"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"
È bastato che Silvio Berlusconi si riaffacciasse sugli schermi, col volto mal tirato in su – ci sono limiti, non fosse che d’età, al rifacimento dei tratti – perché l’Italia corresse a rifugiarsi sotto l’ala di Mario Monti. O l’uno o l’altro, tertium non datur. Non sono la stessa cosa, come suggerisce Alberto Burgio, anche se la rotta che indicano è sempre “a destra tutta”, ma da tempo gli italiani sembrano disabituati a pensare che la distinzione fra destra e sinistra abbia ancora senso. Oggi non ci sarebbe che “quella” rotta, indicata dalla prevalenza del finanzcapitalismo, come lo chiama Luciano Gallino, assai pudicamente corretta dal recente vertice europeo – ma la strizzatina d’occhio agli evasori fiscali, il primato agli interessi privati come metodo di governo e di vita, qualche battuta antieuropea e finto popolare – “lo spread? chi era costui? – un certo plebeismo considerato spiritoso si riconosce in Berlusconi come in Grillo e simili. Non hanno del tutto torto all’estero a vederci come una perpetua commedia dell’arte, Pulcinella o Arlecchino vincenti sulla stoltezza altrui. E quella metà della gente che non predilige la furbizia si rivolge a una figura che appare più frequentabile per costumi e decenza.
Stiamo perdendo troppo tempo. Tertium non datur perché non esiste una sinistra sufficientemente forte per darsi una politica convincente e diversa dal rigore. Eppure non è cadere dalla padella del cavaliere di industria nella brace del liberista tutto d’un pezzo. Sono ormai tante le voci degli esperti che avvertono: su questa strada l’Europa del sud sta cadendo in un buco sempre più profondo, in una crisi di società sempre meno agibile. Si ha un bel rosicchiare sulle spese pubbliche, anche con più energia ed equità di Monti, finché non ci sarà una svolta nell’economia l’impoverimento del novanta per cento della gente continuerà fino a limiti insostenibili. Già lo sono: la percentuale dei disoccupati nel continente, più che raddoppiata per i giovani in cerca di impiego, pesa come un macigno. Attorno ai quattro milioni dichiarati in Francia e più che presunti in Italia, con almeno altrettanti precari e lavoro al nero, specie di donne e stranieri, è meta delle forza di lavoro che vacilla o già si trova sotto il livello di povertà. La spugnosità dell’Italia degli anni ’70 e ’80 non esiste più, lo scarto fra redditi da lavoro e da patrimonio, mobiliare o immobiliare, svolazzante sui mercati mondiali, si è invertito a favore dei secondi e non c’è traccia della lucetta che Monti diceva di intravvedere già in fondo al tunnel. Gli indici di crescita dell’Europa, già assai bassi, non accennano che a diminuire e perfino il Fondo Monetario Internazionale avverte: attenti, se non crescete state andando nel baratro.
E non si tratta di piccoli raggiustamenti. Occorre mettere un freno alla caduta produttiva e conseguente impoverimento dei più per ricostituire una crescita – altro che lo schema argentino, il cui esile fiato sta finendo. In verità c’è dovunque un correggersi delle previsioni, anche la Cina cresce meno di alcuni anni fa, il volto economico del mondo è tutto un fremito di varianti. Ma non è pensabile di salvare l’Europa e la sua moneta attraverso alcune sagge manovre della Bce in presenza di un permanente calo delle merci da produrre e vendere fuori dal paese e dell’esercito salariato che le produce e le acquista: non occorre essere un economista per capirlo. Occorrerebbe tagliare qualche artiglio di più alla finanza, restaurare qualche controllo sul movimento di capitali (come ha spiegato Andrea Baranes), contrattare, possibilmente assieme agli altri paesi del sud in via di soffocamento, un ragionevole rinvio del debito, se non la sua quantificazione, e ristabilire un potere politico sulle politiche economiche. È insensato che l’Europa si sia privata di tutte le sue più importanti capacità produttive dell’acciaio (ed era un bene costruito con i soldi pubblici) per venderle al miliardario indiano Mittal, il quale adesso chiude alcuni altiforni conservando le produzioni di acciai ad alto valore aggiunto, senza che gli stati possano difendere i lavoratori messi per strada, la cui assistenza come disoccupati ricadrà su di loro. Il tutto in attesa che la mano invisibile del mercato, socialmente cieco, offra chissà quando e dove un impiego. Balorda l’idea che il continente potesse spogliarsi impunemente delle risorse strategiche – l’acciaio non è una merce optional. E chi rappresenta i lavoratori dell’acciaio o dell’automobile rimasti senza lavoro? Chi ha le possibilità di cambiarne le condizioni? Perfino la Germania comincia ad ansimare.
Alla faccia delle Costituzioni, chiamate in ballo soltanto per confermare il primato del mercato e dei conti i pubblici, tranquillamente disattese per quanto riguarda i diritti: Marchionne può riconoscere o disconoscere i sindacati, nulla succede, nessuno lo incrimina. In Francia, la Psa (Peugeot-Citroen) si libera di ottomila posti, cancellando un intero paese dell’Ile de France che le lavorava dentro o nell’indotto, e ha chiesto l’altra sera altri millecinquecento licenziamenti – fuori di sé, gli operai hanno demolito tutti i materiali della direzione mentre la gente e i sindacati perbene si sono scandalizzati: quale violenza! Mentre ridono del tentativo del governo di nazionalizzare, confusamente e pro-tempore. Ma dove si credono. E la concorrenza? E i trattati?
In Italia Mario Monti si tira fuori per vedere come se la caverà il paese senza di lui. Berlusconi spaventa gli avversari più di quanto incanti quelli di casa sua, dove regna la più grande confusione. Ha fatto un movimento verso la Lega e Maroni lo mandato a spasso, la sua sola risorsa essendo il mito di onestà che circondava i leghisti prima degli incidenti dei Bossi. Ha tentato un altro passo verso Monti, proponendogli (udite udite) di orchestrargli la campagna elettorale, e ne ha avuto lo sdegnoso invito ad andare a quel paese. E però Monti non è riuscito a dotarsi di un esercito. Ha dietro di sé tutti i vescovi, cosa mai vista – perché va in chiesa tutte le mattine – ma Andrea Riccardi e Luca di Montezemolo non hanno ampliato le file dei poteri e dei personaggi che dovrebbero formare con Casini l’invincibile centro. Neanche tutto il Vaticano e il papa bastano a rifare di colpo un’edizione aggiornata della democrazia cristiana.
E in questa situazione, che sarebbe la più favorevole a una mite sinistra, questa manda segnali che più vaghi non potrebbero essere. In rapporto alla svolta di cui sopra, nulla. Bersani si augura che Monti non si ripresenti, sottintendendo che montiano è già lui. Ma se si ripresenta, gli sarà un alleato fedele. Nichi Vendola scommette sulle difficoltà che avrà Bersani a tenere assieme metalmeccanici, disoccupati, precari e Casini, scommessa più che rischiosa. Berlusconi incassa rifiuti ma le sue risorse – i media, arma fatale – sono più estese di quelle altrui.
In Italia l’antieuropeismo – fuori dall’Europa, fuori dall’euro, fuori dalle palle gli immigrati, soli e autarchici – non ha la forza del Fronte nazionale francese, con il quale su questo tema flirta il Fronte delle sinistre di Melenchon (appena più prudente il Pcf), ma la comunanza degli obiettivi fa spavento e rafforza il pilatismo dei democratici per bene. Così, se una svolta seria sarebbe la salvezza di una sinistra, questa non si vede. Non ha votato senza aprir becco quel “Fiscal compact” che le preclude ogni possibilità di movimento? Arancioni e magistrati, Alba e Verdi, ora come ora, la minacciano più che non la sostituiscano. Così l’Italia si è scordata di come sono finiti gli anni venti del secolo scorso e, ignorando ogni avvertimento, propone un modesto cambio di persone per continuare a fare quel che finora ha fatto. Siamo al punto di un anno fa.
