"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"
Come noto, l’organizzazione sanitaria della provincia è
caratterizzata dalla precarietà e dalla improvvisazione e non garantisce, ormai
da tempo, un’ assistenza adeguata per la difesa della salute dei cittadini.
La chiusura
degli Ospedali (Ceccano, Anagni, Pontecorvo,ecc.) la
minacciata chiusura della struttura ospedaliera di Alatri ed il
ridimensionamento delle strutture ospedaliere di Sora, Frosinone, Cassino,
evidenziano un quadro, grave e drammatico, che richiede un intervento urgente e
diretto delle Associazioni e dei cittadini per colmare i vuoti e le incapacità
delle istituzioni provinciali e regionali.
Per esaminare
tale situazione e decidere insieme le iniziative da mettere in cantiere è
convocato un incontro per, presso venerdi 18 gennaio c.a. alle ore 15,30,
presso la “Casa del volontariato” in via Pierluigi da Palestrina (adiacente al
cinema ARCI ) Frosinone Scalo.
Consulta
delle Associazioni della Città di Frosinone – Francesco Notarcola
Associazione
Italiana Pazienti Anticoagulati – Antonio Marino
Cittadinanzattiva-Tribunale
per la difesa dei diritti del malato – Renato Galluzzi
Il TAR accoglie le ragioni degli
ambientalisti, della Commissione Europea e della Corte di Giustizia Europea,
bocciando il Piano Rifiuti regionale a seguito del ricorso presentato da Verdi,
VAS e Forum Ambientalista e in adiuvandum dalla Rete per la Tutela della
Valle del Sacco (Retuvasa), rappresentata dagli avv. Daniela Terracciano e
Vittorina Teofilatto.
Va rimarcato che solo la
Provincia di Latina si è validamente costituita in giudizio, presentando
articolata memoria difensiva. Altre Province e Comuni, contrari al Piano
rifiuti, avrebbero potuto rappresentare le loro ragioni nelle sedi
opportune.
Retuvasa, con la collaborazione
dell’Unione Giovani Indipendenti (Ugi), si è fatta portavoce dell’interesse dei
cittadini della Valle del Sacco e ha esposto al Collegio Giudicante le pesanti
problematiche connesse al ciclo rifiuti nel ns. territorio, compresa la pratica
di conferimento dei rifiuti nella discarica di Colle Fagiolara senza alcun
previo trattamento. Retuvasa ha inoltre rilevato l’assoluta mancanza di
pianificazione da parte della Regione Lazio finalizzata a porre fine a tale
pratica illecita, che consentirebbe l’apertura di una nuova procedura di
infrazione da parte dell’Unione Europea. Inoltre è stata stigmatizzata
l’assoluta irrazionalità dell’estensione degli ATO, che avevano comportato
l’inclusione dei Comuni di Paliano ed Anagni all’ATO di Roma, senza coinvolgere
i Comuni interessati e senza considerare minimamente la densità abitativa, che
avrebbe dovuto imporre la scorporazione del territorio di Roma da quello dei
Comuni della Valle del Sacco.
La sentenza è stata dunque
accolta con grande soddisfazione e ci si augura che venga posta come linea guida
per un nuovo Piano Rifiuti della Regione Lazio, che, in ossequio alle normative
comunitarie, comporti il passaggio da una gestione dei rifiuti basata solo sul
loro smaltimento nelle discariche o nei termovalorizzatori ad una gestione dei
rifiuti che punti sulla prevenzione, sul riutilizzo, sul recupero in materia,
sul riciclaggio.
Logica vuole che le stesse
motivazioni che hanno guidato la Commissione europea e il TAR, dimostrando
l’assoluta inconsistenza del Piano Rifiuti varato dalla dimissionaria giunta
regionale, che si è molto impegnata nel perfezionamento del fallimento delle
precedenti giunte, illuminino il Ministro dell’Ambiente e il Governo
dimissionari, convincendoli al ritiro del decreto che pretende di risolvere
l’emergenza invocando una dubbia capacità residua di trattamento meccanico
biologico nelle province laziali. A riguardo, non va dimenticato che è caduta
una delle linee-guida del fallimentare Piano Rifiuti regionale, la
rideterminazione degli ATO provinciali, funzionale appunto allo scarico dei
rifiuti non trattati di Roma nelle province.
Solo spingendo al massimo
l’attuazione di un ciclo virtuoso dei rifiuti incentrato sulla raccolta
differenziata, impianti di riciclo e di compostaggio si potrà sperare di
superare l’emergenza, che sarebbe aggravata, non risolta, dal semplice
potenziamento di discariche e impianti di TMB. La Valle del Sacco attende la
definitiva chiusura della discarica di Colle Fagiolara, e non accetterà mai un
mega impianto di TMB a Castellaccio, funzionale al ciclo vizioso dei rifiuti
della città di Roma.
In queste ore si
stanno tirando le fila per ultimare le liste dei candidati, alla Camera e al Senato, che i partiti
presenteranno agli elettori. Come al solito il Pd, nella sua efficienza organizzativa segnata dalla partecipazione democratica
delle primarie, ha già chiuso il
cerchio. Tralasciamo le figurine
presenti nel listino…. listone? Bloccato, come il magistrato Piero Grasso e l’olimpionica Josefa Idem, -pare che si fosse pensato anche al Capitano, ma dopo il suo incontro con
Evo Morales l’ipotesi è stata scartata perché
frequentare certe compagnie è troppo da comunisti - e poniamo
l’attenzione su alcune candidature indicative. Cominciamo da Giampaolo Galli, ex direttore
generale di Confindustria, ben ammanicato e stimato nell’associazione degli
imprenditori, ma soprattutto accreditato di ottimi rapporti con le lobby
assicurative essendo stato in passato
presidente dell’Ania. Proseguiamo con Yoram Gutgeld, un autorevole manager ai vertici della Mc
Kinsey, una delle più importanti, se non la più
importante, agenzia di marketing del mondo.
Il giornalista del Corriere della
Sera Massimo Mucchetti è un'altra candidatura eccellente. Non tanto per la sua
attività giornalistica ma perché ispiratore
della strategie economico finanziarie
del Pd. Dalle colonne del Corriere si è
schierato a favore dell’acquisizione della Fonsai di Ligresti da parte di
Unipol, è sempre attivo nel disegnare scenari finanziari faraonici, per ora mai realizzati, come la
fusione tra Unicredit ed Intesa . Passiamo
a Guglielmo Epifani ex segretario del
Cgil, ha parecchia influenza sulle strategie del più grande sindacato italiano. Fermiamoci qui e tiriamo le somme. Il partito di Bersani può contare sull’appoggio
di Confindustria della lobby delle assicurazioni. Gode del
favore del mondo manageriale e del marketing, Ha fra i candidati l’uomo giusto
per tessere le strategie utili a gestire gli interessi nella banche. E per
finire è in grado di orientare gli indirizzi della CGIL come
controllore della protesta sociale, con l’obbiettivo in particolare di
tenera a bada quelli della FIOM, Airaudo
è un fedele alleato candidato da Sel ma,
come dice il proverbio: fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Boatos dell’ultima ora poi riferiscono di un raffreddamento dei rapporti fra il
Vaticano e la lista Monti. Il cardinale Tarcisio Bertone non digerirebbe la presenza di Gianfranco Fini nella squadra del professore , per cui è in atto un avvicinamento verso i
teodem . Come può quindi il Pd non
vincere con questi decisivi endorsement alle spalle?
E per ricambiare questi importanti appoggi, come potrà il
partito diretto da Bersani, attuare una politica che non sia orientata ancora
una volta a favore delle lobby industriali, finanziarie, manageriali, e con un occhio
di riguardo per i vertici vaticani? Hai voglia a considerare la partecipazione
nell’alleanza di Sel e di qualche
esponente della FIOM, come garanzia di
un riequilibrio della strategia politica verso obbiettivi di eguaglianza
sociale ed equità. L’appoggio dei poteri
forti costa molto, per cui una volta
vinte le elezioni si dovrà operare per accontentare i voraci appetiti di tali decisivi supporter . Altro che agenda
Monti! L’agenda Bersani sarà pure peggio, con il capitalismo finanziario e la grande impresa che continueranno a fare i
propri porci comodi, e il più grande sindacato italiano utile a silenziare
(termine montiano) l’eventuale conflitto
sociale. Evviva le primarie, evviva la
partecipazione democratica.
L’ Unità Operativa Complessa
di ematologia dell’ospedale del Capoluogo vive una drammatica condizione a
causa della carenza di personale medico e rischia di chiudere a breve. Ciò
sarebbe già avvenuto entro il 4 c.m. se i medici del reparto, con grande senso
di responsabilità e di umanità, non
avessero deciso di soprassedere ai loro diritti e di sobbarcarsi di tutti i
carichi di lavoro necessari, oltre ogni limite.
