Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

martedì 30 gennaio 2018

Stati Generali del Lavoro e capitale "disumano"

Luciano Granieri




 Sabato scorso 27 gennaio 2018, si è svolto a Frosinone, presso la sala consiliare della Provincia, un dibattito sulla devastante piaga della disoccupazione imperante nel  nostro territorio. L’incontro, organizzato dalla federazione  provinciale del Partito della Rifondazione Comunista, denominato “Stati Generali  del Lavoro” aveva come obbiettivo quello di riunire attorno ad un tavolo, istituzioni, movimenti sindacali e politici, affinchè si proponessero soluzioni valide e percorribili per risolvere una crisi occupazionale che  conta nel nostro territorio più di 150mila persone senza lavoro.  

La convocazione di tale simposio  è stata quanto mai opportuna , ma ho  qualche dubbio  sulla reale volontà  di alcune  organizzazioni invitate  di  risolvere  la questione occupazionale nel territorio. A sostegno di tale incertezza cito le parole del segretario  nazionale di Rifondazione Comunista, Maurizio Acerbo,  il quale, invitato a chiudere i lavori,  nel suo intervento, ha citato il NAWRU, acronimo che sta per: “no  accelerating wage rate of unemployment” tradotto: “tasso di disoccupazione d’equilibrio  tarato per non generare pressioni inflazionistiche  comprimendo il potere di spesa mediante  il taglio deliberato dei posti di lavoro”. 

Il NAWRU è un parametro  stabilito da  liberisti e neomercantilisti tecnocrati europei  , i quali hanno deciso, anzi imposto, che l’Italia debba  mantenere un tasso strutturale di disoccupazione pari all’11% fino al 2019. Apprezziamo il  fatto che Acerbo abbia fatto riferimento ad una situazione evidenziata dal nostro blog già dal 2014  ( LEGGI QUI).  Il tasso NAWRU  non è un capriccio, ma   un inderogabile diktat imposto dalla UE ai paesi membri. Lo scopo è duplice: da un lato assicurare una quota di disoccupazione necessaria  affinchè  l’offerta di lavoro sia sistematicamente inferiore alla domanda -in modo  da degradare il bisogno di occupazione  a puro stato di necessità, lasciando  i potenziali lavoratori alla mercè dei padroni  -  dall’altro  contenere,anzi comprimere, l’aumento dei salari     causa di un possibile accrescimento  dell’inflazione, scenario inviso alla speculazione finanziaria. 

Guarda caso la maggior parte dei movimenti, politici, sindacali, istituzionali convocati da Rifondazione negli  Stati Generali del Lavoro, hanno avvallato e avvallano,  a vario  titolo,  le politiche della UE e di conseguenza, accettano il tasso di disoccupazione, fra il 10 e il 12% definito nel  NAWRU.  La domanda sorge spontanea: che senso ha consultare  organizzazioni (politiche e sindacali) supini al diktat  Ue sul  mantenimento di una quota stabile di disoccupazione, per richiedere loro  una proposta funzionale alla diminuzione della stessa ? E ancora,  che senso ha consultare quelle organizzazioni che in trent’anni di azione governativa, hanno contribuito alla disgregazione del reddito da lavoro, in favore dei profitti finanziari, così come bene illustrato DALL'INTERVENTO di Marina Navarra, membro della segreteria provinciale di Rifondazione Comunista? 

Intendiamoci ogni azione finalizzata alla lotta contro la  disoccupazione è bene accetta, ammettiamo pure la necessità   di consultare istituzioni,  organizzazioni politiche e sindacali, ma alla fine, e il risultato degli Stati Generali del Lavoro lo conferma, l’unica via praticabile per risolvere il problema occupazionale, nella nostra Provincia e in tutta Italia, è quella di ridare predominanza ai redditi da lavoro rispetto alle ricchezze accumulate con la speculazione finanziaria. 

Ma ciò non è sufficiente. E’ necessario superare il concetto di “lavoro  in se” per porre al centro dell’attenzione  sociale ed economica   la categoria del “lavoratore” . Le eresie proposte dai partiti nella orrenda campagna elettorale in corso, farneticano sull’aumento dei posti di lavoro,sulle opportunità di creare lavoro, ma al lavoratore non  accenna nessuno . O meglio ad esso si sostituisce    l’immagine di un  soggetto abile a mettere a profitto ogni aspetto delle proprie prerogative umane e   del proprio tempo di vita.  

Se facciamo riferimento alle ultime vertenze dei "bikers",i ciclisti  dipendenti  di  Deliveroo, l’azienda che si occupa di distribuire il cibo a domicilio ordinato dai clienti presso i ristoranti della zona, ci rendiamo conto  che la rivendicazione non è più salariale, o almeno non solo salariale, ma riguarda il tempo  della propria vita che ogni dipendente è costretto a destinare all’azienda, o meglio all’algoritmo con cui l’azienda determina i tempi  e i modi  di lavoro. 

L’algoritmo decide quando, come, ed in quanto tempo bisogna assolvere al proprio impegno. Un codicillo telematico  determina le vite di persone, di famiglie. L’alternativa all’algoritmo è la disoccupazione.  Si pretende la messa a valore di ogni minuto della propria vita. Le capacità umane, da quelle materiali a quelle cognitive,  devono trasformarsi in valore da mettere a disposizione dell’accumulazione capitalistica. Il lavoratore diventa “capitale umano”.  Un’espressione terribile. Vorrei capire quanto di umano  possa esistere  nel capitale!  

E allora per provare a risolvere, non solo il problema della disoccupazione, ma anche quello delle enormi diseguaglianze che attanagliano la società odierna  è necessario, in primis,    sostituire la categoria del “lavoro” - che può essere precario, discontinuo, a progetto, schiavo degli algoritmi   - con la categoria del "lavoratore", un soggetto in carne ed ossa che  necessita non solo di un’occupazione, ma, essendo umano e non capitale umano, di un’attività che gli consenta di vivere dignitosamente, di provvedere a se alla propria famiglia e all’evoluzione sociale della propria comunità. 

Solo valorizzando il lavoratore, come detentore di abilità utili al progresso sociale, anziché renderlo merce sottomessa alle necessità del mercato, sarà possibile cominciare  ad ipotizzare una politica, focalizzata alla piena e buona occupazione. Posto che , in prima istanza, bisognerebbe contrastare tutte quelle dinamiche capitalistiche, fatte proprie anche dalla UE, tese a imporre  quote di disoccupazione necessarie al pieno dispiegamento della voracità finanziaria. 

Un primo passo dal valore simbolico enorme, ma anche reale , potrebbe realizzarsi nella modifica dell’art. 1 della Costituzione. In questo senso concordiamo con il professor Panebianco, il quale in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera il 21 luglio del 2017, contestava  l’immodificabililtà della prima parte della Carta,  proponendo  una riforma  tesa a sancire la libera espressione delle prerogative padronali  , ovvero prefigurando  una “Repubblica democratica fondata sulla libertà (d’impresa)”. 

Anche per noi l’articolo 1 va cambiato, ma in senso del tutto opposto a quello proposto da Panebianco, ossia : l’Italia è una Repubblica democratica, non fondata sul lavoro, che può essere precario, a progetto, a chiamata, ma sul lavoratore e sui suoi diritti di persona utile al progresso sociale e civile della società.

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