi, crea momenti di tensione con coloro i
quali quell’occupazione subiscono. E’ bene sottolineare però come sia la
Brigata Ebraica a non voler accettare la presenza dei palestinesi e non
viceversa.
La speranza del corteo del 25 aprile, magari poteva essere quella di
indurre lo Stato d’Israele a recedere
nell’odiosa repressione dei palestinesi, rivivendo nella memoria le indicibile sofferenze che proprio la feroce deportazione nazista procurò agli ebrei. La coscienza delle
mostruosità subite da parte dei nazisti e dei fascisti, dovrebbe rendere
impraticabile un qualsiasi tipo di prevaricazione verso altre comunità. Aver
provato le sofferenze della vittima
dovrebbe rendere odiosa ed insopportabile l’idea di diventare carnefice. Questo
poteva essere il messaggio insito nelle
celebrazioni della festa di liberazione. Ma a quanto pare certi valori di pace
e tolleranza ancora non sono abbastanza radicati nell’animo
umano.
Il rifiuto della Brigata Ebraica a partecipare al corteo dell’Anpi ha
indotto anche il Pd romano a disertare l’evento. Matteo Orfini , commissario
del Pd di Roma, ha motivato la decisione accusando l’Associazione partigiana di essere
divisiva, di non permettere una partecipazione libera, urtando la sensibilità della comunità ebraica
romana indignata per la presenza dei
palestinesi . Comprendiamo la posizione di Orfini, la sconfitta referendaria
brucia ancora e all’Anpi, che si era impegnata per il No alla riforma
Renzi-Boschi, bisognava presentare il conto. Dunque il Pd non ci sarà, ce ne faremo
una ragione, stiano sereni Orfini e affini.
ACEA, il business dell’acqua anche a Colleferro.
Rete per la Tutela della Valle del Sacco |
A quasi due anni dall’insediamento di Acea ATO 2 S.p.A. come gestore del servizio idrico di Colleferro sono arrivate le prime bollette. Non è certo un fulmine di guerra questo nuovo gestore, soprattutto trattandosi di una delle maggiori multinazionali del settore in Italia. Tra l’altro, in due anni Acea non è riuscita a leggere i contatori nemmeno una volta e ora tappezza la città di manifesti, minacciando conti più salati se gli utenti non fanno anche il lavoro al loro posto, ovvero se non comunicano con autolettura il volume di mc di acqua consumati. Eppure a pagina 23 della carta dei servizi si legge che la lettura del contatore verrà effettuata almeno una volta l’anno.
Come abbiamo detto più volte, l’avvento del nuovo gestore ha portato con sé un cambiamento nel metodo tariffario, che prevede che tutti i costi del servizio vengano remunerati con la bolletta. Pagheremo, assieme all’acqua che consumiamo, anche gli interventi di manutenzione -piccoli o grandi che siano- e gli investimenti che il gestore farà.
La vecchia tariffa, in maniera molto più equa, prevedeva che le spese per investimenti fossero finanziate con la fiscalità generale a cui i cittadini partecipano in maniera proporzionale al proprio reddito. Così è stato per la realizzazione degli ultimi pozzi, finanziati con fondi regionali, che forniscono acqua di buona qualità alla nostra cittadina.
Anche per questo motivo le tariffe Acea rispetto a quelle praticate dal precedente gestore sono molto più alte: ad eccezione del primo scaglione di consumo, che è lievemente più basso, si va da aumenti del 40% per il secondo scaglione di fornitura, al 69% per il quarto.
Scorrendo le voci in bolletta ci accorgiamo di un’altra particolarità che fa sorgere qualche dubbio.
A quanto sappiamo, infatti, ACEA ATO 2 ha per ora rilevato solo il servizio idrico, mentre i servizi di fognatura e depurazione sono rimasti in capo al comune di Colleferro, fino a che non saranno terminati i lavori di adeguamento del depuratore sito in Valle Settedue (punto 6 lettera c della delibera n. 5 del 21/5/2015).
Sappiamo anche (Determ. Dirig. 281 del 25.05.2015) che il comune ha affidato la conduzione tecnica e la manutenzione di questo depuratore ad Acea ATO 2 per una cifra pari a 246.711 euro (fino al 31.12.2015) che, a quanto si dice nella determina, è la stessa cifra pagata al vecchio gestore. La voce in bolletta relativa ai costi di fognatura e depurazione dovrebbe quindi ancora tornare nelle casse del Comune, come avveniva nel precedente contratto. Non riusciamo a comprendere quindi perché la tariffa per queste due voci si sia adeguata alla nuova tariffa (più cara di circa il 56%) pur permanendo la situazione gestionale precedente. Opportuno che qualcuno ci dia una risposta.
Ma torniamo a parlare di investimenti, tema spesso agitato dai privatizzatori per dimostrare la supremazia della gestione privata rispetto a quella pubblica.
Riportiamo quanto si legge in proposito nel recente studio dalla Merian research (marzo 2017): ”All’interno del bilancio 2012 di Acea Ato 2 SpA si specifica che, nel periodo 2012-2015, si sarebbero dovuti effettuare investimenti pari a 951,8 milioni di euro. In realtà, nello stesso periodo, gli investimenti effettuati in totale sono stati pari a 576,83 milioni di euro (374,97 milioni di euro in meno del previsto).
Fino al 2011 è stata assicurata agli azionisti una remunerazione del capitale investito pari al 7%. Tale remunerazione garantita è stata cancellata dalla conferenza dei sindaci dell’aprile 2012, che ha recepito l’esito del referendum del 2011.
La cancellazione della remunerazione garantita si è accompagnata ad un aumento delle tariffe, giustificato da un aumento degli investimenti programmati nel periodo 2012-2015.
In realtà tali investimenti non sono stati effettuati (o sono stati effettuati solo in parte). Nei fatti quindi la cancellazione della remunerazione garantita al 7% ha portato a un aumento della remunerazione del capitale investito dagli azionisti dal 7% a circa il 10% nel periodo 2012-2015. Infatti, se si fossero realizzati tutti gli investimenti, i relativi ammortamenti avrebbero portato a una diminuzione dell’utile e quindi della redditività del capitale nel periodo considerato.”
Detta in maniera molto semplice: Acea non ha fatto tutti gli investimenti che avrebbe dovuto e i soldi non spesi sono andati dalle nostre tasche a quelle degli azionisti.
Tra l’altro, le tariffe Acea ATO 2, dal 2016 al 2017, sono aumentate ancora quasi del 5%, valore importante in un contesto di deflazione generalizzata dei prezzi e di crisi economica che colpisce in maniera più dura le fasce più povere della popolazione.
I ricavi di Acea ATO 2 dal 2011 al 2015 segnano un + 19,25% solo per il servizio idrico, da 423,75 milioni di euro nel 2011 a 505,34 milioni di euro nel 2015. Il Margine operativo lordo, fatta eccezione per il 2011, rimane abbastanza stabile negli anni; nel 2015 è di 238,83 milioni di euro.
Questa costanza nel margine di profitto si spiega col fatto che il servizio idrico è un monopolio naturale, regolato da leggi che evitano al gestore di rischiare i propri capitali mentre gli consente guadagni sicuri, anche dopo l’esito referendario, aggirato in ogni modo.
Dove vanno a finire gli utili incamerati da Acea ATO 2? A migliorare il servizio? A sanare acquedotti colabrodo?
Non propriamente. Gran parte di questi soldi (il 93% degli utili nel 2015) vanno alla capofila del gruppo, Acea S.p.A. che in parte li divide tra i propri azionisti, in parte li presta ad Acea ATO 2 a tasso di mercato per effettuare gli investimenti previsti dalla conferenza dei sindaci.
Si legge infatti nello studio Merian research: “L’utile di Acea ATO 2 (70,70 milioni di euro nel 2015) viene costantemente distribuito ad Acea Holding, che lo presta poi ad Acea ATO 2 tramite la linea di credito intercompany. Quindi Acea ATO 2 finisce per pagare interessi sul suo stesso utile, incamerato da Acea S.p.A. come dividendo e concesso poi ad Acea ATO 2 come prestito.”