Il movimento capeggiato di De Magistris ha detto poco o niente sull’agenda contro i diktat di Monti e dell’Unione Europea e ha detto poco o niente sulle alleanze elettorali indipendenti dal centro-sinistra. E’ un po’ poco per farsi prendere dagli entusiasmi.
Lo spettro dell’antiberlusconismo come ipoteca su ogni ambizione a rompere il quadro politico attuale si è nuovamente materializzato al teatro Eliseo di Roma per il lancio del cosiddetto Movimento Arancione. Lo storico teatro romano brulicava di attivisti, giornalisti e dirigenti politici (tra cui anche Diliberto, pare, reduce da un improvviso goodbye da parte di Bersani ed ora in cerca di nuove sponde). Almeno un migliaio di persone presenti, ansiose di capire cosa ne sarà e che cosa farà il nuovo movimento politico di Gigino De Magistris.
E inutile dire che tutta l’attenzione si è concentrata su alcuni interventi: quello del sindaco di Napoli ed ex magistrato Luigi de Magistris, e quello di un altro magistrato, Antonio Ingroia, che ha parlato via skype dal Guatemala. E qua già si è visto che agli Arancioni per ora mancano cose importanti sul piano dei contenuti.
Se all’assemblea nazionale lanciata dall’appello ‘Cambiare si può’ una decina di giorni fa, la maggior parte degli interventi aveva preso di petto le politiche di austerity di Mario Monti, aveva attaccato il sostegno dell’asse PD-SEL al progetto incarnato dal premier e prefigurato la nascita di un movimento autonomo dal centrosinistra, e il sindaco di Napoli in quell’occasione aveva richiamato esplicitamente la necessità di “fare la rivoluzione governando” e quindi di non escludere un qualche tipo di accordo con PD-SEL.
A pochi giorni di distanza, nell’intervento di De Magistris al teatro Eliseo si sono sentiti soprattutto strali contro il redivivo Berlusconi, e non sono mancati pesanti – e doverosi – attacchi nei confronti del Quirinale e del suo inquilino Giorgio Napolitano per le cose che abbiamo visto sulla vicenda dell’inchiesta della trattativa tra Stato e mafia. Ma le critiche a Monti, al PD e a SEL sono diventate più episodiche, più sfumate, meno organiche. A dimostrazione di quanto il riemergere dello spauracchio berlusconiano sposti l’attenzione anche del nuovo movimento. A dimostrazione dell’enorme influenza che la rinata polarizzazione tra berlusconiani e ‘antiberlusconiani’ esercita anche su chi vorrebbe fondare una nuova forza politica, alternativa al quadro attuale. La sensibilità di gran parte del popolo della sinistra alle sirene dell’antiberlusconismo è forte, e mancando un chiaro riferimento sociale e di classe il nuovo aggregato non può fare a meno di aggregarsi, sfumando le critiche nei confronti di coloro che hanno gestito il paese fin qui – Monti, i suoi tecnici e il partito di Renzi e Bersani – per concentrare gli attacchi contro una destra che riaffiora nell’immaginario come pericolo, elemento di inquinamento della politica e della società, fonte di brutte figure per il paese all’estero. E soprattutto rispolverando argomenti tutti interni alla polemica etica e giustizialista nei confronti della classe politica, e sorvolando quindi su questioni chiave come il debito pubblico, il Fiscal Compact, il pareggio di bilancio, l’articolo 18 e così via.
Un refrain questo che difficilmente permetterà una consonanza tra il nuovo esperimento politico e i settori popolari attaccati dalle politiche di austerità e di massacro sociale dettate dall’Unione Europea. A nostro avviso questa rimane la priorità dei prossimi mesi e di questo discuterà l’assemblea nazionale del 15 dicembre a Roma convocata dalle forze che hanno organizzato la manifestazione del 27 ottobre scorso, una composizione di soggetti e contenuti di classe che dentro l’elaborazione “arancione” non sembrano poter trovare sfumature possibili.
Infine, non lascia ben sperare neanche il fatto che un aggregato che si dice critico nei confronti della politica-spettacolo e dei personalismi – che dominano la scena politica da Berlusconi a Grillo, da Monti a Casini – si ritrovi così totalmente in balia delle parole e dei ritmi dettati dal sindaco di Napoli. Che dimostra un carisma necessario a chi vuole emergere e bucare il muro di gomma dei media. E anche la volontà di violare alcuni tabù, in particolare quello dell’esclusione dalla vita politica e dalle istituzioni di chi ‘ha violato la legge’ ricordando il sano principio secondo il quale la legalità è il frutto momentaneo di un rapporto di forza e non necessariamente corrisponde alla giustizia. Ma bastava ascoltare la reazione della platea all’intervento del sindaco di Napoli per accorgersi di quanto le sorti del ‘Movimento Arancione’ dipendano quasi interamente dal suo fondatore, volto e voce. Insomma ancora un “movimento ad personam” che riproduce il meccanismo del guru.
Non è un caso che praticamente tutte le cronache dei quotidiani di oggi colgano quest’elemento, sorvolando su obiettivi, proposte e contenuti del nuovo movimento. E mettendo in secondo piano il contenitore sociale e politico – ‘Cambiare si può’ – all’interno del quale gli ‘arancioni’ dovrebbero convergere insieme a forze politiche alla ricerca di un approdo che le traghetti in un parlamento sbarrato da un cancello del 4% che sembra allo stato difficile da scavalcare. E che diventerebbe proibitivo nel caso in cui De Magistris – e Ingroia – decidessero in extremis di rinunciare alla lista autonoma per cercare spazio in un asse PD-SEL che diventerebbe ancora più attraente nel caso in cui Berlusconi dovesse continuare a persistere nel suo caparbio tentativo di rimanere a galla.
Ieri la platea brulicava di dirigenti di partito – Prc, Verdi, Idv, addirittura Pdci – in trepidante attesa di capire se la proposta si tramuterà in lista. I tempi sono stretti, strettissimi, e se la data del voto dovesse essere quella prefigurata ieri dal ministro Cancellieri – il 17 febbraio – quello di formare delle liste che accontentino tutti e raccogliere il numero sufficiente di firme per sostenerle sarebbe uno sforzo proibitivo. La fretta, è ovvio, potrebbe concedere ancora più spazio ai soggetti organizzati, a scapito della cosiddetta società civile e degli spezzoni di movimento che sembravano fino a ieri i promotori del nuovo soggetto politico. Le epurazioni nel movimento di Beppe Grillo, rumoreggiano oggi alcuni quotidiani, potrebbero portare in dono agli arancioni un pacchetto di dirigenti – e voti – ex ‘5 stelle’. Forse.
Ma le certezze sono poche, pochissime. Soprattutto l’assemblea di ieri dell’Eliseo non ha sciolto il nodo del rapporto col centrosinistra. Lista autonoma dentro l’alleanza guidata dal PD oppure lista indipendente? Non è un dettaglio da poco…
Sono nata nel 1967. Da bambina ricordo inverni con
nevicate favolose, si usciva da scuola e si giocava a palle di neve, era pura
magia. Il traffico forse era già in tilt ma non occupava le prime pagine dei
giornali. Non erano le luci del Natale a renderci felici, non erano i negozi
scintillanti, era l'atmosfera in casa, sapere che avremmo rivisto i parenti più
lontani e riso, ancora, insieme, mentre mamme, nonne e zie ai fornelli
preparavano prelibatezze. La vita sociale era sempre fuori casa, freddo, caldo
o pioggia non ci fermavano. Il gioco era sempre all'aperto, anche se con il
tempo gli spazi vitali si riducevano, i prati scomparivano ed il cemento ci
faceva immaginare nuovi giochi. Con l'aumentare delle auto in circolazione
anche andare in bicicletta diventò "pericoloso". Forse il nostro
orizzonte era più stretto ma ci si conosceva tutti, il vicino non era un
estraneo, aveva un nome, una storia, una vita. Si litigava, guardandosi negli
occhi. Ci si dichiarava amore, guardandosi negli occhi. Si diceva "non ti
faccio più amico/a" guardandosi negli occhi. Non con un click su
"unfriend".
