sabato 6 gennaio 2018

Appello a non candidare : serve coerenza ed esempio...

Umberto Franchi



Ho partecipato alla grande manifestazione con 3.000.000 di persone a Roma in difesa dell'art. 18 dello Satuto dei Lavoratori. 
Ci sono una quantità di ex sindacalisti che dopo avere manifestato con me in difesa dell'art .18 sono diventati parlamentari ed hanno votato per l'abolizione dell'art.18 (JOBS ACT) Voluta da Renzi. 

Spero vivamente , ma penso vanamente, che essi non siano ricandidati alle prossime elezioni. 

ESSI SONO: 

- Guglielmo Epifani ex Segretario generale Cgil; 

- Cesare Damiano, ex Segretario FIOM Nazionale; 

- Valeria Fedeli, ex sindacalista Cgil di Gallarate Milano; 

- Teresa Bellanova, ex sindacalista braccianti Cgil; 

- Luisella Albanelli; ex sindacalista Cgil; 

- Patrizia Maestri, ex segretaria gen. Cgil Parma; 

- Maria Fontana, sindacalista Cgil Crema; 

- Anna Giacobbe, ex sindacalista Spi Cgil nazionale; 

-Marco Niccoli, operaio tipografo iscritto Cgil; 

- Mario Tronti, teorico operiaismo iscritto Cgil; 

- Antonio Bocuzzi , delegato RSU UIL alla Thyssenkrupp di Torino Quella dell'incidente con 7 morti.


venerdì 5 gennaio 2018

C'è bisogno di aria usciamo dalla camera a gas di una campagna elettorale asfissiante

Luciano Granieri




Uno dei momenti in cui  la barbarie, e l’indecenza prendono in ostaggio le dinamiche sociali si materializza  durante le campagne elettorali. 

  Ciò avviene da quando i partiti  si sono trasformati, da strumento di partecipazione  politica per i  cittadini , in comitati d’affari. La ricerca del consenso non si basa sulle idee ma sul marketing. Il candidato diventa un prodotto da magnificare, la sua “mission” è quella di promettere  mirabilie al fine di vendere la propria effimera merce .  Di conseguenza le campagne elettorali sono infarcite da lucenti, quanto mirabolanti, spot  in cui l’interesse dei cittadini - la tutela dei quali dovrebbe essere il primo obiettivo di chi si candida -  diventa l’ultima opzione, anzi spesso viene ignorata e disattesa. 

Un esempio eclatante di barbarie elettorale è la vicenda dello  Ius Soli. Un provvedimento  di dignità,  una norma sacrosanta, indispensabile  per  un Paese che accampa  la pretesa di dichiararsi civile, sacrificata sull’altare degli interessi dei comitati d’affari presenti  in Parlamento. Questi  hanno valutato  l’approvazione dello Ius Soli come un pericolo per la cattura del consenso. Una sciagura messa in piedi  dalla falsa narrazione, diffusasi  come un virus, della  paura per  l’immigrato  protagonista di una fantomatica quanto epocale invaisone. Non è il primo e non sarà l’ultimo provvedimento di civiltà sacrificato alle ragioni dell’ottenimento dello scranno.  Fra i banchi della maggioranza o fra quelli della minoranza non fa differenza basta stare nel Palazzo.  

I famigerati programmi devono essere flessibili . Se il sondaggio indica che lo Ius Soli fa perdere voti si cancella dalla lista. Se la liberalizzazione della vendita delle armi fa acquistare voti si,  pone come primo  punto programmatico. E’ il mercato bellezza!  I  fiori non si vendono più?  Si tolgono dalla produzione, se viceversa i cannoni mostrano l’interesse della clientela  si aumenta la loro costruzione.   
A occhio e croce i propositi sono gli stessi in capo agli schieramenti che offriranno la loro mercanzia il 4 marzo prossimo. Si  pianificano elemosine mortificanti  a favore della marea di gente alle prese con una vita   precaria: redditi definiti con le più disparate perifrasi,( di cittadinanza, di dignità, di  marciapiede), si è tutti concordi nell’aiutare delinquenti  in Libia, in Niger per ricacciare indietro  o imprigionare gli immigrati prima che questi ,affogando nel Mediterraneo, possano mostrare al mondo la nostra inciviltà .  Sterminiamoli a casa loro . 

Ancora, tutti promettono di eliminare la legge Fornero, ma nessuno, ossequioso ai dettami della  stabilità finanziaria,  lo farà. E poi il lavoro. E’ il punto principale del programma di ogni aggregazione, ma nessuno se la sente di andare oltre al già sperimentato sistema fallimentare di  foraggiare le grandi aziende in cambio di qualche posto di lavoro in più, magari precario. E le tasse? Altro stucchevole mantra per cui  i liberali veri  vogliono abbassarle ai ricchi, mentre i liberali riformisti pure, oltre  naturalmente  a  promettere l’ennesimo inasprimento alla lotta all’evasione, che puntualmente si concretizza con condoni e rottamazioni di cartelle esattoriali.  

Come si vede siamo in presenza di un  giro di promesse, limitato, asfittico. Aria! C’è bisogno di aria. C’è bisogno di un partito che abbia il coraggio di uscire dagli invalicabili confini dati, e programmare un  piano che guardi lontano, non all’oggi per il domani.  E quali sono i confini dati? Semplice sono le ferree barriere imposte dal capitalismo. Se non si prende minimamente in considerazione di sovvertire l’ineluttbilità dell’accumulazione capitalista, si rimarrà sempre prigionieri di un giogo asfittico, chiuso e malsano . 

Il capitalismo, la libera concorrenza, il libero mercato, il liberismo (quante citazioni a sproposito della parola libero!)  sono male piante che andrebbero estirpate. Se qualcuno da una parte accumula capitali, evidentemente  dall’altra  parte ci sarà gente  che non avrà il necessario per vivere. Se si consente ai capitali di rimpinguarsi a dismisura attraverso la speculazione finanziaria, è inutile promettere la rivalutazione del lavoro come veicolo di dignità e promozione sociale. Esso rimarrà sempre una forma di schiavismo, magari mitigato da  qualche elemosina tipo reddito di cittadinanza.  

Si dirà: c’è la globalizzazione che grazie al progresso tecnologico  ha unificato il mondo trasformandolo in un grande villaggio globale, ha unificato i mercati, basta un clic e si possono sposare capitali da un lato all’altro del pianeta in pochi secondi, un processo, secondo molti, che non può regredire,  è il segno della post modernità . Siamo sicuri? Il motore della globalizzazione comprende un complesso intreccio fra mezzi di comunicazione e di trasporto che guarda caso sono in mano al capitale. E’ possibile collettivizzare questi mezzi ed espropriarli alle mega lobby finanziarie?  