In data 2 gennaio c.a., il
dirigente responsabile di ematologia faceva presente al direttore generale
della ASL la sua impossibilità a stendere turni di servizio oltre il 4 gennaio
considerato che la dotazione dei medici di reparto, pari a 6 unità di cui 4
esonerati dal lavoro notturno non garantiva più una normale assistenza.
Sempre in data 2 gennaio c.a.
il direttore generale ff. della asl rispondeva alla nota del primario di
ematologia rilevando:
1) che le reiterate richieste alla Regione di deroghe per
l’assunzione di medici ematologi non hanno avuto sino ad oggi alcun esito; che si
prende atto delle Sue proposte, ritenendo necessario disattivare
temporaneamente le attività in regime di degenza ordinaria nelle more di una
ricognizione in ambito aziendale di dirigenti medici ematologi, impegnati in
altri servizi e disponibili a rafforzare l’organico a Sua disposizione.
2) Pertanto, ove i dirigenti
medici in servizio e idonei alla turnazione non intendano più farsi carico di
assicurare con un impegno straordinario la presenza notturna anche in pronta
disponibilità, limitatamente al periodo di reperimento delle risorse di cui
sopra,si invita la S.V.
a dimettere o a trasferire entro il 4 gennaio p.v. gli attuali degenti e a
proseguire le attività assistenziali in regime di day hospital e ambulatoriale.
Considerato che i pazienti ricoverati,
13 su 13 posti letto, tutti gravi e non in condizione di non poter affrontare
un trasferimento se non a rischio della vita, i medici del reparto
hanno accettato di continuare
a lavorare con sacrificio, impegno e rischio. Se l’Unità Operativa Complessa di
ematologia è ancora aperta il merito va ai medici ed a tutto il personale che
ivi operano.
Com’è ampiamente
dimostrabile, le chiusure delle tante strutture ospedaliere, la soppressione di
tanti reparti e i tanti tagli effettuati non hanno creato efficienza e tanto
meno unità di eccellenza. D’altro canto lo spreco delle risorse finanziare ed
umane continua evidenziando una incapacità
direzionale e manageriale
senza precedenti.
Mentre nella Unità di
ematologia mancano i medici, in quella di urologia a fronte di 12 posti letto
vi sono 9 medici.
Dove sono finiti i medici e
gli operatori sanitari degli ospedali dimessi e dei reparti soppressi? Queste
risorse sono state gestite secondo le necessità ed i bisogni di salute dei
cittadini oppure sono prevalsi la raccomandazione, l’appartenenza politica e la
clientela?
Ma la trasparenza e
l’informazione non sono di casa alla asl di Frosinone.
E’ noto a tutti che
l’ospedale “Fabrizio Spaziani”, secondo gli impegni elettorali del
centro-destra e del centro-sinistra doveva diventare DEA di 2° LIVELLO ma di
questo passo, se non fosse per il senso di responsabilità degli operatori,
sarebbe già poco più di un ospedaletto
zonale con un caos organizzativo eccezionale.
Al Sindaco di Frosinone,
nonché Presidente della conferenza locale della sanità chiediamo un incontro urgente
per l’esame di questa drammatica situazione e per assumere iniziative adeguate.
Com’è possibile che non ci si
rende conto del danno enorme che si arreca alla salute dei cittadini ed
alla economia del capoluogo e della provincia?
Francesco Notarcola –
Presidente della Consulta delle associazioni della Città di Frosinone
Antonio Marino – Presidente
dell’Associazione Italiana Pazienti Anticoagulati
Renato Galluzzi –
Coordinatore di Cittadinanzattiva-Tribunale per la difesa dei Diritti del
Malato
Noi possiamo tanto, è vero, a tratti ci sembra di potere tutto,
è verissimo, poi però ci ricordiamo chi siamo, da dove veniamo, dove stiamo
andando, dove soprattutto vorremmo andare o tornare ad andare e allora no, noi
no. Abbiamo l'obbligo morale di dire che noi no, certe cose non ce le possiamo
permettere, non ancora almeno.
Certe cose, lasciamole all'artri. Quanto ce facevano ride le
foto der Mila in ritiro a core a piedi nudi sula spiaggia de Dubai coi bagnanti
sulo sfondo? Na cifra. E quanta paura c'hanno fatto, tra un torone e na mano de
Ruzzle, le foto dele nostre giovini marmotte in posa co Minnie e Topolino? Na
cifra.
Ma dai su, es el marketing, te parece que mo nosotros non
podemos hacer algo de stragno soto del Natal? Te parece que mo davero davero a
nosotros niniciativa de esto tipo ce se ripropone per fuerza? Prima o poi, ante
o despues, saremo smentitos pure nosotros nel nuestro pesimismo galactico, o
no? No, non ancora almeno.
Perché noi o sapemo da sempre che ste cose se pagano subito, e
non per questione de getleg o de distrazione mentale o de prestigio dei
principali rappresentanti der prossimo schieramento a noi avverso, ma proprio
perché noi, certe cose, nun le potemo fa pe na questione secolare de equilibri
tarmente delicati da venì scarfiti financo dala vista de un pandoro o da no
slittamento de calendario, da piogge e nebbie de stagione come da un cartellino
de troppo o da no spot venuto male, figuramose da du settimane de flash,
dobloni e pepite d'oro abbracciati a Zii Paperoni e Rockerduck. Nse po fa.
Er giorno che tornando da una de ste parentesi pieremo tre
punti, sarà un giorno bello ma forse triste. Vorà dì che se saremo trasformati
ner dna, e riconoscese belli dentro sarà dura.
E però, vuoi l'ottimismo dela bona fine, voi l'indomita speranza
in un buon principio, vuoi che affrontà Erna Poli te predispone alla tenzone co
na smorfia malinconicamente allegra dettata dal ricordo ancora fresco de na
Bambola Assassina che solo nanno fa je fece tanto male all'andata quanto al ritorno,
i foschi presagi li affidamo comunque ala Befana. Tiè, pòrtateli via Epifania,
oggi se vince! E pazienza se la convinzione nostra pare quella de Ciccio de
Nonna Papera.
E pazienza soprattutto se l'ingiustizia che in ogni favola
s'annida pe nasconde un lieto fine che sempre coll'artri ariva, ce priva der
Tiramolla de Dios proprio oggi che je sarebbe capitato de incrocià apparecchio
e crocifisso coll'atleta de Cristo a Cristo più gradito. A Cavani, er cocco de
Jesus, oggi ce penseranno Castan e Burdisso, senza pietà, senza clemenza, senza
carità, senza favoritismi, senza sconti. Saldi senza saldi, a Cavani baderanno
loro.
Ecco, baderanno, forse un giorno, ma non stasera. Non stasera
che Cavani farà quello che je pare. E quello che je pare, de solito è fa gò.
Er Cigno je dice ar Castagna: piatelo
Er Castagna je dice a Burdisso: piatelo te.
Burdisso je dice a Poropiris: oh, piatelo te.
Poropiris dice: chi?
Francoechea dice: a regà lo pio io. Er gò.
“Hanno segnato troppo presto!” prova qualcuno a rovescià
sull’avversario er vecchio adagio. Ma nun è vero un cazzo. Hanno segnato troppo
facile, questa è la verità.
Pure perché per il resto, ar Nappule, de continuà a segnà, pare
jemporti financerto punto, perché dar quarto minuto der primo tempo in poi, la
palla sarà per lo più nostra, con brevi e poco brillanti intervalli loro che in
altre tre circostanze li porteranno a banali marcature, ma questi so dettagli
su cui torneremo, quel che importa è la prestazione. Orbene, l'interpretazione
della prestazione se presta presto a diventà na presa per il culo allorché,
ostaggi de nimprevisto deja vu, s'accorgemo che la percentuale de possesso
palla ce comincia a lievità tra i piedi più veloce de un panettone in ammollo,
e che er numero de tiri in porta s'ostina a restà statisticamente e
staticamente stitico.
Pjanic, a na certa, se ribella e se scuote. Diffidato e
diffidente de un torpore che minaccia de confonderlo nella massa, er
Malincosniaco zaccagna Zuniga e se fa ammonì, perché lui è bono e caro, ma dice
no all'immobilismo, al tatticismo e al traffico narcolettico de terzini
colombiani utili soprattutto a usà le parole "brevilineo",
"scattoso" e "baricentro basso" (che comunque su Ruzzle
fanno fa un sacco de punti).
"Hai visto Capitano? Ho suonato la carica! Ho sacrificato
il mio gluteo destro per le nostre sorti! Noi non siamo ancora morti!
Ribelliamoci ai torti! Piamo a carci i corti!"