Sono nata nel 1967 e ne sono felice. Perché quel bisogno di guardare le persone
negli occhi quando discuto, bisticcio, o amo, o affronto discorsi delicati e
difficili, è parte di me. E dopo aver letto (e anche fatto o causato
inconsapevolmente) infinite e spesso sterili discussioni sui social network ora
credo di aver capito perché di quello sguardo non possiamo e non dobbiamo fare
a meno.
Prometto che in futuro sarò più attenta nel sollevare certe questioni nel
virtuale ma vi assicuro anche che, nel reale, quando potremo guardarci negli
occhi, continuerò ad essere quella che sono, a dire quello che penso, ad agire
secondo la mia coscienza. Continuate a sentirvi liberi di mandarmi a stendere
nel virtuale, basta un click su "unfriend" o un commento secco, ma
fate di più, ditemi quello che pensate quando ci incontriamo nel mondo reale.
Fatelo, però, guardandomi negli occhi, senza messaggeri, senza "voci che
girano", ditelo a me. E io farò lo stesso, come ho sempre fatto. :-)
Effetto neve. La bellezza del candore. Molto più dell'interesse per le
cand-idature.... :-)
In questo periodo di disorientamento totale -dove
il corpo sociale del paese è allo sbando, assediato da una povertà sempre
crescente, dalla mancanza di tutele minime sulla salute e sul lavoro, dove i
comitati elettorali dei vari partiti , sordi ai segnali di disfacimento che
arrivano dalla popolazione, stanno
riorganizzando le truppe cammellate, per riassicurarsi il posto al sole, Monti
o non Monti, Bersani o non Bersani, Berlusconi o non Berlusconi -molti
paventano il pericolo dell’irruzione dei movimenti populisti dell’estrema destra.
In un scenario simile di povertà diffusa come quello greco, i nazifascisti di
Alba Dorata hanno ottenuto alle ultime elezioni un consenso preoccupante. Le
modalità di queste formazioni, per ottenere adesione nel tessuto sociale sono simili. In un
contesto di precarietà economica diffuso i movimenti neonazisti puntano
alla riaffermazione del nazionalismo spinto, alla tutela dell’indigeno contro l’invasione
dell’immigrato che, secondo questi farneticanti eroi , rubando lavoro e alloggi agli autoctoni, è
la principale causa dello stato di povertà delle classi meno abbienti. I
Nazisti di Alba Dorata chiedono più case per il popolo greco, non volendo sottrarre gli immobili alla speculazione immobiliare ma
a chi li affitta agli immigrati. Alcune
bande squadriste girano per i mercatini delle città greche verificando che gli ambulanti
extracomunitari siano in possesso del permesso di soggiorno. Se trovano
qualcuno senza documenti, anziché denunciarlo alla polizia, lo picchiano e gli
devastano la bancarella. Anche qui in Italia i fascisti del terzo millennio di
CasaPound picchiano gli immigrati, anzi
li uccidono, vedi le gesta del fascista
del terzo millennio Casseri, che giusto un anno fa trucidò a Firenze gli
ambulanti senegalesi Mor Diop e Samb Modou, e ferì altri loro
connazionali. Ma non sono in grado , se
intervistati di mettere quattro parole una dietro l’altra per spiegare se c’è
uno straccio di ideologia anche farneticante dietro ai loro pseudo
ragionamenti. Il video che pubblichiamo ,tratto
dalla puntata di ieri di Servizio Pubblico relativo al corteo che CasaPound
organizzò nel novembre scorso, evidenzia in modo eloquente lo straccionismo dell’estrema
destra nostrana. Tutti in piazza contro
il governo Monti, questo si capisce, ma le ragioni della protesta contro Monti
non emergono, “Chiedere a quelli avanti” è la risposta che viene data a Luca Bertazzoni , l’inviato di Santoro,
oppure, ascoltare le quattro righe lette da un deficiente inquadrato nel
manipolo beota. Del resto come stupirsi di un movimento fascista che invoca la
rivoluzione ma che è figlio della controrivoluzione borghese foraggiato da Berlusconi
da
Alemanno e supportato dalla Polverini? A
proposito, non perdetevi la scena in cui a Bertazzoni viene letteralmente impedito
di intervistare il figlio del sindaco di Roma, fascista del terzo millennio
DOC,presente alla manifestazione contro Monti. I militanti di Alba Dorata, almeno, uno
straccio di visione del mondo, anche se farneticante, la manifestano, questo manipolo
di deficienti, inquadrati da quattro caporali deficienti e arringati dal loro
gran mogol, deficiente pure lui, oltre che a balbettare, DUCE DUCE e a adattare
slogan da stadio alla bisogna, non sanno fare. Se questi sono i populisti di
destra che dovrebbero fare proseliti
nello scenario di crisi politica ed economica che sta attraversando il
nostro paese, pure agevolati da una
popolazione pigra, tendenzialmente e atavicamente fascista, non dovrebbero
esserci pericoli. Resta comunque la tristezza di assistere alla indifferenza
delle istituzioni che tollerano la presenza di queste malformazioni civili
vietate dalla legge. Ed è ancora più triste rendersi conto di come diversi
ragazzi si facciano abbindolare da questi asfalta cervelli. Ma qui le colpe
sono anche di chi a sinistra ha da tempo
staccato la connessione con le realtà sociali che compongono l’universo giovanile
italiano.
Per
rendere l’idea pubblichiamo anche l’intervista,
tratta sempre da Servizio Pubblico, con un dirigente di Alba Dorata TAHODORUS KOUDOUNAS. La
differenza con Iannone sembra evidente.
Papa Diaw, presidente Associazione dei Senegalesi di Firenze
Il tredici dicembre 2011 in Piazza Dalmazia a Firenze furono assassinati Modou Samb e Mor Diop; furono feriti in modo grave, Mbenguye Cheike e Moustpha Dieng (che non potrà essere più auto sufficiente).
Al gesto frutto orrendo del clima diffuso di intolleranza e di ostilità nei confronti dei migranti, dodici mesi dopo, non ha fatto seguito un grande cambiamento. Non vi è stata quella reazione corale che avrebbe dovuto mobilitare tutte le energie e le risorse positive culturali, tutte le forze culturali, sociali, politiche che hanno come baricentro la Costituzione.
Ad un anno di distanza vogliamo con questa petizione fare una proposta che dia il via ad un clima diverso . di apertura, di accoglienza, di solidarietà degni di una città e di un paese civili, in cui non siano più possibili atti come quelli di un anno fa.
Sono Papa Diaw, presidente dell'Associazione dei senegalesi di Firenze. Chiediamo la cittadinanza italiana per i tre feriti gravemente dal killer Gianluca Casseri a Firenze, Moustapha Dieng, 34 anni , Sougou Mor, 32 anni, Mbengue Cheike, 42 anni.Lo chiediamo al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Firenze si è dimostrata molto solidale con noi. Quanto è accaduto un anno fa è frutto si una cultura, di una ideologia violenta e razzista alla quale la maggior parte degli italiani è estranea. Riconoscere ai tre senegalesi feriti la cittadinanza italiana sarebbe la dimostrazione di questo e un atto concreto di riconciliazione.