La velocità di comunicazione non consente solo di trasferire capitali in un battibaleno ma anche di organizzare rivolte sociali in poco tempo, di diffondere l’idea che alla globalizzazione del mercato debba sostituirsi la globalizzazione dei diritti. 

Per essere più concreti: c’è qualcuno che ha il coraggio di proporre l’abolizione della proprietà privata, solido caposaldo su cui si basano le dinamiche capitaliste? La casa è di chi la abita, il campo è di chi lo coltiva, la fabbrica è di chi ci lavora, gli elementi  e i servizi fondamentali alla vita, come acqua, salute ed istruzione sono di chi ne usufruisce.  Pensare un rapporto di produzione fuori dal capitalismo, consentirebbe di togliere di mezzo Acea, ad esempio, che ci tiranneggia facendo profitti sull’acqua. Fuori dal capitalismo le fabbriche e le fonti generatrici di servizi sarebbero di proprietà dei lavoratori, i quali riacquisterebbero, oltre che la dignità di concorrere  al benessere della collettività ,  un potere politico vero. Il diritto alla salute e all’istruzione sarebbe veramente nella disponibilità di tutti ,    non solo dei più ricchi. 

Sono consapevole del fatto che un tale prospettiva non può essere spesa in una campagna elettorale come quella in corso,  non può imporsi come strumento di dignità in una canea di voci indegne pronte a promettere qualsiasi cosa pur di ottenere la poltrona. Un programma basato sul rovesciamento del capitalismo non può camminare solo su dinamiche nazionali , ma investire processi di internazionalizzazione di condivisione globale. Ci provarono i No Global,  poco meno di vent’anni fa. Il capitalismo si sentì talmente minacciato da reagire con una violenza inaudita (vedi il G8 di Genova).  

Con ciò non considero inutile una candidatura alle prossime elezioni, ma questa deve  costituire un primo passo. Un  atto utile, nella  misura in cui si utilizza il mega  palcoscenico  elettoral-mediatico,  per denunciare gli imbrogli del libero mercato, per affermare che una sinistra o è anticapitalista o non è .  Poi però c’è bisogno di una grande operazione culturale, utile a riacquistare  credibilità  verso il proprio blocco sociale ormai disperso in rivoli approdati all'estrema destra leghista  e al  grillismo. Un percorso lungo che abbisogna di applicazione, convinzione, in breve, l'applicazione della politica quella vera e non  l'opprimente vociare del marketing elettorale .

mercoledì 3 gennaio 2018

Cosa possiamo imparare dalla politica bolscevica verso i musulmani

Robert Belano



Pubblichiamo la traduzione di un articolo, “What can we learn from the Bolsheviks’ Policy toward Muslims?”, contenuto nella rivista marxista americana, recentemente uscita, Left Voice (n°3, Memoirs of the future: 100 years from the Russian Revolution – “Memorie del futuro 100 anni dalla rivoluzione russa”).
Compagni, voi che per la prima volta vi siete riuniti in un congresso di popoli dell’Est, dovete proclamare una guerra veramente santa contro i ladroni, i capitalisti anglo-francesi. Ora dobbiamo affermare che l’ora è suonata: i lavoratori di tutto il mondo possono risvegliarsi e chiamare a raccolta decine, centinaia di milioni di contadini; possono formare un’Armata Rossa anche a Est, possono armare e organizzare una rivolta nelle retrovie dei britannici, possono aprire il fuoco contro i banditi, possono avvelenare l’esistenza di ogni insolente ufficiale britannico che sta spadroneggiando in Turchia, Persia, India e Cina”
G. Zinoviev,Congresso dei Popoli dell’Est, Baku, 1920