Si legge infatti nello studio Merian research: “L’utile di Acea ATO 2 (70,70 milioni di euro nel 2015) viene costantemente distribuito ad Acea Holding, che lo presta poi ad Acea ATO 2 tramite la linea di credito intercompany. Quindi Acea ATO 2 finisce per pagare interessi sul suo stesso utile, incamerato da Acea S.p.A. come dividendo e concesso poi ad Acea ATO 2 come prestito.”
Siamo di fronte ad un’architettura societaria che rende impossibile ai cittadini una qualsiasi forma di controllo sulla gestione di un servizio indispensabile ed irrinunciabile, mentre permette di mascherare l’accaparramento dei profitti tramite giochi finanziari.
Utili per 70,70 milioni di euro nel 2015, divisi tra gli azionisti: immaginate quante opere infrastrutturali si sarebbero potute realizzare con quei soldi.
Ricordiamo infine che la Regione Lazio ha un piano regolatore degli acquedotti che risale al 2004, realizzato in base a previsioni che arrivavano al 2015, mentre i problemi causati dal cambiamento climatico e le perdite negli acquedotti rendono sempre più critico l’approvvigionamento idrico alle popolazioni.
Fin qui abbiamo dato i numeri. Ma dopo due anni di gestione Acea possiamo anche dare qualche parere sull’operato: abbiamo visto miglioramenti nel servizio? Efficienza nelle riparazioni? Solerzia per nuovi allacci? Ascolto all’utenza e trasparenza nelle azioni? Efficacia e tempestività nelle comunicazioni?
A voi cittadini la parola e il giudizio, con una avvertenza: le considerazioni che possiamo fare sulla nostra situazione locale ci possono far alzare lo sguardo sulla condizione di una risorsa, l’acqua, che nel suo ciclo di riproduzione non conosce confini.
giovedì 20 aprile 2017
1917-2017 Le Tesi di Aprile di Lenin Un testo scandaloso per i riformisti di ieri e di oggi
E' un delirio, è il delirio di un pazzo!"
(A. Bogdanov, menscevico, parlando di Lenin e delle Tesi di Aprile)
(A. Bogdanov, menscevico, parlando di Lenin e delle Tesi di Aprile)
di Francesco Ricci
E' il 3 aprile 1917 (16 aprile del nostro calendario) quando il cosiddetto "treno blindato" che ospita Lenin, Zinoviev, la Krupskaja, Inessa Armand, Radek e altri arriva alla stazione Finlandia. Ad accoglierlo c'è una delegazione del soviet di Pietrogrado, guidata dal menscevico Cheidze che pronuncia un discorso di benvenuto. Lenin gli volta le spalle e si rivolge alla folla. Scrive Trotsky: "Il discorso che Lenin pronunciò alla stazione Finlandia sulla natura socialista della rivoluzione russa fu una bomba per molti dirigenti del partito [bolscevico, ndr]." (1)
Lenin espone nuovamente la sua posizione a 200 militanti che, la sera del 3 aprile, lo ascoltano a Pietrogrado. Tra loro c'è anche Nicolaj Soukhanov (menscevico internazionalista) che nelle sue Memorie così racconta l'effetto che fece quel discorso: "(...) sembrava che tutti gli elementi fossero usciti dai loro rifugi e che lo spirito di distruzione universale, che non conosceva né limiti né dubbi (...) si librasse nella sala (...)." Quando Lenin finisce di parlare, ci sono applausi ma i dirigenti bolscevichi presenti hanno lo sguardo smarrito.
Lenin ha indicato al contempo un cambio di strategia e la necessità, per realizzare la nuova linea, di distruggere l'influenza schiacciante dei menscevichi e dei Socialisti-Rivoluzionari nei soviet (i bolscevichi sono in quel momento una piccola minoranza). Il caso vuole che proprio il giorno successivo sia organizzata una riunione per avanzare verso la riunificazione tra bolscevichi e menscevichi...
Soukhanov, che assiste, scrive: "A questa riunione (...) Lenin apparve come l'incarnazione vivente della scissione e tutto il senso del suo intervento consisteva in primo luogo nel seppellire l'idea dell'unificazione." (2)
Lenin espone nuovamente la sua posizione a 200 militanti che, la sera del 3 aprile, lo ascoltano a Pietrogrado. Tra loro c'è anche Nicolaj Soukhanov (menscevico internazionalista) che nelle sue Memorie così racconta l'effetto che fece quel discorso: "(...) sembrava che tutti gli elementi fossero usciti dai loro rifugi e che lo spirito di distruzione universale, che non conosceva né limiti né dubbi (...) si librasse nella sala (...)." Quando Lenin finisce di parlare, ci sono applausi ma i dirigenti bolscevichi presenti hanno lo sguardo smarrito.
Lenin ha indicato al contempo un cambio di strategia e la necessità, per realizzare la nuova linea, di distruggere l'influenza schiacciante dei menscevichi e dei Socialisti-Rivoluzionari nei soviet (i bolscevichi sono in quel momento una piccola minoranza). Il caso vuole che proprio il giorno successivo sia organizzata una riunione per avanzare verso la riunificazione tra bolscevichi e menscevichi...
Soukhanov, che assiste, scrive: "A questa riunione (...) Lenin apparve come l'incarnazione vivente della scissione e tutto il senso del suo intervento consisteva in primo luogo nel seppellire l'idea dell'unificazione." (2)
Imparando dalla Comune di Parigi
Ma facciamo un passo indietro. Subito dopo aver appreso dello scoppio della rivoluzione di febbraio, Lenin inizia dall'esilio svizzero una battaglia per modificare radicalmente la strategia del partito. Per prima cosa il 6 marzo invia al partito questo telegramma: "Nostra tattica: sfiducia completa, nessun appoggio al nuovo governo: sospettare in particolare di Kerensky; armamento del proletariato, sola garanzia (...) nessun riavvicinamento con altri partiti." (3)
Nel mese di marzo scrive le Lettere da lontano (la Pravda ne pubblicherà solo una, tagliandola). Al centro di queste lettere e dei fondamentali testi successivi, tra cui spiccano le Tesi di Aprile, di cui ci occuperemo tra poco, c'è l'esempio della Comune di Parigi che Lenin è tornato a studiare in quei mesi, mentre sta compilando il cosiddetto Quaderno azzurro (Il marxismo e lo Stato), una raccolta di citazioni commentate di tutti i concetti espressi da Marx ed Engels in relazione al tema dello Stato, lavoro che gli servirà per scrivere Stato e rivoluzione (4).
La rivoluzione che si sta sviluppando in Russia, afferma Lenin, è una rivoluzione socialista. Per questo l'obiettivo della rivoluzione è "spezzare lo Stato borghese", così come fecero gli operai parigini, e sostituire a esso la dittatura del proletariato. Cioè non si tratta di cambiare il conduttore della vecchia macchina statale ma di distruggerla e di sostituirla con una completamente nuova. Ma per arrivare a questo obiettivo è necessario affermare la più completa indipendenza del proletariato dalla borghesia e dal governo provvisorio, che è un governo borghese nonostante sia sostenuto dai Soviet (in cui hanno la maggioranza i Socialisti-Rivoluzionari e i menscevichi).
Ma facciamo un passo indietro. Subito dopo aver appreso dello scoppio della rivoluzione di febbraio, Lenin inizia dall'esilio svizzero una battaglia per modificare radicalmente la strategia del partito. Per prima cosa il 6 marzo invia al partito questo telegramma: "Nostra tattica: sfiducia completa, nessun appoggio al nuovo governo: sospettare in particolare di Kerensky; armamento del proletariato, sola garanzia (...) nessun riavvicinamento con altri partiti." (3)
Nel mese di marzo scrive le Lettere da lontano (la Pravda ne pubblicherà solo una, tagliandola). Al centro di queste lettere e dei fondamentali testi successivi, tra cui spiccano le Tesi di Aprile, di cui ci occuperemo tra poco, c'è l'esempio della Comune di Parigi che Lenin è tornato a studiare in quei mesi, mentre sta compilando il cosiddetto Quaderno azzurro (Il marxismo e lo Stato), una raccolta di citazioni commentate di tutti i concetti espressi da Marx ed Engels in relazione al tema dello Stato, lavoro che gli servirà per scrivere Stato e rivoluzione (4).
