Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 9 giugno 2018

Il sistema sovietico

Paolo Bruschi


Mondiali 2018. Il gioco del calcio restò per anni ancorato al modulo "2-3-5"


Quando la Russia zarista entrò nella Prima guerra mondiale, il calcio era già diffuso nelle città europee dell’Impero e stava dilagando verso il Caucaso, il Volga e gli Urali. I contadini e gli operai che assaltarono il Palazzo d’Inverno nell’ottobre 1917 erano presumibilmente freschi tifosi del gioco arrivato da Occidente. Una volta al potere, i bolscevichi non tardarono a occuparsi del football e crearono, dalle ceneri dei club borghesi, nuovi sodalizi “proletari”, associandoli alle principali istituzioni del paese: CSKA Mosca (esercito), Dinamo Mosca (Ministero degli Interni), Lokomotiv Mosca (Ministero dei Trasporti), Torpedo Mosca e Zenit Leningrado (i maggiori complessi industriali).
Dapprima, il calcio fu oggetto di attenzioni ambivalenti da parte dei comunisti, che oscillavano fra la condanna ideologica di uno sport ritenuto ineluttabilmente diseducativo (il dribbling e le finte erano giudicati turpi inganni!) e i vani tentativi di moralizzarlo con cervellotiche modifiche alle regole. Si trattava in effetti di un altro versante del più generale dibattito sullo sport: tutti concordavano che la cultura sportiva sovietica dovesse propiziare il miglioramento della salute, l’incremento della produttività lavorativa, preparare i lavoratori a difendere le conquiste rivoluzionarie, divulgare abitudini collettivistiche e disciplina, ma a questi scopi, sembravano meglio rispondere combinazioni varie di ginnastica, esercizi fisici correttivi, giochi, escursioni e parate.
Benché fosse altresì unanime la condanna dell’individualismo, dell’ossessiva ricerca dell’eccellenza prestazionale e dello spirito competitivo, prevalse la volontà popolare, poiché le masse amavano il calcio per quello che era. Il Cremlino si convinse che anche il pallone poteva essere sfruttato a fini di irreggimentazione, di ri-orientamento socio-culturale, di compattamento della sparsa identità federale e quale pietra di paragone nella competizione contro il “corrotto mondo occidentale”.
L’isolamento internazionale, retaggio dell’Ottobre e dell’intervento straniero in appoggio ai contro-rivoluzionari nella guerra civile, ostacolò però la crescita tecnico-tattica del movimento calcistico. Senza scambi con l’estero (l’URSS aderì alla FIFA solo nel 1946) e con ridotte occasioni di confronto anche fra le squadre delle diverse città dello sterminato paese, il livello del gioco rimase modesto. Nikolai Starostin, ex calciatore e fondatore dello Spartak Mosca, suggerì allora la creazione di un campionato unico sovietico, la cui prima giornata si disputò nel maggio 1936 – Starostin si spinse ben oltre, proponendo che i calciatori fossero esentati da ogni altro lavoro e per questa eresia professionistica qualche anno dopo si beccò dieci anni di gulag.
Ordinata la parte organizzativa, il football sovietico aveva adesso necessità di progredire tatticamente, dato che ogni squadra mandava in campo due difensori, tre centrocampisti e cinque punte, tutti schierati in linea a replicare la forma della piramide. L’evoluzione verso il più moderno “sistema”, con l’arretramento in difesa del centromediano e il disallineamento degli attaccanti, in Russia sperimentato dal solo Spartak e osteggiato dai vertici del PCUS come una capitolazione di fronte a una tattica capitalista, fu conseguenza di un’altra guerra civile, quella spagnola.
Nel giugno 1937, una selezione basca giunse in Unione Sovietica nel quadro di un tour per raccogliere fondi a favore della Repubblica attaccata dai franchisti. I calciatori baschi costituivano il nerbo della Spagna, che nel 1928 aveva inflitto all’Inghilterra la prima sconfitta contro una rappresentativa continentale e ai Mondiali del 1934 aveva eliminato il Brasile prima di lasciare strada all’Italia padrona di casa. I “sistemisti” di Euskadi furono festeggiati da folle imponenti come campioni dello sport ed eroi della resistenza contro il nazifascismo, ma non si fecero scrupoli a umiliare prima il Lokomotiv e poi la Dinamo Mosca, mettendo a nudo l’inadeguatezza dell’obsoleto 2-3-5 dei russi. L’ultima speranza era lo Spartak e la nomenklatura del partito fece sinistramente sapere a Starostin che era in gioco l’orgoglio sovietico. Rinforzato da alcuni elementi ucraini e georgiani, lo Spartak non deluse e, anche grazie a qualche gentile favore arbitrale, travolse la compagine iberica per 6-2.
Nel 1938 quasi tutte le formazioni della massima divisione si convertirono al “sistema”, inclusa l’ultraconservatrice Dinamo Mosca, che ne sviluppò un’avveniristica versione con fitta rete di passaggi e insistito scambio di posizioni fra i giocatori. Così attrezzato, l’undici dei servizi segreti nel novembre 1945 andò in tournée nel Regno Unito e meravigliò persino i maestri inglesi, vincendo con l’Arsenal e pareggiando con Chelsea e Rangers Glasgow.
 fonte: alias del 09/06/2018

