Sabato scorso 27 gennaio 2018, si è svolto a Frosinone,
presso la sala consiliare della Provincia, un dibattito sulla devastante piaga
della disoccupazione imperante nel nostro territorio. L’incontro, organizzato
dalla federazione provinciale del
Partito della Rifondazione Comunista, denominato “Stati Generali del Lavoro” aveva come obbiettivo quello di
riunire attorno ad un tavolo, istituzioni, movimenti sindacali e politici,
affinchè si proponessero soluzioni valide e percorribili per risolvere una
crisi occupazionale che conta nel nostro
territorio più di 150mila persone senza lavoro.
La convocazione di tale simposio è stata quanto mai opportuna , ma ho qualche dubbio sulla reale volontà di alcune organizzazioni
invitate di risolvere la questione
occupazionale nel territorio. A sostegno di tale incertezza cito le parole del
segretario nazionale di Rifondazione
Comunista, Maurizio Acerbo, il quale, invitato a chiudere i lavori, nel
suo intervento, ha citato il NAWRU, acronimo che sta per: “no accelerating wage rate of unemployment” tradotto: “tasso di disoccupazione d’equilibrio tarato per non
generare pressioni inflazionistiche comprimendo il potere di spesa mediante
il taglio deliberato dei posti di lavoro”.
Il NAWRU è un parametro stabilito da liberisti e neomercantilisti tecnocrati europei , i quali hanno deciso, anzi
imposto, che l’Italia debba mantenere un
tasso strutturale di disoccupazione pari all’11% fino al 2019. Apprezziamo il fatto che Acerbo abbia fatto riferimento ad
una situazione evidenziata dal nostro blog già dal 2014 ( LEGGI QUI). Il tasso NAWRU non è un capriccio, ma un inderogabile
diktat imposto dalla UE ai paesi membri. Lo scopo è duplice: da un lato
assicurare una quota di disoccupazione necessaria affinchè l’offerta di lavoro sia sistematicamente
inferiore alla domanda -in modo da degradare il bisogno di occupazione a puro stato di necessità, lasciando i potenziali lavoratori alla mercè dei padroni - dall’altro contenere,anzi comprimere,
l’aumento dei salari causa di un possibile accrescimento dell’inflazione, scenario inviso alla speculazione finanziaria.
Guarda caso la maggior parte dei movimenti,
politici, sindacali, istituzionali convocati da Rifondazione negli Stati Generali del Lavoro, hanno avvallato e
avvallano, a vario titolo, le politiche della UE e di conseguenza,
accettano il tasso di disoccupazione, fra il 10 e il 12% definito nel NAWRU. La domanda sorge spontanea: che senso ha
consultare organizzazioni (politiche e
sindacali) supini al diktat Ue sul mantenimento di una quota stabile di disoccupazione,
per richiedere loro una proposta
funzionale alla diminuzione della stessa ? E ancora, che senso ha consultare
quelle organizzazioni che in trent’anni di azione governativa, hanno
contribuito alla disgregazione del reddito da lavoro, in favore dei profitti
finanziari, così come bene illustrato DALL'INTERVENTO di Marina Navarra, membro
della segreteria provinciale di Rifondazione Comunista?
Intendiamoci ogni
azione finalizzata alla lotta contro la disoccupazione è bene accetta, ammettiamo pure
la necessità di consultare istituzioni, organizzazioni
politiche e sindacali, ma alla fine, e il risultato degli Stati Generali del
Lavoro lo conferma, l’unica via praticabile per risolvere il problema occupazionale,
nella nostra Provincia e in tutta Italia, è quella di ridare predominanza ai
redditi da lavoro rispetto alle ricchezze accumulate con la speculazione finanziaria.
Ma ciò non è sufficiente. E’ necessario superare il concetto di “lavoro in se” per porre al centro dell’attenzione sociale ed economica la
categoria del “lavoratore” . Le eresie proposte dai partiti nella orrenda
campagna elettorale in corso, farneticano sull’aumento dei posti di lavoro,sulle
opportunità di creare lavoro, ma al lavoratore non accenna nessuno . O meglio ad
esso si sostituisce l’immagine di un soggetto abile a mettere a profitto ogni
aspetto delle proprie prerogative umane e del proprio tempo di vita.
Se facciamo riferimento alle ultime vertenze dei "bikers",i ciclisti dipendenti di Deliveroo, l’azienda che si occupa di
distribuire il cibo a domicilio ordinato dai clienti presso i ristoranti della
zona, ci rendiamo conto che la
rivendicazione non è più salariale, o almeno non solo salariale, ma riguarda il
tempo della propria vita che ogni
dipendente è costretto a destinare all’azienda, o meglio all’algoritmo con cui
l’azienda determina i tempi e i modi di
lavoro.
L’algoritmo decide quando, come, ed in quanto tempo bisogna assolvere al
proprio impegno. Un codicillo telematico determina le vite di persone, di famiglie. L’alternativa
all’algoritmo è la disoccupazione. Si
pretende la messa a valore di ogni minuto della propria vita. Le capacità
umane, da quelle materiali a quelle cognitive, devono trasformarsi in valore da mettere a
disposizione dell’accumulazione capitalistica. Il lavoratore diventa “capitale
umano”. Un’espressione terribile. Vorrei
capire quanto di umano possa esistere nel capitale!
E allora per provare a risolvere, non solo il problema della
disoccupazione, ma anche quello delle enormi diseguaglianze che attanagliano la
società odierna è necessario, in primis,
sostituire la categoria del “lavoro” - che può
essere precario, discontinuo, a progetto, schiavo degli algoritmi - con la categoria del "lavoratore", un soggetto
in carne ed ossa che necessita non solo
di un’occupazione, ma, essendo umano e non capitale umano, di un’attività che
gli consenta di vivere dignitosamente, di provvedere a se alla propria famiglia
e all’evoluzione sociale della propria comunità.
Solo valorizzando il lavoratore,
come detentore di abilità utili al progresso sociale, anziché renderlo merce
sottomessa alle necessità del mercato, sarà possibile cominciare ad ipotizzare una politica, focalizzata alla
piena e buona occupazione. Posto che , in
prima istanza, bisognerebbe contrastare tutte quelle dinamiche capitalistiche,
fatte proprie anche dalla UE, tese a imporre quote di disoccupazione necessarie al pieno
dispiegamento della voracità finanziaria.
Un primo passo dal valore simbolico
enorme, ma anche reale , potrebbe realizzarsi nella modifica dell’art. 1 della
Costituzione. In questo senso concordiamo con il professor Panebianco, il quale
in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera il 21 luglio del 2017, contestava l’immodificabililtà della
prima parte della Carta, proponendo una riforma tesa a sancire la libera espressione delle
prerogative padronali , ovvero
prefigurando una “Repubblica democratica fondata sulla libertà (d’impresa)”.
Anche
per noi l’articolo 1 va cambiato, ma in senso del tutto opposto a quello
proposto da Panebianco, ossia : l’Italia
è una Repubblica democratica, non fondata sul lavoro, che può essere
precario, a progetto, a chiamata, ma sul
lavoratore e sui suoi diritti di persona utile al progresso sociale e
civile della società.
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