sabato 15 dicembre 2012

L'anno perduto tra Berlusconi e Monti

Rossana Rossanda. fonte: http://sbilanciamoci.info


È bastato che Silvio Berlusconi si riaffacciasse sugli schermi, col volto mal tirato in su – ci sono limiti, non fosse che d’età, al rifacimento dei tratti – perché l’Italia corresse a rifugiarsi sotto l’ala di Mario Monti. O l’uno o l’altro, tertium non datur. Non sono la stessa cosa, come suggerisce Alberto Burgio, anche se la rotta che indicano è sempre “a destra tutta”, ma da tempo gli italiani sembrano disabituati a pensare che la distinzione fra destra e sinistra abbia ancora senso. Oggi non ci sarebbe che “quella” rotta, indicata dalla prevalenza del finanzcapitalismo, come lo chiama Luciano Gallino, assai pudicamente corretta dal recente vertice europeo – ma la strizzatina d’occhio agli evasori fiscali, il primato agli interessi privati come metodo di governo e di vita, qualche battuta antieuropea e finto popolare – “lo spread? chi era costui? – un certo plebeismo considerato spiritoso si riconosce in Berlusconi come in Grillo e simili. Non hanno del tutto torto all’estero a vederci come una perpetua commedia dell’arte, Pulcinella o Arlecchino vincenti sulla stoltezza altrui. E quella metà della gente che non predilige la furbizia si rivolge a una figura che appare più frequentabile per costumi e decenza.
Stiamo perdendo troppo tempo. Tertium non datur perché non esiste una sinistra sufficientemente forte per darsi una politica convincente e diversa dal rigore. Eppure non è cadere dalla padella del cavaliere di industria nella brace del liberista tutto d’un pezzo. Sono ormai tante le voci degli esperti che avvertono: su questa strada l’Europa del sud sta cadendo in un buco sempre più profondo, in una crisi di società sempre meno agibile. Si ha un bel rosicchiare sulle spese pubbliche, anche con più energia ed equità di Monti, finché non ci sarà una svolta nell’economia l’impoverimento del novanta per cento della gente continuerà fino a limiti insostenibili. Già lo sono: la percentuale dei disoccupati nel continente, più che raddoppiata per i giovani in cerca di impiego, pesa come un macigno. Attorno ai quattro milioni dichiarati in Francia e più che presunti in Italia, con almeno altrettanti precari e lavoro al nero, specie di donne e stranieri, è meta delle forza di lavoro che vacilla o già si trova sotto il livello di povertà. La spugnosità dell’Italia degli anni ’70 e ’80 non esiste più, lo scarto fra redditi da lavoro e da patrimonio, mobiliare o immobiliare, svolazzante sui mercati mondiali, si è invertito a favore dei secondi e non c’è traccia della lucetta che Monti diceva di intravvedere già in fondo al tunnel. Gli indici di crescita dell’Europa, già assai bassi, non accennano che a diminuire e perfino il Fondo Monetario Internazionale avverte: attenti, se non crescete state andando nel baratro.
E non si tratta di piccoli raggiustamenti. Occorre mettere un freno alla caduta produttiva e conseguente impoverimento dei più per ricostituire una crescita – altro che lo schema argentino, il cui esile fiato sta finendo. In verità c’è dovunque un correggersi delle previsioni, anche la Cina cresce meno di alcuni anni fa, il volto economico del mondo è tutto un fremito di varianti. Ma non è pensabile di salvare l’Europa e la sua moneta attraverso alcune sagge manovre della Bce in presenza di un permanente calo delle merci da produrre e vendere fuori dal paese e dell’esercito salariato che le produce e le acquista: non occorre essere un economista per capirlo. Occorrerebbe tagliare qualche artiglio di più alla finanza, restaurare qualche controllo sul movimento di capitali (come ha spiegato Andrea Baranes), contrattare, possibilmente assieme agli altri paesi del sud in via di soffocamento, un ragionevole rinvio del debito, se non la sua quantificazione, e ristabilire un potere politico sulle politiche economiche. È insensato che l’Europa si sia privata di tutte le sue più importanti capacità produttive dell’acciaio (ed era un bene costruito con i soldi pubblici) per venderle al miliardario indiano Mittal, il quale adesso chiude alcuni altiforni conservando le produzioni di acciai ad alto valore aggiunto, senza che gli stati possano difendere i lavoratori messi per strada, la cui assistenza come disoccupati ricadrà su di loro. Il tutto in attesa che la mano invisibile del mercato, socialmente cieco, offra chissà quando e dove un impiego. Balorda l’idea che il continente potesse spogliarsi impunemente delle risorse strategiche – l’acciaio non è una merce optional. E chi rappresenta i lavoratori dell’acciaio o dell’automobile rimasti senza lavoro? Chi ha le possibilità di cambiarne le condizioni? Perfino la Germania comincia ad ansimare.
Alla faccia delle Costituzioni, chiamate in ballo soltanto per confermare il primato del mercato e dei conti i pubblici, tranquillamente disattese per quanto riguarda i diritti: Marchionne può riconoscere o disconoscere i sindacati, nulla succede, nessuno lo incrimina. In Francia, la Psa (Peugeot-Citroen) si libera di ottomila posti, cancellando un intero paese dell’Ile de France che le lavorava dentro o nell’indotto, e ha chiesto l’altra sera altri millecinquecento licenziamenti – fuori di sé, gli operai hanno demolito tutti i materiali della direzione mentre la gente e i sindacati perbene si sono scandalizzati: quale violenza! Mentre ridono del tentativo del governo di nazionalizzare, confusamente e pro-tempore. Ma dove si credono. E la concorrenza? E i trattati?
In Italia Mario Monti si tira fuori per vedere come se la caverà il paese senza di lui. Berlusconi spaventa gli avversari più di quanto incanti quelli di casa sua, dove regna la più grande confusione. Ha fatto un movimento verso la Lega e Maroni lo mandato a spasso, la sua sola risorsa essendo il mito di onestà che circondava i leghisti prima degli incidenti dei Bossi. Ha tentato un altro passo verso Monti, proponendogli (udite udite) di orchestrargli la campagna elettorale, e ne ha avuto lo sdegnoso invito ad andare a quel paese. E però Monti non è riuscito a dotarsi di un esercito. Ha dietro di sé tutti i vescovi, cosa mai vista – perché va in chiesa tutte le mattine – ma Andrea Riccardi e Luca di Montezemolo non hanno ampliato le file dei poteri e dei personaggi che dovrebbero formare con Casini l’invincibile centro. Neanche tutto il Vaticano e il papa bastano a rifare di colpo un’edizione aggiornata della democrazia cristiana.
E in questa situazione, che sarebbe la più favorevole a una mite sinistra, questa manda segnali che più vaghi non potrebbero essere. In rapporto alla svolta di cui sopra, nulla. Bersani si augura che Monti non si ripresenti, sottintendendo che montiano è già lui. Ma se si ripresenta, gli sarà un alleato fedele. Nichi Vendola scommette sulle difficoltà che avrà Bersani a tenere assieme metalmeccanici, disoccupati, precari e Casini, scommessa più che rischiosa. Berlusconi incassa rifiuti ma le sue risorse – i media, arma fatale – sono più estese di quelle altrui.
In Italia l’antieuropeismo – fuori dall’Europa, fuori dall’euro, fuori dalle palle gli immigrati, soli e autarchici – non ha la forza del Fronte nazionale francese, con il quale su questo tema flirta il Fronte delle sinistre di Melenchon (appena più prudente il Pcf), ma la comunanza degli obiettivi fa spavento e rafforza il pilatismo dei democratici per bene. Così, se una svolta seria sarebbe la salvezza di una sinistra, questa non si vede. Non ha votato senza aprir becco quel “Fiscal compact” che le preclude ogni possibilità di movimento? Arancioni e magistrati, Alba e Verdi, ora come ora, la minacciano più che non la sostituiscano. Così l’Italia si è scordata di come sono finiti gli anni venti del secolo scorso e, ignorando ogni avvertimento, propone un modesto cambio di persone per continuare a fare quel che finora ha fatto. Siamo al punto di un anno fa.