 I Bolscevichi e la religione
Gli storici anti-comunisti per lungo tempo hanno ribadito che i bolscevichi restrinsero le libertà religiose e perseguirono i credenti dopo la Rivoluzione d’Ottobre. Robert Service, per esempio, lamenta una “campagna del terrore” lanciata dai bolscevichi contro la Chiesa Ortodossa, l’Islam e l’ebraismo. Richard Pipes afferma che la campagna sovietica contro la chiesa fa “accompagnata da una politica diretta contro le credenze e i rituali religiosi”. Gli storici liberali, per parte loro, hanno ripetuto pressappoco queste stesse posizioni per tutto il secolo scorso
È indiscutibile il fatto che, giustamente, i bolscevichi abbiano individuato la Chiesa Ortodossa russa come un agente dello zarismo e un nemico nella lotta per il socialismo. Alla vigilia della rivoluzione, la chiesa era il più grande latifondista della nazione, con 7,5 milioni di acri posseduti (circa 3 milioni di ettari, ndr). Nel 1918, il Decreto sulla Separazione della Chiesa dallo  Stato, promulgato dai bolscevichi, espropriò la terra e le proprietà della chiesa, mettendoli sotto amministrazione dei soviet. La Chiesa fu anche spogliata dell’immenso potere politico che aveva mantenuto per oltre cinque secoli. I preti e i membri del clero che resistettero alla confisca del loro oro e argento furono imprigionati o giustiziati.
I capi bolscevichi erano convinti atei, come da tradizione del marxismo. Però, come Marx, sapevano che il credo religioso sarebbe svanito per sempre solo quando l’oppressione di classe generatrice di quel credo fosse stata distrutta. La citazione di Marx per cui “la religione è l’oppio dei popoli” è nota. Ciò che è meno noto è quel che la precede: “la religione è il sospiro della creatura oppressa, è  il cuore  di un mondo senza cuore, lo spirito di una condizione priva di spirito”. In altre parole, la devozione religiosa è sorta da condizioni materiali che, al principio del ventesimo secolo in Russia, consistevano nelle vestigia del feudalesimo, insieme con lo sfruttamento capitalista, la guerra e la carestia.
Lenin, in particolare, si curava di distinguere tra l’apparato oppressivo della Chiesa Ortodossa e le masse oppresse che erano ancora perlopiù credenti. Egli dichiarò che i comunisti devono rioganizzare “la propaganda più estesa dell’illuminismo scientifico e delle concezioni anti-religiose. Mentre si fa questo, dobbiamo evitare con cura qualsiasi cosa che possa ferire i sentimenti dei credenti, perché tale metodo può solo portare al rafforzamento del fanatismo religioso”.
Le parole di Lenin suonano profetiche oggi. Decenni di feroce repressione dei musulmani – prima sotto lo stalinismo e poi sotto la “democrazia” borghese – hanno alimentato le fiamme del fondamentalismo islamico in Cecenia, Uzbekistan, e ovunque nella ex-Unione Sovietica.
 Le minoranze religiose sotto lo zarismo
Dopo  che la Rivoluzione di Febbraio aveva deposto Nicola II, le minoranze, specie i musulmani, gli ebrei e le sette minori cristiani, che avevano sofferto a lungo il giogo dello zarismo, non vedevano l’ora di un nuovo regime politico. Per questi settori, lo zarismo aveva significato pogrom sanguinosi contro gli ebrei, e il programma di “russificazione” che imponeva il russo come lingua ufficiale e imponeva che tutta l’istruzione fosse impartita in russo.
I bolscevichi riconoscevano la necessità di un appello agli oppressi di tutto l’impero – dalle nazionalità oppresse come gli ucraini e i polacchi alle varie minoranze religiose – al fine di assicurare il successo della rivoluzione. Invertirono la russificazione e incoraggiarono nelle scuole l’insegnamento nei linguaggi nativi. Questa politica, come molte altre conquiste per i musulmani e per le minoranze oppresse, sarebbe terminata a seguito dell’ascesa al potere di Stalin. Stalin, che incarnava il crescente “sciovinismo grande-russo”, diffuso nella burocrazia come Lenin aveva denunciato, re-impose il russo come lingua ufficiale di tutta l’URSS e rese obbligatoria l’istruzione in russo dal 1938.
Al contrario dei menscevichi e dei social-rivoluzionari, i bolscevichi offersero alle nazioni oppresse il pieno diritto all’autodeterminazione, incluso il diritto a separarsi dalla repubblica sovietica. I polacchi e i finlandesi scelsero la separazione, ma questo approccio da parte dei bolscevichi assicurò loro la fiducia di molti lavoratori e contadini delle nazionalità oppresse che erano rimaste estranee ai menscevichi e ai socialisti rivoluzioanri. Il supporto degli strati popolari di queste regioni si sarebbe rivelato fondamentale nella vittoria dell’Armata Rossa durante la guerra civile.
 Un appello ai popoli dell’Est
Al tempo della Rivoluzione d’Ottobre, un cittadino su dieci della nuova repubblica sovietica era musulmano. Nella regione dell’Asia Centrale, spesso definita semplicemente “l’Oriente”, oltre il 90% della popolazione era musulmano. Oltre 120 linguaggi erano parlati nella nuova repubblica, e solo circa la metà della popolazione parlava russo. Soltanto 19 idiomi in questi territori avevano una forma scritta.
L’anti-imperialismo dei bolscevichi e, in particolare,di  Lenin e Trotsky, fu centrale per la loro politica verso la popolazione musulmana. Lenin spesso citava Marx ed Engels che dicevano “nessuna nazione può essere libera se opprime altre nazioni”. Dopo l’insurrezione, i bolscevichi dichiararono nulli e inapplicabili gli accordi  con gli Alleati, che avevano  offerto alla Russia l’annessione di Costantinopoli e la ripartizione della Turchia e della Persia.
Inoltre i bolscevichi riconobbero che la sconfitta dell’offensiva imperialista – che li sormontava militarmente e tecnologicamente – richiedeva l’unità di tutti i lavoratori, i contadini poveri e i popoli oppressi in tutta la  Repubblica Sovietica. I dirigenti sovietici videro un alleato nella popolazione musulmana che era stata a lungo soggiogata dalle stesse forze contro le quali l’Armata Rossa lottava: l’imperialismo inglese, l’imperialismo francese e ovviamente le forze controrivoluzionarie zariste.
Ad ogni modo, la conquista dei musulmani poveri e lavoratori al bolscevismo non era un compito facile. Lo storico E. H. Carr scrive:
“[I bolscevichi] concepivano un’immagine molto vaga dei popoli oppressi che aspettavano l’emancipazione da mullah superstiziosi così ansiosamente quanto quella dagli amministratori zaristi; e rimasero sconvolti nello scoprire che, mentre la presa dell’Islam sui popoli nomadi e su parti dell’Asia Centrale era poco più che nominale,  altrove rimaneva un’istituzione tenace e vigorosa che offriva una resistenza molto più fiera di quella della Chiesa Ortodossa alle nuove idee e alle nuove pratiche. Nelle regioni dov’era forte – sostanzialmente nel Caucaso settentrionale – la religione musulmana era un’istituzione sociale, giuridica e politica, oltre che religiosa, e regolava la vita quotidiana dei suoi fedeli in quasi ogni aspetto. Gli imam e i mullah erano giudici, legislatori, insegnanti e intellettuali, così come politici e a volte capi militari”.
Nel 1920, i bolscevichi convocarono il Primo Congresso dei Popoli dell’Oriente a Baku, in Azerbaijan. Erano presenti duemila delegati dall’Asia Centrale,  leader sovietici come Grigorij Zinoviev e Karl Radek, e comunisti stranieri  come Bela Kun e John Reed. Nel suo discorso inaugurale, Zinoviev, un bolscevico di origine ebraica e ucraina, invocò una “guerra santa” contro gli imperialisti stranieri. In questo modo, egli ambiva a collegare la campagna dell’Armata Rossa contro i Bianchi e i loro sodali internazionali alla storica lotta dei popoli d’Oriente contro gli occupanti stranieri.
Lo storico Stephen White scrive che: “Il fine anti-imperialista del Congresso non era sfuggito alle autorità britanniche”. Una pattuglia navale britannica fu armata, senza successo, per impedire ai delegati turchi di partecipare. Due delegati persiani in viaggio furono uccisi da un bombardamento aereo britannico, e parecchi altri furono feriti o arrestati. Il congresso si concluse con un imponente corteo  e l’incendio di un’effige di Lloyd George, Alexandre Millerand e Woodrow Wilson.
 L’Islam dopo la rivoluzione
Dopo la rivoluzione, ben lungi dall’abolire la religione con la forza, le politiche dei bolscevichi permisero a certe religioni di crescere. Il numero delle madrasse, per esempio, aumentò notevolmente nella regione, come Chris Bambery illustra su Counterfire. Infatti, in alcuni Stati sovietici, questi centri islamici istruivano quasi dieci volte di più  gli studenti rispetto alle scuole di Stato . Inoltre, i bolscevichi promossero una politica di korenizatsiia, cioè di “indigenizzazione”, per la quale “ogni nazionalità [sarebbe stata] rappresentata nel governo e nell’amministrazione in proporzione al loro peso nella popolazione”. E mentre permaneva ancora qualche ritrosia verso il nuovo regime sovietico tra le popolazioni d’oriente, “attorno al 1918, il 45% dei membri del Partito Comunista del Turkestan erano musulmani”.