La rivoluzione che si sta sviluppando in Russia, afferma Lenin, è una rivoluzione socialista. Per questo l'obiettivo della rivoluzione è "spezzare lo Stato borghese", così come fecero gli operai parigini, e sostituire a esso la dittatura del proletariato. Cioè non si tratta di cambiare il conduttore della vecchia macchina statale ma di distruggerla e di sostituirla con una completamente nuova. Ma per arrivare a questo obiettivo è necessario affermare la più completa indipendenza del proletariato dalla borghesia e dal governo provvisorio, che è un governo borghese nonostante sia sostenuto dai Soviet (in cui hanno la maggioranza i Socialisti-Rivoluzionari e i menscevichi).
Quando Lenin diventò... "trotskista"
Non è possibile apprezzare la profondità della svolta proposta da Lenin se non si ricorda quale era la posizione precedente, sostenuta per anni dai bolscevichi.
Dall'inizio del secolo vi erano tre differenti concezioni della futura rivoluzione russa (5).
I menscevichi, in nome di una presunta "ortodossia marxista" (in realtà travisando Marx e attribuendogli una concezione evoluzionistica non dialettica della storia), ritenevano che la Russia dovesse passare per uno stadio di sviluppo capitalistico, di industrializzazione, prima di poter arrivare - dopo un considerevole lasso di tempo - alla rivoluzione socialista. Dunque avrebbe dovuto esserci dapprima una rivoluzione borghese, per liberare il Paese dalle catene dello zarismo, diretta dalla borghesia, con il sostegno del proletariato come alleato subordinato e con la socialdemocrazia nel ruolo di ala sinistra e pungolo del "fronte democratico" diretto dai liberali; dopo secoli di sviluppo capitalistico, sarebbe arrivata l'ora della rivoluzione socialista.
La posizione di Trotsky si collocava al polo opposto: riteneva incapace la borghesia nazionale di realizzare gli obiettivi democratici e per questo prefigurava una rivoluzione socialista, guidata dal proletariato che avrebbe egemonizzato i contadini poveri, per instaurare la dittatura del proletariato e assolvere, senza soluzione di continuità, i compiti democratici e (nel quadro internazionale di allargamento della rivoluzione) quelli socialisti (l'esproprio della grande industria, ecc.). Ciò sarebbe stato possibile perché lo "sviluppo diseguale e combinato" della società e della rivoluzione a livello internazionale avrebbe consentito alla Russia (come agli altri Paesi arretrati) di "saltare" alcuni passaggi, rompendo uno schema "evoluzionistico" a tappe, sostituito dalla "rivoluzione permanente".
In mezzo si collocava la posizione di Lenin e dei bolscevichi: rivoluzione borghese "portata fino in fondo" ma (vista l'incapacità della borghesia nazionale, legata con mille fili al capitalismo straniero) con una direzione in mano al proletariato e ai contadini (in una alleanza "algebrica", per riprendere la critica di Trotsky), per instaurare una "dittatura democratica degli operai e dei contadini", cioè non una dittatura del proletariato ma una repubblica dentro i limiti della democrazia borghese, preludio di un successivo rapido sviluppo verso la rivoluzione socialista (i tempi sarebbero stati dettati dalla rivoluzione in Europa). Lenin credeva dunque, come i menscevichi, a una rivoluzione borghese: ma a differenza dei menscevichi pensava a un'altra direzione, una direzione degli operai e dei contadini, indipendente dalla borghesia; pensava a un altro programma, incentrato sulla confisca delle terre ai nobili; e pensava a una tempistica diversa da quella ipotizzata dai menscevichi: non ci sarebbero stati secoli a separare questa prima rivoluzione dalla successiva rivoluzione socialista.
Ma la rivoluzione di febbraio fu la conferma (almeno per chi voleva ragionare) che l'unica concezione corretta e praticabile era quella di Trotsky. Per garantire l'assolvimento degli obiettivi democratici (rivoluzione agraria, riduzione della giornata lavorativa, pace, Assemblea costituente) era necessario instaurare preliminarmente la dittatura del proletariato (sostenuto dai contadini poveri), basata sui soviet: e dunque bisognava rovesciare il governo borghese che costituiva un ostacolo sulla via del pieno potere dei soviet.
Lenin non esitò ad abbandonare la vecchia teoria e, con grande scandalo di molti, iniziò a difendere, nei fatti, la teoria che da oltre dieci anni aveva elaborato Trotsky. Per questo, commenta Trotsky: "Nulla di strano che le Tesi di Aprile di Lenin siano state condannate come trotskiste." (6)
Non è possibile apprezzare la profondità della svolta proposta da Lenin se non si ricorda quale era la posizione precedente, sostenuta per anni dai bolscevichi.
Dall'inizio del secolo vi erano tre differenti concezioni della futura rivoluzione russa (5).
I menscevichi, in nome di una presunta "ortodossia marxista" (in realtà travisando Marx e attribuendogli una concezione evoluzionistica non dialettica della storia), ritenevano che la Russia dovesse passare per uno stadio di sviluppo capitalistico, di industrializzazione, prima di poter arrivare - dopo un considerevole lasso di tempo - alla rivoluzione socialista. Dunque avrebbe dovuto esserci dapprima una rivoluzione borghese, per liberare il Paese dalle catene dello zarismo, diretta dalla borghesia, con il sostegno del proletariato come alleato subordinato e con la socialdemocrazia nel ruolo di ala sinistra e pungolo del "fronte democratico" diretto dai liberali; dopo secoli di sviluppo capitalistico, sarebbe arrivata l'ora della rivoluzione socialista.
La posizione di Trotsky si collocava al polo opposto: riteneva incapace la borghesia nazionale di realizzare gli obiettivi democratici e per questo prefigurava una rivoluzione socialista, guidata dal proletariato che avrebbe egemonizzato i contadini poveri, per instaurare la dittatura del proletariato e assolvere, senza soluzione di continuità, i compiti democratici e (nel quadro internazionale di allargamento della rivoluzione) quelli socialisti (l'esproprio della grande industria, ecc.). Ciò sarebbe stato possibile perché lo "sviluppo diseguale e combinato" della società e della rivoluzione a livello internazionale avrebbe consentito alla Russia (come agli altri Paesi arretrati) di "saltare" alcuni passaggi, rompendo uno schema "evoluzionistico" a tappe, sostituito dalla "rivoluzione permanente".
In mezzo si collocava la posizione di Lenin e dei bolscevichi: rivoluzione borghese "portata fino in fondo" ma (vista l'incapacità della borghesia nazionale, legata con mille fili al capitalismo straniero) con una direzione in mano al proletariato e ai contadini (in una alleanza "algebrica", per riprendere la critica di Trotsky), per instaurare una "dittatura democratica degli operai e dei contadini", cioè non una dittatura del proletariato ma una repubblica dentro i limiti della democrazia borghese, preludio di un successivo rapido sviluppo verso la rivoluzione socialista (i tempi sarebbero stati dettati dalla rivoluzione in Europa). Lenin credeva dunque, come i menscevichi, a una rivoluzione borghese: ma a differenza dei menscevichi pensava a un'altra direzione, una direzione degli operai e dei contadini, indipendente dalla borghesia; pensava a un altro programma, incentrato sulla confisca delle terre ai nobili; e pensava a una tempistica diversa da quella ipotizzata dai menscevichi: non ci sarebbero stati secoli a separare questa prima rivoluzione dalla successiva rivoluzione socialista.
Ma la rivoluzione di febbraio fu la conferma (almeno per chi voleva ragionare) che l'unica concezione corretta e praticabile era quella di Trotsky. Per garantire l'assolvimento degli obiettivi democratici (rivoluzione agraria, riduzione della giornata lavorativa, pace, Assemblea costituente) era necessario instaurare preliminarmente la dittatura del proletariato (sostenuto dai contadini poveri), basata sui soviet: e dunque bisognava rovesciare il governo borghese che costituiva un ostacolo sulla via del pieno potere dei soviet.