venerdì 14 dicembre 2012

Il rosso non può essere una sfumatura dell’arancione

Rete dei Comunisti


Il movimento capeggiato di De Magistris ha detto poco o niente sull’agenda contro i diktat di Monti e dell’Unione Europea e ha detto poco o niente sulle alleanze elettorali indipendenti dal centro-sinistra. E’ un po’ poco per farsi prendere dagli entusiasmi.
 Lo spettro dell’antiberlusconismo come ipoteca su ogni ambizione a rompere il quadro politico attuale si è nuovamente materializzato al teatro Eliseo di Roma per il lancio del cosiddetto Movimento Arancione. Lo storico teatro romano brulicava di attivisti, giornalisti e dirigenti politici (tra cui anche Diliberto, pare, reduce da un improvviso goodbye da parte di Bersani ed ora in cerca di nuove sponde). Almeno un migliaio di persone presenti, ansiose di capire cosa ne sarà e che cosa farà il nuovo movimento politico di Gigino De Magistris.
E inutile dire che tutta l’attenzione si è concentrata su alcuni interventi: quello del sindaco di Napoli ed ex magistrato Luigi de Magistris, e quello di un altro magistrato, Antonio Ingroia, che ha parlato via skype dal Guatemala. E qua già si è visto che agli Arancioni per ora mancano cose importanti sul piano dei contenuti.
Se all’assemblea nazionale lanciata dall’appello ‘Cambiare si può’ una decina di giorni fa, la maggior parte degli interventi aveva preso di petto le politiche di austerity di Mario Monti, aveva attaccato il sostegno dell’asse PD-SEL al progetto incarnato dal premier e prefigurato la nascita di un movimento autonomo dal centrosinistra, e il sindaco di Napoli in quell’occasione aveva richiamato esplicitamente la necessità di “fare la rivoluzione governando” e quindi di non escludere un qualche tipo di accordo con PD-SEL. 
A pochi giorni di distanza, nell’intervento di De Magistris al teatro Eliseo si sono sentiti soprattutto strali contro il redivivo Berlusconi, e non sono mancati pesanti – e doverosi – attacchi nei confronti del Quirinale e del suo inquilino Giorgio Napolitano per le cose che abbiamo visto sulla vicenda dell’inchiesta della trattativa tra Stato e mafia. Ma le critiche a Monti, al PD e a SEL sono diventate più episodiche, più sfumate, meno organiche. A dimostrazione di quanto il riemergere dello spauracchio berlusconiano sposti l’attenzione anche del nuovo movimento. A dimostrazione dell’enorme influenza che la rinata polarizzazione tra berlusconiani e ‘antiberlusconiani’ esercita anche su chi vorrebbe fondare una nuova forza politica, alternativa al quadro attuale. La sensibilità di gran parte del popolo della sinistra alle sirene dell’antiberlusconismo è forte, e mancando un chiaro riferimento sociale e di classe il nuovo aggregato non può fare a meno di aggregarsi, sfumando le critiche nei confronti di coloro che hanno gestito il paese fin qui – Monti, i suoi tecnici e il partito di Renzi e Bersani – per concentrare gli attacchi contro una destra che riaffiora nell’immaginario come pericolo, elemento di inquinamento della politica e della società, fonte di brutte figure per il paese all’estero. E soprattutto rispolverando argomenti tutti interni alla polemica etica e giustizialista nei confronti della classe politica, e sorvolando quindi su questioni chiave come il debito pubblico, il Fiscal Compact, il pareggio di bilancio, l’articolo 18 e così via.
Un refrain questo che difficilmente permetterà una consonanza tra il nuovo esperimento politico e i settori popolari attaccati dalle politiche di austerità e di massacro sociale dettate dall’Unione Europea. A nostro avviso questa rimane la priorità dei prossimi mesi e di questo discuterà l’assemblea nazionale del 15 dicembre a Roma convocata dalle forze che hanno organizzato la manifestazione del 27 ottobre scorso, una composizione di soggetti e contenuti di classe che dentro l’elaborazione “arancione” non sembrano  poter trovare sfumature possibili.
Infine, non lascia ben sperare neanche il fatto che un aggregato che si dice critico nei confronti della politica-spettacolo e dei personalismi – che dominano la scena politica da Berlusconi a Grillo, da Monti a Casini – si ritrovi così totalmente in balia delle parole e dei ritmi dettati dal sindaco di Napoli. Che dimostra un carisma necessario a chi vuole emergere e bucare il muro di gomma dei media. E anche la volontà di violare alcuni tabù, in particolare quello dell’esclusione dalla vita politica e dalle istituzioni di chi ‘ha violato la legge’ ricordando il sano principio secondo il quale la legalità è il frutto momentaneo di un rapporto di forza e non necessariamente corrisponde alla giustizia.  Ma bastava ascoltare la reazione della platea all’intervento del sindaco di Napoli per accorgersi di quanto le sorti del ‘Movimento Arancione’ dipendano quasi interamente dal suo fondatore, volto e voce. Insomma ancora un “movimento ad personam” che riproduce il meccanismo del guru.

Non è un caso che praticamente tutte le cronache dei quotidiani di oggi colgano quest’elemento, sorvolando su obiettivi, proposte e contenuti del nuovo movimento. E mettendo in secondo piano il contenitore sociale e politico – ‘Cambiare si può’ – all’interno del quale gli ‘arancioni’ dovrebbero convergere insieme a forze politiche alla ricerca di un approdo che le traghetti in un parlamento sbarrato da un cancello del 4% che sembra allo stato difficile da scavalcare. E che diventerebbe proibitivo nel caso in cui De Magistris – e Ingroia – decidessero in extremis di rinunciare alla lista autonoma per cercare spazio in un asse PD-SEL che diventerebbe ancora più attraente nel caso in cui Berlusconi dovesse continuare a persistere nel suo caparbio tentativo di rimanere a galla. 
Ieri la platea brulicava di dirigenti di partito – Prc, Verdi, Idv, addirittura Pdci – in trepidante attesa di capire se la proposta si tramuterà in lista. I tempi sono stretti, strettissimi, e se la data del voto dovesse essere quella prefigurata ieri dal ministro Cancellieri – il 17 febbraio – quello di formare delle liste che accontentino tutti e raccogliere il numero sufficiente di firme per sostenerle sarebbe uno sforzo proibitivo. La fretta, è ovvio, potrebbe concedere ancora più spazio ai soggetti organizzati, a scapito della cosiddetta società civile e degli spezzoni di movimento che sembravano fino a ieri i promotori del nuovo soggetto politico. Le epurazioni nel movimento di Beppe Grillo, rumoreggiano oggi alcuni quotidiani, potrebbero portare in dono agli arancioni un pacchetto di dirigenti – e voti – ex ‘5 stelle’. Forse. 
Ma le certezze sono poche, pochissime. Soprattutto l’assemblea di ieri dell’Eliseo non ha sciolto il nodo del rapporto col centrosinistra. Lista autonoma dentro l’alleanza guidata dal PD oppure lista indipendente? Non è un dettaglio da poco…

Guardiamoci negli occhi

Simonetta Zandiri

Sono nata nel 1967. Da bambina ricordo inverni con nevicate favolose, si usciva da scuola e si giocava a palle di neve, era pura magia. Il traffico forse era già in tilt ma non occupava le prime pagine dei giornali. Non erano le luci del Natale a renderci felici, non erano i negozi scintillanti, era l'atmosfera in casa, sapere che avremmo rivisto i parenti più lontani e riso, ancora, insieme, mentre mamme, nonne e zie ai fornelli preparavano prelibatezze. La vita sociale era sempre fuori casa, freddo, caldo o pioggia non ci fermavano. Il gioco era sempre all'aperto, anche se con il tempo gli spazi vitali si riducevano, i prati scomparivano ed il cemento ci faceva immaginare nuovi giochi. Con l'aumentare delle auto in circolazione anche andare in bicicletta diventò "pericoloso". Forse il nostro orizzonte era più stretto ma ci si conosceva tutti, il vicino non era un estraneo, aveva un nome, una storia, una vita. Si litigava, guardandosi negli occhi. Ci si dichiarava amore, guardandosi negli occhi. Si diceva "non ti faccio più amico/a" guardandosi negli occhi. Non con un click su "unfriend".
Sono nata nel 1967 e ne sono felice. Perché quel bisogno di guardare le persone negli occhi quando discuto, bisticcio, o amo, o affronto discorsi delicati e difficili, è parte di me. E dopo aver letto (e anche fatto o causato inconsapevolmente) infinite e spesso sterili discussioni sui social network ora credo di aver capito perché di quello sguardo non possiamo e non dobbiamo fare a meno.