In un brano scritto per International Socialism, Dave Crouch afferma che in Asia Centrale “un sistema giudiziario parallelo fu creato nel 1921, con corti islamiche che amministravano la giustizia in accordo con le leggi della sharia. Lo scopo era garantire al popolo la scelta fra la giustizia rivoluzionaria e la giustizia religiosa”. Comunque, “le sentenze della sharia che contraddicevano la legge sovietica, come la lapidazione o il taglio delle mani, erano proibite”. Circa metà dei casi giudiziari in Asia Centrale durante i primi anni della Rivoluzione furono decisi dalla sharia. Nei casi in cui un processo sotto sharia rifiutava di garantire il divorzio a una donna, lo Stato permetteva il ripetersi del processo in corti rivoluzionarie, se una delle parti faceva appello alla decisione”.
 La lotta delle donne musulmane
Mentre la rivoluzione offrì molte nuove libertà alle donne, come il diritto al divorzio  e il diritto all’aborto, i rivoluzionari  non imposero la propria morale sulle minoranze oppresse. Si concesse alle donne musulmane di continuare a vestirsi con il loro abbigliamento tradizionale, incluso il velo, se così preferivano (un diritto abolito successivamente da Stalin). Parlando al congresso, una delegata dichiarò: “le donne dell’Oriente non stanno soltanto lottando per il diritto a camminare per strada senza dover indossare la chadra (il velo), come molti pensano. Per le donne dell’Oriente, con i loro alti ideali morali, la questione della chadra, si può dire, e di minore importanza”.
Ma non c’erano illusioni sul fatto che le donne musulmane non soffrissero un’estrema oppressione. Un’altra delegata dichiarò in modo inequivocabile: “Noi, le donne dell’Oriente, siamo sfruttate dieci volte peggio che gli uomini”. Per le donne delegate, le rivendicazioni urgenti includevano la completa uguaglianza di diritti, l’accesso eguale all’istruzione e al lavoro, la fine della poligamia, eguali diritti nel matrimonio, e la creazioni di comitati di donne in difesa dei propri diritti.
 Il potenziale per una ribellione dei musulmani
Mentre l’anti-imperialismo guidò l’approccio di Lenin verso i musulmani, la  storia autoctona  anti-imperialista dell’Islam ha reso i musulmani particolarmente ricettivi rispetto alle idee del bolscevismo. Lo storico liberale John Sidel afferma che nei primi due decenni del ventesimo secolo lavoratori, contadini, marinai e soldati si ribellarono contro i colonizzatori olandesi in Indonesia, la patria della popolazione musulmana più numerosa. Nel 1920, l’Unione Comunista delle Indie fu fondata e divenne il primo partito comunista in Asia a unirsi al Comintern. L’attivista sindacale indonesiano, Tan Malaka, invocò un’alleanza tra il crescente movimento pan-islamista e il movimento comunista. La mancanza di chiarezza del primo sulla questione di classe, insieme alla regressione dell’Unione Sovietica verso lo sciovinismo negli anni seguenti, non permise  l’unità delle forze antimperialiste.
Oggi abbiamo l’esempio della Primavera Araba nata nel 2011. Questo fenomeno ha mostrato l’enorme potenziale dei popoli delle nazioni a maggioranza musulmana per la rivolta contro la tirannia e l’oppressione. Cominciata come un movimento per la democrazia e contro l’austerità in Tunisia, essa si è diffusa rapidamente attraverso il Medio Oriente. In Tunisia, manifestazioni di massa e scioperi generali hanno posto fine al dominio, lungo 23 anni, del presidente appoggiato dagli USA Ben Ali. In Egitto, il movimento ha rovesciato la repressive amministrazione Mubarak, che aveva governato per un trentennio col pieno supporto dell’imperialismo USA. Queste sollevazioni popolari si sono confrontate anche con diversi governi “islamisti”, come quello di Morsi in Egitto, che è stato eletto nel 2012.
In ogni caso, la mancanza di un programma politico indipendente della classe lavoratrice nella Primavera Araba ha portato in ultima istanza alla cooptazione del movimento da parte delle forze borghesi e, infine, alla sua disfatta. L’imperialismo ha ripristinato lo stato di polizia in Egitto con un coup militare. In Tunisia, come scrive Gilbert Achcar su Jacobin, “il nuovo partito dominante [è] in buona sostanza… una versione ammodernata del partito dominante del vecchio regime”. Ma questo movimento di massa ha dimostrato che saranno i lavoratori, la gioventù egli strati popolari nelle strade ad ottenere riforme democratiche, non le forze borghesi o gli interventi americani.
 Come possiamo applicare oggi la politica bolscevica?
Chiaramente, le attitudini progressiste dei bolscevichi verso le minoranze oppresse e le religioni contrastano nettamente con le leggi e le pratiche anti-islamiche in vigore oggi nell’Europa e negli USA moderni. Austria, Francia, Belgio, così come vari altri Stati e città in altri paesi europei, hanno imposto dei divieti sui veli integrali. E non sono soltanto i partiti di destra ma anche quelli “democratici” ad essere responsabili per queste restrizioni. La Francia ha tentato di andare oltre nella repressione dell’abbigliamento islamico proponendo un divieto per il “burkini” che proibirebbe i costumi che coprono il corpo intero. Nel mentre, le grandi testate giornalistiche deridono Maometto e ritraggono gli islamici come rabbiosi terroristi. L’identificazione e il tormento dei musulmani è sfrenato negli aeroporti, nelle università e in altri luoghi. In questo senso, la tolleranza ottenuta nei primi anni della repubblica sovietica “senza dio” supera di molto la situazione esistente nei “paesi illuminati” d’Occidente.
Le lezioni dei bolscevichi, però, vanno oltre l’approccio dei socialisti verso i musulmani. Parlando al Congresso di Baku, Zinoviev parafrasò il famoso slogan del Manifesto Comunista, dichiarando, “Lavoratori di tutte le terre e dei popoli oppressi del mondo intero, unitevi!”. I bolscevichi vedevano il bisogno urgente del collegamento tra la causa dei lavoratori e quella delle minoranze oppresse, incluse quelle che non erano tecnicamente parte del proletariato, ma piuttosto contadini, artigiani o membri di altri settori che erano stati progressivamente schiacciati dal capitalismo.
Nei paesi a capitalismo avanzato oggi, il bisogno di unire la classe lavoratrice con le minoranze razziali [nell’inglese statunitense è uso comune il termine non scientifico di “razza” per indicare i grandi raggruppamenti arbitrari etno-biologici in cui solitamente la popolazione viene classificata, ndr], etniche e religiose è più chiaro che mai. I capitalisti, di fronte a una crescente irrequietezza tra i lavoratori e la popolazione oppressa dopo decenni di austerità e di erosione degli standard di vita dei lavoratori, hanno promosso la xenofobia, il razzismo e l’islamofobia al fine di prevenire l’unità tra i lavoratori bianchi, i lavoratori di colore, i musulmani e gli immigrati. Lungi dall’offrire dei benefici materiali ai lavoratori, i politici che hanno fatto campagna a partire da questo fervore nazionalista – Donald Trump e Teresa May tra i tanti – porteranno soltanto ulteriori tagli ai salari, posti di lavoro più precari, e nuovi tagli ai servizi sociali.
Di fronte a tutto questo, la Sinistra [negli USA, con “Sinistra” generalmente non si intendono i partiti borghesi “di sinistra”, cioè in buona sostanza i Democratici, ndr] deve dare tutto il suo supporto ai settori oppressi, prendendo ad esempio  casi come la manifestazione a livello nazionale negli aeroporti a seguito del Muslim Ban di Trump, se si vuole conquistare queste comunità a lotte rivoluzionarie. Dobbiamo essere pienamente coscienti che le forze repressive dello Stato, che oggi deportano gli immigrati e arrestano o molestano le persone di colore, domani saranno usate per infrangere gli scioperi e sventare ribellioni operaie. Inoltre, la Sinistra e la classe lavoratrice nei paesi imperialisti devono mettere in campo una solidarietà risoluta con i popoli dei paesi semi-coloniali nelle loro lotte contro l’imperialismo. Dobbiamo rigettare tutte le invasioni “umanitarie” e le campagne di bombardamento che sono portate avanti principalmente contro popolazioni non bianche e musulmane in giro per il mondo. Queste guerre e questi atti di aggressione non portano democrazia né migliorano il benessere della popolazione; al contrario, servono solo gli interessi dei paesi imperialisti e la ristretta cerchia  dell’uno per cento.
Il divampare delle guerre civili e della fame per tutto il globo come conseguenza diretta della politica imperialista ha innescato un’onda migratoria dall’Africa e dal Medio Oriente verso l’Europa, gli USA e i vari petro-Stati, come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Questa situazione ha creato un nuovo settore di lavoratori immigrati, milioni dei quali sono musulmani. Questi lavoratori sono fra i più sfruttati e oppressi ed è verosimile che guideranno nuove battaglie contro il capitale La solidarietà mostrata dai rivoluzionari russi verso le minoranze oppresse dovrebbe essere un esempio per i lavoratori occidentali su come condurre lotte in comune con i musulmani, gli immigrati, le persone di colore, la comunità LGBT, e tutti quelli che soffrono sotto il giogo oppressivo del capitalismo.