Alle
16,37 del 12 dicembre 1969 la terribile deflagrazione nella Banca Nazionale
dell’Agricoltura a Milano provoca 17 morti e oltre 100 feriti. E’ il primo di
tanti atti stragisti in cui la
controrivoluzione demofascista alza il livello dello scontro per fermare il processo di sollevazione operaia e
studentesca, che chiedeva più diritti per il lavoro, la scuola, e lottava per
un sistema di vita più dignitoso per
tutti. L’apparto controrivoluzionario ha iniziato la sua opera di sovvertimento
democratico già immediatamente dopo l’approvazione della Costituzione. I
fascisti non sono stati mai banditi dall’attività sociale e politica, come
prescritto sulla Carta Costituzionale, perché
utili come mano armata dello Stato
quando si è reso necessario contrastare lotte pericolose che avrebbero potuto
intaccare i privilegi di una classe borghese - imprenditoriale vorace e
accattona. L’esito del processo della strage di Piazza Fontana
conclusosi dopo ben 36 anni il 13 ottobre del 2005, manda tutti assolti. O
meglio i giudici affermano che la strage l’hanno compiuta i fascisti di Ordine nuovo per quantoFranco FredaeGiovanni Ventura,elementi di spicco dell’organizzazione, indicati come responsabili,
non sono più condannabili perché precedentemente assolti in via definitiva per
lo stesso capo di imputazione. Ciò a evidente dimostrazione che lo Stato
è riconoscente con chi lo aiuta a mantenere intatti i privilegi delle classi
elitarie. Il processo controrivoluzionario non si è mai fermato, ha cambiato
metodologia di azione nel corso degli anni arrivando anche a trattare con la
mafia. E’ passato, dall’armare le mani
degli esecutori fascisti, ad arruolare dirigenti delle forze dell’ordine
spietati pronti ad aizzare il proprio esercito contro manifestanti inermi, ma
anche a creare prove false, ad infiltrare poliziotti nei cortei, a
provocare disordini nascosti dietro i cappucci neri dei black bloc. Oggi il processo di contro rivoluzione si è
affinato ancora di più. Utilizza la finanza, le banche e, per sedare la rivolta
sociale anche sindacati e movimenti che, a parole si dicono a favore dei
lavoratori, ma nei fatti sono elementi destrutturanti il conflitto contrario
alla contro rivoluzione. E’ dunque
fondamentale non dimenticare la strage di Piazza Fontana se si vuole avere una
chiara idea della perversione demofascista. Un atto criminale architettato dallo Stato e
messo in atto dai Fascisti.
Incontriamo Luis
Seclen, tra le figure più conosciute dell'importante lotta dei lavoratori
dell'Esselunga, recentemente diventato militante del Pdac. Luis, abbiamo
saputo che tu e altri due lavoratori licenziati dall'Esselunga avete vinto la
causa. Cosa ha deciso il giudice? Il giudice ha disposto in
primo luogo la ricostituzione del rapporto associativo e di lavoro e ha
conseguentemente condannato la cooperativa al pagamento delle retribuzioni
maturate e non corrisposte dalla cessazione del rapporto di lavoro fino alla
riammissione e l’iscrizione al libro dei soci a titolo di
risarcimento.
Una vittoria
chiarissima quindi. Che significato ha questa sentenza per la lotta
all'Esselunga e per le lotte dei lavoratori delle varie
cooperative?
Il consorzio Safra (coop. S.G.I., Apollo e
Asso) considerava la S.G.I. come lo zoccolo duro della lotta, e i tre delegati
di questa cooperativa come promotori della mobilitazione all’interno dei
magazzini drogheria: infatti, il numero maggiore dei lavoratori in lotta sono
usciti da qui. In tutte le tre riunioni che abbiamo avuto con l’amministrazione
del consorzio, sostenute prima dagli scioperi, circolavano nell’aria delle voci
su noi tre come "elementi da eliminare subito", eravamo, cioè, le teste del
movimento. Il tempo gli ha dato ragione (solo a metà visto che ci sono altri
compagni con grandi capacità, Ilir , Miah , Bamba, Lingad ed altri), e questa
opinione su di noi ha fatto sì che questa causa diventasse più politica
che legale, e quindi la vittoria o la sconfitta potevano dare dei risultati
importanti per il futuro della lotta, che non è ancora finita; in questo caso la
sentenza, nel senso della legislazione borghese, ci apre una superstrada
politica da percorrere. I nostri licenziamenti sono frutto di una concezione
reazionaria e fascista da parte di Caprotti, padrone di Esselunga, per esserci
organizzati in un sindacato, per avere scelto un sindacato che cammina in piedi
e a testa alta come noi, che non si vende ai padroni, e soprattutto perché
abbiamo protestato con scioperi che hanno fatto fare una brutta figura sia alla
sua immagine personale che a quella dell’azienda Esselunga nelle sue operazioni
di marketing. Caprotti ha usato la cooperativa come suo braccio risolutivo e
ci ha cacciati via, come se fossimo degli esseri indesiderati nel loro mondo
"perfetto e imparagonabile" . Ed era vero: noi siamo brutti, bestiali, tosti,
duri, trascurati, rivoltosi, violenti, immigrati di merda, extracomunitari del
cazzo, sporchi; ma siamo operai, siamo proletari e abbiamo tanta dignità e tanta
voce per urlare ai quattro venti con tutte le nostre forze: "libertà!", perché
vogliamo scegliere liberamente un nostro sindacato e non un tuo porcellino
(Cgil, Cisl, Uil). Vogliamo protestare e fare scioperi perché tu padrone non ci
rispetti, perché rubi nelle nostre buste paga e perché la Costituzione che la
tua classe (dominante) ha partorito ci dà il diritto di farlo e tu, Caprotti,
non sei il padrone della nazione per fare capricciosamente quello che vuoi!
Caprotti la pensa così: "Questa è casa mia e faccio quello che voglio!". Ma non
esiste proprio! Rispetta le leggi della tua classe!
Siccome noi sosteniamo che siamo stati
licenziati per aver fatto sciopero e per avere scelto un nostro sindacato
liberamente, mentre la cooperativa sostiene di averci licenziati per bassa
produzione (o per aver fatto sciopero quando ero in malattia nel mio
caso!), allora la giustizia borghese stessa ci dà ragione e ritiene illegittimi
i licenziamenti. Ma se il giudice ci dà ragionem secondo la loro Costituzione
e le loro leggi borghesi, e quindi sancisce che siamo stati licenziati per avere
fatto sciopero e per avere scelto un sindacato non gradito al padrone, allora il
colpevole è il padrone che ha ordinato il nostro licenziamento: Caprotti! La
lotta ricomincia e faremo vedere a Caprotti come morde un animale operaio! Gli
faremo vedere come attacca un proletario ferito nella propria dignità! Anche
se ci manda contro i suoi cani militari, come ha fatto nel giorno dello sgombero
del presidio! Adesso la lotta è politica, adesso noi operai faremo rispettare la
sua Costituzione e le sue leggi borghesi. Noi rivogliamo il nostro posto di
lavoro dentro casa sua con il nostro sindacato, il SI Cobas, non con i suoi
servi (Cgil, Cisl, Uil).
Luis,
parteciperai, come oratore, ad una assemblea operaia autoconvocata da lavoratori
e attivisti di lotte importanti (compagni della Fiat Ferrari di Maranello, della
Jabil occupata, delle lotte degli immigrati, dei precari, della Marcegaglia,
della Same, della Irisbus, ecc.) che si terrà il 15 dicembre a Cassina de’
Pecchi (in via Roma, 81, per chi fosse interessato: a 400 mt dalla fermata della
M2), un'assemblea lanciata dai lavoratori e che sta crescendo in questi giorni.
Pensi che possa essere importante per rilanciare le lotte?Di
sicuro! Durante tutto quest'anno di lotta ho girato tanti bellissimi posti
portando la parola d’ordine dell’unità della classe operaia! Ci devo
essere per forza, e ci devono essere tutti i nostri compagni, i nostri fratelli
della classe sfruttata. Questo è il momento per costruire l'unità, non solo per
rilanciare le lotte, ma per collegarle e farle diventare una sola, cioè, non la
lotta contro un borghese padrone della fabbrica in cui lavoro. No, la crisi è in
tutta Europa, per cui la lotta è contro un sistema capitalistico internazionale
che ci sta ammazzando, che ci sta negando il nostro futuro, il destino delle
nostre famiglie e dei nostri figli. Ci sarò eccome, sono già lì insieme a tutte
le speranze di vittoria dei miei compagni, dei miei fratelli proletari di lotta.