Prometto che in futuro sarò più attenta nel sollevare certe questioni nel virtuale ma vi assicuro anche che, nel reale, quando potremo guardarci negli occhi, continuerò ad essere quella che sono, a dire quello che penso, ad agire secondo la mia coscienza. Continuate a sentirvi liberi di mandarmi a stendere nel virtuale, basta un click su "unfriend" o un commento secco, ma fate di più, ditemi quello che pensate quando ci incontriamo nel mondo reale. Fatelo, però, guardandomi negli occhi, senza messaggeri, senza "voci che girano", ditelo a me. E io farò lo stesso, come ho sempre fatto. :-) 
Effetto neve. La bellezza del candore. Molto più dell'interesse per le cand-idature.... :-)

Straccioni del terzo millennio

Luciano Granieri


 In questo periodo di disorientamento totale -dove il corpo sociale del paese è allo sbando, assediato da una povertà sempre crescente, dalla mancanza di tutele minime sulla salute e sul lavoro, dove i comitati elettorali dei vari partiti , sordi ai segnali di disfacimento che arrivano dalla popolazione,   stanno riorganizzando le truppe cammellate, per riassicurarsi il posto al sole, Monti o non Monti, Bersani o non Bersani, Berlusconi o non Berlusconi -molti paventano il pericolo dell’irruzione dei movimenti populisti dell’estrema destra. In un scenario simile di povertà diffusa come quello greco, i nazifascisti di Alba Dorata hanno ottenuto alle ultime elezioni un consenso preoccupante. Le modalità di queste formazioni, per ottenere adesione  nel tessuto sociale sono simili. In un contesto di precarietà economica diffuso  i movimenti neonazisti   puntano alla riaffermazione del nazionalismo spinto, alla tutela dell’indigeno contro l’invasione dell’immigrato che, secondo questi farneticanti eroi  , rubando lavoro e alloggi agli autoctoni, è la principale causa dello stato di povertà delle classi meno abbienti. I Nazisti di Alba Dorata chiedono più case per il popolo greco, non volendo  sottrarre  gli immobili alla speculazione immobiliare ma a chi li affitta agli immigrati.  Alcune bande squadriste girano per i mercatini delle città greche verificando che gli ambulanti extracomunitari siano in possesso del permesso di soggiorno. Se trovano qualcuno senza documenti, anziché denunciarlo alla polizia, lo picchiano e gli devastano la bancarella. Anche qui in Italia i fascisti del terzo millennio di CasaPound  picchiano gli immigrati, anzi li  uccidono, vedi le gesta del fascista del terzo millennio Casseri, che giusto un anno fa trucidò a Firenze gli ambulanti senegalesi  Mor  Diop e Samb Modou, e ferì altri loro connazionali.  Ma non sono in grado , se intervistati di mettere quattro parole una dietro l’altra per spiegare se c’è uno straccio di ideologia anche farneticante dietro ai loro pseudo ragionamenti.  Il video che pubblichiamo ,tratto dalla puntata di ieri di Servizio Pubblico relativo al corteo che CasaPound organizzò nel novembre scorso, evidenzia in modo eloquente lo straccionismo dell’estrema destra  nostrana. Tutti in piazza contro il governo Monti, questo si capisce, ma le ragioni della protesta contro Monti non emergono, “Chiedere a quelli avanti” è la risposta che viene data  a Luca Bertazzoni , l’inviato di Santoro, oppure, ascoltare le quattro righe lette da un deficiente inquadrato nel manipolo beota. Del resto come stupirsi di un movimento fascista che invoca la rivoluzione ma che è figlio della controrivoluzione borghese foraggiato da Berlusconi   da Alemanno e supportato dalla Polverini?  A proposito, non perdetevi la scena in cui a Bertazzoni viene letteralmente impedito di intervistare il figlio del sindaco di Roma, fascista del terzo millennio DOC,presente alla manifestazione contro Monti.  I militanti di Alba Dorata, almeno, uno straccio di visione del mondo, anche se farneticante, la manifestano, questo manipolo di deficienti, inquadrati da quattro caporali deficienti e arringati dal loro gran mogol, deficiente pure lui, oltre che a balbettare, DUCE DUCE e a adattare slogan da stadio alla bisogna, non sanno fare. Se questi sono i populisti di destra che dovrebbero fare proseliti  nello scenario di crisi politica ed economica che sta attraversando il nostro paese,  pure agevolati  da  una popolazione pigra, tendenzialmente e atavicamente fascista, non dovrebbero esserci pericoli. Resta comunque la tristezza di assistere alla indifferenza delle istituzioni che tollerano la presenza di queste malformazioni civili vietate dalla legge. Ed è ancora più triste rendersi conto di come diversi ragazzi si facciano abbindolare da questi asfalta cervelli. Ma qui le colpe sono  anche di chi a sinistra ha da tempo staccato la connessione con le realtà sociali che compongono l’universo giovanile italiano.

  
Per rendere l’idea pubblichiamo anche  l’intervista, tratta sempre da Servizio Pubblico, con un dirigente di Alba Dorata TAHODORUS  KOUDOUNAS. La  differenza con Iannone sembra evidente.
Chiudiamo con le comiche finali.




giovedì 13 dicembre 2012

Chiediamo la cittadinanza per i senegalesi feriti


Papa Diaw, presidente Associazione dei Senegalesi di Firenze


Il tredici dicembre 2011 in Piazza Dalmazia a Firenze furono assassinati Modou Samb e Mor  Diop; furono feriti in modo grave, Mbenguye Cheike e Moustpha Dieng (che non potrà essere più auto sufficiente).

Al gesto frutto orrendo del clima diffuso di intolleranza e di ostilità nei confronti dei migranti, dodici mesi dopo, non ha fatto seguito un grande cambiamento. Non vi è stata quella reazione corale che avrebbe dovuto mobilitare tutte le energie e le risorse positive  culturali, tutte le forze culturali, sociali, politiche che hanno come baricentro la Costituzione.

Ad un anno di distanza vogliamo con questa petizione fare una proposta che dia il via ad un clima diverso . di apertura, di accoglienza, di solidarietà degni di una città e di un paese civili, in cui non siano più possibili atti come quelli di un anno fa.

Sono Papa Diaw, presidente dell'Associazione dei senegalesi di Firenze. Chiediamo la cittadinanza italiana per i tre feriti gravemente  dal killer Gianluca Casseri a Firenze, Moustapha Dieng, 34  anni , Sougou Mor, 32 anni, Mbengue Cheike, 42 anni.Lo chiediamo al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Firenze si è dimostrata molto solidale con noi. Quanto  è accaduto un anno fa è frutto si una cultura, di una ideologia violenta e razzista alla quale la maggior parte degli italiani è estranea. Riconoscere ai tre  senegalesi feriti la cittadinanza italiana sarebbe la dimostrazione di questo e un atto concreto di riconciliazione.

  FIRMA


Piazza Fontana, non fu che l'inizio.