martedì 2 gennaio 2018

L’opinione degli Americana rispetto agli aiuti Usa ad Israele e gli altri programmi top dell’AIPAC (Commissione per i Pubblici affari israelo-americani)

Le lobby israeliane e la politica americana

Grant F. Smith traduzione di Luciano Granieri



Dale Sprusansky: Grant Smith è il direttore dell’Istituto per la ricerca sul rinnovamento delle politiche per il Medio Oriente. E’ l’autore del libro, pubblicato nel  2016:” La Grande Israele: Come  le  Lobby Israeliane   muovono l’ America”. Un’opera che si occupa  della storia, dei ruoli e delle attività di efficienti organizzazioni israeliani operanti negli Stati Uniti . Grant ha inoltre scritto due storie non ufficiali dell’AIPAC  e molti altri libri.

La sua organizzazione  di sondaggi è costantemente al lavoro all’interno del  Freedom of  Information Act  (FOIA), è sempre al lavoro , e ha scoperto   importanti documenti   riguardanti, in modo particolare,  il programma nucleare israeliano. Potremmo dire poco sull’argomento se molte persone non lavorassero così intensamente come fa Grant.  Considerando  le sue frequenti ricerche,  le sue apparizioni nel tribunale del FOIA, i suoi sondaggi le sue E-Mail delle  5 del mattin ,possiamo realmente affermare  che Grant è un One Man Machine.

Oggi, ci rivelerà i dati di  alcuni sondaggi condotti dalla sua organizzazione e da altre agenzie sugli aiuti americani ad Israele.

Grant Smith:  Grazie Dale, l’opinione del  pubblico  rivelata dai sondaggi è molto importante, ovviamente, ma non c’erano molte considerazioni da fare  in relazione alle domande su cosa la gente  pensi  dei programmi fondamentali delle lobby israeliane. Ma qualcosa oggi è destinata a cambiare. I sondaggi che stiamo per analizzare, in relazione al contributo che potrebbero e dovrebbero offrire gli eletti, coloro i quali sono incaricati di agire  nell’interesse pubblico, rimarcano che in merito  ai programmi della lobby israeliane prese in esame, si sta verificando  un distacco crescente  fra ciò che pensa l’opinione pubblica  e le azioni governative pianificate  in favore di queste .

L’anno scorso ho qui trattato della nascita delle lobby israeliane negli Stati Uniti, la loro crescita, la loro grandezza, il loro organigramma, e la loro organizzazione operativa . Su questo argomento era incentrato il mio libro “La Grande Israele”in cui ho illustrato come un patrimonio di 3,7 miliardi di dollari  detenuto da  organizzazioni no profit sono  in campo per arrivare ad  ottenere nel 2020 un profitto di 6,3 miliardi. 14.000 impiegati, 350.000 volontari,  una membership  con remunerazioni  pari a 774mila dollari, congiuntamente a campagne per  finanziamenti di infrastrutture,   ingenti donazioni individuali ,oscure azioni politiche di diversi comitati, contribuiscono  a consolidare gli  aiuti americani  che Israele altrimenti  mai avrebbe potuto avere. Tutto ciò apparirà in un luminoso display quando 15.000 membri dell’AIPAC  si riuniranno il prossimo week end nel  loro congresso  annuale. Comunque ritorniamo alle lobby e a ciò che gli Americani pensano dei loro programmi.

Le indagini   che di seguito    sto per mostrarvi sono state condotti  dall’Istituto di Ricerca per i Consumatori di Google, l’unico e più accurato servizio di sondaggi disponibile oggi in America .

Diamo  un’occhiata a cosa gli Americani pensano del singolo e più importante programma in base al quale Israele sta ottenendo aiuti  da parte del Dipartimento di Stato  Americano,  inclusi armamenti  avanzati, finanziamenti per le aziende di armi israeliane  orientate all’esportazione.  Tale programma è compreso nel  memorandum d’intenti decennale , altrimenti noto come MUOs

Il  MUOs decennale che ci accingiamo ad analizzare sovraintende all’intera questioni dei piani  d’armamento nucleare israeliani  che sono sul tavolo.

Gli Stati Uniti hanno provveduto, a fornire  254 miliardi di finanziamenti   conosciuti  ad Israele, più di ogni altro paese. Ora c’è stato un recente tentativo da   parte di studiosi come il Prof. Hillell Frisch finalizzato a  spostare la questione affermando che Giappone, Germania e  Sud Corea sono i maggiori destinatari  di aiuti.  Naturalmente questa notazione è errata. Giappone, Germania e Sud Corea sono in un’altra categoria, quella degli alleati di frontiera. Le spese per le alleanze militari con contribuzioni da entrambe le parti impongono obblighi reciproci minimamente comparabili  con gli aiuti ad Israele con non ha alcun obbligo.

