Javi Poves, difensore spagnolo dello Sporting Gijon, ha deciso di lasciare il calcio a 24 anni perché “Stufo di un mondo professionale dove contano solo denaro e corruzione”.
Nei giorni in cui i calciatori italiani scioperano per “salvaguardare i propri diritti di lavoratori”, dalla Spagna arriva una notizia che dovrebbe far riflettere tutto il sistema del calcio. Javi Poves, difensore ventiquattrenne dello Sporting Gijon ha lasciato il calcio giocato: non per problemi con l’allenatore, nemmeno per bizze personali ma solamente perché si è stufato di appartenere ad una classe di privilegiati in un mondo pieno di corruzione.
IL CALCIO è CAPITALISMO - “Il calcio professionale è solo denaro e corruzione – ha dichiaratoPoves, che in passato aveva chiesto alla società di sospendere il pagamento del suo stipendio tramite transazioni bancarie perché non voleva che si speculasse sul suo denaro - Il calcio è capitalismo e il capitalismo è morte. Non voglio più far parte di un sistema che si basa su ciò che guadagna la gente grazie alla morte di altri in Sudamerica, Africa o Asia. A cosa mi serve guadagnare tanto se quello che ottengo è frutto della sofferenza di molta gente? La fortuna di questa parte del mondo esiste solo grazie alle disgrazie del resto, per me si dovrebbero bruciare tutte le banche”.
RIVOLUZIONARIO DEL PALLONE - Parole da rivoluzionario quelle di Javi, che non molto tempo fa aveva restituito allo Sporting Gijon la macchina che gli aveva regalato la società, perché si vergognava di possedere due vetture. Parole che colpiscono un mondo che regala emozioni ma a caro prezzo: “Da quando siamo piccoli veniamo trattati come bestie, ci istigano alla competizione e quando si raggiunge una certa età, poi è difficile tornare indietro. Finché la gente continua ad accettare il sistema che esiste non sarà facile cambiare le cose - ha dichiarato l’ormai ex calciatore che ha rivelato di studiare storia all’università – voglio vedere cosa succede nel mondo, andare nei posti più poveri per capire le difficoltà del mondo”. Un gesto forte, fuori dall’ordinario, arrivate da un ragazzo normale, che si è sentito sporco e invece di nascondersi dietro ai privilegi ha scelto di urlare la sua insofferenza, portato all’esasperazione dai “padroni” che avvelenano il calcio giorno dopo giorno.