venerdì 8 giugno 2018

La magistratura borghese dà la magistratura borghese toglie

Solidarietà ai 5 operai di Pomigliano


Giovanni “Ivan” Alberotanza
Mercoledì 6 giugno, la Corte di Cassazione ha emesso una sentenza con la quale ha confermato la decisione della FCA di licenziare i 5 operai di Pomigliano d'Arco “colpevoli” di aver inscenato il finto suicidio dell'amministratore delegato Marchionne, in risposta al vero suicidio di una loro compagna di lavoro a causa delle condizioni inumane di lavoro all'interno degli stabilimenti FCA ex-Fiat di Pomigliano d'Arco e Nola.
Nella stessa giornata, il nuovo governo reazionario, a guida Salvini-Di Maio, otteneva la fiducia alla camera. Tra le tante banalità del premier teleguidato Conte spiccava, a proposito della lotta alla corruzione e delle preoccupazioni manifestate da alcuni ambienti borghesi sulla figura dell'agente provocatore, l'affermazione: «Con noi gli onesti non hanno nulla da temere». Dov'è il nesso, verrebbe da chiedersi, e così su due piedi faticheremmo anche noi a trovare un collegamento tra i due eventi ma scavando più a fondo, balza subito agli occhi la contraddizione stridente tra le parole pronunciate in aula a Montecitorio e l'essenza dei fatti consumatisi nell'aula della Cassazione, perché mentre il premier sproloquiava di onestà, nelle aule della Suprema Corte si sanciva, almeno per il momento, che la disonestà anche dal punto di vista delle leggi borghesi la ha vinta.
La Cassazione infatti, dando ragione alla FCA, ha premiato un'azienda che oltre alla secolare storia di corruttela, malversazioni e condizionamento del potere politico, negli ultimi anni, si è specializzata nel far passare lo sfruttamento selvaggio dei lavoratori per tutela della loro salute (la panzana dell’ergo-uas), e l'evasione fiscale per riorganizzazione funzionale alla propria nuova dimensione internazionale.
Ma perché dicevamo nel titolo, la magistratura borghese dà e la magistratura borghese toglie? Perché lo scorso 2 giugno, in occasione della festa della cosiddetta repubblica democratica fondata sul lavoro, in quel di Atessa, dove ha sede lo stabilimento Sevel (joint-venture tra FCA Peugeot e Citroen per la produzione di veicoli commerciali leggeri), si è svolta un’assemblea pubblica, indetta da alcuni sindacati di base, in cui si rivendicavano le vittorie rappresentate dalle varie sentenze di Cassazione che, nel corso del 2017, hanno condannato FCA a versare le quote sindacali anche in favore dei sindacati non firmatari di quel contratto specifico che FCA ha unilateralmente sostituito al contratto collettivo nazionale di lavoro.
Come si può ben capire ciò che emerge, da questi due comportamenti apparentemente schizofrenici della Cassazione, è che non si può fare cieco affidamento sui tribunali borghesi per vedere riconosciute le ragioni dei lavoratori, concetto che d’altronde hanno sempre affermato con la loro pratica di lotta Mimmo, Marco, Antonio, Massimo e Roberto. Perché, come ben sapeva chi ci ha preceduto sui campi di battaglia della lotta di classe, nei tribunali, ancor più quando si tratta di cause di lavoro, non si amministra la giustizia ma si sanciscono i rapporti di forza. Lo strumento del ricorso alla magistratura borghese può essere utilizzato in seconda battuta ma solo se in primo piano rimane l’unità delle lotte e la mobilitazione cosciente dei lavoratori condotta in maniera indipendente dalla borghesia, dai suoi governi e dai suoi agenti nel movimento operaio.
È proprio a tale scopo che, nel rinnovare la propria incondizionata solidarietà ai lavoratori licenziati dalla FCA e colpiti dalla Cassazione, il Partito di Alternativa Comunista e la Lega Internazionale dei Lavoratori - Quarta Internazionale di cui il PdAC è sezione, ribadiscono l’imprescindibile necessità di rafforzare gli strumenti di coordinamento e di solidarietà tra tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori, rappresentati oggi in Italia dal Fronte di Lotta No Austerity, e a livello internazionale dalla Rete Sindacale Internazionale di Solidarietà e di Lotta di cui il Fronte di Lotta No Austerity è parte, per preparare, a partire dalla comune sconfitta odierna, le vittorie di domani.