Luciano  Granieri


Alle 16,37 del 12 dicembre 1969 la terribile deflagrazione nella Banca Nazionale dell’Agricoltura a Milano provoca 17 morti e oltre 100 feriti. E’ il primo di tanti atti stragisti  in cui la controrivoluzione demofascista alza il livello dello scontro per  fermare il processo di sollevazione operaia e studentesca, che chiedeva più diritti per il lavoro, la scuola, e lottava per un sistema di vita più dignitoso  per tutti. L’apparto controrivoluzionario ha iniziato la sua opera di sovvertimento democratico già immediatamente dopo l’approvazione della Costituzione. I fascisti non sono stati mai banditi dall’attività sociale e politica, come prescritto sulla Carta Costituzionale,  perché utili  come mano armata dello Stato quando si è reso necessario contrastare lotte pericolose che avrebbero potuto intaccare i privilegi di una classe borghese - imprenditoriale vorace e accattona.  L’esito  del processo della strage di Piazza Fontana conclusosi dopo ben 36 anni il 13 ottobre del 2005, manda tutti assolti. O meglio i giudici affermano che la strage l’hanno  compiuta i fascisti di  Ordine nuovo per quanto Franco Freda e Giovanni Ventura, elementi di spicco dell’organizzazione,  indicati come responsabili, non sono più condannabili perché precedentemente assolti in via definitiva per lo stesso capo di imputazione. Ciò a evidente dimostrazione che lo Stato è riconoscente con chi lo aiuta a mantenere intatti i privilegi delle classi elitarie. Il processo controrivoluzionario non si è mai fermato, ha cambiato metodologia di azione nel corso degli anni arrivando anche a trattare con la mafia. E’  passato, dall’armare le mani degli esecutori fascisti, ad arruolare dirigenti delle forze dell’ordine spietati pronti ad aizzare il proprio esercito contro manifestanti inermi, ma anche a creare prove false, ad infiltrare poliziotti nei cortei,   a provocare disordini nascosti   dietro i cappucci neri dei    black bloc.  Oggi il processo di contro rivoluzione si è affinato ancora di più. Utilizza la finanza, le banche e, per sedare la rivolta sociale anche sindacati e movimenti che, a parole si dicono a favore dei lavoratori, ma nei fatti sono elementi destrutturanti il conflitto contrario alla contro rivoluzione.  E’ dunque fondamentale non dimenticare la strage di Piazza Fontana se si vuole avere una chiara idea della perversione demofascista.  Un atto criminale architettato dallo Stato e messo in atto dai Fascisti.



Brano: Luna Rossa  eseguito dalla Banda Bassotti

mercoledì 12 dicembre 2012

Esselunga: la lotta continua


Intervista a Luis Seclen  

a cura di Matteo Frigerio
Incontriamo Luis Seclen, tra le figure più conosciute dell'importante lotta dei lavoratori dell'Esselunga, recentemente diventato militante del Pdac.
Luis, abbiamo saputo che tu e altri due lavoratori licenziati dall'Esselunga avete vinto la causa. Cosa ha deciso il giudice?

Il giudice ha disposto in primo luogo la ricostituzione del rapporto associativo e di lavoro e ha conseguentemente condannato la cooperativa al pagamento delle retribuzioni maturate e non corrisposte dalla cessazione del rapporto di lavoro fino alla riammissione e l’iscrizione al libro dei soci a titolo di risarcimento.
Una vittoria chiarissima quindi. Che significato ha questa sentenza per la lotta all'Esselunga e per le lotte dei lavoratori delle varie cooperative?
Il consorzio Safra (coop. S.G.I., Apollo e Asso) considerava la S.G.I. come lo zoccolo duro della lotta, e i tre delegati di questa cooperativa come promotori della mobilitazione all’interno dei magazzini drogheria: infatti, il numero maggiore dei lavoratori in lotta sono usciti da qui. In tutte le tre riunioni che abbiamo avuto con l’amministrazione del consorzio, sostenute prima dagli scioperi, circolavano nell’aria delle voci su noi tre come "elementi da eliminare subito", eravamo, cioè, le teste del movimento. Il tempo gli ha dato ragione (solo a metà visto che ci sono altri compagni con grandi capacità, Ilir , Miah , Bamba, Lingad ed altri), e questa opinione su di noi ha fatto sì che questa causa diventasse più politica che legale, e quindi la vittoria o la sconfitta potevano dare dei risultati importanti per il futuro della lotta, che non è ancora finita; in questo caso la sentenza, nel senso della legislazione borghese, ci apre una superstrada politica da percorrere. I nostri licenziamenti sono frutto di una concezione reazionaria e fascista da parte di Caprotti, padrone di Esselunga, per esserci organizzati in un sindacato, per avere scelto un sindacato che cammina in piedi e a testa alta come noi, che non si vende ai padroni, e soprattutto perché abbiamo protestato con scioperi che hanno fatto fare una brutta figura sia alla sua immagine personale che a quella dell’azienda Esselunga nelle sue operazioni di marketing.
Caprotti ha usato la cooperativa come suo braccio risolutivo e ci ha cacciati via, come se fossimo degli esseri indesiderati nel loro mondo "perfetto e imparagonabile" . Ed era vero: noi siamo brutti, bestiali, tosti, duri, trascurati, rivoltosi, violenti, immigrati di merda, extracomunitari del cazzo, sporchi; ma siamo operai, siamo proletari e abbiamo tanta dignità e tanta voce per urlare ai quattro venti con tutte le nostre forze: "libertà!", perché vogliamo scegliere liberamente un nostro sindacato e non un tuo porcellino (Cgil, Cisl, Uil). Vogliamo protestare e fare scioperi perché tu padrone non ci rispetti, perché rubi nelle nostre buste paga e perché la Costituzione che la tua classe (dominante) ha partorito ci dà il diritto di farlo e tu, Caprotti, non sei il padrone della nazione per fare capricciosamente quello che vuoi! Caprotti la pensa così: "Questa è casa mia e faccio quello che voglio!". Ma non esiste proprio! Rispetta le leggi della tua classe!
Siccome noi sosteniamo che siamo stati licenziati per aver fatto sciopero e per avere scelto un nostro sindacato liberamente, mentre la cooperativa sostiene di averci licenziati per bassa produzione (o per aver fatto sciopero quando ero in malattia nel mio caso!), allora la giustizia borghese stessa ci dà ragione e ritiene illegittimi i licenziamenti.
Ma se il giudice ci dà ragionem secondo la loro Costituzione e le loro leggi borghesi, e quindi sancisce che siamo stati licenziati per avere fatto sciopero e per avere scelto un sindacato non gradito al padrone, allora il colpevole è il padrone che ha ordinato il nostro licenziamento: Caprotti!  La lotta ricomincia e faremo vedere a Caprotti come morde un animale operaio! Gli faremo vedere come attacca un proletario ferito nella propria dignità!
Anche se ci manda contro i suoi cani militari, come ha fatto nel giorno dello sgombero del presidio! Adesso la lotta è politica, adesso noi operai faremo rispettare la sua Costituzione e le sue leggi borghesi. Noi rivogliamo il nostro posto di lavoro dentro casa sua con il nostro sindacato, il SI Cobas, non con i suoi servi (Cgil, Cisl, Uil).
Luis, parteciperai, come oratore, ad una assemblea operaia autoconvocata da lavoratori e attivisti di lotte importanti (compagni della Fiat Ferrari di Maranello, della Jabil occupata, delle lotte degli immigrati, dei precari, della Marcegaglia, della Same, della Irisbus, ecc.) che si terrà il 15 dicembre a Cassina de’ Pecchi (in via Roma, 81, per chi fosse interessato: a 400 mt dalla fermata della M2), un'assemblea lanciata dai lavoratori e che sta crescendo in questi giorni. Pensi che possa essere importante per rilanciare le lotte?Di sicuro! Durante tutto quest'anno di lotta ho girato tanti bellissimi posti portando la parola d’ordine dell’unità della classe operaia! Ci devo essere per forza, e ci devono essere tutti i nostri compagni, i nostri fratelli della classe sfruttata. Questo è il momento per costruire l'unità, non solo per rilanciare le lotte, ma per collegarle e farle diventare una sola, cioè, non la lotta contro un borghese padrone della fabbrica in cui lavoro. No, la crisi è in tutta Europa, per cui la lotta è contro un sistema capitalistico internazionale che ci sta ammazzando, che ci sta negando il nostro futuro, il destino delle nostre famiglie e dei nostri figli. Ci sarò eccome, sono già lì insieme a tutte le speranze di vittoria dei miei compagni, dei miei fratelli proletari di lotta. El pueblo unido jamas serà vencido!   