Lenin non esitò ad abbandonare la vecchia teoria e, con grande scandalo di molti, iniziò a difendere, nei fatti, la teoria che da oltre dieci anni aveva elaborato Trotsky. Per questo, commenta Trotsky: "Nulla di strano che le Tesi di Aprile di Lenin siano state condannate come trotskiste." (6)
La riscoperta della dialettica nel marxismo
E' stato giustamente osservato da vari studiosi (7) che la svolta operata da Lenin alla stazione Finlandia fu preparata, da un punto di vista teorico, con l'immersione nello studio della Scienza della logica di Hegel che Lenin iniziò nel 1914. Uno studio di cui sentiva il bisogno per spiegare il tradimento della Seconda Internazionale di fronte alla Prima guerra mondiale e per comprendere la capitolazione completa cui erano giunti i suoi maestri di un tempo: Plechanov e Kautsky (quest'ultimo, in parallelo con la deriva burocratica della Spd, stava abbandonando progressivamente quel marxismo di cui era stato il "papa rosso" nell'Internazionale).
In quei mesi, chiuso nella biblioteca di Berna, Lenin scopre un altro Marx, ripulito dalle incrostazioni feuerbachiane, un marxismo dialettico (quello delle Tesi su Feuerbach scritte da Marx nel 1845) che nasce in rottura col "vecchio materialismo". Un marxismo basato sulla comprensione della dialettica soggetto-oggetto, privo di ogni concezione causalista, che contrasta con quel determinismo meccanico che pure lo aveva influenzato in parte per un periodo (si pensi al suo Materialismo ed empiriocriticismo, del 1909). E' la scoperta del vero Marx, travisato dai suoi discepoli e deformato dall'opportunismo della Seconda Internazionale: il Marx che afferma che "l'educatore deve essere educato" (terza delle Tesi su Feuerbach), cioè che le circostanze possono essere cambiate dall'azione umana, dalla lotta di classe, dalla praxis rivoluzionaria. Lenin ritrova il Marx che afferma che è l'uomo a fare la storia, anche se in circostanze che non ha determinato. Non vi è in questo Marx nessuna "legge dello sviluppo storico" che prescriva a ogni popolo una evoluzione lineare, nessun fatalismo.
E' la rottura col marxismo ossificato di Plechanov che, non per caso, di fronte alla rivoluzione d'Ottobre esclamerà: "E' la violazione di tutte le leggi della storia".
E' in questo passaggio cruciale, condensato nei Quaderni filosofici (8), che Lenin, alzando lo sguardo dai libri di Hegel, si impossessa della dialettica che Marx aveva ripreso da Hegel e a cui aveva conferito un carattere rivoluzionario. Lenin non deve ripartire da zero: è pur sempre colui che, dal 1902, con la sua teoria del partito d'avanguardia (che porta il socialismo "dall'esterno" dell'ordinario scontro tra le classi), implicitamente aveva rifiutato il socialismo inteso come mero prodotto della spinta di "leggi economiche". A Berna, per così dire, inizia a risolvere una contraddizione che rimaneva nel suo pensiero: la contraddizione tra concezione del partito e programma.
E' stato giustamente osservato da vari studiosi (7) che la svolta operata da Lenin alla stazione Finlandia fu preparata, da un punto di vista teorico, con l'immersione nello studio della Scienza della logica di Hegel che Lenin iniziò nel 1914. Uno studio di cui sentiva il bisogno per spiegare il tradimento della Seconda Internazionale di fronte alla Prima guerra mondiale e per comprendere la capitolazione completa cui erano giunti i suoi maestri di un tempo: Plechanov e Kautsky (quest'ultimo, in parallelo con la deriva burocratica della Spd, stava abbandonando progressivamente quel marxismo di cui era stato il "papa rosso" nell'Internazionale).
In quei mesi, chiuso nella biblioteca di Berna, Lenin scopre un altro Marx, ripulito dalle incrostazioni feuerbachiane, un marxismo dialettico (quello delle Tesi su Feuerbach scritte da Marx nel 1845) che nasce in rottura col "vecchio materialismo". Un marxismo basato sulla comprensione della dialettica soggetto-oggetto, privo di ogni concezione causalista, che contrasta con quel determinismo meccanico che pure lo aveva influenzato in parte per un periodo (si pensi al suo Materialismo ed empiriocriticismo, del 1909). E' la scoperta del vero Marx, travisato dai suoi discepoli e deformato dall'opportunismo della Seconda Internazionale: il Marx che afferma che "l'educatore deve essere educato" (terza delle Tesi su Feuerbach), cioè che le circostanze possono essere cambiate dall'azione umana, dalla lotta di classe, dalla praxis rivoluzionaria. Lenin ritrova il Marx che afferma che è l'uomo a fare la storia, anche se in circostanze che non ha determinato. Non vi è in questo Marx nessuna "legge dello sviluppo storico" che prescriva a ogni popolo una evoluzione lineare, nessun fatalismo.
E' la rottura col marxismo ossificato di Plechanov che, non per caso, di fronte alla rivoluzione d'Ottobre esclamerà: "E' la violazione di tutte le leggi della storia".
E' in questo passaggio cruciale, condensato nei Quaderni filosofici (8), che Lenin, alzando lo sguardo dai libri di Hegel, si impossessa della dialettica che Marx aveva ripreso da Hegel e a cui aveva conferito un carattere rivoluzionario. Lenin non deve ripartire da zero: è pur sempre colui che, dal 1902, con la sua teoria del partito d'avanguardia (che porta il socialismo "dall'esterno" dell'ordinario scontro tra le classi), implicitamente aveva rifiutato il socialismo inteso come mero prodotto della spinta di "leggi economiche". A Berna, per così dire, inizia a risolvere una contraddizione che rimaneva nel suo pensiero: la contraddizione tra concezione del partito e programma.
La battaglia di Lenin per "riarmare" il partito
Una parte maggioritaria del gruppo dirigente bolscevico non capisce subito la necessità della svolta indicata da Lenin.
Kamenev e Stalin, principali dirigenti che precedono l'arrivo in Russia di Lenin, rimanendo ancorati alla vecchia posizione (che peraltro deformavano ulteriormente a destra), ritengono che i bolscevichi debbano offrire un sostegno esterno al governo provvisorio "nella misura in cui" attua determinate politiche; si tratta, cioè, di fare "pressioni" sul governo. Per loro siamo al primo stadio: alla "rivoluzione democratico-borghese", mentre quella socialista potrà svilupparsi solo come secondo stadio. Dunque i bolscevichi, prima dell'arrivo di Lenin, si schierano di fatto su posizioni analoghe a quelle dei menscevichi: persino sulla questione della guerra, con la Pravda diretta da Stalin e Kamenev che ripudia il disfattismo rivoluzionario che aveva caratterizzato il bolscevismo, e con il soviet della regione di Mosca che approva, con l'appoggio dei bolscevichi, la risoluzione dei socialpatrioti sulla guerra.
Alla Conferenza nazionale del partito, che inizia a Pietrogrado il 27 marzo, Stalin presenta la relazione sul governo. Nella relazione sostiene che il governo provvisorio sta consolidando le conquiste rivoluzionarie e dunque compito del soviet è di "controllarlo" e incalzarlo. Come logica conseguenza, Stalin presenta una mozione per avviare un percorso di unificazione con i menscevichi, che è approvata con 14 voti a favore e 13 contro. Si capisce perché, una volta consolidato il potere della burocrazia, Stalin censurerà i verbali di questa Conferenza (solo dagli anni Sessanta saranno pubblicati).
Una parte maggioritaria del gruppo dirigente bolscevico non capisce subito la necessità della svolta indicata da Lenin.