Quando è stata resa nota questa notizia   il 60% degli americani  ha ritenuto  che gli aiuti stranieri americani ad Israele fossero  veramente troppi.  Queste conclusioni possono ritrovarsi  nei sondaggi di Shibley Telhami e in altri di Gallup. Il  risultato si è confermato costante nel tempo. Gli ultimi anni, 2014-2015-2016 hanno mostrato lo stesso esito . Gli Americani che hanno risposto al sondaggio sapevano che gli aiuti israeliani   si potevano quantificare intorno al 9% del totale del budget destinato ai finanziamenti  stranieri. Ma questa domanda sarà destinata a cambiare in futuro,  secondo Dale, fino  a quando non si attuerà la  proposta dell’amministrazione Trump di ridurre il budget al Dipartimento di Stato, mantenendo inalterati gli aiuti ad Israele.  Quando ciò accadrà Israele otterrà fondi  per il 10,il 20, 30% dell’intero budget? Ancora non lo sappiamo.

Nel Memorandum d’Intenti del settembre 2014, gli Stati Uniti garantiscono un MOUs che va oltre I 10 anni. Non ci sono obblighi per  Israele e oltre il 28% dei fondi  potrebbe essere investito nelle industrie di proprietà israeliane orientate all’esportazione, questo è l’ultimo di una serie di impegni. In pubblico è stato detto che ciò garantirà il livello qualitativo militare di Israele.

Quando il Congresso approva gli aiuti a favore di Israele li presenta  in un documento da sottoporre alla firma del presidente , entrambi  (congresso e presidente) confidano in un  sotterfugio ,cioè che gli Stati Uniti, non possono realmente conoscere se Israele possieda armi nucleari. In base al  protocollo di controllo sull’esportazione  delle armi (Arms Export Control Act), ogni volta che gli Stati Uniti pianificano aiuti militari devono  conoscere  quali sono  le  potenze che non hanno firmato il trattato di non proliferazione delle armi nucleari. Nel 2012 sotto la crescente pressione esercitata da una  giornalista Helen  Thomas, l’amministrazione americana di Obama, emanò un ordine di censura  che  punì alcuni impiegati  e funzionari  federali i quali diffusero informazioni, che molte persone già conoscevano,  sull’entità di armamenti nucleari in possesso di Israele.

Da  un sondaggio  sulla pubblica opinione, primo nel suo genere, emerge che  la maggior parte di Americani preferiscono un’onesta discussione sugli armamenti nucleari israeliani. Il 52% si è espresso a favore del fatto che il Congresso avrebbe dovuto tenere in considerazione la questione nucleare.  Ufficialmente il  Congresso ha dichiarato di non voler prendere alcuna decisione sulla tema. Ma sotto la pressione di reporter, della pianificazione di   una serie di azioni legali  per bloccare gli aiuti statunitensi, incuranti  di  questi programmi nucleari ,  e un’ampia azione di denuncia , ciò potrebbe cambiare.

Di seguito un’intervista  di Sam Husseini ( scrittore e attivista politico direttore della comunicazione dell’ Institute for  Pubblic Accuracy, un organizzazione  informativa no profit)  al Senatore  democratico  Chuck Schumer

Sam Husseini:  Riconosce che Israele possiede armi nucleari signore?

Sen.  Chuck Schumer: Non lo so, ma può leggere ciò che scrivono i giornali in merito.

Sam Husseini:  Riconosce che Israele possiede armi nucleari signore?

Sen. Chuck Schumer: E’ un fatto ben noto  che Israele possiede armi nucleari, ma il governo israeliano non ha mai ufficialmente rivelato che tipo di armi  possieda, dove siano allocate etc. etc.

Sam Husseini: Potrebbe il governo degli  Sati Uniti essere più franco
Sen. Chuck Schumer: Ok sarà così.

Grant  Smith: Questo era Sam Husseini .  Nel 1985 Isreale e le sue lobby erano le forze primarie che  offrivano  accessi preferenziali nel  mercato  statunitense ad aziende esportatrici israeliane. Questa dinamica  fu definita    come il primo accordo americano sui liberi affari. Siccome le aziende e le forze sindacali americane erano unanimemente contrarie a ciò, un agente clandestino dell’Ambasciata Israeliana intercettò un rapporto segreto   di 300 pagine contenente dati  industriali riservati di proprietà dell’ITC , e li usò  per aiutare l’AIPAC a neutralizzare la contestazione. Ciò fu l’oggetto di un indagine dell’FBI  e classificato  come un problema di controspionaggio.

Come  probabilmente ci si sarebbe potuto aspettare da tali processi, essi sostituirono un bilanciato rapporto commerciale con un  cronico squilibrio  a favore di  Israele.

Infatti  alla presenza di un’inflazione stagnante , l’accordo di liberi affari  fra gli Stati Uniti ed Israele è il peggiore mai realizzato con un deficit cumulativo pari a 144 miliardi di  dollari.

In quest’epoca di disapprovazione popolare di accordi commerciali, comprendenti fra gli altri l’iniziativa della partnership trans-pacifica  o i liberi accordi commerciali  nord americani, una volta appreso dell’accordo di libero scambio con Israele, il 63% degli americani  avrebbe voluto   rinegoziarlo o cancellarlo.

Un altro pessimo affare, in campo da molto tempo,  concernente Israele e le sue  lobby riguarda lo spostamento dell’ambasciata americana a Gerusalemme. Sin dal 1948 Israele ha tentato di persuadere le ambasciate straniere ricollocarsi  a Gerusalemme, la cui  ripartizione è  sancita   da accordi internazionali . Ma , sfruttando le aspirazioni presidenziali di Bob Dole, nel 1995 l’organizzazione sionista d’America e l’AIPAC hanno sostenuto una legge, per altro  approvata, in cui si prevedeva  di de-finanziare  il bilancio del Ministero Degli Affari esteri se l’ambasciata non fosse stata trasferita. Il presidente statunitense di allora si rifiutò di dare corso alla norma, ma ci sono oggi molti fautori di questo trasferimento presso l’amministrazione Trump .