"O sai che pe sta cazzata domenica non giochi? Poi non me
venì a fa er broncio se me faccio acchittà le punizioni da nantro. E comunque a
menà so boni tutti Miralem, non è comportandoti come un Campagnaro cor
paradenti dela stabiloboss quarsiasi o come un Berami ripittato de fresco che
andrai lontano. Tu c'hai i piedi, loro no, usali come faccio io. O armeno
provace.
Manco er tempo de finì er sermone, che Ercapitano manda Destro a
intruppà la palla in scivolata su Desanti che scivolando intruppa palla,
Destro, santi e madonne de lui che se fa male, e de noi che lo avremmo voluto
senza dolori ma trafitto.
Manco er tempo de pià esempio che Bosnia Capoccia pia palla e
tira forte uno de quei tiri a tre dita che se fossero fatti a cinque dita
magari entrerebbero pure in porta ma invece trovano le restanti du dita nela
mano de Santi a devià sopra na traversa sempre troppo bassa pe guardà la palla
dall’arto ar basso.
Tali so la noia e l'inerzia de sto primo tempo che ce vede
svantaggiati senza troppi disagi, che pure i tifosi artrui, pe sbizzarì se
stessi e imbizzarì i nostri, mirano i nostrani più ostili e de talento co
natalizi raggi verdi sule retine capitane e su quelle pjaniche.
"Capità, vedo nei tuoi occhi una luce verde che nela notte
de sta gara ce indica la via. Quale dei tuoi superpoteri stai per utilizzare? E
perché sei diventato tutto verde? E perché anch'io all'improvviso vedo verde?
Che so diventato come te Capità? Dartonici INSIEME Capità!?!"
"No, so i napoletani Miralè, e famo pippa, damme retta. Se
usano gli avanzi de Capodanno diventa un problema. Peggio de Napoli ce sta solo
Catagna Miralè. Ma te a Catagna nce vieni, e pretendi pure!"
L’intervallo ha il colore di un laser sbiadito.
Daje su. Mo seri. Mo precisi. Mo determinati e convincenti,
magari non vincenti, però mpareggetto che o butti via mpareggeto? No! E allora
daje! Strappamoselo a mozzichi sto punticino! Per noi, per un mondo migliore,
per Frodo!
Ma ce stanno giorni che er fomento pare fatto apposta pe
portatte su su su prima der dirupo. Se poi lì accanto a te su sto dirupo ce sta
uno che de nome fa Atleta e de cognome Decristo, allora la caduta è
inevitabile, rovinosa, dolorosa. E manco puoi bestemmià, che quello se risente
pure.
E dire che a sto giro ce ne sarebbero de calendari da consumà,
data la dinamica der gò.
Perchè Zuniga c’ha che purtroppo oggi deve vince er Pallone
d’oro. “Guarda Poropì, me dispiace che te ce trovi te, ma io purtroppo oggi
devo esse proprio forte forte come nso mai stato, che mo è la settimana
decisiva, ce stanno Leo e Cristiano e Andrès che hanno accumulato un certo
vantaggio, me devo fa ved蔓Ah..mierda...” se basisce Poropì, e manco er tempo
de sbasisse che quello passa mpaio de vorte e mette dentro pe Carvizie In
Subbuglio Pandev, che co un grande TACCO (TAsso de Culo Cuasi* Osceno) l’allunga
per Ermata Dor. (*Licenza in subbuglio)Che però sbaja.Perchè certe vorte capita
anche ai campioni.Mo davero je se vole fa un processo a sto poro cristo amico
de Cristo pe un tiro sbajato.E volendojelo proprio fa sto processo a sto
cristo, chi lo fa Barabba?
Ma tanto ncè bisogno. Perchè oggi è così.Noi sbajamo e
s’attaccamo ar cazzo. Lui sbaja e segna.Noi semo Paperino. Lui è Gastone. Non
solo è forte, ma c’ha pure più culo che anima, come tocca palla entra.
Nel frattempo a Paperopoli, Dexter non sta in giornata. Ma
proprio no. Ma proprio no che no che porcadequellazozzaolivascolanapicena.
Perchè se te capita na palla capitana va capita. Envece lui la capisce fino
ancerto punto, a buttaccese ce se butta pure, ma poi se ntruppa, se sgrugna, se
perde e de mezzesternopuntastorto non je dà manco la scusa a Desanti de fa na
mezza paratina e de riarzasse cor suo solito fare umile de chi ha salvato
l'Europa dalla bancarotta e l'occidente dar terorismo. È fori, la palla e pure
Dexter.
Quando il numero dei “levalo” che da Roma se so messi sulla A1
giunge alla massa critica valida pe intasà la tangenziale e l’uscita
Fuorigrotta, er Santone lo leva.
“Osvà, daje”“Mister non ho capito se stamo a vende la Golf o
devo giocà”“...ntr...”“Ok”“Eh?”“Un Fiorino”“Daje”
Er Cipolla sgomita, core, se move, è attivo, e entra subito
nell’azione che sarebbe na benedizione se nfosse pe l’emozione dela formazione
pe la situazione della tenzone. Che è un modo na cifra caruccio pe dì che in
tre se cacano un gò.
Prima Osvardo, poi Lamela, ma soprattutto, soprattuttissimo er
Lucido, se infrangono contro una delle Sacre Leggi Der Pallone: quando non deve
entrà non entra. Certo, centrà la porta vuota è un passo propedeutico ar gò
spesso e volentieri, ma non è che a Bradley je se po chiede proprio tutto tutto
er repertorio der moderno player de soccer. “I run, I pass, I run again, I interpose, I run again
and again, I press, I phone, I lights, you can’t ask me to score too. And don’t
laugh at me for my mistakes. Do you know what we are used to say in my country?
Reedy Soostock Hudson!” sentenzia definitivo e pure mpo
scojonato er citizen der monnonfame.
Ma ncè niente da ride quando poco dopo Cavani decide che l'anni
de Cristo so comunque 33, e non sentendose abbastanza in forma pe fanne altri
31, fa comunque nantro gó pe rievocà the magic number.
Co uno de quei carcidangolo cosí elementari che a noi ce fanno
schifo a falli, figurate a contrastalli, co quellinsurto ar gioco costruito
rappresentato da ncross che dovrebbe esse manna pe ogni portiere de mano munito
ma che invece finisce dritto dritto su na capoccia e se proietta verso er
portiere in porta inchiodato. De Francoechea le gambe se apron, pe la Roma i
giochi se chiudon.
Ma pure solo pe statistica, pure in una partita dove tutto gira
storto, fosse solo pe fatte rosicà mpochetto de più, prima o poi la palla
entra. Certo, se a svorge er lavoro de colui che la fa entrà ce se trova
finarmente colui che con più costanza s'è dimostrato pronto al lieto evento, le
probabilità aumentano. Se poi costui è l'attaccante che grazie a nattacco de
cacarella è riuscito a evità d'attaccasse a Clarabella, le probabilità de cui
sopra aumentano vieppiù. E insomma, tutto questo pe dì che ner momento in cui
Miralem imita Ercapitano donando incenso ala Cipolla nostra, quella ne fa
tesoro e co na carezza purga i Santi in uscita.
Treauno pe loro, daje cazzo! daje che nun è finita! daje
Osvardone! daje Capità! daje Pjanic! daje Pjanic! Fermo Pjanic! Che cazzo fai
Pjanic? "Daje" è incitamento generico che piegato a uso marketing
dala vosvaghen fa sembrà er Santone mpo cojone, ma non vor dì che devi menà a
ogni napoletano de passaggio! Sei pure ammunito! Eri pure diffidato! In terza
media sei stato rimandato a settembre! Na vorta t'ha piato l'autovelox! Te dice
pure sfiga che mo candidà i pregiudicati non va più de moda come prima?
Accanna!
Ma ormai è troppo tardi. Stamo in dieci, dopo manco dieci
secondi che avevamo cominciato a ricrede nela possibilità de ripià sta partita
pii capelli.E forse è pe na questione de capelli che er subitaneo corpo de
testa der Lucido finisce fori de poco, potente ma impreciso. E volemo pensà che
sia sempre pe na questione de crine che er successivo corpo de testa der Lucido
stavorta finisca armeno tra le braccia de Santi. Insomma, non s’arendemo, creà
creamo pure in dieci, ma creamo solo pe lui, er Lucido.Nessemmesse instagramma
er problema: "tre palle gò sule spalle de ngiocatore de baseball".
Segue bestemmia.
In tutto ciò, l’Atleta de Cristo, farso come Giuda, quando Francochea
in uscita je toje pani e pesci dai piedi, non pago dela nostra via crucis trova
coraggio e fede pe tuffasse ner prato zuppo e invocà rigore e accanimento sui
più sfortunati come manco un tecnico prima de na campagna elettorale.