Kamenev e Stalin, principali dirigenti che precedono l'arrivo in Russia di Lenin, rimanendo ancorati alla vecchia posizione (che peraltro deformavano ulteriormente a destra), ritengono che i bolscevichi debbano offrire un sostegno esterno al governo provvisorio "nella misura in cui" attua determinate politiche; si tratta, cioè, di fare "pressioni" sul governo. Per loro siamo al primo stadio: alla "rivoluzione democratico-borghese", mentre quella socialista potrà svilupparsi solo come secondo stadio. Dunque i bolscevichi, prima dell'arrivo di Lenin, si schierano di fatto su posizioni analoghe a quelle dei menscevichi: persino sulla questione della guerra, con la Pravda diretta da Stalin e Kamenev che ripudia il disfattismo rivoluzionario che aveva caratterizzato il bolscevismo, e con il soviet della regione di Mosca che approva, con l'appoggio dei bolscevichi, la risoluzione dei socialpatrioti sulla guerra.
Alla Conferenza nazionale del partito, che inizia a Pietrogrado il 27 marzo, Stalin presenta la relazione sul governo. Nella relazione sostiene che il governo provvisorio sta consolidando le conquiste rivoluzionarie e dunque compito del soviet è di "controllarlo" e incalzarlo. Come logica conseguenza, Stalin presenta una mozione per avviare un percorso di unificazione con i menscevichi, che è approvata con 14 voti a favore e 13 contro. Si capisce perché, una volta consolidato il potere della burocrazia, Stalin censurerà i verbali di questa Conferenza (solo dagli anni Sessanta saranno pubblicati).
Le Tesi di Aprile
Le Tesi di Aprile sono senza dubbio il testo più importante che sia stato scritto nei convulsi mesi della rivoluzione russa. Sono un testo breve: 10 tesi per un totale di 5 o 6 pagine, pubblicato sulla Pravda il 7 aprile (20 secondo il nostro calendario).
Rileggiamo insieme questo testo.
Tesi 1: rifiuto del "difensismo rivoluzionario" di menscevichi e Socialisti Rivoluzionari, che sostiene il proseguimento della guerra. Tesi 2: la borghesia ha scippato il potere al proletariato, in quanto quest'ultimo era insufficientemente consapevole e organizzato; bisogna rovesciare la situazione, ridando il potere al proletariato appoggiato dai contadini poveri. Non è un compito di un imprecisato futuro: è "il compito dell'attuale momento." Tesi 3: nessun appoggio (neppure critico) al governo provvisorio e anzi implacabile denuncia della sua natura di governo borghese. Rovesciando la politica seguita fin lì dalla direzione di Kamenev e Stalin, si precisa che non vanno poste condizioni al governo, non va "stimolato criticamente", perché questo significherebbe solo "seminare illusioni" sul fatto (impossibile) che un governo borghese possa conciliare gli interessi delle due classi mortalmente nemiche, borghesia e proletariato. Questa Tesi fondamentale merita un'osservazione: per Lenin non si tratta di obbedire ad astratti criteri, a un qualche dogma: il fatto è che sostenere in qualsiasi modo un governo borghese significa ostacolare la conquista del proletariato alla comprensione della necessità di "spezzare" la macchina statale borghese come passaggio ineludibile per costituire un governo "degli operai per gli operai". Tesi 4: essendo i bolscevichi "un'esigua minoranza" nei soviet rispetto "agli elementi opportunistici", bisogna "spiegare pazientemente alle masse" perché stanno seguendo una politica sbagliata e perché è necessario il passaggio "di tutto il potere statale ai soviet". Tesi 5: l'obiettivo non è una repubblica parlamentare borghese ma una repubblica dei soviet, ciò che implica lo scioglimento dei corpi repressivi, la sostituzione dell'esercito permanente con l'armamento operaio, la eleggibilità e revocabilità a tutte le funzioni. Tesi 6: confisca di tutte le grandi proprietà fondiarie e nazionalizzazione di tutte le terre sotto controllo dei soviet. Tesi 7: fusione di tutte le banche in un'unica banca nazionale posta sotto il controllo dei soviet. Tesi 8: controllo della produzione e della distribuzione da parte dei soviet. Tesi 9: coerentemente con tutto ciò, bisogna che un congresso cambi il programma e anche il nome del partito (in Partito Comunista). Tesi 10: creazione da subito di una nuova Internazionale rivoluzionaria che rompa con i riformisti e col centro di Kautsky, Cheidze, ecc. (9)
Il vecchio programma, riassunto nella "dittatura democratica degli operai e dei contadini", è liquidato da Lenin come "una formula che non serve più a niente" (sarà poi Stalin a riesumarla nel corso della degenerazione burocratica dei decenni successivi, ma questa è un'altra storia) e chi sostiene quella formula "merita di essere relegato nell'archivio delle curiosità bolsceviche pre-rivoluzionarie." (10)
Le Tesi di Aprile sono senza dubbio il testo più importante che sia stato scritto nei convulsi mesi della rivoluzione russa. Sono un testo breve: 10 tesi per un totale di 5 o 6 pagine, pubblicato sulla Pravda il 7 aprile (20 secondo il nostro calendario).
Rileggiamo insieme questo testo.
Tesi 1: rifiuto del "difensismo rivoluzionario" di menscevichi e Socialisti Rivoluzionari, che sostiene il proseguimento della guerra. Tesi 2: la borghesia ha scippato il potere al proletariato, in quanto quest'ultimo era insufficientemente consapevole e organizzato; bisogna rovesciare la situazione, ridando il potere al proletariato appoggiato dai contadini poveri. Non è un compito di un imprecisato futuro: è "il compito dell'attuale momento." Tesi 3: nessun appoggio (neppure critico) al governo provvisorio e anzi implacabile denuncia della sua natura di governo borghese. Rovesciando la politica seguita fin lì dalla direzione di Kamenev e Stalin, si precisa che non vanno poste condizioni al governo, non va "stimolato criticamente", perché questo significherebbe solo "seminare illusioni" sul fatto (impossibile) che un governo borghese possa conciliare gli interessi delle due classi mortalmente nemiche, borghesia e proletariato. Questa Tesi fondamentale merita un'osservazione: per Lenin non si tratta di obbedire ad astratti criteri, a un qualche dogma: il fatto è che sostenere in qualsiasi modo un governo borghese significa ostacolare la conquista del proletariato alla comprensione della necessità di "spezzare" la macchina statale borghese come passaggio ineludibile per costituire un governo "degli operai per gli operai". Tesi 4: essendo i bolscevichi "un'esigua minoranza" nei soviet rispetto "agli elementi opportunistici", bisogna "spiegare pazientemente alle masse" perché stanno seguendo una politica sbagliata e perché è necessario il passaggio "di tutto il potere statale ai soviet". Tesi 5: l'obiettivo non è una repubblica parlamentare borghese ma una repubblica dei soviet, ciò che implica lo scioglimento dei corpi repressivi, la sostituzione dell'esercito permanente con l'armamento operaio, la eleggibilità e revocabilità a tutte le funzioni. Tesi 6: confisca di tutte le grandi proprietà fondiarie e nazionalizzazione di tutte le terre sotto controllo dei soviet. Tesi 7: fusione di tutte le banche in un'unica banca nazionale posta sotto il controllo dei soviet. Tesi 8: controllo della produzione e della distribuzione da parte dei soviet. Tesi 9: coerentemente con tutto ciò, bisogna che un congresso cambi il programma e anche il nome del partito (in Partito Comunista). Tesi 10: creazione da subito di una nuova Internazionale rivoluzionaria che rompa con i riformisti e col centro di Kautsky, Cheidze, ecc. (9)
Il vecchio programma, riassunto nella "dittatura democratica degli operai e dei contadini", è liquidato da Lenin come "una formula che non serve più a niente" (sarà poi Stalin a riesumarla nel corso della degenerazione burocratica dei decenni successivi, ma questa è un'altra storia) e chi sostiene quella formula "merita di essere relegato nell'archivio delle curiosità bolsceviche pre-rivoluzionarie." (10)
L'arrivo di Trotsky: "il migliore dei bolscevichi"
Il 12 aprile la Pravda pubblica un articolo di Kamenev che critica le Tesi e che precisa che quella di Lenin è una posizione personale, non del partito. Kamenev aggiunge che la linea di Lenin è inaccettabile perché propone l'immediata trasformazione della rivoluzione in rivoluzione socialista: qualcosa che a Kamenev (e non solo a lui) ricorda molto la posizione da sempre sostenuta da Trotsky che i bolscevichi avevano combattuto.