LAVORO – FIRMA ….E’ UNA GIUSTA CAUSA !!!


                     TAVOLA ROTONDA

14 dicembre 2012 ore 17,00 – Presso la SALA “C. RESTAGNO” Comune di CASSINO

Partecipano:      Angelo COMPAGNONI Segr. Prov.le FIOM-CGIL
Paolo SABBATINI Segr. Naz.le USB

                                              Avv. Lavorista Giorgio VERRECCHIA

    Avv. Lavorista Loredana DI FOLCO
    Antonio FERRARO – dip. Lavoro – Welfare PRC


La modifica dell’art.8 della manovra economica di Berlusconi ci ha portato ad una stagione di declino, attraverso un atto berlusconiano alle sue fasi terminali con il maldestro tentativo di ultima supplica verso i poteri forti per evitare la sua cacciata. Si è provato a barattare, perché di questo si è trattato, la possibilità di derogare la contrattazione nazionale in cambio di una maggiore clemenza nei tempi del redde rationem all’interno del capitalismo nostrano. Ma oltre a non essere servito ad evitare l’arrivo di Monti, il fatto gravissimo che tutto ciò ha invece prodotto è stato di aver portato il metodo Marchionne da eccezione a regola, e dunque la possibilità che uno strappo violento alla logica della contrattazione tra le parti sociali a livello aziendale abbia maggiore valore di un accordo nazionale. Un vero e proprio atto di prevaricazione della parte più forte su quella più debole: dobbiamo ristabilire il principio che i diritti devono essere certi per tutte e tutti ed inseriti in un’unica cornice non derogabile da nessuno.
Nell’assalto all’art.18 dello statuto dei lavoratori (legge 300/70) c’è stato invece una definitiva presa di coscienza da parte di quelli stessi poteri che, incassato il successo dell’operazione Monti, hanno deciso di varcare e ampliare la breccia che si era prodotta. E dunque su questo tema sono intervenute tutte le armi di distrazione di massa conosciute; si passa quindi da “è un atto per l’occupazione perché a maggiore facilità di uscita corrisponde maggiore possibilità d’entrata” (smentito puntualmente ad ogni rilevazione effettuata sul mercato del lavoro), al sempre valido “ce lo chiede l’Europa (ulteriore falsità, considerate le tutele previste nei principali Paesi della Ue)”. La verità è che in assenza della piena funzionalità dell’art.18 si pone in essere l’ennesimo ricatto, quello dell’imporre la scelta inaccettabile tra lavorare o avere diritti, producendo nei fatti una sterzata in senso autoritario in ogni luogo di lavoro.

La raccolta firme in difesa del mondo del lavoro quindi rappresenta una straordinaria occasione non soltanto per difendere il principio che non si può accettare la compressione dei diritti, ma anche per identificare e rilanciare il mondo del lavoro come soggetto vitale della e per la democrazia. Ed in ultima analisi è questo anche il migliore antidoto a quel senso diffuso di scollamento e rifiuto verso la politica che troppo frettolosamente viene  spesso identificato nella generica formulazione dell’antipolitica. Abbiamo il compito di rompere l’assedio e dare voce e rappresentanza a chi oggi in fabbrica non può scioperare per paura di perdere il posto di lavoro, al giovane che non ha speranza di trovare un suo futuro, al pensionato che vede sfuggire le conquiste di tante rivendicazioni, alle donne che in molti luoghi sono ancora vittime di discriminazione sia di genere sia salariale.

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martedì 11 dicembre 2012

O' maste è turnate

Luciano Granieri

Ghe pensa lu’. E infatti i primi effetti della ridiscesa in campo di Berlusconi si sono manifestati chiaramente. No, non è l’aumento dello spread o i tonfi della borsa. Quelli sono fisiologici  quando i mercati sentono odor di elezioni. I primi effetti si sono visti nell’aula di un tribunale. E’ sparito un teste della difesa. Infatti nel processo in cui Berlusconi è indagato per concussione  e   prostituzione minorile, non si trova più Ruby rubacuori, la principale teste della difesa . La “nipote” di Mubarak ha preso un aereo per il Messico giusto due giorni dopo   che l’avvocato Ghedini gli ha fattore recapitare la convocazione a testimoniare in tribunale. La parte lesa Ruby rubacuori, pur obbligata a presentarsi in aula, ha fatto sapere che non rientrerà prima della metà di gennaio. E’ chiaro l’intento di prolungare il dibattimento che vede Berlusconi alla sbarra in modo da ritardare la sentenza  a dopo le elezioni.  I denari sborsati per mandare Ruby rubacuori  a  svernare in Messico sono il primo investimento di  una campagna elettorale che si preannuncia all’arma bianca. Sinceramente non se ne può più di  questi figuri. E’ possibile che  dopo tutto i casini, (non Pierferdinando) che hanno combinato  Berlusconi e i suoi scagnozzi,  ancora ce li ritroviamo fra  i piedi?  Noi  vorremmo parlare di politica, di come risollevare condizione miserrima dello stato sociale, di come ridare dignità al mondo del lavoro, di come assicurare una sanità e una scuola pubblica decenti.  Siamo stanchi di  leggere  pagine e pagine di giornali piene di resoconti sul fetido  mignottaio che deborda da Arcore.  Vorremmo confidare nel senso civico degli italiani e credere che nessuno avrà più la  malsana idea di votarli. Ma se i cittadini italiani avessero mostrato senso civico da tempo Berlusconi risiederebbe nella patrie galere. Dunque non  saremmo sorpresi di ritrovarci la vecchia ciabatta di Arcore ancora a capo della nazione. Infatti come sostiene Mario Insenga, nella clip che segue, all’italiano di medio o basso livello culturale , O’ Maste piace da morire.  Li fa stare allegri  gli dice che tutto va bene e se non arrivano a fine mese è colpa dei comunisti che li hanno tartassati con insopportabili tasse e tributi .  Isse è O’ Maste e tutti votano per lui. Tu  si o’ maste e nuie vutammo pe’ te.

Una particolarità sulla musica che accompagna la clip . Il brano Tu si o maste è stato eseguito  nel corso del concerto dei Blue Stuff tenutosi a Frosinone in largo Turriziani nel giugno 2011.  La band era composta da:Mario Insenga: batteria e voce,  Sandro “o biondo” Vernacchia: chitarra e dobro, Lino Muoio – chitarra, Francesco Miele  -contrabbasso.

L'Immacolata Concezione der Pallone (Roma-Fiorentina 4-2)

Kansas City 1927


Dice che era nsacco de tempo che nfaceva così freddo all’Olimpico.

Dice che era nsacco de tempo che nfaceva così caldo all’Olimpico.

Dipende.

Diciamo na cifra freddo prima e na cifra caldo dopo.

Der tipo che nfaceva cosí caldo dai tempi de Spalletti, dice. Che poi mo Spalletti sta ar freddo vero, quindi manco è facile mettese a fa paragoni e manco c'ha troppo senso utilizzà Luciano come unità de misura.

Comunque all’inizio faceva freddo e basta. Ma è nattimo a scallasse, certe volte. E’ sette minuti a scallasse, certe volte. E’ sette minuti a stupisse, certe volte.