E mentre arembamo inutirmente assaggiando poco saggi un raggio
de pareggio o un magio de passaggio, dar peggio sbuca un gaggio Maggio
all’arembaggio, e mannaggia a Sky che ancora non ha approntato na ligna retta
virtuale e ideale personalizzata ar punto da valutanne l’eventuale forigioco
senza guardà i piedi ma la scucchia. Quello core a tajà er vento e sartà Franco
che è scito e er Cigno che stremato sviene come colui che scaja e guarda la
palla che in porta sencaja. Quattrauno pe loro.
“Sì ma non è come contro la Juve, non è na disfatta, ce gira
male”, s’apprestamo a dì cercando de allontanà similitudini co una dele vorte
che amo preso quattro schiaffi. Perchè noi c'abbiamo starchivio porveroso de
report, stantico e oscuro testo denominato "50 sfumature de
scoppole", moderna Stele de Rosetta utile a confrontare e confortare ove e
quando possibile, inventario delle diverse gradazioni de sconfitta che svaria
da "Ce dice sempre male" a un meno rassicurante "E pure quest'anno
nun vincemo un cazzo", passando pe "È mancato solo er gó" o
"Graziarcazzo giocava Josè Angel".
E che ce dice oggi sta Stele? Che ce racconta? Che ce narra? Che
ce estrinseca? Che ce propone? Eh? Eh? Che fa nparla? Aaaah o vedi come so
stamericani? Era mejo a Stele de Rosella! Ah! Parlace! Dicce! Spiegace!Eh, se a
fai parlà magari too dice.Ok, che dice?
Gnente, dice che amo perso, che a Napoli se po perde ma sarebbe
mejo non fasse asfartà, ma che comunque non è na colata de catrame su ogni
speranza, è nasfarto lento lento, come er brodino pe l'ammalati, na cosa che se
po' digerí se te riguardi, e a riguardasse bene non semo cosí brutti come
sembra. Semo solo mpo cojoni certe volte, e recidivi, ma su quello ce se po
lavorà. Forse, se spera. L’andata ormai è andata, e come andata poteva andà
mejo.Per fortuna che mo ce sta il ritorno, e un lieto fine, noi che de favole
semo pratici o sapemo, prima o poi ariva sempre. Pe forza.
Io ti capisco, “italiano medio”, quando vai
alle urne portando con te qualcosa per "turarti" il naso, consapevole
di una scelta che tu stesso consideri il male minore ma necessario.
Io ti capisco,
quando credi alle sirene di chi sventola simboli tradendone il senso e la storia, senza rispetto per
cosa rappresentano davvero per te e per chi, ancora oggi, ci crede ancora.
Credere, come se in quelle urne ci fosse una qualche religione. E forse c'è.
Con i suoi cardinali, le sue regole, i suoi rituali.
Capisco anche come pensi a quei partigiani che per
tutto questo, dici, sono morti. Mi rendo conto che è questo che ci hanno fatto
credere, so che è li' che è iniziata la grande truffa in quel mito, in quei
morti, "per le urne".
Io ti capisco, italiano medio, quando vai alle urne
per rispetto a quella memoria, ma ti sbagli. O quando non vai pensando che
tanto non cambia niente. E poi non fai niente per cambiare. E anche qui,
sbagli.
Perché la verità è che TU non esisti, “italiano
medio”, perché esistono milioni di persone diverse, in quella che tu chiami
“Italia” (come fuori da questi confini dove la tua amata patria va a fare la
guerra chiamandola pace), e in quelle urne c'è lo schiaffo alla memoria di chi
non è morto per un voto, ma per darci la Libertà.
Io ti capisco, ma tu prova a capire anche me.
Quando penso che per quella libertà serva un po'
più di coraggio.
Quando ti dico che il male minore è sempre e
comunque un male che non possiamo tollerare.
Quando affermo che non si può rivoluzionare un sistema
usando quel sistema.
Io ti capisco, ma tu prova a capire me.
IO NON VOTO, SCELGO LA LOTTA.
Se vuoi, chiedimi perché. O come. Ma non chiedermi
SE.
Che bello siamo in piena campagna elettorale. E’ inutile
e noioso arrovellarsi sui possibili vincitori, sulle alleanze. E’ tutto ampiamente previsto. Il Pd avrà la disponibilità
assoluta della Camera grazie al premio di maggioranza,
al Senato dovrà invece cercare alleati . I centristi guidati da Monti sono già
pronti alla bisogna, e chiederanno al Pd , in cambio dell’appoggio, di non
osteggiare un nuovo incarico al professore che il presidente Napolitano sarà
ben felice di conferire. Liquidato l’aspetto elettorale, concentriamoci
sui teatranti che occupano e occuperanno
il palcoscenico mediatico da qui alle elezioni. Berlusconi è tornato in forze.
La sua presenza nelle Tv è massiccia come al solito. Gli argomenti sono gli
stessi, meno tasse per tutti, via l’Imu, la necessità di debellare il pericolo
comunista. Il tutto condito dal gossip
del troiaio che, in nome di una sobrietà indispensabile per il nuovo corso
politico del cavaliere , è meno precario e flessibile, nel senso che
non esistono più le intercambiabili olgettine ma solo una fidanzatina a tempo indeterminato.
Bersani sta rifiatando dopo la sovraesposizione da primarie, preso in
castagna dal protagonismo del suo prossimo alleato post elettorale Mario Monti. L’immagine
del leader piddino è quella tranquillizzante dell’amico con cui ci si può
confidare davanti ad un bicchiere di birra. Molto deve il buon Bersani ai
servigi resigli da Crozza con la sua imitazione, tanto che il capo del Pd,
sembra uno che imita Crozza che imita Bersani. Ma la vera star è il
debuttante Mario Monti. Anch’egli in overdose mediatica, ce lo ritroviamo su tutti i canali,dall’Annunziata a Lilli
Gruber, alla radio. L’hanno stoppato solo alla befana altrimenti a Zavoli gli
partiva un embolo. A dire il vero la
consulenza della stessa agenzia curatrice di immagine che si occupa di Nichi Vendola, non è ancora riuscita a renderlo meno legnoso davanti alle telecamere, ma lui
non demorde. I risultati sono quello che sono. Il professore vorrebbe anche
diventare protagonista della rete come Grillo, per adesso riesce solo a mettere
la faccine vicino ai suoi cinguettii su twitter. Ma è in televisione che Monti da il meglio di
se. Purtroppo il confronto con il maestro di Arcore è disarmante. Il povero
Monti si industria a promettere un rimodulazione dell’Imu con il dirottamento
del ricavato esclusivamente a favore dei
comuni, Berlusconi invece, l’Imu la
elimina definitivamente. Monti si impegna, forse un giorno non troppo lontano,
ad abbassare di un punto le tasse, Berlusconi invece è il più feroce sterminatore
di balzelli e tributi. Berlusconi è stato risoluto nel dettare alla sua
servetta imbotulinata BarbaraD’Urso le
domande da fargli, Monti lo abbiamo visto molto impacciato a Otto e
Mezzo perché la Gruber non rispettava l’ordine concordato nel porgere i
quesiti. La domanda sul sondaggio in
merito al gradimento del governo Monti doveva essere la numero 5 e non la 3,
mentre invece quella sulle alleanze post elettorali era la 2, non la 4. Così il povero presidente vedendosi sconvolto l’ordine delle domande in
base al suo ordine di risposte doveva
scartabellare i suoi fogli per trovare la risposta giusta, con grande impaccio
e imbarazzo. Berlusconi è un valoroso combattente
contro i comunisti, Monti, al più, arriva a silenziare Fassina e Vendola . Il
massimo dell’appeal nei discorsi di Monti è l’innalzamento dello spread, Berlusconi invece ha ben altro
da raccontare sugli innalzamenti da viagra . Povero Monti! Ancora non ha capito
nel nostro paese borghesuccio conta più un pelo di figa che un punto di spread.
E’ bene che lo impari presto.
“Le magnifiche sorti e progressive. Viaggio a bassa velocità
nel progetto TAV della Val Susa”.
A cura di Luciano Celi, Lu:ce edizioni.
Propongo ai lettori di AUT una
lettura stimolante: un viaggio a bassa velocità nel progetto Treno ad Alta
Velocità Torino-Lione: si parte dall'immagine di copertina (scattata dal
curatore in località Ramats, sotto il viadotto autostradale della A32) e dalla
suggestione leopardiana del profumo de “La
ginestra o fiore del deserto” e- attraverso una riflessione sulla
democrazia e sull'Illuminismo - si arriva al cuore del movimento NO TAV,
alla sua ricchezza di anime e contenuti,
alla sua complessità.