Nei giorni seguenti Lenin inizia una dura battaglia di frazione e riesce a guadagnare il sostegno di una parte importante dei quadri operai, i quali peraltro (si pensi agli operai di Vyborg, colonna dorsale del partito) avevano già espresso aspre critiche verso la linea della Pravda. Ma ci vuole tempo: non vince subito. Nella prima votazione, nel Comitato di Pietrogrado, il 12 aprile, le Tesi sono respinte con 13 voti contro, 2 a favore e 1 astensione. Una settimana dopo, in una conferenza della regione di Pietrogrado, Lenin batte Kamenev con 20 voti contro 6 e 9 astensioni. Infine, alla VII Conferenza panrussa del partito (Pietrogrado, 24-29 aprile) le Tesi di Lenin guadagnano la maggioranza. Tuttavia, anche qui, una risoluzione specifica sul tema del "carattere" socialista della rivoluzione prende solo 71 voti su 118 (11): una parte del partito è ancora ferma al vecchio "completare la rivoluzione democratica", di conseguenza questa ala del partito (tra cui spiccano Kamenev, Rykov, Nogin; mentre Stalin si è nel frattempo riallineato alla linea risultata maggioritaria) ritiene che il ruolo dei soviet sia di semplice "controllo" del potere che deve rimanere al governo provvisorio.
Sul tema del cambio di nome del partito, che ha proposto per demarcarsi ancora più nettamente dai menscevichi, Lenin raccoglie il suo solo voto. Non è una vittoria semplice, dunque, ed è certo favorita dal fatto che il governo provvisorio andava incontro a una prima profonda crisi, con manifestazioni di opposizione nelle strade. Ma, soprattutto, come nota Trotsky (12) la vittoria di Lenin sulla destra del partito è favorita dal fatto che, di là dalla formula programmatica sbagliata della "dittatura democratica", il partito bolscevico si preparava da quindici anni a prendere la testa del proletariato nella lotta per il potere e per questo nella pratica, superando la propria stessa direzione, i militanti già agivano inconsapevolmente in un'altra prospettiva, che Lenin illuminerà con le Tesi di Aprile.
Nel frattempo, il 4 (17 con il nuovo calendario) maggio anche Trotsky arriva a Pietrogrado, dopo aver passato i primi mesi dell'anno a New York, in seguito all'espulsione da Spagna e Francia, e dopo un mese agli arresti nel campo militare di Amhrest da cui viene liberato in seguito a una campagna del soviet di Pietrogrado. Già nelle prime settimane dopo lo scoppio della rivoluzione aveva scritto una gran quantità di articoli (in gran parte pubblicati sul periodico in lingua russa Novyj Mir) dove riprendeva la sua teoria della "rivoluzione permanente" e la sviluppava nel quadro concreto: opposizione inconciliabile al governo provvisorio come premessa indispensabile per consegnare tutto il potere ai soviet e dunque sviluppare la rivoluzione socialista.
Quando arriva in Russia, Trotsky inizia la collaborazione con Lenin che porterà alla fusione degli Interdistrettuali (13) con i bolscevichi.
Mentre Lenin ha superato il suo programma "centrista" della "dittatura democratica", Trotsky ha superato le sue critiche "centriste" al partito di tipo bolscevico e ha abbandonato l'unitarismo: è in effetti dal 1914 che sta gradualmente modificando posizione per giungere "alla conclusione che c'era necessità non solo di una battaglia ideologica contro il menscevismo (...) ma anche di una rottura organizzativa senza compromessi con esso." (14).
Così, mentre la "rivoluzione permanente" non è più vista (almeno fino all'avvio della stalinizzazione nel 1924) come un'idea specifica di Trotsky, ma diventa pratica e patrimonio del bolscevismo e della successiva (1919) Internazionale Comunista, Trotsky diviene (definizione di Lenin) "il migliore dei bolscevichi".
Il 12 aprile la Pravda pubblica un articolo di Kamenev che critica le Tesi e che precisa che quella di Lenin è una posizione personale, non del partito. Kamenev aggiunge che la linea di Lenin è inaccettabile perché propone l'immediata trasformazione della rivoluzione in rivoluzione socialista: qualcosa che a Kamenev (e non solo a lui) ricorda molto la posizione da sempre sostenuta da Trotsky che i bolscevichi avevano combattuto.
Nei giorni seguenti Lenin inizia una dura battaglia di frazione e riesce a guadagnare il sostegno di una parte importante dei quadri operai, i quali peraltro (si pensi agli operai di Vyborg, colonna dorsale del partito) avevano già espresso aspre critiche verso la linea della Pravda. Ma ci vuole tempo: non vince subito. Nella prima votazione, nel Comitato di Pietrogrado, il 12 aprile, le Tesi sono respinte con 13 voti contro, 2 a favore e 1 astensione. Una settimana dopo, in una conferenza della regione di Pietrogrado, Lenin batte Kamenev con 20 voti contro 6 e 9 astensioni. Infine, alla VII Conferenza panrussa del partito (Pietrogrado, 24-29 aprile) le Tesi di Lenin guadagnano la maggioranza. Tuttavia, anche qui, una risoluzione specifica sul tema del "carattere" socialista della rivoluzione prende solo 71 voti su 118 (11): una parte del partito è ancora ferma al vecchio "completare la rivoluzione democratica", di conseguenza questa ala del partito (tra cui spiccano Kamenev, Rykov, Nogin; mentre Stalin si è nel frattempo riallineato alla linea risultata maggioritaria) ritiene che il ruolo dei soviet sia di semplice "controllo" del potere che deve rimanere al governo provvisorio.
Sul tema del cambio di nome del partito, che ha proposto per demarcarsi ancora più nettamente dai menscevichi, Lenin raccoglie il suo solo voto. Non è una vittoria semplice, dunque, ed è certo favorita dal fatto che il governo provvisorio andava incontro a una prima profonda crisi, con manifestazioni di opposizione nelle strade. Ma, soprattutto, come nota Trotsky (12) la vittoria di Lenin sulla destra del partito è favorita dal fatto che, di là dalla formula programmatica sbagliata della "dittatura democratica", il partito bolscevico si preparava da quindici anni a prendere la testa del proletariato nella lotta per il potere e per questo nella pratica, superando la propria stessa direzione, i militanti già agivano inconsapevolmente in un'altra prospettiva, che Lenin illuminerà con le Tesi di Aprile.
Nel frattempo, il 4 (17 con il nuovo calendario) maggio anche Trotsky arriva a Pietrogrado, dopo aver passato i primi mesi dell'anno a New York, in seguito all'espulsione da Spagna e Francia, e dopo un mese agli arresti nel campo militare di Amhrest da cui viene liberato in seguito a una campagna del soviet di Pietrogrado. Già nelle prime settimane dopo lo scoppio della rivoluzione aveva scritto una gran quantità di articoli (in gran parte pubblicati sul periodico in lingua russa Novyj Mir) dove riprendeva la sua teoria della "rivoluzione permanente" e la sviluppava nel quadro concreto: opposizione inconciliabile al governo provvisorio come premessa indispensabile per consegnare tutto il potere ai soviet e dunque sviluppare la rivoluzione socialista.
Quando arriva in Russia, Trotsky inizia la collaborazione con Lenin che porterà alla fusione degli Interdistrettuali (13) con i bolscevichi.
Mentre Lenin ha superato il suo programma "centrista" della "dittatura democratica", Trotsky ha superato le sue critiche "centriste" al partito di tipo bolscevico e ha abbandonato l'unitarismo: è in effetti dal 1914 che sta gradualmente modificando posizione per giungere "alla conclusione che c'era necessità non solo di una battaglia ideologica contro il menscevismo (...) ma anche di una rottura organizzativa senza compromessi con esso." (14).