El pueblo unido jamas serà vencido!
La
modifica dell’art.8 della manovra economica di Berlusconi ci ha portato ad una stagione di
declino, attraverso un atto berlusconiano alle sue fasi terminali con il
maldestro tentativo di ultima supplica verso i poteri forti per evitare la sua
cacciata. Si è provato a barattare, perché di questo si è trattato, la
possibilità di derogare la contrattazione nazionale in cambio di una maggiore
clemenza nei tempi del redde rationem all’interno del capitalismo nostrano. Ma
oltre a non essere servito ad evitare l’arrivo di Monti, il fatto gravissimo
che tutto ciò ha invece prodotto è stato di aver portato il metodo Marchionne
da eccezione a regola, e dunque la possibilità che uno strappo violento alla
logica della contrattazione tra le parti sociali a livello aziendale abbia
maggiore valore di un accordo nazionale. Un vero e proprio atto di
prevaricazione della parte più forte su quella più debole: dobbiamo ristabilire
il principio che i diritti devono essere certi per tutte e tutti ed inseriti in
un’unica cornice non derogabile da nessuno.
Nell’assalto all’art.18dello statuto dei lavoratori (legge 300/70) c’è stato invece una
definitiva presa di coscienza da parte di quelli stessi poteri che, incassato
il successo dell’operazione Monti, hanno deciso di varcare e ampliare la
breccia che si era prodotta. E dunque su questo tema sono intervenute tutte le
armi di distrazione di massa conosciute; si passa quindi da “è un atto per
l’occupazione perché a maggiore facilità di uscita corrisponde maggiore
possibilità d’entrata” (smentito puntualmente ad ogni rilevazione effettuata
sul mercato del lavoro), al sempre valido “ce lo chiede l’Europa (ulteriore
falsità, considerate le tutele previste nei principali Paesi della Ue)”. La
verità è che in assenza della piena funzionalità dell’art.18 si pone in essere
l’ennesimo ricatto, quello dell’imporre la scelta inaccettabile tra lavorare o
avere diritti, producendo nei fatti una sterzata in senso autoritario in ogni
luogo di lavoro.
La raccolta firme in difesa
del mondo del lavoro quindi rappresenta una straordinaria occasione non soltanto per
difendere il principio che non si può accettare la compressione dei diritti, ma
anche per identificare e rilanciare il mondo del lavoro come soggetto vitale
della e per la democrazia. Ed in ultima analisi è questo anche il migliore
antidoto a quel senso diffuso di scollamento e rifiuto verso la politica che
troppo frettolosamente viene spesso identificato nella generica
formulazione dell’antipolitica. Abbiamo il compito di rompere l’assedio e dare
voce e rappresentanza a chi oggi in fabbrica non può scioperare per paura di
perdere il posto di lavoro, al giovane che non ha speranza di trovare un suo
futuro, al pensionato che vede sfuggire le conquiste di tante rivendicazioni,
alle donne che in molti luoghi sono ancora vittime di discriminazione sia di
genere sia salariale.
Ghe pensa
lu’. E infatti i primi effetti della ridiscesa in campo di Berlusconi si sono
manifestati chiaramente. No, non è l’aumento dello spread o i tonfi della
borsa. Quelli sono fisiologici quando i
mercati sentono odor di elezioni. I primi effetti si sono visti nell’aula di un
tribunale. E’ sparito un teste della difesa. Infatti nel processo in cui
Berlusconi è indagato per concussione e prostituzione minorile, non si trova più Ruby
rubacuori, la principale teste della difesa . La “nipote” di Mubarak ha preso
un aereo per il Messico giusto due giorni dopo
che l’avvocato Ghedini gli ha
fattore recapitare la convocazione a testimoniare in tribunale. La parte lesa
Ruby rubacuori, pur obbligata a presentarsi in aula, ha fatto sapere che non
rientrerà prima della metà di gennaio. E’ chiaro l’intento di prolungare il
dibattimento che vede Berlusconi alla sbarra in modo da ritardare la sentenza a dopo le elezioni. I denari sborsati per mandare Ruby rubacuori a svernare
in Messico sono il primo investimento di una campagna elettorale che si preannuncia
all’arma bianca. Sinceramente non se ne può più di questi figuri. E’ possibile che dopo tutto i casini, (non Pierferdinando) che
hanno combinato Berlusconi e i suoi
scagnozzi, ancora ce li ritroviamo
fra i piedi? Noi vorremmo
parlare di politica, di come risollevare condizione miserrima dello stato
sociale, di come ridare dignità al mondo del lavoro, di come assicurare una
sanità e una scuola pubblica decenti. Siamo
stanchi di leggere pagine e pagine di giornali piene di resoconti
sul fetido mignottaio che deborda da
Arcore. Vorremmo confidare nel senso
civico degli italiani e credere che nessuno avrà più la malsana idea di votarli. Ma se i cittadini
italiani avessero mostrato senso civico da tempo Berlusconi risiederebbe nella
patrie galere. Dunque non saremmo
sorpresi di ritrovarci la vecchia ciabatta di Arcore ancora a capo della
nazione. Infatti come sostiene Mario Insenga, nella clip che segue,
all’italiano di medio o basso livello culturale , O’ Maste piace da
morire. Li fa stare allegri gli dice che tutto va bene e se non arrivano a
fine mese è colpa dei comunisti che li hanno tartassati con insopportabili
tasse e tributi . Isse è O’ Maste e tutti
votano per lui. Tu si o’ maste e nuie vutammo pe’ te.
Una particolarità sulla musica
che accompagna la clip . Il brano Tu si o maste è stato eseguito nel corso del concerto dei Blue Stuff tenutosi
a Frosinone in largo Turriziani nel giugno 2011. La band era composta da:Mario Insenga:
batteria e voce, Sandro “o biondo”
Vernacchia: chitarra e dobro, Lino Muoio – chitarra, Francesco Miele -contrabbasso.
Dice
che era nsacco de tempo che nfaceva così freddo all’Olimpico.
Dice che era nsacco de tempo che nfaceva così caldo
all’Olimpico.
Dipende.
Diciamo na cifra freddo prima e na cifra caldo dopo.
Der tipo che nfaceva cosí caldo dai tempi de Spalletti, dice.
Che poi mo Spalletti sta ar freddo vero, quindi manco è facile mettese a fa
paragoni e manco c'ha troppo senso utilizzà Luciano come unità de misura.
Comunque all’inizio faceva freddo e basta. Ma è nattimo a
scallasse, certe volte. E’ sette minuti a scallasse, certe volte. E’ sette
minuti a stupisse, certe volte.
De sto gò va subito detta na cosa, pe inquadrallo ner campo dell’umanamente
concepibile. Er cross è Dercapitano. Perchè se sta palla non viene contagiata
dar debito ar punto de fallì immediatamente ar contatto cor teritorio greco, è
perchè quando ce ariva è ancora carica dela ricchezza capitana. Perchè quando
Ercapitano tocca palla, automaticamente je imprime un Pil sui livelli delo
stato de Montecarlo, roba che l’editorialisti der Sole 24 Ore nsoo spiegano e
chiamano i colleghi de l’Economist e quelli je rispondono “We don’t explain it
ourselves too”, e quelli der Sole pensano “Ammazza che inglese rudimentale
questi dell’Economist”.
E così sto pallone carico de credito giunge sula capoccia dela
Cosa Greca, che, sordo ai richiami dela Bce, insensibile ai diktat del Fmi,
strafottendosene degli ultimatum della Ue che je impongono rigore e de evità
colpi de testa, dentro l’area de rigore co un colpo de testa schiaccia e genera
na traiettoria maligna e ingannevole e imprendibile se purtroppo c’hai quer
brutto problema che c’ha Viviano.