Sionismo cristiano, l’eresia che porta morte e distruzione

Cristina Amoroso

Sono molti i cristiani convinti che l’istituzione dello Stato moderno di Israele in Terra Santa sia l’adempimento della profezia biblica e quindi meriti un sostegno incessante da parte dei cristiani. Quando il presidente americano Donald Trump annunciò a dicembre la sua intenzione di dichiarare Gerusalemme come la capitale di Israele, molti attribuirono la sua decisione al potere del sionismo cristiano, che è una componente chiave nel governo di Trump ed ha un membro potente e devoto nel vicepresidente Mike Pence.

Molti ritengono che sia fortissimo il potere di influenzare la politica estera degli Stati Uniti da parte di organizzazioni come i Cristiani uniti per Israele, ma quell’influenza fuori misura non potrebbe esistere senza la presenza di un pubblico ricettivo. “Sostenere Israele non è un problema politico… è una questione biblica”, sono le parole del pastore John Hagee, fondatore e presidente nazionale dei Cristiani uniti per Israele. Uno su quattro cristiani americani intervistati di recente dalla rivista Christianity Today ha dichiarato di ritenere che sia la propria responsabilità biblica sostenere la nazione di Israele. Questa visione è conosciuta come sionismo cristiano.

Ma quanto è potente il sionismo cristiano? 

Il sionismo cristiano è pervasivo all’interno delle principali denominazioni evangeliche, carismatiche e indipendenti americane, incluse le Assemblee di Dio, i pentecostali e i battisti del Sud, così come in molte delle mega-chiese indipendenti. Per ogni sionista ebreo ci sono dieci sionisti cristiani evangelici, convinti che la fondazione dello Stato di Israele nel 1948 e la conquista di Gerusalemme nel 1967 furono il miracoloso adempimento delle promesse di Dio fatte ad Abramo, di stabilire per sempre Israele come nazione ebraica in Palestina.
I famigerati romanzi del ciclo Left Behind di Tim LaHaye, o le fiction di The Late Great Planet Earth insieme ad altre speculazioni sulla fine dei tempi scritte da autori come Hal Lindsey, John Hagee e Pat Robertson, hanno venduto oltre 100 milioni di copie. Questi sono integrati da libri per bambini, video e persino videogiochi violenti.
Le fiorenti organizzazioni sioniste cristiane come l’Ambasciata cristiana internazionale (Icej), Christian Friends of Israel (Cfi) e Christian United for Israel (Cufi) esercitano un’influenza considerevole sul Campidoglio, sostenendo una base di supporto di oltre 50 milioni di veri credenti. Ciò significa che ora ci sono almeno dieci volte più cristiani sionisti che ebrei sionisti. I loro cugini europei non sono meno attivi nella Hasbarafia sionista, una lobby per Israele, che fa pressioni per Israele, attaccandone nemici e ostacolando il processo di pace. Gli Stati Uniti e Israele sono spesso raffigurati come gemelli siamesi, uniti nel cuore, che condividono comuni valori storici, religiosi e politici.
Il pastore John Hagee è uno dei leader del movimento sionista cristiano. È il fondatore e pastore anziano della Cornerstone Church, una chiesa evangelica di 19mila membri a San Antonio, in Texas. I suoi programmi settimanali sono trasmessi su 160 stazioni Tv, 50 stazioni radio e otto reti in circa 99 milioni di case in 200 Paesi. Nel 2006 ha fondato in movimento Christian United for Israel ammettendo: “Per 25 anni e mezzo, ho martellato la comunità evangelica alla televisione. La Bibbia è un libro molto pro-Israele. Se un cristiano ammette “Credo nella Bibbia”, posso farne un sostenitore pro-Israele o altrimenti fargli rinnegare la sua fede. Quindi tengo i cristiani dalla parte del manico, si potrebbe dire”. Nel marzo 2007, Hagee ha partecipato alla conferenza politica dell’American Israel Public Affairs Committee (Aipac). Ha esordito dichiarando: “Il gigante addormentato del sionismo cristiano si è risvegliato. Ci sono 50 milioni di cristiani che applaudono attivamente lo Stato di Israele…”.