E' un viaggio composito, un
mosaico di forme diverse -interviste, articoli, comunicati stampa, interventi,
report tecnici, versi, testimonianze- che raffigura le varie sfaccettature di
una realtà complessa: pensionati, giornalisti, avvocati, agricoltori, tecnici,
archeologici, studenti; insieme
riflettono sulla partecipazione e danno vita ad un concreto esperimento
di cittadinanza attiva[1]
.
Il libro riproduce “una foto di un presente che lasci una traccia di
ciò che fu”[2] . Un
presente in divenire: gli avvenimenti si susseguono in Val di Susa, le idee e
le strategie si moltiplicano: lo stesso libro ha subito una modifica in corso
d'opera a seguito della drammatica vicenda di Luca Abba' precipitato da un
traliccio dell'alta tensione in Val Clarea “per un gesto nonviolento di estrema
difesa della sua terra” si è trasformato in istant book il cui ricavato è
destinato al sostegno di Luca Abba' in un periodo difficile ; è poi uscito in
una seconda e in una terza edizione.
Varie vicende si susseguono
veloci e il 2012 si chiude con la decisione del governo Monti di dare due
milioni al progetto Tav.
La citazione del titolo “le
magnifiche sorti e progressive” tratta dalla bellissima “La ginestra” scritta
da Leopardi in occasione del suo soggiorno a Torre del Greco dinanzi alla vista
di uno dei luoghi più belli e più devastati
del nostro Paese, le pendici del Vesuvio, invita ad una riflessione
sull'arroganza di chi vuole solo dominare la natura senza porsi problemi di
rispetto e tutela.
(Cosa scriverebbe oggi Leopardi
se vedesse che intorno al Vesuvio si è
costruito abusivamente ovunque, persino sulle vie di fuga, in una pericolosa catena sistematica di illegalità ,dalle cave, agli
sbancamenti, alle discariche? E che a
Roma, altro luogo di cui ha evocato le
ginestre e l'antica gloria, si costruiscono parcheggi sulle necropoli etrusche
e si interrano senza pietà resti archeologici affioranti dagli scavi edilizi e
si lasciano cadere a pezzi dall'incuria anche i monumenti più importanti? Altro
che superbia del secolo spiritualista contro cui polemizzava! )
Il viaggio procede attraverso
interviste a partecipanti del movimento NO TAV; fra gli altri, Luca Abbà ripercorre la sua storia in Val di Susa, dai tempi
del liceo e l'interesse per le
questioni ambientaliste alla decisione di trasferirsi in montagna a coltivare i
terreni dei nonni, rievocando da un lato l'amarezza lasciata nel suo animo dalla “stagione degli
attentati e sabotaggi” che culminò con l'arresto e la morte in carcere di Sole
e Baleno, dall'altro -oltre alle varie fasi della lotta no tav- il momento
importante di crescita del movimento con la Libera Repubblica della Maddalena
(di Chiomonte) “un'esperienza di autogestione e difesa del territorio “, di
interazione con i valligiani, “giorni e notti passati a pensare, a preparare
mezzi e materiali per una resistenza che sarà determinante per il prosieguo di
tutta la lotta contro il TAV” [1].
Nel testo il movimento no Tav emerge come
straordinariamente ricco di anime: il collettivo lavanda è una delle componenti e simboleggia lo scontro in atto
in Val di Susa : il profumo della lavanda inebria chi rispetta le distese
fiorite e vuole tutelare la valle nelle sue peculiarità, contrapponendosi
all'arroganza degli scarponi di uno Stato che non ascolta le ragioni popolari e
calpesta manifestanti inermi e vegetazioni varie. Denunciando l'episodio della
notte fra il 5 e il 6 dicembre 2007 in cui vengono manganellati gli occupanti
inermi del terreno di Venaus che stavano per lo più dormendo, uno degli
intervistati, un legale, racconta di aver pianto.
La questione della tav in questo
testo è anche l'occasione per una riflessione profonda e non scontata sull'illuminismo e sul senso della
democrazia, sul diritto di resistenza sancito dal nostro ordinamento.
“L'Illuminismo offre a tutti la possibilità di pensare con la propria testa”,
di emanciparsi dalle schiavitù e di utilizzare la ragione come strumento per
relazionarsi con il mondo e con gli altri.
Il diritto alla resistenza
pacifica contro atti che si ritengono ingiusti trae fondamento dalla sovranità
popolare sancita nell'art. 1 della Costituzione : L'Italia è una repubblica
democratica fondata sul lavoro. la sovranità spetta al popolo che la esercita
nelle forme e nei modi previsti dalla
legge”.
I membri dell'assemblea Costituente enunciarono chiaramente, fra i
principi fondamentali, la sovranità popolare, valorizzando il coraggio e
la forza profuse da donne e uomini nella resistenza al fascismo .
Altrettanto varie, complesse e
articolate sono le ragioni del movimento NO TAV: dinanzi al nebuloso
“progresso”invocato dai sostenitori del progetto, i motivi dell'opposizione al
Tav trovano innanzitutto spazio nella mancanza di una reale esigenza di
costruirla in una Valle in cui sono diminuiti sia il traffico merci dei tunnels
autostradali del Monte Bianco e del Frejus che quello sulla ferrovia. A ciò si aggiunge un
ventaglio ampio di ragioni: dal costo stratosferico(oltre 10 miliardi) e insensato dell'opera in un momento di tagli
allo Stato sociale e ai suoi servizi, ai danni ambientali provocati dai
cantieri, nonché dallo scavo e dalla lavorazione di materiali pericolosi
(amianto, radon, uranio), ad una serie di complicazioni idrogeologiche da
valutare con attenzione nonché la mancanza di reali esigenze sulla tratta
ferroviaria Torino-Lione . I motivi dell'opposizione al Tav trovano altresì
ampio spazio nella ripubblicazione in appendice delle 150 nuove ragioni diffuse
in occasione dei 150 anni dell'unità di Italia e 20 anni del movimento no tav.
Rimando ovviamente per
l'approfondimento alla lettura del libro, reperibile sul sito www.luce-edizioni.it.
Comitato promotore: Simonetta Zandiri Silvia Rovelli Gaia Tolomelli Andrea Basile Marco Bertini
Il gruppo nasce per fare informazione su come non passare per astensionisti passivi, per creare informazione e assistenza sull'astensionismo ATTIVO, e per cercare di rendere l'astensionismo una forma CONCRETA e VISIBILE di disobbedienza come primo passo utile per "unire" tutti quelli che fino ad oggi sono sempre stati divisi e che continuano ad essere il "primo partito d'Italia", quello dei non votanti!
Abbiamo voluto noi Monti. Io interpreto la sua agenda come rigore e rispetto dei vincoli europei, tentativo di incidere sull’evoluzione della politica europea, sforzi di riforma e modernizzazione e quindi ribadisco che il rigore e la credibilità sono un punto di non ritorno…Se toccherà a me guidare il Paese, il giorno dopo la vittoria parlerò con Monti. Ho detto direttamente al presidente del Consiglio e pubblicamente che deve continuare ad avere un ruolo. Quale lo discuteremo insieme…Siamo disponibili e aperti all’incontro con i centristi.
Pierluigi Bersani, 13 dicembre 2012
Tra l’agenda Bersani e quella Monti non vedo grandi differenze, anzi non ne vedo quasi nessuna salvo forse alcune diverse priorità e un diverso approccio alla ridistribuzione del reddito e alle regole d’ingresso e di permanenza nel lavoro dei precari. E salvo che l’agenda Bersani è stata formulata prima di quella Monti e in alcune parti avrebbe potuto utilizzarla anche l’attuale governo se avesse posto la fiducia su quei provvedimenti. Conclusione: non esiste né un’agenda Bersani né un’agenda Monti. Esiste un’agenda Italia che dovrebbe essere valida per tutte le forze responsabili e democratiche.
Eugenio Scalfari, editoriale, Repubblica, 30 dicembre 2012
Bersani candiderà nel listino il Prof. Carlo dell’Aringa, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, giuslavorista, storico ispiratore della Cisl, uomo graditissimo a Confindustria. Grande cultura e dottrina, la sua, ma giocata sempre in un campo diverso da quello dei diritti dei lavoratori e dei più deboli. La cosa ha quasi dei lati comici. Fuori Ichino (peraltro se ne è andato con le sue gambe), dentro un altro. Mi sa che gli elettori della coalizione dei democratici e dei progressisti si potrebbero anche trovare nella paradossale condizione di dire, come si usa a Roma: “Arridatece Ichino”!