Così, mentre la "rivoluzione permanente" non è più vista (almeno fino all'avvio della stalinizzazione nel 1924) come un'idea specifica di Trotsky, ma diventa pratica e patrimonio del bolscevismo e della successiva (1919) Internazionale Comunista, Trotsky diviene (definizione di Lenin) "il migliore dei bolscevichi".
Un indispensabile insegnamento per l'oggi
Per concludere, è interessante chiedersi: che posizione avrebbe assunto, se fosse stata presente ai fatti, tutta quella sinistra, italiana e mondiale, che sta ricordando il centesimo anniversario dell'Ottobre (Rifondazione persino dedicando al 1917 la propria tessera del 2017)? La risposta a noi sembra certa: una parte maggioritaria avrebbe sostenuto il governo provvisorio, partecipandovi con propri ministri; un'altra parte (che noi definiamo "centrista", cioè semi-riformista) avrebbe dato un sostegno "critico" al governo, promettendo alle masse la possibilità di condizionarlo con l'azione di piazza. Mentre solo una piccola parte della sinistra mondiale (di certo la Lit-Quarta Internazionale, e chi altri?) si sarebbe attenuta alle indicazioni di quel telegramma di Lenin: nessun appoggio al governo, nessun riavvicinamento alla sinistra che sostiene il governo.
Ci sbagliamo? No, e la riprova viene dalla semplice osservazione di quello che ha fatto negli ultimi decenni tutta la sinistra, con l'eccezione nostra. E' sufficiente vedere la politica di Rifondazione Comunista in questo quarto di secolo: col sostegno ai due governi Prodi e la partecipazione diretta al governo dell'imperialismo con un proprio ministro (Paolo Ferrero, attuale segretario del partito). O ancora, si può guardare a come tutta la sinistra riformista e semi-riformista si è ritrovata unita in questi ultimi anni nell'indicare nel governo borghese greco "di sinistra" di Tsipras un modello da imitare. Lo stesso hanno fatto con i governi del Pt in Brasile: indicati come l'esempio della possibilità di governare il capitalismo diversamente, conciliando gli interessi delle classi.
Non sono queste le prove certe che tutta questa sinistra, se si fosse trovata nella rivoluzione del 1917, sarebbe stata dal lato opposto di Lenin?
Nel fare questa constatazione bisogna aggiungere che quando parliamo dei governi Prodi, di Lula-Dilma, di Tsipras non stiamo parlando di governi nati da una rivoluzione e sostenuti dai soviet, come quelli a cui i bolscevichi fecero in ogni caso opposizione nel 1917! In questo senso bisogna concludere che il riformismo odierno si colloca a un gradino ancora più basso di quel riformismo menscevico che secondo la celebre definizione di Trotsky si era guadagnato il diritto a finire nell'immondezzaio della storia.
Dunque le Tesi di Aprile continuano, un secolo dopo, a essere un testo scandaloso per i riformisti. Mentre l'Ottobre è celebrato come un glorioso evento del passato, svuotato dei suoi insegnamenti. Quegli insegnamenti di cui dobbiamo invece riappropriarci perché la classe operaia possa incamminarsi, con le lotte e la rivoluzione, verso un nuovo Ottobre.
Per concludere, è interessante chiedersi: che posizione avrebbe assunto, se fosse stata presente ai fatti, tutta quella sinistra, italiana e mondiale, che sta ricordando il centesimo anniversario dell'Ottobre (Rifondazione persino dedicando al 1917 la propria tessera del 2017)? La risposta a noi sembra certa: una parte maggioritaria avrebbe sostenuto il governo provvisorio, partecipandovi con propri ministri; un'altra parte (che noi definiamo "centrista", cioè semi-riformista) avrebbe dato un sostegno "critico" al governo, promettendo alle masse la possibilità di condizionarlo con l'azione di piazza. Mentre solo una piccola parte della sinistra mondiale (di certo la Lit-Quarta Internazionale, e chi altri?) si sarebbe attenuta alle indicazioni di quel telegramma di Lenin: nessun appoggio al governo, nessun riavvicinamento alla sinistra che sostiene il governo.
Ci sbagliamo? No, e la riprova viene dalla semplice osservazione di quello che ha fatto negli ultimi decenni tutta la sinistra, con l'eccezione nostra. E' sufficiente vedere la politica di Rifondazione Comunista in questo quarto di secolo: col sostegno ai due governi Prodi e la partecipazione diretta al governo dell'imperialismo con un proprio ministro (Paolo Ferrero, attuale segretario del partito). O ancora, si può guardare a come tutta la sinistra riformista e semi-riformista si è ritrovata unita in questi ultimi anni nell'indicare nel governo borghese greco "di sinistra" di Tsipras un modello da imitare. Lo stesso hanno fatto con i governi del Pt in Brasile: indicati come l'esempio della possibilità di governare il capitalismo diversamente, conciliando gli interessi delle classi.
Non sono queste le prove certe che tutta questa sinistra, se si fosse trovata nella rivoluzione del 1917, sarebbe stata dal lato opposto di Lenin?
Nel fare questa constatazione bisogna aggiungere che quando parliamo dei governi Prodi, di Lula-Dilma, di Tsipras non stiamo parlando di governi nati da una rivoluzione e sostenuti dai soviet, come quelli a cui i bolscevichi fecero in ogni caso opposizione nel 1917! In questo senso bisogna concludere che il riformismo odierno si colloca a un gradino ancora più basso di quel riformismo menscevico che secondo la celebre definizione di Trotsky si era guadagnato il diritto a finire nell'immondezzaio della storia.
Dunque le Tesi di Aprile continuano, un secolo dopo, a essere un testo scandaloso per i riformisti. Mentre l'Ottobre è celebrato come un glorioso evento del passato, svuotato dei suoi insegnamenti. Quegli insegnamenti di cui dobbiamo invece riappropriarci perché la classe operaia possa incamminarsi, con le lotte e la rivoluzione, verso un nuovo Ottobre.
Note(1) Lev Trotsky, Le lezioni dell'Ottobre (Prospettiva edizioni, 1998, pag. 220).
(2) N. Soukhanov, "Le discours de Lénine du 3 avril 1917", pubblicato nei Cahiers du Mouvment Ouvrier, n. 27, 2005, direzione di J.J. Marie. Nostra traduzione dal francese.
Vari passaggi della testimonianza di Soukhanov sono ripresi anche da Trotsky in Stalin (1940) e soprattutto nella Storia della rivoluzione russa (qui e in seguito citiamo l'edizione Mondadori, 1969).
(3) Citato da Trotsky in Storia della rivoluzione russa, vol. I, pag. 320. Il telegramma, scritto in francese, fu spedito a Stoccolma ai bolscevichi in partenza per la Russia e venne letto a Pietrogrado il 26 marzo in una riunione dei membri del CC bolscevico presenti in Russia.
(4) Per un'analisi delle Lettere da lontano e del riferimento alla Comune di Parigi ci permettiamo di rinviare al nostro recente articolo: "1871-1917: Due rivoluzioni allo specchio. Perché i bolscevichi studiarono la Comune di Parigi per fare l'Ottobre", versione in italiano dell'articolo pubblicato sul sito della Lit-Quarta Internazionale col titolo: "1871-1917: ¿Por qué los bolcheviques estudiaron la Comuna de París para hacer el Octubre?"
(5) Abbiamo ricostruito questo dibattito, in forma ben più approfondita di quanto sia possibile nello spazio di questo articolo, nel nostro: "Che cosa è la teoria della rivoluzione permanente" in Trotskismo oggi n. 1, settembre 2011.
(6) Lev Trotsky, Storia della rivoluzione russa, vol. I, pag. 347.
(7) Pensiamo a vari studi di Michael Lowy, tra cui "De la Grande logique de Hegel à la gare finlandaise de Petrograd" in Dialectique et révolution (Anthropos, 1973) o al più recente e interessante (per quanto non condividiamo alcune conclusioni) Kevin Anderson, Lenin, Hegel and Western Marxism (University of Illinois Press, 1995).