Come è iniziato? Come si è sviluppato?

Le origini del movimento possono essere ricondotte all’inizio del XIX secolo, quando un gruppo di eccentrici leader cristiani britannici iniziò a fare pressioni per la restaurazione degli ebrei in Palestina, come precondizione necessaria per il ritorno di Cristo. Il movimento acquisì slancio fin dalla metà del XIX secolo quando la Palestina divenne un punto strategico per gli interessi coloniali britannici, francesi e tedeschi in Medio Oriente. Il sionismo proto-cristiano ha quindi preceduto il sionismo ebraico da oltre 50 anni. Alcuni dei più forti sostenitori di Theodore Herzl erano chierici cristiani.
Già nel 1917, gli inglesi barattarono la Palestina con la Dichiarazione Balfour. Arthur Balfour e Lloyd George erano predisposti al sionismo nel loro sostegno a una casa nazionale ebraica, ma con motivazioni razziste miste circa la superiorità britannica bianca. Il loro obiettivo principale era far avanzare gli interessi imperialisti britannici con la politica utilitaristica.
Anche se incoraggiato nel ’48 e nel ’67 il sionismo cristiano ebbe scarsi rapporti con Israele fino all’elezione di Menachem Begin nel Likud del 1977, quando il premio Nobel per la pace cominciò a vedere la necessità della partita teopolitica fatta in cielo e a corteggiare la relazione con predicatori televisivi evangelici e con le fiorenti chiese sioniste nel sud. Nel 1979, con grande clamore, a Begin fu presentato un jet privato, presumibilmente per affermare il sostegno del televangelista per le politiche israeliane come il loro imminente bombardamento del sito nucleare iracheno del 1981, ma anche per diffondere il piano d’azione sionista. L’elezione di Ronald Reagan, convertito a credenze sioniste cristiane, contribuì a consolidare il sionismo cristiano fino al centro del Partito Repubblicano e della Casa Bianca, insieme a diversi oratori del Parlamento. L’11 settembre ha suggellato il matrimonio. La colla era che entrambi temevano e odiavano i musulmani. Ciò ha accelerato la crescita del cosiddetto sionismo evangelico, che ha contribuito ampiamente all’elezione di Trump.
Il sionismo cristiano, come moderno movimento teologico e politico abbraccia le posizioni ideologiche più estreme del sionismo, si basa su una visione eretica della Bibbia, respinta dalle tradizionali confessioni cristiane, dai cattolici agli ortodossi ai protestanti tradizionali. È diventato profondamente dannoso per una giusta pace tra Palestina e Israele. Propaga una visione del mondo in cui il messaggio cristiano si riduce a un’ideologia dell’impero, del colonialismo e del militarismo. Nella sua forma estrema, pone un accento sugli eventi apocalittici che portano alla fine della storia piuttosto che sul vivere l’amore e la giustizia di Cristo oggi. Secondo l’opinione del rev. dr. Stephen Sizer, rettore della Christ Church in Virginia Water,  “Il  sionismo cristiano è la più grande, controversa e distruttiva lobby del cristianesimo”.
fonte: il faro sul mondo