Alfonso Gianni
Pierluigi Bersani ha sostenuto…con la copertura della discrezione di Repubblica e Unità, uno dei più robusti e silenziosi, almeno a livello di opinione pubblica, tentativi di salvataggio di banche tossiche della storia d’Italia. Stiamo parlando di una iniezione di liquidità superiore ai tagli delle pensioni della recente riforma Fornero a favore di uno dei feudi piddini: il Monte dei Paschi. Allo stesso tempo, a differenza della Gran Bretagna (che è IL paese liberista) la decisiva immissione di liquidità non ha comportato che la banca passasse sotto controllo pubblico. Insomma, la società italiana ha compiuto uno sforzo immenso per pagare le avventure di MPS, e di riflesso del Pd, nel mondo della speculazione finanziaria. Di fatto ha dovuto pagare anche il disastro MPS dell’acquisizione di Antonveneta (costata 9 miliardi), ma il controllo del Monte, a differenza di quanto accaduto in Gran Bretagna per casi analoghi, resta privato. Nonostante questo Moody’s ha declassato…i titoli MPS a spazzatura. Un’operazione da serio, serissimo dibattito politico. Lusi, Penati e lo scandalo Enac, di un altro collaboratore stretto di Bersani, rispetto a quanto è costato alla società italiana MPS, e a fondo perduto, a confronto sono questioni da ricettazione di un camion trafugato pieno di salumi.
La vera campagna elettorale, quella per accreditarsi dove si prendono decisioni, la si fa sul Financial Times. Che ha dedicato molto spazio alle elezioni italiane. Segnaliamo questa intervista del Financial Times a Pierluigi Bersani in versione maresciallo Pètain. Quello dei giorni che precedettero la formazione della repubblica collaborazionista di Vichy.
Cosa dice di grave Bersani? La prima è che è favorevole ad un irrigidimento del fiscal compact, il patto sul bilancio che impegna a tagli di spesa pubblica di decine di miliardi l’anno per un ventennio. La seconda è che impegna l’Italia ad ulteriori politiche di austerità. Fin qui siamo a Monti forse con qualche parola più cruda sull’irrigidimento del fiscal compact. Ma dove Bersani, nel tentativo di accreditarsi in Europa, riesce a superare a destra Mario Monti è sulla questione del commissario unico europeo. Si tratta di una figura, già oggetto di trattativa nei precedenti round europei, che avrebbe potere di veto sulla stesura dei singoli bilanci nazionali. Per cui se un paese decidesse di finanziare scuola, sanità, servizi sociali, in autonomia nazionale, questa figura avrebbe potere di bloccare una decisione sovrana. Il più convinto artefice di questa proposta, che ha incontrato il favore di Barroso, è il superministro tedesco dell’economia Schauble. Monti, diplomaticamente, nelle settimane scorse aveva fatto scivolar via questa proposta (assieme ad altri paesi). Monti è un uomo di destra, convinto di svendere il paese, ma sa che la cessione di sovranità va sempre saputa trattare con accortezza.
E cosa ti fa Bersani? Per accreditarsi in Europa si dice pronto ad accettare la proposta Schauble. Al Financial Times Bersani si dice pronto ad accettare la cessione di sovranità. Ovviamente si bada bene dal dirlo all’elettorato italiano. Qui è da considerare una cosa. Esistono due tipi di cessione di sovranità: una, quella con contropartite, fa parte di un processo di integrazione continentale. L’altra, senza contropartite, spiace dirlo ma si chiama resa ad una potenza straniera. Nessun dubbio che Bersani voglia incarnare i panni del nuovo Pétain che, a suo tempo, decise che la resa praticamente senza contropartite alla Germania fosse l’unica strada razionalmente praticabile.
Il 22 dicembre scorso Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, i due marò arrestati in Kerala quasi 11 mesi fa per l’omicidio di due pescatori indiani, erano in volo verso Ciampino grazie ad un permesso speciale accordato dalle autorità indiane. L’aereo non era ancora atterrato su suolo italiano che già i motori della propaganda sciovinista nostrana giravano a pieno regime, in fibrillazione per il ritorno a casa dei «nostri ragazzi”, promossi in meno di un anno al grado di eroi della patria.
La vicenda dell’Enrica Lexie, la petroliera italiana sulla quale i due militari del battaglione San Marco erano in servizio anti-pirateria, ha calcato insistentemente le pagine dei giornali italiani e occupato saltuariamente i telegiornali nazionali.
E a seguirla da qui, in un villaggio a tre ore da Calcutta, la narrazione dell’incidente diplomatico tra Italia e India iniziato a metà febbraio è stata – andiamo di eufemismi – parziale e unilaterale, piegata a una ricostruzione dei fatti distante non solo dalla realtà ma, a tratti, anche dalla verosimiglianza.
In un articolo pubblicato l’11 novembre scorso su China Files ho ricostruito il caso Enrica Lexie sfatando una serie di fandonie che una parte consistente dell’opinione pubblica italiana reputa verità assolute, prove della malafede indiana e tasselli del complotto indiano. Riprendo da lì il sunto dei fatti.
E’ il 15 febbraio 2012 e la petroliera italiana Enrica Lexie viaggia al largo della costa del Kerala, India sud occidentale, in rotta verso l’Egitto. A bordo ci sono 34 persone, tra cui sei marò del Reggimento San Marco col compito di proteggere l’imbarcazione dagli assalti dei pirati, un rischio concreto lungo la rotta che passa per le acque della Somalia. Poco lontano, il peschereccio indiano St. Antony trasporta 11 persone.
Intorno alle 16:30 locali si verifica l’incidente: l’Enrica Lexie è convinta di essere sotto un attacco pirata, i marò sparano contro la St. Antony ed uccidono Ajesh Pinky (25 anni) e Selestian Valentine (45 anni), due membri dell’equipaggio.
La St. Antony riporta l’incidente alla guardia costiera del distretto di Kollam che subito contatta via radio l’Enrica Lexie, chiedendo se fosse stata coinvolta in un attacco pirata. Dall’Enrica Lexie confermano e viene chiesto loro di attraccare al porto di Kochi.
La Marina Italiana ordina ad Umberto Vitelli, capitano della Enrica Lexie, di non dirigersi verso il porto e di non far scendere a terra i militari italiani. Il capitano – che è un civile e risponde agli ordini dell’armatore, non dell’Esercito – asseconda invece le richieste delle autorità indiane.
La notte del 15 febbraio, sui corpi delle due vittime viene effettuata l’autopsia. Il 17 mattina vengono entrambi sepolti.
Il 19 febbraio Massimiliano Latorre e Salvatore Girone vengono arrestati con l’accusa di omicidio. La Corte di Kollam dispone che i due militari siano tenuti in custodia presso una guesthouse della CISF (Central Industrial Security Force, il corpo di polizia indiano dedito alla protezione di infrastrutture industriali e potenziali obiettivi terroristici) invece che in un normale centro di detenzione.
Questi i fatti nudi e crudi. Da quel momento è partita una vergognosa campagna agiografica fascistoide, portata avanti in particolare da Il Giornale, quotidiano che, citando un’amica, «mi vergognerei di leggere anche se fossi di destra».
Che Il Giornale si sia lanciato in questa missione non stupisce, per almeno due motivi:
Ignazio La Russa
1) La fidelizzazione dei suoi (e)lettori passa obbligatoriamente per l’esaltazione acritica delle nostre – stavolta sì, nostre – forze armate, impegnate a «difendere la patria e rappresentare l’Italia nel mondo» anche quando, sotto contratto con armatori privati, prestano i loro servizi a difesa di interessi privati.
Anomalia, quest’ultima, per la quale dobbiamo ringraziare l’ex governo Berlusconi e in particolare l’ex ministro della Difesa Ignazio La Russa, che nell’agosto 2011 ha legalizzato la presenza di militari a difesa di imbarcazioni private. In teoria la legge prevede l’uso dell’esercito o di milizie private, senonché le regole di ingaggio di queste ultime sono ancora da ultimare, lasciando il monopolio all’Esercito italiano. Ma questa è – parzialmente – un’altra storia.
2) Il secondo motivo ha a che fare col governo Monti, per il quale il caso dei due marò ha rappresentato il primo grosso banco di prova davanti alla comunità internazionale, escludendo la missione impossibile di cancellare il ricordo dell’abbronzatura di Obama, della culona inchiavabile, letto di Putin, della nipote di Mubarak, dell’harem libico nel centro di Roma e tutto il resto del repertorio degli ultimi 20 anni.
Troppo presto per togliere l’appoggio a Monti per questioni interne, da marzo in poi Latorre e Girone sono stati l’occasione provvidenziale per attaccare l’esecutivo dei tecnici, mantenendo vivo il rapporto con un elettorato che tra poco sarà di nuovo chiamato alle urne. E’ il tritacarne elettorale preannunciato da Emanuele Giordana al quale i due marò, dopo la visita ufficiale al Quirinale del 22 dicembre, sono riusciti a sottrarsi chiudendosi letteralmente nelle loro case fino al 10 gennaio quando, secondo i patti, torneranno in Kerala in attesa del giudizio della Corte Suprema di Delhi.