De sto gò va subito detta na cosa, pe inquadrallo ner campo dell’umanamente concepibile. Er cross è Dercapitano. Perchè se sta palla non viene contagiata dar debito ar punto de fallì immediatamente ar contatto cor teritorio greco, è perchè quando ce ariva è ancora carica dela ricchezza capitana. Perchè quando Ercapitano tocca palla, automaticamente je imprime un Pil sui livelli delo stato de Montecarlo, roba che l’editorialisti der Sole 24 Ore nsoo spiegano e chiamano i colleghi de l’Economist e quelli je rispondono “We don’t explain it ourselves too”, e quelli der Sole pensano “Ammazza che inglese rudimentale questi dell’Economist”.

E così sto pallone carico de credito giunge sula capoccia dela Cosa Greca, che, sordo ai richiami dela Bce, insensibile ai diktat del Fmi, strafottendosene degli ultimatum della Ue che je impongono rigore e de evità colpi de testa, dentro l’area de rigore co un colpo de testa schiaccia e genera na traiettoria maligna e ingannevole e imprendibile se purtroppo c’hai quer brutto problema che c’ha Viviano.

“Perchè che problema c’ha Viviano?”

Eh boh, ma quarcosa ce lo deve avè, che lì non è che la battezza, ma proprio la cresima, la sposa e estremunzia fori quanno gne costava gnente mettece mbraccio, col risultato che O Goleador Improvisado de Dios se ritrova spalancata la porta e se rende autore de uno dei gesti più controversi dela storia der calcio: er gò fregato.

Dato il giocatore A come generatore di un vettore proiettato verso la porta avversaria, dicesi gò fregato quella interferenza da parte di un giocatore B, compagno di A, sulla traiettoria del vettore. Per ricadere nella casistica del gò fregato, l’interferenza deve essere unanimemente  considerata di dubbià utilità, bassa moralità e sopratutto deve verificarsi a non più di 10 cm di distanza dalla linea di porta.

Dall’alba dei tempi, sul tema del gò fregato, il mondo si divide in innocentisti e colpevolisti.

I primi che parteggiano per chi se frega er gò al grido di “L’importante è che sia entrata!” , sostengono che sia un gesto dettato dalla concitazione del momento e mosso unicamente dall’istinto di voler assicurare una segnatura alla propria squadra in una situazione nella quale la stessa è ancora in dubbio.

I secondi, che sposano la causa dei defraudati al grido di “Vabbè ma entrava lo stesso”, permangono granitici nella convinzione che il sordido intervento altro non sia che un furto ai danni del compagno, del calcio, del Fair Play, dello Spirito Olimpico, der Fantacarcio e delo Spirito Santo.

Noi, che ben sappiamo che er Castagna co lo Spirito Santo ce sta così (per la corretta rappresentazione scenica della frase il lettore è caldamente invitato a chiudere entrambi i pugni con l’eccezione degli indici, di tendere gli stessi in avanti, di percuotere gli stessi tra di loro e di ripetere il gesto in un lasso di tempo inferiore a 1 secondo) sappiamo bene che gne farebbe mai no sgaro, e quindi propendiamo pe la prima ipotesi.

La Cosa fa finta de gnente o nse rende conto e core impazzito a festeggià e a mostrà na maja preparata chissà da quanto co scritto: Μου σκόραρε! Μην ακούτε τα ψέματα του κατηχητή! Castan είναι ένας γνωστός ψεύτης που προσβάλλει τον Θεό και τους άνδρες!

A noi, ovviamente, de chi ha segnato figurate che cazzo ce frega. Stamo sopra!

Qualcuno se vorebbe aggrappà ar vecchio adagio dell'avemo segnato troppo presto, ma anche la sola intenzione che je lampa nell'occhi viene incenerita da chi, mbriaco de tre vittorie consecutive, s'è scordato chi è, da dove viene e dove sta a andà. Mo sappiamo gestì la situazione! Mo stiamo in quella categoria de squadre che pe descrivele nce devi mette l'articolo!

Siamo squadra matura. Siamo squadra esperta. Siamo squadra cinica.
Siamo squadra uno a uno, cazzo.

Da una de quelle punizioni sula treqquarti che se nfai cazzate non esce niente de pericoloso, famo na mezza cazzata e esce qualcosa de pericoloso. Pe la precisione esce nargentino che svernicia tutta la difesa nostra che sale sale e non farebbe manco male a fallo, se nfosse che Rodriguez sto schema se l'è studiato dar Tramonto all'alba, e facendose strada a colpi de Machete se infila eccitato nela nostra Sin City co la consapevolezza de chi sa che ormai er più è fatto e basta buttasse in mezzo pe mettela dentro. Fracoechea, Desperado, se ritrova solo davanti a tre de loro e po solo inibì Aquilani e lasciacce cor dubbio dela sua esultanza (e in ognuno dei due casi il commento nostro sarebbe stato "stammerda"), ma non impedì a Roncaglia de sfogasse pe mesi de Caressa che lo chiama Roncaghlia e segnà.

L'esultanza non è delle più serene.
"Che devo fa la mitraghlia? Me spoghlio e me levo la maghlia? Ditemoo voi! Dimmoo te Carè!"
Ma se je rode a lui, figurate a noi.

"Ammazza che doccia fredda", commenta qualcuno.
"Ammazza che similitudine der cazzo" rispondono altri rincarcandose nela sciarpa.

Quando Er Tiramolla de Dios, l'umano passato per Roma in assoluto più simile al fu Pietro Vierchowod, anticipa de testa un collega anziano (che rispetto a lui so tutti anziani), er Malincosniaco fiuta l'attimo d'insiemistica propizio a convince chi der monnonfame è Capitano, che due destini che si uniscono se ponno strigne in un istante solo, quello di un passaggio smarcante per segnare un percorso profondissimo dentro di loro. "Va, mio Ercapitano, ti ricordi i giorni chiari dell'estate quando parlavamo fra le passeggiate sui gradoni? Segna con questa palla che ti dono e poi stammi più vicino ora che ho paura. Tu che tutto puoi dillo ar Santone tuo ner dopo gara e dillo pure in mix zone e ale radio e ale tv e nelle riedizioni dei libri de Natale. In questa fretta tutto si consuma e quando sei no stranger la gente so strani, o diceva pure Jim Morison, pertanto fingimi gratitudine e dimmi che "mai non ti vorrei veder cambiare mai".

Ercapitano stoppa morbido, se gira incredulo e de luce propria riflette tra sé e sé e ricorda de quando pe avè nsoriso da AberBarbo o Cappiola doveva fa tre tunnel quattro cucchiai e rimboccà tutte le lenzola dela foresteria de Trigoria. "A Miralem, secondo te è normale che io che so io, mo, pe sto passaggetto, dovrei dì ar monnonfame na cosa der genere? Pe te? No dico, o sai io de palle a chilomba come questa quante ne metto a partita? E a settimana? E da quando ce sta er governo Monti? E da quanno Omnitel è diventata Vodaphone? E da quanno er maresciallo Tito ve teneva ancora tutti insieme? O sai che se tutti quelli che me devono dì grazie e dedicà ex voto pe ngò fatto c'avessero le pretese che c'hai te pe sta palletta, er Divino Amore o mannerebbero fallito?".

Ner mentre er piede, più veloce der pensiero, s'è già vendicato de tanta superbia premiando Destro, che in imbarazzo s’enciampa e stoppa male, non tira e pe mette na pezza che sia mejo dela buca, restituisce er maltolto Arcapitano. "Ma che devo fa tutto io?" chiede Ercapitano ar monnonfame che tosto risponde "Sì!", pure se non so passati manco 20 minuti. Quello ristoppa na palla che je sempenna ferma mentre tutto davanti se move. Na contraerea de corpi viola se frappone inutirmente in attesa der battezzo dell'angolo, dell'anghingò e der gò.
Ercapitano se magna l'alluce dela mano, Dexter lo abbraccia felice, Miralem lo abbraccia piangendo. Duanuno pe noi. Oggi ce se scalla così.