giovedì 7 giugno 2018

Un incontro per ragionare sulla sanità pubblica locale e, forse, sulla politica

Luciano Granieri


Comunicato - invito
L’ospedale “Fabrizio Spaziani” non è più in grado di far fronte al bisogno di salute della popolazione del Capoluogo, del centro nord e dell’intera provincia.
 Occorre agire con urgenza per mettere fine ad una realtà drammatica dominata dal caos organizzativo, dall’inefficienza e dagli sprechi.
Cittadinanzattiva-Tribunale del Malato ha organizzato per
LUNEDI’ 11 GIUGNO 2018, DALLE ORE 10 ALLE ORE 13,
 presso la sala-teatro della Asl, un incontro pubblico al quale sono invitati a partecipare i cittadini, i rappresentanti degli organi di informazione, i consiglieri regionali e comunali, la dirigenza asl e le associazioni di volontariato.
Il tema è il seguente:
INCONTRIAMOCI PER RAGIONARE.
L’OSPEDALE DEL CAPOLUOGO TRA EMERGENZA E RISCHIO

Relatore Francesco Notarcola – Coordinatore di Cittadinanzattiva-TDM di Frosinone;
Interverrà Elio Rosati – Segretario Regionale di Cittadinanzattiva.



L’incontro programmato da Cittadinanzattiva TDM di Frosinone  è destinato ad aprire l’ennesimo dibattito sulla grave situazione della sanità pubblica nel nostro territorio. A dire il vero il mondo dell’associazionismo locale, movimenti, ed aggregazioni  cittadine, da tempo immemore hanno denunciato e denunciano  il costante degrado del costituzionalmente garantito diritto alla salute.

La sistematica attività di destrutturazione della sanità pubblica del nostro territorio ha contraddistinto giunte regionali di diverso colore, le quali,  anche se con modalità diverse, hanno sempre perseguito questo obiettivo.

Si sono chiusi ospedali  in nome di un nuovo modello sanitario, non più basato sul numero dei posti letto, ma sulla distribuzione territoriale del servizio. Ospedali di nuova costruzione, come il Fabrizio Spaziani di Frosinone, proprio in virtù di tale nuovo modello, ancora in divenire, ma più probabilmente di dubbia realizzazione,  sono stati svuotati e depotenziati della loro effettiva  valenza terapeutica. In realtà un trasferimento di servizi in questi anni c’è stato. Non nel senso del passaggio da una medicina centralizzata  ospedaliera, verso un’organizzazione territoriale, ma più banalmente si sono sistematicamente trasferite   prestazioni sanitarie dal pubblico al privato. Il 50% delle attività diagnostiche e di gestione delle strutture, nella nostra provincia, è in mano ad aziende private, le quali, evidentemente, badano più al profitto che alla cura dei pazienti.

E allora qui il discorso, da denuncia, deve necessariamente  trasformarsi in  politico. Anche perché la svendita del servizio sanitario ai privati, con la conseguente mercificazioni delle prestazioni,  è una procedura ormai consolidata in tutta la Nazione, così come sistematicamente si stanno cedendo al  mercato servizi fondamentali come l’erogazione dell'acqua.

Tutto ciò non rientra nella solita litania anticapitalistica ma incide pesantemente sulla carne viva  delle persone, di quel 90% di persone che  tutte insieme non detengono in Italia la ricchezza del restante 10%. Secondo il rapporto  Censis -  Rbm-Assicurazione Salute, quest’anno gli italiani per curarsi spenderanno nella  sanità privata 40 milioni di tasca propria. Una voce in crescita rispetto ai 37,3 miliardi dell’anno scorso. Tale  andamento è in costante crescita negli ultimi anni  registrando un incremento del 9,6% nel periodo 2013-2017.

Negli ambulatori privati e nei laboratori di analisi, anche nella nostra città, spesso si incontrano pazienti  che dopo aver chiesto  il prezzo di una prestazione rinunciano ad usufruirne per mancanza di denaro. A  dodici milioni di persone che nell’ultimo anno hanno rinunciato a curarsi,  bisogna aggiungere altri sette milioni che per non rinunciare alle cure si sono dovute indebitare, e altri tre milioni    i quali si sono visti costretti a vendere la casa per pagarsi le terapie. Per gli operai l’intera tredicesima  se ne va in pagamento di  prestazioni  sanitarie per se e per i propri familiari.