“Perchè che problema c’ha Viviano?”
Eh boh, ma quarcosa ce lo deve avè, che lì non è che la
battezza, ma proprio la cresima, la sposa e estremunzia fori quanno gne costava
gnente mettece mbraccio, col risultato che O Goleador Improvisado de Dios se
ritrova spalancata la porta e se rende autore de uno dei gesti più controversi
dela storia der calcio: er gò fregato.
Dato il giocatore A come generatore di un vettore proiettato
verso la porta avversaria, dicesi gò fregato quella interferenza da parte di un
giocatore B, compagno di A, sulla traiettoria del vettore. Per ricadere nella
casistica del gò fregato, l’interferenza deve essere unanimemente
considerata di dubbià utilità, bassa moralità e sopratutto deve
verificarsi a non più di 10 cm di distanza dalla linea di porta.
Dall’alba dei tempi, sul tema del gò fregato, il mondo si divide
in innocentisti e colpevolisti.
I primi che parteggiano per chi se frega er gò al grido di
“L’importante è che sia entrata!” , sostengono che sia un gesto dettato dalla
concitazione del momento e mosso unicamente dall’istinto di voler assicurare
una segnatura alla propria squadra in una situazione nella quale la stessa è
ancora in dubbio.
I secondi, che sposano la causa dei defraudati al grido di
“Vabbè ma entrava lo stesso”, permangono granitici nella convinzione che il
sordido intervento altro non sia che un furto ai danni del compagno, del
calcio, del Fair Play, dello Spirito Olimpico, der Fantacarcio e delo Spirito
Santo.
Noi, che ben sappiamo che er Castagna co lo Spirito Santo ce sta
così (per la corretta rappresentazione scenica della frase il lettore è
caldamente invitato a chiudere entrambi i pugni con l’eccezione degli indici,
di tendere gli stessi in avanti, di percuotere gli stessi tra di loro e di
ripetere il gesto in un lasso di tempo inferiore a 1 secondo) sappiamo bene che
gne farebbe mai no sgaro, e quindi propendiamo pe la prima ipotesi.
La Cosa fa finta de gnente o nse rende conto e core impazzito a
festeggià e a mostrà na maja preparata chissà da quanto co scritto: Μου
σκόραρε! Μην ακούτε τα ψέματα του κατηχητή! Castan είναι ένας γνωστός ψεύτης
που προσβάλλει τον Θεό και τους άνδρες!
A noi, ovviamente, de chi ha segnato figurate che cazzo ce
frega. Stamo sopra!
Qualcuno se vorebbe aggrappà ar vecchio adagio dell'avemo
segnato troppo presto, ma anche la sola intenzione che je lampa nell'occhi
viene incenerita da chi, mbriaco de tre vittorie consecutive, s'è scordato chi
è, da dove viene e dove sta a andà. Mo sappiamo gestì la situazione! Mo stiamo
in quella categoria de squadre che pe descrivele nce devi mette l'articolo!
Siamo squadra matura. Siamo squadra esperta. Siamo squadra
cinica.
Siamo squadra uno a uno, cazzo.
Da una de quelle punizioni sula treqquarti che se nfai cazzate
non esce niente de pericoloso, famo na mezza cazzata e esce qualcosa de
pericoloso. Pe la precisione esce nargentino che svernicia tutta la difesa
nostra che sale sale e non farebbe manco male a fallo, se nfosse che Rodriguez
sto schema se l'è studiato dar Tramonto all'alba, e facendose strada a colpi de
Machete se infila eccitato nela nostra Sin City co la consapevolezza de chi sa
che ormai er più è fatto e basta buttasse in mezzo pe mettela dentro.
Fracoechea, Desperado, se ritrova solo davanti a tre de loro e po solo inibì
Aquilani e lasciacce cor dubbio dela sua esultanza (e in ognuno dei due casi il
commento nostro sarebbe stato "stammerda"), ma non impedì a Roncaglia
de sfogasse pe mesi de Caressa che lo chiama Roncaghlia e segnà.
L'esultanza non è delle più serene.
"Che devo fa la mitraghlia? Me spoghlio e me levo la
maghlia? Ditemoo voi! Dimmoo te Carè!"
Ma se je rode a lui, figurate a noi.
"Ammazza che doccia fredda", commenta qualcuno.
"Ammazza che similitudine der cazzo" rispondono altri
rincarcandose nela sciarpa.
Quando Er Tiramolla de Dios, l'umano passato per Roma in
assoluto più simile al fu Pietro Vierchowod, anticipa de testa un collega
anziano (che rispetto a lui so tutti anziani), er Malincosniaco fiuta l'attimo
d'insiemistica propizio a convince chi der monnonfame è Capitano, che due
destini che si uniscono se ponno strigne in un istante solo, quello di un
passaggio smarcante per segnare un percorso profondissimo dentro di loro.
"Va, mio Ercapitano, ti ricordi i giorni chiari dell'estate quando
parlavamo fra le passeggiate sui gradoni? Segna con questa palla che ti dono e
poi stammi più vicino ora che ho paura. Tu che tutto puoi dillo ar Santone tuo
ner dopo gara e dillo pure in mix zone e ale radio e ale tv e nelle riedizioni
dei libri de Natale. In questa fretta tutto si consuma e quando sei no stranger
la gente so strani, o diceva pure Jim Morison, pertanto fingimi gratitudine e
dimmi che "mai non ti vorrei veder cambiare mai".
Ercapitano stoppa morbido, se gira incredulo e de luce propria
riflette tra sé e sé e ricorda de quando pe avè nsoriso da AberBarbo o Cappiola
doveva fa tre tunnel quattro cucchiai e rimboccà tutte le lenzola dela
foresteria de Trigoria. "A Miralem, secondo te è normale che io che so io,
mo, pe sto passaggetto, dovrei dì ar monnonfame na cosa der genere? Pe te? No
dico, o sai io de palle a chilomba come questa quante ne metto a partita? E a
settimana? E da quando ce sta er governo Monti? E da quanno Omnitel è diventata
Vodaphone? E da quanno er maresciallo Tito ve teneva ancora tutti insieme? O
sai che se tutti quelli che me devono dì grazie e dedicà ex voto pe ngò fatto
c'avessero le pretese che c'hai te pe sta palletta, er Divino Amore o mannerebbero
fallito?".
Ner mentre er piede, più veloce der pensiero, s'è già vendicato
de tanta superbia premiando Destro, che in imbarazzo s’enciampa e stoppa male,
non tira e pe mette na pezza che sia mejo dela buca, restituisce er maltolto
Arcapitano. "Ma che devo fa tutto io?" chiede Ercapitano ar
monnonfame che tosto risponde "Sì!", pure se non so passati manco 20
minuti. Quello ristoppa na palla che je sempenna ferma mentre tutto davanti se
move. Na contraerea de corpi viola se frappone inutirmente in attesa der
battezzo dell'angolo, dell'anghingò e der gò.
Ercapitano se magna l'alluce dela mano, Dexter lo abbraccia
felice, Miralem lo abbraccia piangendo. Duanuno pe noi. Oggi ce se scalla così.
Subito, ormai, quando segna Ercapitano, ce sta chi esurta
sparando numeri fori da ogni tombola. "So 220! è er numero 220!". Ce
pensi, non te ricordi più chi cazzo dovete ripiglià, tu e Ercapitano, ma fa
così freddo che la prima cosa che te pare chiara è che co sto gò Ercapitano ha
superato Gustav Thöni , Pierino Gros, Ingemar Stenmark e Zurbriggen. Tagli er
traguardo in discesa libera mentale, te senti gigante, in slalom tra le
avversità, fino ar prossimo gò.