(8) V.I. Lenin, Quaderni filosofici, in Opere complete, volume 38 (Editori Riuniti, 1966).
(9) V.I. Lenin, Tesi di Aprile, in Opere complete, volume 24, pagg. 10 e sgg (Editori Riuniti, 1966).
(10) Le espressioni che abbiamo posto tra virgolette in questa frase sono utilizzate da Lenin nelle Lettere sulla tattica (Opere complete, volume 24, pag. 33 e sgg.).
(11) Per un'analisi dettagliata delle diverse votazioni svoltesi nella Conferenza di Aprile si veda: Marcel Liebman, La révolution russe (Marabout Université, 1967); o anche Jean Jacques Marie, Lénine (Balland, 2004).
(12) Su tutta la questione relativa alle Tesi di Aprile e alla battaglia nel partito rinviamo alla migliore storia del 1917 esistente, quella di Lev Trotsky: Storia della rivoluzione russa e in particolare, per i temi che qui trattiamo, a due capitoli del primo volume: "I bolscevichi e Lenin" e "Il riarmo del partito".
(13) Gli interdistrettuali o Mezhraionka, un'organizzazione di circa 4000-5000 militanti, in realtà costituiva più un coordinamento di ex menscevichi ed ex bolscevichi che un partito. Ne facevano parte anche Ioffe, Lunacharsky, Antonov-Ovseenko, Urickij. Per un approfondimento si veda: Ian D. Thatcher, "The St. Petersburg/Petrograd Mezhraionka, 1913-1917: The Rise and Fall of a Movement for Social-Democratic Unity" in Slavonic & East European Review, 87, 2009.
(14) Su questo v. Lev Trotsky, "Il riarmo del partito", in Storia della rivoluzione russa (pag. 342-360).
mercoledì 19 aprile 2017
Saluti dell’era dello spazio Presidente Trump
Sun Ra: da un luogo lontano anni luce
Presidente Trump,
Presidente Trump,
Le sto venendo incontro
dallo spazio, l’altro lato del nulla (è un posto che entrambi
chiamiamo casa)
Vengo portando quell’armonia, rispetto alla rovina del pianeta, che predicavo molto tempo fa quando ancora abitavo sulla
terra.
Credo che Lei stia spargendo una particolare vibrazione che potrebbe portare al disastro del pianeta .
Quando abitavo la terra una volta dissi:
“la conoscenza è risibile quando è attribuita ad un essere umano”. Ma sto pensando
che, date le circostanze, forse non potrebbe essere una cattiva idea per Lei acquisire nuove conoscenze.
Una volta scrissi qualcosa che credo potrebbe essere
applicata a Lei.
“Qualcuno mi insegna qualcosa di nuovo
qualcuno colpevole come me
non può rompere questo
incantesimo”
Forse Lei può rompere questo incantesimo e invertire l’energia negativa semplicemente
cambiando il modo con cui il suo gabinetto è seduto attorno a lei. Quando
avevo la mia band volevo cambiarne
continuamente le posizioni sul palco, spostavo i musicisti da una posto ad un altro
ciò variava la provenienza delle
vibrazioni perché quello era il modo in
cui si diffondevano nell’aria. Provi. E veda cosa accade.
Ho capito che Lei opera d’intuizione “di pancia” Come Lei molte persone non mi capivano .Volevo anch’io seguire le mie
intuizioni che mi indicavano di “fare
questo” o “fare quello” e lo facevo. Imparai che molti sulla terra agivano per
intuizione.
Ma qualcosa mi dice che le sue intuizione potrebbero essere
più appropriate con un po’ di conoscenza – forse potrebbe entrare in sintonia
con l’universo studiando un poco la storia.
Le invio il testo di una canzone che ho scritto nel 1982 dal
titolo “guerra nucleare”. Per cortesia lo stampi su un foglio lo pieghi e le
metta in tasca. Lo porti sempre con se.
La prossima volta che riterrà una buona idea provocare uno
Stato che possiede armi nucleari, per favore tiri fuori il foglio e lo legga.
Ripeta ancora, ancora e ancora “La guerra
nucleare è una figlia di puttana non lo
sai?”
Grazie
Saluti dall’era dello Spazio da Sun Ra
p.s
In certi luoghi lontani
diversi anni luce nello spazio costruirò un mondo di sogni astratti e qui l’aspetterò.
----------------------------------------
Guerra nucleare
Guerra nucleare
Ne stanno parlando
Guerra nucleare
Guerra nucleare
Guerra nucleare
Ne stanno parlando
Guerra nucleare
E’ una figlia di puttana
Non lo sai?
Ne stanno parlando
Guerra nucleare
Ne stanno parlando
Guerra nucleare
E’ una figlia di puttana
Non lo sai?
E’ una figlia di puttana
Non lo sai?
Se spingono quel bottone
Il tuo culo deve andare
E’ una figlia di puttana
Non lo sai?
Se spingono quel bottone
Il tuo culo deve andare
Ne stanno parlando
Guerra nucleare
Ne stanno parlando
Guerra nucleare
Se spingono quel bottone
Il tuo culo deve andare
Ne stanno parlando
Questa guerra nucleare
Ne stanno parlando
Guerra Nucleare
Se spingono quel bottone
Il tuo culo deve andare
Se spingono quel bottone
Il tuo culo deve andare
Il tuo culo deve andare
Ti farà saltare in aria
Così in alto nel cielo
Puoi dire ciao al tuo culo con un bacio
Puoi dire ciao al tuo culo con un bacio
Puoi dire ciao al tuo culo con un bacio
Se spingono quel bottone
Se spingono quel bottone
Il tuo culo deve andare
Così in alto nel cielo
Ciao ciao
Puoi baciare il tuo culo
Ciao ciao
Puoi baciare il tuo culo
Ciao ciao
Se spingono quel bottone
Se spingono quel bottone
Se spingono quel bottone
Se spingono quel bottone
Puoi baciare il tuo culo
Ciao ciao
Puoi baciare il tuo culo
Ciao ciao
Ne stanno parlando
Guerra nucleare
Ne stanno parlando
Guerra nucleare
Radiazione
Mutazione
Radiazione
Mutazione
Radiazione
Mutazione
Fuoco
Fuoco
Bomba all’idrogeno
Bomba atomica
Bacia il tuo culo
Ciao ciao
Se spingono quel bottone
Se spingono quel bottone
E’ una figlia di puttana
Non lo sai?
E’ una figlia di puttana
Non lo sai?
Se spingono quel bottone
Se spingono quel bottone
Il tuo culo deve andare
Il tuo culo deve andare
E’ una figlia di puttana
Non lo sai?
E’ una figlia di puttana
Non lo sai?
Racconta loro questo fatto Tyrone
E’ una figlia di puttana
Non lo sai?
E’ una figlia di puttana
Non lo sai?
Se spingono quel bottone
Il tuo culo deve andare
Cosa potrai fare
senza il tuo culo
Cosa potrai fare
senza il tuo culo
Se spingono quel bottone
Il tuo culo deve andare
Cosa potrai fare
senza il tuo culo
Cosa potrai fare
senza il tuo culo
Se spingono quel bottone
Se spingono quel bottone
Puoi baciare il tuo culo
Ciao ciao
Puoi baciare il tuo culo
Ciao ciao
Ne stanno parlando
Guerra nucleare
Stanno parlando
Guerra nucleare
Mutazioni!
Radiazione!
Mutazioni
Radiazione
Se spingono quel bottone
Se spingono quel bottone
Radiazione
Provoca mutazioni
Provoca radiazioni
Provoca mutazioni
Ne stanno parlando
Guerra nucleare
Ne stanno parlando
Guerra nucleare
Fuoco!
Fusione!
Gente!!
Palazzi!
Erba bruciata!
Se spingono quel bottone
Se spingono quel bottone
Esploderai così in alto
Su nel cielo
Puoi baciare il tuo culo
Ciao
Addio
Ciao culo
E’ una figlia di puttana
Non lo sai?
E’ una figlia di puttana
Non lo sai?
Se spingono quel bottone
Se spingono quel bottone
Se lo spingono?
Bacia il tuo culo ciao.