Gli Americani non sono così entusiasti di essere coinvolti  nel valutare questa situazione. Le lobby israeliane degli Stati Uniti, vogliono che l’ambasciata americana venga trasferita da Tel Aviv a  Gerusalemme. Nessun altro Paese, nel rispetto degli accordi internazionali, opponendosi a tale trasferimento ha fatto pressioni  in questo senso.  Il 56% degli americani  si è espressa contro il trasferimento dell’ambasciata , mentre il 38% si è rivelata a favore. C’è una rinnovata spinta affinchè si ritorni ad una politica di accordi poco trasparenti fra Israele e Stati Uniti. Questa politica e particolarmente sostenuta dal Primo Ambasciatore Israeliano negli Stati Uniti. Michael Oren sostiene  che Stati Uniti ed Israele possono anche non essere d’accordo su alcune questioni , ma non  mostrarlo apertamente , in quanto ciò rafforzerebbe i comuni nemici e renderebbe Israele vulnerabile.  Naturalmente  tale politica beneficia grandemente Israele, come merce di scambio , questa può  speculare sull’apparenza di un incondizionato supporto degli Stati Uniti nelle proprie relazioni . Quindi   è  in corso un grande sforzo in questo senso . Gli Americani, quando si sono espressi e sono stati invitati ad esprimersi su Israele e le sue lobby americane , in particolare sull’affermazione:”Israele e le sue lobby americane non desiderano una politica alla luce del giorno,  il presidente non condanna  gli insediamenti israeliani in Palestina,  fornisce aiuti economici e un supporto in seno all’ONU” La maggior parte  , il 56%, la maggioranza sostiene che non dovrebbe esistere una politica occulta.

Abbiamo qui con noi oggi Maria LaHood, la quale potrà fornirci un ottimo lavoro descrivendo cosa è Boycott, Disinvestiment and Sanctions (BDS) , un movimento  che cerca  il  supporto internazionale affinchè si ponga fine all’oppressione israeliana in Palestina  e si oppone  allo  sforzo delle lobby israeliane nel proporre leggi che blocchino le attività del movimento stesso     sancendone  l’illegalità in tutto il paese .

Dunque dirò solo che le campagne dirette di raccolta fondi messa in campo dalle lobby israeliane sono virtualmente ed inequivocabilmente focalizzate a fermare BDS, come l’iniziale, attuale, programma prioritario dimostra. E’ estremamente palese. E’ l’obiettivo numero  uno.

Domanda:  “Israele e le sue lobby americane vogliono una politica non alla luce del giorno un presidente che mai apertamente   critica  gli insediamenti israeliani in Palestina,  che ha fornito miliardi in aiuti  e supporto diplomatico  nel consesso dell’ONU”

Ma gli Americani sono ambivalenti .Quando gli abbiamo sottoposto un sondaggio sul BDS   il 60% né supporta né si oppone alle  leggi riguardanti l’organizzazione , il 21%  si oppone ad esse e il 18% le approva. Quindi gli americani non seguono BDS, non sono estremamente in sintonia con esso , non concepiscono  nemmeno    l’idea    di un singolo centro di potere che fa pressioni su un solo paese straniero.

Quella che segue penso sia la più importante indagine  del sondaggio perché ci porta nel cuore dell’intero meccanismo per il quale le lobby  hanno  accumulato una così grande influenza nell’orientare campagne di finanziamento. Il fatto è questo. Il  sistema parte  dalla selezione di candidati  cui finanziare la campagna elettorale,  raccogliendo fondi   attraverso l’azione spesso poco chiara di alcuni  comitati . Ciò allo scopo di  eleggere politici   impegnati   ad   assicurare leggi pro Israele  e a favore dei più grandi finanziatori israeliani . Janet McMahon e due  primari membri del congresso, parleranno di questo, ne sono sicuro.

Il 71% degli Americani non approva questo sistema .

Probabilmente non sanno perché i lobbisti per Israele non parlano lungamente di armi e diplomazia per il loro Paese. Parlano del mantenimento  delle relazioni privilegiate fra Stati Uniti ed Israele e c’è una ragione legale per questo. I lobbisti per  Israele, compreso un veterano  come Abrham Feinberg e il fondatore di AIPAC  Isaiah Kenen, nei loro scritti e nei loro discorsi erano molto più franchi all’inizio. Loro affermavano onestamente  che il loro obbiettivo erano le armi, i soldi e supporto diplomatico perché Israele ne aveva bisogno. Non c’era alcuna dichiarazione sul perché l’America avesse bisogno di Israele.

AIPAC ha indirettamente ricevuto   soldi per iniziare a lanciarsi e oggi lo stretto coordinamento con il governo d’Israele è ancora in atto. Ma il quadro delle pubbliche relazioni è mutato. Ora c’è l’unico obiettivo di preservare interessi speciali e  valori comuni. Dal 1970 non ci si è posti alcun problema su cosa le lobby facessero. Il Dipartimento di Giustizia smise di indagare se alcuni di questi attori  fossero agenti  segreti stranieri  e quindi  trattarli  come tali . E fino a quell’anno un numero crescente di indagini per spionaggio sull’AIPAC  e anche sull’ADL furono avviate , ma poi tranquillamente insabbiate  senza alcun giustificabile motivo. Il 1970 infatti fu l’ultimo anno in cui il Dipartimento di Giustizia  trattò le lobby di Israele come possibili componenti dei servizi segreti. Ci furono nel 1962 e 1963 echi clamorosi  su richieste all’IRS (Internal Revenue Service, dipartimento per il  controllo fiscale ndr ) di verifica del  loro status di esenzione fiscale, ma nulla accadde.

Naturalmente gli Americani sembrano approvare un ritorno a quei tempi più autentici  quando gli agenti segreti stranieri erano costretti ad adeguarsi a leggi di trasparenza e non godevano di un potere maggiore rispetto al congresso e agli eletti . Il 66%  delle persone coinvolte in questo sondaggio  si sono dichiarati favorevoli al ripristino di un sistema di norme funzionale a disciplinare queste problematiche.

Forse ciò è emerso per opera  di  un coraggioso tipo di   giornalismo investigativo che ha indagato  sul coordinamento delle lobby con i funzionari di governo israeliani, i quali  stanno ancora usando tutti i mezzi ,compreso  quelli segreti, per vincere. Fra essi  è compreso il tentativo di modificare i trattati sul  nucleare stipulati dall’amministrazione Obama  con l’Iran, JCPOA, accolti con favore  dalla maggior parte di Americani  ma inviso ad Israele e alle sue lobby.

Quindi , grazie ad un giornalismo efficiente è emerso  il  controllo che il governo Israeliano ha esercitato  sui negoziati con l’Iran,  è risultato chiaro come questo si sia  offerto di fare tutto quanto fosse necessario verso singoli membri  del Congresso affinchè  essi  si opponessero   alla approvazione di JCPOA , impegnando l’intero principale establishment:  lobby israeliane-AIPAC-, l’ADL , L’AJC (American Jewish Committee)  unito  nell’opporsi all’ accordo.