Non pago, forte e tenace er Malincosniaco se rimbocca la testa e
lotta e battaja e incrocia Oliveira, uno de quei giocatori de cui conosci er
destino de mercato solo er giorno che te lo ritrovi davanti a fa lo stronzo,
colui che un dì, de salentino vestito, scalcettando er capitano, ne provocò
reazione, espursione e assenza ar derby. Ora, essendo er Malincosniaco l'autore
titolare dela pagina Wikipedia bosniaca dedicata Arcapitano, ad egli onere e
onore di gestire e spuntare con disinvortura e professionalità la blacklist
capitana.
Da Colonnese a Poulsen, da Vanigli a Tudor, Miralem saprebbe
come farsi capitanamente benvolere, ma non è colpa sua se i nemici se so quasi
tutti mestamente smaterializzati dai campi e Ercapitano è più forte de prima.
Rubà palla ar contemporaneo Oliveira diventa così dovere civico e morale, e
però quello è preda tanto ghiotta quanto recidiva, e colto da raptus de invidia
e gelosia, decide de riavvitasse i tacchetti sur porpaccio der poro Miralem,
che come elettrico zerbino bestemmiando s'arotola su se stesso. A quell'onta in
mondovisione l'Olimpico ruggisce goffo nei movimenti consapevole der fatto che
giocà in superiorità numerica tutta na partita sarà comunque un problema.
"Ercorcabballero! E' stato lui! L'ha fatto pure l'anno
scorso cor Villareà", afferma dala fila de dietro namico youtubbicamente
nozionista. "No guarda, è stato Oliveira, è stronzo uguale!"
rispondemo sicuri dela nostra ipermetropia. "No no è Porcabballero! Too
dico io! L'ha fatto cor Villareà te sto a dì!", incarza quello confidando
nella ripetitività del repertorio altrui. E però, quasi a placà i timori de no
ssadio mai pronto a sentisse matematicamente superiore, la ciancicata passa
inosservata ai 18 arbitri de linea che decidono che sì, uno senza capelli ha
effettivamente acciaccato navversario, ma co sto freddo ognuno se scalla come
può, soprattutto se carvo, e quindi tocca esse elastici. Tipo Miralem, che così
caldo non è stato mai.
Ma oggi, oggi che pure Poropiris è arivato preparato dopo na
settimana finarmente passata a studià le diagonali, l'obiettivo de sta squadra
operaia è mandà la sua classe in paradiso, tanto che er Lucido se cala nela
parte der carvo de talento, scrosta palla dar piede altrui e con superbia
yankee fa ripartì l'azione co tanto de tunnel a un viola inutilmente opposto
all'esportazione dela palla dala difesa ar centrocampo. Conscio dela sculata,
l'americano scarica su Destro, che ner dubbio s'engobbisce e la dà a Lui, Egli,
Isso, Ipse. Ercapitano la pìa, fa vede carosello a mpar de viola che non fanno
in tempo a invocà er Moment che già se devono dedicà agli sgraziati passi der
Cigno sghembo. Caricato de responsabilità, colui cui è toccato er bonus de poté
beneficià pe nanno intero der paragone co Josè Angel da Twitter (ragazzo che
praticamente s’è fatto un anno de Erasmus a Roma senza fa un cazzo se non
divertisse, proprio come prevede l'Erasmus), in omaggio ar più ordinario degli
adagio da campo de periferia ("se maa dai taa ridò"), restituisce
palla Arcapitano, che incredulo ridomanda: "ma che davero devo fa tutto
io?". "T'amo detto de sì ncacarcà!" rispondemo in millemila
senza rendese conto dell'eccessiva confidenza fideisticamente presa.
Ercapitano sbuffa, recita no spot, scrive un libro, inaugura
nasilo, carica er tiro e da trecentoventi metri tira na suatta dala varvola
rotante tanto bella quanto finalizzata a fa venì le stimmate sule mano de nportiere
che non essendo Padre Pio, nula po pià. Er tracciante illumina la notte de
Viviano che furminato s'adegua ar passaggio de sta stella cometa in anticipio.
Come re magio ce fa er dono e la lascià entrà. Esplode o ssadio ar duplice
fischio. Treauno pe noi.
"So 221! è er numero 221!", urlamo mentre coremo a fa
la fila pe piscià. Faccia ar muro, cor fumo che paglierino ce opacizza er
vespasiano, realizzamo che co sto gò Ercapitano ha superato in un corpo solo
Edwin Moses e Moses Malone, Rod Laver e Rod Stewart, Marvin Gaye e Marvin
Hagler. Record su record che crollano, Mike Bongiorno, Josefa Idem e Alcide De
Gasperi ormai a un passo, ma soprattutto, stamo sopra de du gò all'intervallo.
La situazione pe noi più pericolosa.
Però dai. Siamo squadra concreta. Siamo squadra tonica. Siamo
squadra spettacolo.
Siamo squadra treadddue. O, er primo che rifà sta cazzata de
parlà così guarda che fine che fa eh, guarda eh!
Niente, manco er tempo de godesse na calma apparente, e subito
la calma se ne va a donnacce sula Togliatti. El A'nduja, calabro-marocchino
formatose sui porverosi campi de Cosenza, punta de razza e de stazza co la fame
pe er gò e pe il piccante, dimenticato da Dio e quindi dai nostri uomini che in
quanto catechisti nse metterebbero mai contro er principale, la prima palla che
tocca la mette dentro.
Il "Macheccojoni" che era rimasto a Siena dala
settimana scorsa torna a casa e se precipita a coprì l'Olimpico co tutta la
carica del caffè, l’energia der cioccolato e l’efficacia dele madonne.
La partita a quer punto se fa vibrante, millemila dildo se
mettono in moto e i capovorgimenti de fronte so de tal varietà e qualità da fa
prende forma a na specie de kamasutra del calcio live, dove er piacere non
sembra mai troppo e er dolore quasi te piace, sperando de non dové piagne ala
fine.
Ed è ar dolore der 3-2 che Sturmentruppen reagisce, assalta ala
baionetta, se fa la barba, se rasa le tempie, se stira le recchie, salta nel
cerchio de foco e incorna d'elmetto sulo scudo dei piedi de Viviano che respinge
lo sparo.
E però i nostri eroi son giovani, forti e non so morti, e tutti
insieme realizzano pe nattimo che sì vabbè er quattrotrettré, sì vabbè er gioco
corale e le sovrapposizioni, ma de fatto stamo a giocà a na punta, e quella
punta è Dexter, l'eroe dela quintana, a ognuno er lavoro suo, famolo segnà.
Ma na notte d'inverno così fredda e glaciale genera ner maschio
adulto un noto e irrisolto problema. E se a na certa età nce fai più caso, se
sei pischello che trabocca testosterone e brami prestazioni utili a sparge la
fama e il seme tuo da na bandierina all'artra der monnonfame, sai che non po
esse questa la serata propizia. Perché co na temperatura vicina alo 0, ogni
alabarda se ritira, ogni biscia s'accuccia, ogni mazzo se fa mezzo, ogni flauto
se fa ottavino, ogni salame se fa appetizer, ogni uccello rientra ner nido.
"Dexter ce l'ha piccolo!" avrebbe urlato la bandierina tua, quella
dell'Olimpico, la più importante de tutte. Mejo evità. A porta vòta Dexter
spara sull'unico piede viola rimasto sul prato. Dopo un minuto crossa invece de
tirà. Dopo nantro minuto fa finta de non arivà in tempo su na palla precox.
L'Olimpico mugugna come un utente de Youporn davanti al buffering.