Subito, ormai, quando segna Ercapitano, ce sta chi esurta sparando numeri fori da ogni tombola. "So 220! è er numero 220!". Ce pensi, non te ricordi più chi cazzo dovete ripiglià, tu e Ercapitano, ma fa così freddo che la prima cosa che te pare chiara è che co sto gò Ercapitano ha superato Gustav Thöni , Pierino Gros, Ingemar Stenmark e Zurbriggen. Tagli er traguardo in discesa libera mentale, te senti gigante, in slalom tra le avversità, fino ar prossimo gò.

Non pago, forte e tenace er Malincosniaco se rimbocca la testa e lotta e battaja e incrocia Oliveira, uno de quei giocatori de cui conosci er destino de mercato solo er giorno che te lo ritrovi davanti a fa lo stronzo, colui che un dì, de salentino vestito, scalcettando er capitano, ne provocò reazione, espursione e assenza ar derby. Ora, essendo er Malincosniaco l'autore titolare dela pagina Wikipedia bosniaca dedicata Arcapitano, ad egli onere e onore di gestire e spuntare con disinvortura e professionalità la blacklist capitana.

Da Colonnese a Poulsen, da Vanigli a Tudor, Miralem saprebbe come farsi capitanamente benvolere, ma non è colpa sua se i nemici se so quasi tutti mestamente smaterializzati dai campi e Ercapitano è più forte de prima. Rubà palla ar contemporaneo Oliveira diventa così dovere civico e morale, e però quello è preda tanto ghiotta quanto recidiva, e colto da raptus de invidia e gelosia, decide de riavvitasse i tacchetti sur porpaccio der poro Miralem, che come elettrico zerbino bestemmiando s'arotola su se stesso. A quell'onta in mondovisione l'Olimpico ruggisce goffo nei movimenti consapevole der fatto che giocà in superiorità numerica tutta na partita sarà comunque un problema.

"Ercorcabballero! E' stato lui! L'ha fatto pure l'anno scorso cor Villareà", afferma dala fila de dietro namico youtubbicamente nozionista. "No guarda, è stato Oliveira, è stronzo uguale!" rispondemo sicuri dela nostra ipermetropia. "No no è Porcabballero! Too dico io! L'ha fatto cor Villareà te sto a dì!", incarza quello confidando nella ripetitività del repertorio altrui. E però, quasi a placà i timori de no ssadio mai pronto a sentisse matematicamente superiore, la ciancicata passa inosservata ai 18 arbitri de linea che decidono che sì, uno senza capelli ha effettivamente acciaccato navversario, ma co sto freddo ognuno se scalla come può, soprattutto se carvo, e quindi tocca esse elastici. Tipo Miralem, che così caldo non è stato mai.

Ma oggi, oggi che pure Poropiris è arivato preparato dopo na settimana finarmente passata a studià le diagonali, l'obiettivo de sta squadra operaia è mandà la sua classe in paradiso, tanto che er Lucido se cala nela parte der carvo de talento, scrosta palla dar piede altrui e con superbia yankee fa ripartì l'azione co tanto de tunnel a un viola inutilmente opposto all'esportazione dela palla dala difesa ar centrocampo. Conscio dela sculata, l'americano scarica su Destro, che ner dubbio s'engobbisce e la dà a Lui, Egli, Isso, Ipse. Ercapitano la pìa, fa vede carosello a mpar de viola che non fanno in tempo a invocà er Moment che già se devono dedicà agli sgraziati passi der Cigno sghembo. Caricato de responsabilità, colui cui è toccato er bonus de poté beneficià pe nanno intero der paragone co Josè Angel da Twitter (ragazzo che praticamente s’è fatto un anno de Erasmus a Roma senza fa un cazzo se non divertisse, proprio come prevede l'Erasmus), in omaggio ar più ordinario degli adagio da campo de periferia ("se maa dai taa ridò"), restituisce palla Arcapitano, che incredulo ridomanda: "ma che davero devo fa tutto io?". "T'amo detto de sì ncacarcà!" rispondemo in millemila senza rendese conto dell'eccessiva confidenza fideisticamente presa.

Ercapitano sbuffa, recita no spot, scrive un libro, inaugura nasilo, carica er tiro e da trecentoventi metri tira na suatta dala varvola rotante tanto bella quanto finalizzata a fa venì le stimmate sule mano de nportiere che non essendo Padre Pio, nula po pià. Er tracciante illumina la notte de Viviano che furminato s'adegua ar passaggio de sta stella cometa in anticipio. Come re magio ce fa er dono e la lascià entrà. Esplode o ssadio ar duplice fischio. Treauno pe noi.

"So 221! è er numero 221!", urlamo mentre coremo a fa la fila pe piscià. Faccia ar muro, cor fumo che paglierino ce opacizza er vespasiano, realizzamo che co sto gò Ercapitano ha superato in un corpo solo Edwin Moses e Moses Malone, Rod Laver e Rod Stewart, Marvin Gaye e Marvin Hagler. Record su record che crollano, Mike Bongiorno, Josefa Idem e Alcide De Gasperi ormai a un passo, ma soprattutto, stamo sopra de du gò all'intervallo. La situazione pe noi più pericolosa.

Però dai. Siamo squadra concreta. Siamo squadra tonica. Siamo squadra spettacolo.
Siamo squadra treadddue. O, er primo che rifà sta cazzata de parlà così guarda che fine che fa eh, guarda eh!

Niente, manco er tempo de godesse na calma apparente, e subito la calma se ne va a donnacce sula Togliatti. El A'nduja, calabro-marocchino formatose sui porverosi campi de Cosenza, punta de razza e de stazza co la fame pe er gò e pe il piccante, dimenticato da Dio e quindi dai nostri uomini che in quanto catechisti nse metterebbero mai contro er principale, la prima palla che tocca la mette dentro.

Il "Macheccojoni" che era rimasto a Siena dala settimana scorsa torna a casa e se precipita a coprì l'Olimpico co tutta la carica del caffè, l’energia der cioccolato e l’efficacia dele madonne.

La partita a quer punto se fa vibrante, millemila dildo se mettono in moto e i capovorgimenti de fronte so de tal varietà e qualità da fa prende forma a na specie de kamasutra del calcio live, dove er piacere non sembra mai troppo e er dolore quasi te piace, sperando de non dové piagne ala fine.   

Ed è ar dolore der 3-2 che Sturmentruppen reagisce, assalta ala baionetta, se fa la barba, se rasa le tempie, se stira le recchie, salta nel cerchio de foco e incorna d'elmetto sulo scudo dei piedi de Viviano che respinge lo sparo.

E però i nostri eroi son giovani, forti e non so morti, e tutti insieme realizzano pe nattimo che sì vabbè er quattrotrettré, sì vabbè er gioco corale e le sovrapposizioni, ma de fatto stamo a giocà a na punta, e quella punta è Dexter, l'eroe dela quintana, a ognuno er lavoro suo, famolo segnà.
Ma na notte d'inverno così fredda e glaciale genera ner maschio adulto un noto e irrisolto problema. E se a na certa età nce fai più caso, se sei pischello che trabocca testosterone e brami prestazioni utili a sparge la fama e il seme tuo da na bandierina all'artra der monnonfame, sai che non po esse questa la serata propizia. Perché co na temperatura vicina alo 0, ogni alabarda se ritira, ogni biscia s'accuccia, ogni mazzo se fa mezzo, ogni flauto se fa ottavino, ogni salame se fa appetizer, ogni uccello rientra ner nido. "Dexter ce l'ha piccolo!" avrebbe urlato la bandierina tua, quella dell'Olimpico, la più importante de tutte. Mejo evità. A porta vòta Dexter spara sull'unico piede viola rimasto sul prato. Dopo un minuto crossa invece de tirà. Dopo nantro minuto fa finta de non arivà in tempo su na palla precox. L'Olimpico mugugna come un utente de Youporn davanti al buffering.