Margherita Boniver
Qualche esempio di strumentalizzazione?
Margherita Boniver, senatrice Pdl, il 19 dicembre riesce finalmente a fare notizia offrendosi come ostaggio per permettere a Latorre e Girone di tornare in Italia per Natale.
Ignazio La Russa, Pdl, il 21 dicembre annuncia di voler candidare i due marò nelle liste del suo nuovo partito Fratelli d’Italia (sic!).
L’escamotage, che serve a blindare i due militari entro i confini italiani, è rimandato al mittente dagli stessi Latorre e Girone, irremovibili nel mantenere la parola data alle autorità indiane.
LA QUERELLE SULLA POSIZIONE DELLA NAVE E UNA CURIOSA “CONTROPERIZIA”
La prima tesi portata avanti maldestramente dalla diplomazia italiana, puntellata dagli organi d’informazione, sosteneva che l’Enrica Lexie si trovasse in acque internazionali e, di conseguenza, la giurisdizione dovesse essere italiana. Ma le cose pare siano andate diversamente.
Il governo italiano ha sostenuto che l’Enrica Lexie si trovasse a 33 miglia nautiche dalla costa del Kerala, ovvero in acque internazionali, il che avrebbe dato diritto ai due marò ad un processo in Italia. La tesi è stata sviluppata basandosi sulle dichiarazioni dei marò e su non meglio specificate «rilevazioni satellitari”.
Secondo l’accusa indiana l’incidente si era invece verificato entro il limite delle acque nazionali: Girone e Latorre dovevano essere processati in India.
Nonostante la confusione causata dal campanilismo della stampa indiana ed italiana, la posizione della Enrica Lexie non è più un mistero ed è ufficialmente da considerare valida la perizia indiana.
Secondo i dati recuperati dal GPS della petroliera italiana e le immagini satellitari raccolte dal Maritime Rescue Center di Mumbai, l’Enrica Lexie si trovava a 20,5 miglia nautiche dalla costa del Kerala, nella cosiddetta «zona contigua».
Il diritto marittimo internazionale considera «zona contigua» il tratto di mare che si estende fino alle 24 miglia nautiche dalla costa, entro le quali è diritto di uno Stato far valere la propria giurisdizione.
Sti fasci de casa pau giocano a ffà ‘a guera coll’india. Più tardi aggredischeno la Kamciacca. – Seh, poi finisce che se fanno ‘e tre de notte e domattina so’ cazzi, svejasse pe’ andà a scola! Tipo che a forza de ffà sega, qui ce tocca ripete’ a prima media… – Pure quest’anno?!
A contrastare la versione ufficiale delle autorità indiane – che, ricordiamo, è stata accettata anche dai legali dei due marò e sarà la base sulla quale la Corte suprema indiana si pronuncerà – è apparsa in rete la ricca controperizia dell’ingegner Luigi di Stefano, già perito di parte civile per l’incidente di Ustica.
Di Stefano presenta una serie di dati ed analisi tecniche a supporto dell’innocenza dei due marò. Chi scrive non è esperto di balistica né perito legale – non è il mio mestiere – e davanti alla mole di dati sciorinati da Di Stefano rimane abbastanza impassibile. Tuttavia, è importante precisare che Di Stefano basa gran parte della sua controperizia su una porzione minima dei dati, quelli cioè divulgati alla stampa a poche settimane dall’incidente. Dati che, sappiamo ora, sono stati totalmente sbugiardati dalle rilevazioni satellitari del Maritime Rescue Center di Mumbai e dall’esame balistico effettuato dai periti indiani.
Nella perizia troviamo stralci di interviste tratti dal settimanale Oggi, fotogrammi ripresi da Youtube, fermi immagine di documenti mandati in onda da Tg1 e Tg2 (sui quali Di Stefano costruisce la sua teoria della falsificazione dei dati da parte della Marina indiana), altre foto estrapolate da un video della Bbc e una serie di complicatissimi calcoli vettoriali e simulazioni 3d.
Non si menziona mai, in tutta la perizia, nessuna fonte ufficiale dei tecnici indianiche, come abbiamo visto, hanno depositato in tribunale l’esito delle loro indagini il 18 maggio. Di Stefano aveva addirittura presentato il suo lavoro durante un convegno alla Camera dei deputati il 16 aprile, un mese prima che fossero disponibili i risultati delle perizie indiane!
In quell’occasione i Radicali hanno avanzato un’interrogazione parlamentare al ministro degli Esteri Terzi, chiedendo sostanzialmente: «Ma se abbiamo mandato i nostri tecnici in India e loro non hanno detto nulla, perché dobbiamo stare a sentire Di Stefano?»
Il lavoro di Di Stefano, in definitiva, è viziato sin dal principio dall’analisi di dati clamorosamente incompleti, costruito su dichiarazioni inattendibili e animato dal buon vecchio sentimento di superiorità occidentale nei confronti del cosiddetto Terzo mondo.
Se qualcuno ancora oggi ritiene che una simile perizia artigianale sia più attendibile di quella ufficiale indiana, cercare di spiegare perché non lo è potrebbe essere un inutile dispendio di energie.
UNGHIE SUI VETRI: «NON SONO STATI LORO A SPARARE!»
Altra tesi particolarmente in voga: non sono stati i marò a sparare, c’era un’altra nave di pirati nelle vicinanze, sono stati loro.
Nel rapporto consegnato in un primo momento dai membri dell’equipaggio dell’Enrica Lexie alle autorità indiane e italiane (entrambi i Paesi hanno aperto un’inchiesta) si specifica che Latorre e Girone hanno sparato tre raffiche in acqua, come da protocollo, man mano che l’imbarcazione sospetta si avvicinava all’Enrica Lexie. Gli indiani sostengono invece che i colpi erano stati esplosi con l’intenzione di uccidere, come si vede dai 16 fori di proiettile sulla St. Antony.
Il 28 febbraio il governo italiano chiede che al momento dell’analisi delle armi da fuoco siano presenti anche degli esperti italiani. La Corte di Kollam respinge la richiesta, accordando però che un team di italiani possa presenziare agli esami balistici condotti da tecnici indiani.
Staffan De Mistura, sottosegretario agli Esteri italiano, il 18 maggio ha dichiarato alla stampa indiana: «La morte dei due pescatori è stato un incidente fortuito, un omicidio colposo. I nostri marò non hanno mai voluto che ciò accadesse, ma purtroppo è successo».
I più cocciuti, pur davanti all’ammissione di colpa di De Mistura, citano ora il mistero della Olympic Flair, una nave mercantile greca attaccata dai pirati il 15 febbraio, sempre al largo delle coste del Kerala. La notizia, curiosamente, è stata pubblicata esclusivamente dalla stampa italiana, citando un comunicato della Camera di commercio internazionale inviato alla Marina militare italiana. Il 21 febbraio la Marina mercantile greca ha categoricamente escluso qualsiasi attacco subito dalla Olympic Flair.
A questo punto possiamo tranquillamente sostenere che:
1) l’Enrica Lexie non si trovava in acque internazionali;
2) i due marò hanno sparato.
Sono due fatti supportati da prove consistenti e accettati anche dalla difesa italiana, che ora attende la sentenza della Corte suprema circa la giurisdizione.
Secondo la legge italiana ed i suoi protocolli extraterritoriali, in accordo con le risoluzioni dell’Onu che regolano la lotta alla pirateria internazionale, i marò a bordo della Enrica Lexie devono essere considerati personale militare in servizio su territorio italiano (la petroliera batteva bandiera italiana) e dovrebbero godere quindi dell’immunità giurisdizionale nei confronti di altri Stati.
La legge indiana dice invece che qualsiasi crimine commesso contro un cittadino indiano su una nave indiana – come la St. Antony – deve essere giudicato in territorio indiano, anche qualora gli accusati si fossero trovati in acque internazionali.
La sentenza della Corte Suprema di New Delhi, prevista per l’8 novembre ma rimandata nuovamente a data da destinarsi, dovrebbe appunto regolare questa ambiguità, segnando un precedente legale per tutti i casi analoghi che dovessero verificarsi in futuro.
Il caso dei due marò, che dal mese di giugno sono in regime di libertà condizionata e non possono lasciare il Paese prima della sentenza, sarà una pietra miliare del diritto marittimo internazionale.
IMPRECISIONI, DIMENTICANZE, SAGRESTIE E ROMBI DI MOTORI
In oltre 10 mesi di copertura mediatica, la cronaca a macchie di leopardo di gran parte della stampa nazionale ha omesso dettagli significativi sul regime di detenzione dei marò, si è persa per strada alcuni passaggi della diplomazia italiana in India e ha glissato su una serie di comportamenti “al limite della legalità” che hanno contraddistinto gli sforzi ufficiali per «riportare a casa i nostri marò». In un altro articolo pubblicato su China Files il 7 novembre, avevo collezionato le mancanze più eclatanti. Riprendo qui quell’esposizione.