In una partita così, ogni inezia è determinante, ogni singolo
prezioso, ogni battito de denti c'hai paura che possa scatenà er contropiede
avverso. L'eccitazione de no spettacolo de rara bellezza e spreco è pari solo
ala strizza dela beffa finale, dell'ingiustizia in agguato, della sfortuna con
occhi de lince, dell'inculata suprema, dela controepifania che tutta la festa
se porta via prima de stappà pure solo no spumantino. Per tutte queste ragioni,
quando l'equilibrio dela partita più squilibrata dell'anno è rotto dala sagoma
der 16 che se scalla non più come farebbe no spettatore molto prossimo al
tereno di gioco, ma proprio come uno che sta pe entrà ner tereno in questione
ar posto de Taccidis, o ssadio pe nistante se fa muto e trattiene er fiato
(fumando dale recchie de conseguenza).
Chi odia De Rossi nu lo vole vedé e se sente sollevato dar fatto
che se mai sta partita dovesse finì male, sarà comunque corpa sua.
Chi ama De Rossi o vole vedé in campo ma c'ha er terore che se
sta partita dovesse finì male, sarà comunque corpa sua.
Passaggi e movimenti de Capitan Panca vengono studiati ar
microscopio, come cavie da laboratorio. Vivemo tutti co nansia da prestazione
rara, come se ogni suo contrasto perso o vinto possa determinà pe sempre er
futuro suo e nostro. A pathos s'aggiunge pathos (che non è na punta greca fori
forma usa a accoppiasse co la fia der padrone).
Dexter, ner mentre, se sente osservato. Lo guardamo tutti come
colui pe corpa der quale stamo ancora a strigne er culo, ma il suo dardo è più
rintanato che mai. E però, un po' perché vabbè fa finta de sbajà ma così ala
fine te sgamano pure le bandierine, mpo perché se er cross è Capitano sbajà
diventa difficile, Destro monta sur destriero e incorna forte sula traversa che
respinge forte sur Tiramolla. Quello, che non se po permette i distinguo der
collega sciupone, come verginello assetato intruppa e segna, ma un guardaligne
in andropausa sur più bello lo sveja, sbaja e annulla.
Mo immaginateve voi a 18 anni. Pensate a voi 18 anni che ve
fanno giocà co la Roma. Fate nurtimo sforzo de immaginazione e pensate a voi a
18 anni che giocate co la Roma e fate er primo gò in Serie A, e ve lo annullano
e voi sapete che è bono. Se sarebbero sprecati i vaffanculo, no? Marcos, sempre
più Vierchos, invece registra il tutto co na freddezza da Zar, abbassa la testa
e core pe tornà ar posto suo, a difenne er fortino. A noi sta cosa ce fa
fomentà più der gò, a noi che ancora se ricordamo le crisi ormonali de Mexes,
tanto pe dinne uno, vedè un pischello così preciso ce fa bene ar core.
De Rossi intanto core, imposta e contrasta nela norma de na partita
fuori norma, fino ar momento in cui alza la testa e mette er Lucido in porta,
da solo. Ma er capitalista non capitalizza, la struscia de cute, sbaglia er
tempo e soprattutto er momento pe magnasse ngò che non sarebbe stato suo. I
derossiani maledicono er Lucido riesumando slogan da guera molto più fredda de
quella de sta sera.
Manco er tempo de rimette le cose a posto che El Anduja se bulla
der momento delicato der biondo co la barba, e funambolico lo sarta facile,
dando la stura a un oooooo collettivo de strizza, premonizione e quintali de
inchiostro pronti a rimette Capitan Mostro in prima pagina. Quando er viola
nemico tira chiudemo l’occhi. Quando li riaprimo la palla è in angolo. Mentre
eravamo ar buio, ce dicono, Francoechea ha fatto er miracolo. Lui, proprio lui,
er portiere bravo coi piedi, para co na mano, plastico, in tuffo, determinante,
sarvando noi, e già che ce sta pure De Rossi.
Manco er tempo de riconsiderà l'ipotesi che quello der derby sia
stato solo ninfortunio che po capità puro ai grandi campioni, che la palla
spiove in area e lui je core appresso a bocca aperta e occhi ar cielo,
guardandola proprio come fanno i regazzini ai giardinetti. La sicurezza infusa
ner prossimo è tale che er Lucido torna tale e pe fasse perdonà se posiziona
sula ligna dela porta sguanita a scaraventà ortreoceano quell'ipotesi de gò
dell'ex che stava pe mannà Aquilani a riceve le chiavi dela città dar sindaco
rottamatore. E invece no.
Intanto comunque ha imboccato pure er Cipolla, e quando ner giro
de 10 minuti entrano Osvaldo e De Rossi (e Perotta, che comunque è campione der
monnofname e se c’è da fa 20 minuti a difende è ancora più utile de Messi, e
che comunque all’urtima HA SEGNATO) bè, lì se sentimo mpo stocazzo, ce viene
mpo de Realmadritudine, mpo de Barcellonismo. Pe quanti anni al momento dei
cambi de sta gente coi sordi che je escono dale recchie se semo guardati e se
semo detti "No vabbè c'hanno pure questo/carcola che me l'ero scordato a
questo/hai capito come se fanno i cambi/o vedi che vordì la panchina lunga/e
grandi squadre fanno così/noi non ce l’avemo manco tra i titolari quelli che
fanno panca da loro/etc etc”. Ecco, mo pe nattimo se cullamo ner pensiero der
tifoso viola che sta a perde e se vede imboccà sti tre e rosica e se spaventa e
pensa che tutto è finito. E’ mber pensiero. Ma non c’è tempo per cullarsi, che
qua a forza de cullasse e de magnasse i frutti del carcio spettacolo, come ar
solito, se stamo a cacà sotto e Zio Perotta ha già sparato a Piazzale Clodio la
prima palla che jè passata per i piedi. E allora annamio a chiude.
Ma dopo na partita così non puoi chiude a caso. Devi chiude de
prepotenza e de bellezza, de precisione e de velocità, de singolo e de coro, de
singoli tarmente forti che se fanno coro e orchestra e ala fine non riconosci
più le singole voci e i singoli suoni degli strumenti: senti solo la musica.
Dopo na partita così, devi chiude co la musica.
Capitan Tornato recupera palla nela metà nostra, aspetta quer
tanto che basta all’ensemble pe la coretta disposizione, e quando è il momento
dà il La. Er primo a accordasse è Bosnia Capoccia, che, barcanico er giusto, co
un tocco dissonante ala Bregovic supera navversario e appoggia pe Osvardo, co
la raccomandazione de non fa Bordello e annà dritti a fa goGol. Er Cipolla vira
deciso sule tonalità a lui più care, imbraccia la chitara, infila er jack,
mette in fila mpar de Overdrive e un Wah, gira la rotella der volume dell’ampli
a 10 e lascia mber fischio da feedback ala Hendrix nele mani de Zio Perotta.
Quello è omo de mondo, e o sa che der feedback nse butta via gnente, e quando
tutti s’aspettano naccenno de Calabrisella, Zio se fa Uncle e spiazza tutti
ricordando “Ao io so nato Ininghi Rtera, famolo cantà a sto Wembley! Pensace te
Capità” e lascia tutto nele mano der direttore d’orchestra. Pe dirige bene non
servono gesti eclatanti, spesso basta na minuzia, ngesto che pare ninezia, ma
che invece è nuniverso dastuzia. Er Direttore congela er tempo e la difesa
viola in una pausa brevissima ed eterna, ma Osvardo sta già in modalità Jimi,
ha già bruciato lo spartito sur palco de Woodstock, e pe lui er tempo nse
ferma, lui core e core e guarda er Direttore, e lo sa che je basterà arivà
preciso sula prossima battuta pe infilà l’assolo che ce deve fa sbroccà
definitivamente a tutti. Er Direttore aspetta, aspetta, aspetta, e quando è il
momento, quando tutto è pronto e compiuto e definitivo, co ntocco de bacchetta
deflora er diverso da sé e lascia tutto nele mani der Chitara che ariva, se
strappa er plettro dala catenina che porta ar collo, pizzica la prima corda, e
fa partì er suono più rock e più dorce alo stesso tempo: quello de noi che
strillamo.
E’ finita. Amo vinto. E se semo pure divertiti na cifra.