La realtà dei fatti è impietosa, la continua devastazione della sanità pubblica a favore della sanità privata mette sempre più in difficoltà quasi metà della popolazione che, o deve  rinunciare a curarsi, o  indebitarsi fino a vendere casa.  “La spesa sanitaria privata –sostiene Marco Vecchietti di Rbm Salute- rappresenta la più grande forma di diseguaglianza, perché pone il cittadino di fronte alla scelta fra pagare o non curarsi.

A proposito di diseguaglianza, sempre nel citato rapporto si evidenzia come fra il 2014 e il 2016 i consumi delle famiglie operaie sono rimasti quasi fermi (+0,1%) ma le loro spese sanitarie sono aumentate del 6,4% . Per gli imprenditori, al contrario, c’è stato un forte incremento dei consumi (+6%) e una crescita inferiore della spesa sanitaria privata (+4,5%) Una evidente testimonianza che per molte persone bisogna scegliere: o si mangia o ci si cura.

La neo ministra della Salute Giulia Grillo ha promesso di invertire  questa tendenza. Ho  fondati dubbi che possa riuscirvi, visto che nel governo di cui è parte, si prevede un piano fiscale  finalizzato a diminuire le tasse ai ricchi e ad aumentarle ai poveri, a quelli  che cioè devono scegliere fra la cura o il vitto e l’alloggio . In più si prevede l’erogazione di un’elemosina   da fame per i disoccupati  che, come concepita, creerà una classe di nuovi poveri, vittime di un terribile dumping salariale.

Questo governo del cambiamento, non so cosa cambierà, di sicuro manterrà, anzi aumenterà, il divario fra poveri e ricchi. A ben vedere il governo del cambiamento è qualcosa di già visto.  Un esecutivo che abbassa le tasse ai ricchi e le alza ai poveri non è populista è semplicemente neoliberista come tanti  che  lo hanno preceduto.

Per tornare all’appuntamento di lunedì   11 giugno presso la sala teatro della Asl, invito tutti alla massima partecipazione. E’ necessario verificare se finalmente questo passo, dalla denuncia alla politica, sia maturo. Io penso  e spero di si.




martedì 5 giugno 2018

FESTA DELLA REPUBBLICA ED ESECUZIONI SOMMARIE DI NERI!


S.O.S. ROSARNO
FUORIMERCATO, AUTOGESTIONE IN MOVIMENTO
ARI Associazione Rurale Italiana
ECVC European Coordination Via Campesina






La festa della Repubblica del 2018, in Calabria ce la ricorderemo come il giorno in cui si è perpetrata l’ennesima esecuzione sommaria ad opera di un civile, bianco, nei confronti di un nero. 
Perchè se è vero come è vero che qua  noi siamo abbastanza assuefatti alla violenza e l’uso delle armi per dirimere controversie - ciò è abbastanza frequente, a prescindere dalle situazioni e dal colore della pelle - crediamo di poter affermare senza tema di smentita che se a cercare di asportare delle lamiere da quella vecchia fornace, ormai in disuso e sotto sequestro, perché qualche anno fa ci sono andati a finire i rifiuti della centrale Enel di Cerano  in Puglia, fossero stati dei bianchi, magari del posto, invece che Soumalia, “rasta” per chi lo conosceva, e altri due neri, l’assassino non li avrebbe presi a colpi di fucile, non avrebbe sparato 4 colpi, con l’intento di uccidere. 


Soumalia Sacko, aveva 29 anni, era anche un militante dell' USB Unione Sindacale di Base ed era un bracciante agricolo della Piana di Rosarno/Gioia Tauro, terra delle buonissime clementine I.G.P. di Calabria, fiore all’occhiello del nostro Made in Italy, che il nuovo governo, al pari di quelli che lo hanno preceduto, preannuncia di voler difendere e a cui noi invece chiediamo esplicitamente di impedire che continui ad essere macchiato con il sangue delle migliaia di braccianti che raccolgono la frutta.