Descritti come «prigionieri di guerra in terra straniera» o militari italiani «dietro le sbarre», Massimiliano Latorre e Salvatore Girone in realtà non hanno speso un solo giorno nelle famigerate carceri indiane.
I due militari del Reggimento San Marco, in libertà condizionata dal mese di giugno, come scrive Paolo Cagnan su L’Espresso, in India sono trattati col massimo riguardo e, in oltre otto mesi, non hanno passato un solo giorno nelle famigerate celle indiane, alloggiando sempre in guesthouse o hotel di lusso con tanto di tv satellitare e cibo italiano in tavola. Tecnicamente, «dietro le sbarre» non ci sono stati mai.
Un trattamento di lusso accordato fin dall’inizio dalle autorità indiane che, comericordava Carola Lorea su China Files il 23 febbraio, si sono assicurate che il soggiorno dei marò fosse il meno doloroso possibile:
«I due marò del Battaglione San Marco sospettati di aver erroneamente sparato a due pescatori disarmati al largo delle coste del Kerala, sono alloggiati presso il confortevole CISF Guest House di Cochin per meglio godere delle bellezze cittadine.
Secondo l’intervista rilasciata da un alto funzionario della polizia indiana al Times of India, i due sfortunati membri della marina militare italiana sarebbero trattati con grande rispetto e con tutti gli onori di casa, seppure accusati di omicidio.
La diplomazia italiana avrebbe infatti fornito alla polizia locale una lista di pietanze italiane da recapitare all’hotel per il periodo di fermo: pizza, pane, cappuccino e succhi di frutta fanno parte del menu finanziato dalla polizia regionale. Il danno e la beffa.»
Intanto, l’Italia cercava in ogni modo di evitare la sentenza dei giudici indiani, ricorrendo anche all’intercessione della Chiesa. Alcune iniziative discutibili portate avanti dalla diplomazia italiana, o da chi ne ha fatto tristemente le veci, hanno innervosito molto l’opinione pubblica indiana. Due di queste sono direttamente imputabili alle istituzioni italiane.
In primis, aver coinvolto il prelato cattolico locale nella mediazione con le famiglie delle due vittime, entrambe di fede cattolica. Il sottosegretario agli Esteri De Mistura si è più volte consultato con cardinali ed arcivescovi della Chiesa cattolica siro-malabarese, nel tentativo di aprire anche un canale “spirituale” con i parenti di Ajesh Pinky e Selestian Valentine, i due pescatori morti il pomeriggio del 15 febbraio.
L’ingerenza della Chiesa di Roma non è stata apprezzata dalla comunità locale che, secondo il quotidiano Tehelka, ha accusato i ministri della fede di «immischiarsi in un caso penale», convincendoli a dismettere il loro ruolo di mediatori.
Il 24 aprile, inoltre, il governo italiano e i legali dei parenti delle vittime hanno raggiunto un accordo economico extra-giudiziario. O meglio, secondo il ministro della Difesa Di Paola si è trattato di «una donazione», di «un atto di generosità slegato dal processo».
Alle due famiglie, col consenso dell’Alta Corte del Kerala, vanno 10 milioni di rupie ciascuna, in totale quasi 300mila euro. Dopo la firma, entrambe le famiglie hannoritirato la propria denuncia contro Latorre e Girone, lasciando solo lo Stato del Kerala dalla parte dell’accusa.
Raccontata dalla stampa italiana come un’azione caritatevole, la transazione economica è stata interpretata in India non solo come un’implicita ammissione di colpa, ma come un tentativo, nemmeno troppo velato, di comprarsi il silenzio delle famiglie dei pescatori.
Immagine tratta dal sito di Libero. Il giornale ha toni incazzati, ma i lettori sembrano di buon umore.
Ma il vero capolavoro di sciovinismo è arrivato lo scorso mese di ottobre durante il Gran Premio di Formula 1 in India. In un’inedita liaison governo-Il Giornale-Ferrari, in poco più di una settimana l’Italia è riuscita a far tornare in prima pagina il non-caso dei marò che in India, dopo 8 mesi dall’incidente, era stato ampiamente relegato nel dimenticatoio mediatico.
Rispondendo all’appello de Il Giornale ed alle «migliaia di lettere» che i lettori hanno inviato alla redazione del direttore Sallusti, la Ferrari ha accettato di correre il gran premio indiano di Greater Noida mostrando in bella vista sulle monoposto la bandiera della Marina Militare Italiana. Il primo comunicato ufficiale di Maranello recitava:
«[…] La Ferrari vuole così rendere omaggio a una delle migliori eccellenze del nostro Paese auspicando anche che le autorità indiane e italiane trovino presto una soluzione per la vicenda che vede coinvolti i due militari della Marina Italiana.»
La replica seccata del Ministero degli Esteri indiano non si fa attendere: «Utilizzare eventi sportivi per promuovere cause che non sono di quella natura significa non essere coerenti con lo spirito sportivo.»
Pur avendo incassato il plauso del ministro degli Esteri Terzi, che su Twitter ha gioito dell’iniziativa che «testimonia il sostegno di tutto il Paese ai nostri marò», la Scuderia Ferrari opta per un secondo comunicato. Sfidando ogni logica e l’intelligenza di italiani ed indiani, l’ufficio stampa della casa automobilistica specifica che esporre la bandiera della Marina «non ha e non vuole avere alcuna valenza politica.»
In mezzo al tira e molla di una strategia diplomatica improvvisata, così impegnata a non scontentare l’Italia più sciovinista al punto da appoggiare la pessima operazione d’immagine del duo Maranello-Il Giornale, accolta in India dapolemiche ampiamente giustificabili, il racconto dei marò – precedentemente «dietro le sbarre» - è continuato imperterrito con toni a metà tra un romanzo di Dickens e una sagra di paese.
Il Giornale, ad esempio, esaltando la vittoria morale dell’endorsement Ferrari, confida ai propri lettori che
«i famigliari di Massimiliano Latorre, tutti con una piccola coccarda di colore giallo e il simbolo della Marina Militare al centro appuntata sugli abiti, hanno pensato di portare a Massimiliano e a Salvatore alcuni tipici prodotti locali della Puglia: dalle focacce ai dolci d’Altamura per proseguire poi con le orecchiette, le friselle di grano duro.»
L’operazione, qui in India, ha raggiunto esclusivamente un obiettivo: far inviperire ancora di più le schiere di fanatici nazionalisti indiani sparse in tutto il Paese.
Ma è lecito pensare che la mossa mediatica, ancora una volta, non sia stata messa a punto per il bene di Latorre e Girone, bensì per strizzare l’occhiolino a quell’Italia abbruttita dalla provincialità imposta dai propri politici di riferimento, maltrattata da un’informazione colpevolmente parziale che da tempo ha smesso di “informare” preferendo istruire, depistare, ammansire e rintuzzare gli istinti peggiori di una popolazione alla quale si rifiuta di dare gli strumenti e i dati per provare a capire e pensare con la propria testa.
PARLARE A CHI SI TAPPA LE ORECCHIE
In questi mesi, quando provavamo a raccontare la storia dei marò facendo due passi indietro e includendo doverosamente anche le fonti indiane, ci sono piovuti addosso decine di insulti. Quando citavamo fonti dai giornali indiani, ci accusavano di essere «come un fogliaccio del Kerala»; quando abbiamo provato a spiegare il problema della giurisdizione, ci hanno risposto «L’India è un paese di pezzenti appena meno pezzenti di prima che cerca di accreditarsi come potenza, ma sempre pezzenti restano. E un pezzente con soldi diventa arrogante. Da nuclearizzare!»; quando abbiamo cercato di smentire le falsità pubblicate in Italia (come la memorabile bufala di Latorre che salva un fotografo fermando una macchina con le mani e si guadagna le copertine indiane come “Eroe”) ci hanno dato degli anti-italiani, augurandoci di andare a vivere in India e vedere se là stavamo meglio. Ignorando il fatto che, a differenza di molti, noi in India ci abitiamo davvero.
I beduini del Kerala… Fottuti bastardi…
Quando tutta questa vicenda verrà archiviata e i marò saranno sottoposti a un giusto processo – in Italia o in India, speriamo che sia giusto – sarà bene ricordarci come non fare del cattivo giornalismo, come non condurre un confronto diplomatico con una potenza mondiale e, soprattutto, come non strumentalizzare le nostre forze armate per fini politici. Una cosa della quale, anche se fossi di destra, mi sarei vergognato.