In una partita così, ogni inezia è determinante, ogni singolo prezioso, ogni battito de denti c'hai paura che possa scatenà er contropiede avverso. L'eccitazione de no spettacolo de rara bellezza e spreco è pari solo ala strizza dela beffa finale, dell'ingiustizia in agguato, della sfortuna con occhi de lince, dell'inculata suprema, dela controepifania che tutta la festa se porta via prima de stappà pure solo no spumantino. Per tutte queste ragioni, quando l'equilibrio dela partita più squilibrata dell'anno è rotto dala sagoma der 16 che se scalla non più come farebbe no spettatore molto prossimo al tereno di gioco, ma proprio come uno che sta pe entrà ner tereno in questione ar posto de Taccidis, o ssadio pe nistante se fa muto e trattiene er fiato (fumando dale recchie de conseguenza).

Chi odia De Rossi nu lo vole vedé e se sente sollevato dar fatto che se mai sta partita dovesse finì male, sarà comunque corpa sua.

Chi ama De Rossi o vole vedé in campo ma c'ha er terore che se sta partita dovesse finì male, sarà comunque corpa sua.

Passaggi e movimenti de Capitan Panca vengono studiati ar microscopio, come cavie da laboratorio. Vivemo tutti co nansia da prestazione rara, come se ogni suo contrasto perso o vinto possa determinà pe sempre er futuro suo e nostro. A pathos s'aggiunge pathos (che non è na punta greca fori forma usa a accoppiasse co la fia der padrone).

Dexter, ner mentre, se sente osservato. Lo guardamo tutti come colui pe corpa der quale stamo ancora a strigne er culo, ma il suo dardo è più rintanato che mai. E però, un po' perché vabbè fa finta de sbajà ma così ala fine te sgamano pure le bandierine, mpo perché se er cross è Capitano sbajà diventa difficile, Destro monta sur destriero e incorna forte sula traversa che respinge forte sur Tiramolla. Quello, che non se po permette i distinguo der collega sciupone, come verginello assetato intruppa e segna, ma un guardaligne in andropausa sur più bello lo sveja, sbaja e annulla.

Mo immaginateve voi a 18 anni. Pensate a voi 18 anni che ve fanno giocà co la Roma. Fate nurtimo sforzo de immaginazione e pensate a voi a 18 anni che giocate co la Roma e fate er primo gò in Serie A, e ve lo annullano e voi sapete che è bono. Se sarebbero sprecati i vaffanculo, no? Marcos, sempre più Vierchos, invece registra il tutto co na freddezza da Zar, abbassa la testa e core pe tornà ar posto suo, a difenne er fortino. A noi sta cosa ce fa fomentà più der gò, a noi che ancora se ricordamo le crisi ormonali de Mexes, tanto pe dinne uno, vedè un pischello così preciso ce fa bene ar core.

De Rossi intanto core, imposta e contrasta nela norma de na partita fuori norma, fino ar momento in cui alza la testa e mette er Lucido in porta, da solo. Ma er capitalista non capitalizza, la struscia de cute, sbaglia er tempo e soprattutto er momento pe magnasse ngò che non sarebbe stato suo. I derossiani maledicono er Lucido riesumando slogan da guera molto più fredda de quella de sta sera.

Manco er tempo de rimette le cose a posto che El Anduja se bulla der momento delicato der biondo co la barba, e funambolico lo sarta facile, dando la stura a un oooooo collettivo de strizza, premonizione e quintali de inchiostro pronti a rimette Capitan Mostro in prima pagina. Quando er viola nemico tira chiudemo l’occhi. Quando li riaprimo la palla è in angolo. Mentre eravamo ar buio, ce dicono, Francoechea ha fatto er miracolo. Lui, proprio lui, er portiere bravo coi piedi, para co na mano, plastico, in tuffo, determinante, sarvando noi, e già che ce sta pure De Rossi.

Manco er tempo de riconsiderà l'ipotesi che quello der derby sia stato solo ninfortunio che po capità puro ai grandi campioni, che la palla spiove in area e lui je core appresso a bocca aperta e occhi ar cielo, guardandola proprio come fanno i regazzini ai giardinetti. La sicurezza infusa ner prossimo è tale che er Lucido torna tale e pe fasse perdonà se posiziona sula ligna dela porta sguanita a scaraventà ortreoceano quell'ipotesi de gò dell'ex che stava pe mannà Aquilani a riceve le chiavi dela città dar sindaco rottamatore. E invece no.

Intanto comunque ha imboccato pure er Cipolla, e quando ner giro de 10 minuti entrano Osvaldo e De Rossi (e Perotta, che comunque è campione der monnofname e se c’è da fa 20 minuti a difende è ancora più utile de Messi, e che comunque all’urtima HA SEGNATO) bè, lì se sentimo mpo stocazzo, ce viene mpo de Realmadritudine, mpo de Barcellonismo. Pe quanti anni al momento dei cambi de sta gente coi sordi che je escono dale recchie se semo guardati e se semo detti "No vabbè c'hanno pure questo/carcola che me l'ero scordato a questo/hai capito come se fanno i cambi/o vedi che vordì la panchina lunga/e grandi squadre fanno così/noi non ce l’avemo manco tra i titolari quelli che fanno panca da loro/etc etc”. Ecco, mo pe nattimo se cullamo ner pensiero der tifoso viola che sta a perde e se vede imboccà sti tre e rosica e se spaventa e pensa che tutto è finito. E’ mber pensiero. Ma non c’è tempo per cullarsi, che qua a forza de cullasse e de magnasse i frutti del carcio spettacolo, come ar solito, se stamo a cacà sotto e Zio Perotta ha già sparato a Piazzale Clodio la prima palla che jè passata per i piedi. E allora annamio a chiude.

Ma dopo na partita così non puoi chiude a caso. Devi chiude de prepotenza e de bellezza, de precisione e de velocità, de singolo e de coro, de singoli tarmente forti che se fanno coro e orchestra e ala fine non riconosci più le singole voci e i singoli suoni degli strumenti: senti solo la musica. Dopo na partita così, devi chiude co la musica.

Capitan Tornato recupera palla nela metà nostra, aspetta quer tanto che basta all’ensemble pe la coretta disposizione, e quando è il momento dà il La. Er primo a accordasse è Bosnia Capoccia, che, barcanico er giusto, co un tocco dissonante ala Bregovic supera navversario e appoggia pe Osvardo, co la raccomandazione de non fa Bordello e annà dritti a fa goGol. Er Cipolla vira deciso sule tonalità a lui più care, imbraccia la chitara, infila er jack, mette in fila mpar de Overdrive e un Wah, gira la rotella der volume dell’ampli a 10 e lascia mber fischio da feedback ala Hendrix nele mani de Zio Perotta. Quello è omo de mondo, e o sa che der feedback nse butta via gnente, e quando tutti s’aspettano naccenno de Calabrisella, Zio se fa Uncle e spiazza tutti ricordando “Ao io so nato Ininghi Rtera, famolo cantà a sto Wembley! Pensace te Capità” e lascia tutto nele mano der direttore d’orchestra. Pe dirige bene non servono gesti eclatanti, spesso basta na minuzia, ngesto che pare ninezia, ma che invece è nuniverso dastuzia. Er Direttore congela er tempo e la difesa viola in una pausa brevissima ed eterna, ma Osvardo sta già in modalità Jimi, ha già bruciato lo spartito sur palco de Woodstock, e pe lui er tempo nse ferma, lui core e core e guarda er Direttore, e lo sa che je basterà arivà preciso sula prossima battuta pe infilà l’assolo che ce deve fa sbroccà definitivamente a tutti. Er Direttore aspetta, aspetta, aspetta, e quando è il momento, quando tutto è pronto e compiuto e definitivo, co ntocco de bacchetta deflora er diverso da sé e lascia tutto nele mani der Chitara che ariva, se strappa er plettro dala catenina che porta ar collo, pizzica la prima corda, e fa partì er suono più rock e più dorce alo stesso tempo: quello de noi che strillamo.

E’ finita. Amo vinto. E se semo pure divertiti na cifra. 

Bello così. Arifamolo.