Sicuramente per Soumalia è finita la “pacchia” di cui parla il neo-Ministro degli Interni, la pacchia di vivere in una delle baraccopoli, lontane dai centri abitati ma al  servizio delle tante zone agricole del nostro bel Paese, senza acqua né luce, in condizioni igieniche e sanitarie disastrose. 

Ghetti subumani che, in assenza di soluzioni abitative dignitose che garantiscano il diritto ad un tetto ed una casa, diventano l’unica possibilità per la stragrande maggioranza dei 4000 migranti che, con il loro lavoro sfruttato e sottopagato, mantengono in vita l’agricoltura locale, strozzata dai bassi prezzi di acquisto imposti dalla #GDO, dalle industrie di trasformazione e dai grandi commercianti.

Se la baracca non fosse stata la soluzione, Soumalia non sarebbe andato a recuperare lamiere per farsi un tetto e nessuno gli avrebbe sparato. Tutto il resto sono chiacchiere.
Lo diciamo da sempre che tendopoli e forme sempre più moderne e accessoriate di segregazione delle persone, non siano la soluzione. Riteniamo che i provvedimenti degli ultimissimi anni siano una delle cause della crescita della tensione e del disagio. 

Sgomberi, nuove tendopoli, badges, piccoli miglioramenti nei servizi, criteri d’accesso restrittivi ed esclusivi sono stati fatti  voluti e strumentalizzati per ripulire l’immagine da un lato,  e dall’altro criminalizzare e stigmatizzare il resto dell’umanità in eccesso, perchè non funzionale.

Siamo alla quarta tendopoli nell’arco di cinque anni, quanto tempo ancora ci vuole per andare una volta per tutte verso soluzioni strutturali, visioni di ampio respiro che partano dalla soggettività dei lavoratori e delle lavoratrici delle campagne?

Tutto ciò ci lacera il cuore e ci fa rabbia, ma non ci coglie del tutto impreparati: Soumalia è l’ennesima tragedia annunciata, vittima di politiche che trasudano razzismo e discriminazione verso i migranti e che hanno sdoganato le pulsioni più violente e bestiali dell’essere umano, politiche che non sono di oggi, né di ieri, ma affondano le loro radici indietro nel tempo, con le varie leggi Turco – Napolitano e Bossi - Fini, politiche quindi di cui sono responsabili anche quelli che oggi si stracciano le vesti e accusano di razzismo i nuovi arrivati, a cui invece hanno preparato quel terreno fertile nel quale oggi sguazzano.

video a cura di Luciano Granieri

LIFT EVERY VOICE AND SING: IL 68 È ADESSO!

Vincenzo Martorella


I moti di Ferguson, Missouri, scoppiati dopo l’uccisione, da parte della polizia, di Mike Brown, un adolescente di colore, disarmato e inoffensivo, hanno acceso la miccia di una rivoluzione silenziosa, ma non per questo meno radicale. Prima di Mike Brown, e purtroppo anche dopo, i giovani afroamericani uccisi senza alcuna ragione dalla polizia riempiono una lista infinita: da Treyvon Martin a Eric Garner, da Philando Castile a Stephan Clark. I loro carnefici, invece, regolarmente assolti da ogni accusa.
Una lista – lunga e dolorosa litania di vite spezzate – la si può ascoltare, letta da una bambina, in un brano di Ambrose Akinmusire, uno dei jazzisti più influenti del nostro tempo. È un segnale forte, perché come il trombettista in molti sono i musicisti, di ogni stile e razza, a rivitalizzare una stagione, quella della lotta per i diritti civili, che sembrava essere stata anestetizzata dalle incarcerazioni di massa, dalla guerra alla droga condotta da molti inquilini della Casa Bianca, dalle politiche neoschiaviste della società statunitense. Al grido di #BlackLivesMatter il black power riafferma la sua forza e si prepara a una nuova, entusiasmante e dura, battaglia. La cui colonna sonora in questa chiacchierata proviamo a raccontare.

video a cura di Luciano Granieri



Vincenzo Martorella, frusinate d’adozione, insegna Storia del Jazz nei Conservatori di Sassari, Latina e Venezia, dopo aver insegnato in università italiane e straniere. Ha pubblicato sei libri (altri due ne sta scrivendo), scritto centinaia di articoli e saggi, tradotto, diretto riviste e festival jazz. È stato direttore editoriale di Arcana e ora dirige la neonata casa editrice Ottotipi

lunedì 4 giugno 2018

Il governo Di Maio-Salvini è un governo delle classi possidenti contro il proletariato e i popoli oppressi Facciamolo cadere con il fronte unico di lotta!