Quindi, in conclusione, una solida maggioranza dell’elettorato americano,  ritiene  che gli aiuti americani ad Israele siano veramente troppi.  In verità non approvano nemmeno i mezzi con cui le lobby  hanno ottenuto ciò che volevano , i fondi, gli impegni unilaterali americani pronti ad essere mantenuti. Ovviamente è una maggioranza passiva . Nessuna di queste opinioni o punti di vista si è recentemente tradotta, salvo poche eccezioni,  in azioni dirette da parte dei membri del Congresso.  Per cui solo attraverso un’opposizione attiva , non  passiva,  che chiaramente oggi sta venendo fuori sarà possibile  rendere  gli Americani capaci di convincere il loro governo a tornare a rappresentare i propri interessi . Solo con l’aiuto di    indagini chiare, movimenti di opinione, sondaggi , solo operando serie ricerche  sui programmi delle lobby di Israele e su cosa gli Americani pensino della questione, noi saremo in grado di instaurare un processo che prenda il volo  e diventi virale, e  parlare in modo da convincere  più Americani  ad uscire dalla loro passività e iniziare ad diventare partecipanti attivi, ancora una volta verso il loro governo.


 tratto dal rapporto di Washington sugli affari in Medio Oriente.



lunedì 1 gennaio 2018

Free Ahed Tamimi !

                                           PETIZIONE

Il vignettista Naser Jafari dedica il disegno a Ahed Tamimi e a tutti i bambini e le bambine palestinesi detenut* nelle carceri sioniste.


Chiunque sia stato ai piccoli ma determinati cortei di Nabi Saleh in  Cisgiordania   ha conosciuto e scherzato coi ragazzini e le giovani splendide , coraggiose ragazze della famiglia  Tamimi, molto attive nella resistenza non violenta del  loro piccolo villaggio partigiano. 

Ahed Tamimi, 16 anni, attivista della resistenza palestinese nel villaggio di Nabi Saleh, è stata arrestata. Il suo crimine, affrontare con dignità e determinazione e la forza delle sue parole i soldati armati fino ai denti a difesa delle terre rubate, della costruzione delle colonie, dello sfruttamento delle risorse in territorio palestinese. La mattina del 19 dicembre lei e la sua famiglia sono diventate l'obiettivo delle forze di occupazione israeliane a seguito della protesta per il grave ferimento di Mohamed Tamimi, il cugino di Ahed, colpito alla testa da uno di quei micidiali proiettili di metallo ricoperti di gomma e ora in coma. I soldati hanno fatto violentemente irruzione in casa, confiscato telefoni, macchine fotografiche, computer, picchiato la madre di Ahed e arrestato la ragazza. Anche sua madre Nariman e sua cugina Nur (21 anni) sono stati arrestate nelle ore e giornate successive.

 Non è la prima volta…a turno i ragazzi e specie le ragazze di questa famiglia vengono picchiate e arrestate E alcuni mesi fa ad Ahed era stata impedita la partecipazione alla carovana di solidarietà "Palestina- Movimento Nero uniti nella lotta" negli Stati Uniti insieme all'attivista e scrittore Nadya Tannous e all'attivista per la liberazione nera Amanda Weatherspoon.

Denunciamo l'arresto di AhedNariman e Nur, gli ultimi dei 450 arresti di persone palestinesi dopo la decisione di Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele.

Da tutto il mondo stanno chiedendo la loro scarcerazione .

Di seguito la petizione che potete firmare

Campagna

Firma per liberare Ahed Tamimi e tutti i minori palestinesi in prigione.
https://secure.avaaz.org/campa ign/en/free_ahed/?kVdCKdb

domenica 31 dicembre 2017

Buon inizio e buona fine

Luciano Granieri


La notizia è che a mezzanotte finisce il 2017 e comincia il 2018. Non è uno scoop, ma quanta banalità e scontatezza viene spacciata per eccezionale   da parte di media  asserviti e social network? 

Buona fine e buon inizio si usa augurare in questo frangente. Ecco per uscire un po’ da una "minestrara" consuetudine voglio dividere gli auguri di buona fine da quelli di buon inizio.  

Buona Fine: 

Auguro buona e sacrosanta  fine all’1% della popolazione mondiale che possiede un   ricchezza pari a quella del restante 99%

Buona, sacrosanta, fine sia per i mercanti d’armi e per i governanti che li supportano, fra questi gli italiani sono al 4° posto in  Europa dopo tedeschi , inglesi e francesi.

Buona e definitiva fine a coloro i quali alimentano la guerra fra poveri, mettendo contro le vittime  erranti di quei mercanti d’armi e di quei governanti già richiamati, e la gente mortificata dalla voracità di quell’1% a cui pure abbiamo augurato sacrosanta e opportuna fine.

Buona e definitiva fine agli squali delle banche d’affari, che scommettono e si arricchiscono sulla pelle  delle persone , ai manager che trafficano  sguazzando nei mercati azionari, facendo soldi senza produrre alcunché e si spartiscono dividendi miliardari licenziando la gente , a tutti quelli che, cercano di impossessarsi dei beni e dei servizi  pubblici contrabbandando l’ineluttabilità della stabilità finanziaria.

Buona, definitiva e quanto mai opportuna, fine a chi in nome della religione, qualsiasi essa sia, occupa, depreda, terre e popoli.

Buona e tombale fine al capitalismo, al liberismo, al libero mercato,  al principio della libera concorrenza dietro la quale si nasconde il dominio del più forte.

Buon Inizio:

Auguro buon inizio al 99% della popolazione mondiale che detiene una ricchezza pari a quella del restante 1%.

Buon inizio sia per coloro che ogni giorno si battono nel tentativo di portare  avanti la loro vita precaria.

Buono e prosperoso inizio sia  per i disoccupati e per le vittime della moderna schiavitù, spacciata per lavoro subordinato,   imposta dalla dittatura del capitale.

Buon inizio a coloro che rischiano ogni giorno la vita per sfuggire dalle loro terre occupate dai pirati imperialisti.

Buon inizio a coloro i quali  cercano di barcamenarsi nella rassegnazione di una precarietà ineludibile e credono di risolvere i propri problemi combattendo altri precari come loro.
  
Buon inizio per chi non si rassegna alla passiva accettazione dell’assunto che non esista altro rapporto di produzione al di fuori di quello capitalista e cerca di convincere quelli sopra  citati che si sono invece rasseganti.

Buono  e prosperoso inizio per coloro che credono alla possibilità  e alla necessità  di una comunità solidale , anarchico-comunista, che credono nella realizzazione  dell’utopia, che ritengono possibile lo scatenarsi della rivoluzione a partire da un semplice fraseggio di Charlie Parker.

Buon Inizio a tutti noi inguaribili rivoluzionari.