Piattaforma Comunista – per il Partito Comunista del Proletariato d’Italia



Il governo giallo-verde si presenta come un governo decisamente antioperaio e antipopolare, il più a destra di sempre. Se le dichiarazioni di Salvini sono un manifesto del razzismo istituzionale, il carattere di classe dei suoi componenti è altrettanto evidente: rappresentanti confindustriali, professori neoliberisti, avvocati di regime, militari e ciarlatani populisti.
Nessun esponente del governo 5 Stelle-Lega ha un rapporto, anche labile, con il movimento operaio e le sue tradizioni di lotta. E’ l’ennesimo comitato di affari delle classi possidenti contro il proletariato e i popoli oppressi.
Il patto firmato da Di Maio e Salvini, con il prestanome Conte a darne un’immagine “presentabile”, è un’accozzaglia di sciovinismo e autoritarismo borghese, misure antioperaie e bellicismo,  xenofobia e repressione.
Il “contratto di governo” prevede il rafforzamento del complesso militar-industriale e la chiusura di fabbriche come l’Ilva, altri regali ai padroni e ai ricchi (reintroduzione dei voucher, flat tax, etc.), la riduzione generalizzata del salario e la distruzione dei contratti collettivi (attraverso il “salario minimo” per legge), lo smantellamento dei diritti dei lavoratori (assenti nel programma, come la sicurezza sul lavoro), l’elemosina di Stato e il salvataggio delle banche con fondi pubblici, le stragi in mare e la detenzione nei lager per i migranti, una politica di guerra più vicina all’ “interesse nazionale” (cioè l’interesse dei monopoli italiani).
Tutte le misure che inquietavano l’oligarchia finanziaria e la Commissione di Bruxelles sono state eliminate o sfumate. Si è persino introdotto un direttorio extra-costituzionale per gestire le crisi e i “problemi di ordine pubblico” che saranno provocati dal populismo al potere.
Questo non è un governo del “cambiamento” ma un governo reazionario che porterà avanti, con qualche variante, le politiche antioperaie e antipopolari seguite dai governi di centrodestra e centrosinistra, per impoverire ancor più i proletari e ingrassare padroni, padroncini e parassiti.
Per mantenersi al potere, il governo Di Maio-Salvini dovrà dimostrarsi deciso a continuare il feroce attacco alla classe operaia e alle masse popolari, ad intensificare ancor più lo sfruttamento nelle fabbriche e negli altri luoghi di estorsione del plusvalore, a difendere profitti e privilegi borghesi, a servire gli USA, la NATO, la UE e il Vaticano applicando le politiche di austerità e di miseria, di saccheggio e di guerra imperialista.
Quanto alle favole sul M5S quale argine democratico-borghese i fatti parlano chiaro: i pentastellati favoriscono l’ascesa al potere della destra xenofoba e fascista.
Il proletariato non ha nessun “amico” su cui sperare dentro il governo e il marcio parlamento borghese. Sono tutti “amici dei mercati”. Gli operai devono contare esclusivamente sulle proprie forze per resistere e passare alla controffensiva.
Per farlo va rimessa in campo una politica basata sulla difesa intransigente degli interessi di classe, un protagonismo operaio che si concretizzi nella costruzione di organismi di fronte unico di lotta sul terreno economico e politico.   
E’ necessario riprendere subito la mobilitazione di massa contro i licenziamenti e le misure a favore dei ricchi e dei padroni, per la cancellazione della legge Fornero e del Jobs Act, contro la xenofobia e la repressione, per dire basta alla politica di guerra imperialista.
Prepariamo lo sciopero generale per far cadere il prima possibile nelle fabbriche e nelle piazze il governo nazionalista e populista di M5S–Lega e aprire la strada a un vero Governo operaio.
Spetta ai comunisti e ai proletari d’avanguardia mettersi alla testa della lotta unendosi e organizzandosi in Partito indipendente e rivoluzionario della classe operaia.