Il prossimo 4 marzo l’Italia torna
a votare.
Lo farà in una situazione sociale
segnata dagli effetti delle politiche liberiste e d'austerità imposte dai
governi succedutisi negli anni, con indicatori di povertà saliti alle stelle.
Lo farà in una situazione politica
segnata da una separatezza ormai abissale fra paese reale e istituzioni, con un
astensionismo destinato ad aumentare progressivamente.
Di fatto, queste elezioni arrivano
in un paese nel quale il conflitto sociale e l’azione dei movimenti scontano
un’insufficienza pesante, e dove alla narrazione austeritaria e securitaria
corrisponde una preoccupante rassegnazione.
Viene al pettine un nodo
fondamentale di questi anni: mentre le persone in campo per il cambiamento, sia
esso un conflitto territoriale o una nuova pratica dell’agire comune, non sono
mai state così numerose, la loro fiducia nella possibilità di una
trasformazione più generale non è mai stata così bassa.
Si scontano, socialmente e
politicamente, i pesanti limiti di una sinistra, anche “radicale” che, non
avendo fatto un’adeguata analisi del capitalismo nell’epoca dell’economia del
debito e della finanziarizzazione della società, ha di fatto interiorizzato la
narrazione liberista, focalizzandosi nella rivendicazione di una qualche forma
di redistribuzione.
Coerentemente con il nostro
percorso associativo e di movimento, non guardiamo all’appuntamento elettorale
come ad una scadenza decisiva, perché continuiamo a pensare che solo da una
società in movimento possa scaturire l'energia per produrre istituzioni nuove e
che oggi la rappresentanza sia molto più il problema che non la soluzione.
Anche perché, in un’epoca di
progressivo spostamento dei luoghi della decisionalità fuori dalle assemblee
elettive e del conseguente svuotamento di queste ultime, le istituzioni, invece
di costituire un argine al pensiero unico del mercato, diventano sempre più
spesso un’articolazione dello stesso.
Nella nostra riflessione e nelle nostre
azioni abbiamo sempre identificato la necessità di una partecipazione popolare
dal basso e inclusiva, come unica garanzia per avviare processi di
riappropriazione sociale di tutto quello che ci “appartiene”: beni comuni,
diritti sociali, ricchezza collettiva, democrazia.
Per questo, siamo convinti che, di
fronte all’esito delle prossime elezioni, qualsiasi degli scenari paventati si
realizzi (ritorno al voto per impossibilità di formare un governo, governo
della destra, governo di “strette intese” Pd-Forza Italia, governo, forse più
immaginario che reale, M5S-Lega), l’unica possibilità continui ad essere
rappresentata dalla ripresa di una forte mobilitazione sociale che ponga le
vite prima del debito, i diritti prima dei profitti, il “comune” prima della
proprietà, gli amori prima dei generi.
Per queste ragioni, non vediamo
nessuna possibilità di uscita dall’attuale impasse in proposte come
quella di Liberi e Uguali, che non va oltre la riproposizione di un
centro-sinistra liberista, pur emendato della recente spocchia (Renzi); e
neppure in affermazioni come quella preannunciata del M5S, che in pochi anni ha
dissipato tutte le potenzialità di rottura espresse dal voto di 5 anni fa, per
inginocchiarsi all’altare della teologia della governamentalità (seduzione dei
poteri forti e indifferenza verso i marginali comprese).
Pur non intendendo partecipare
alla scadenza elettorale, guardiamo tuttavia con un certo interesse
all’esperienza di Potere al Popolo, che, con tutti i limiti di un'esperienza
appena nata, interroga anche noi su una questione fondamentale: è possibile
superare la logica della consegna delle istituzioni ai poteri dominanti
rifugiandosi nell’astensionismo consolatorio? È possibile, stante tutte le
analisi sopra descritte, fare incursioni dentro queste istituzioni per dare
risonanza a quello che accade fuori?
Non abbiamo una risposta certa, ma
l’intenzione espressa dai promotori di base di quel percorso di considerare la
scadenza elettorale niente di più che una tappa di un percorso che richiederà
tempi lunghi e un grande lavoro sociale, ci consente di considerare questo
laboratorio politico una realtà con cui interloquire.
A partire dalle pratiche inclusive
con cui tenta, per prove ed errori, di segnare il proprio percorso, dai
contenuti di netta discontinuità con l'attuale corso liberista e dal
coinvolgimento di molteplici esperienze radicate territorialmente, ci interessa
aprire un confronto che vorremmo impostare intorno ad un nesso che riteniamo
fondamentale, poiché rivela la nudità del re: senza una messa in discussione
della trappola del debito, con la creazione di una commissione d'indagine
(audit) indipendente e popolare che si prefigga l'annullamento dei debiti
illegittimi e la messa in campo di una nuova finanza pubblica e sociale, ogni
altro modello di società diviene impossibile e ogni proposta alternativa è
destinata all'evaporazione.
Per queste ragioni, aldilà e
soprattutto dopo la scadenza elettorale, ci dichiariamo disponibili ad aprire
un confronto con le realtà che stanno dando vita a quest'esperienza, per
provare comunemente a sciogliere i nodi più intricati del nostro agire sociale
e politico e provare a costruire nuovi passi in avanti condivisi.
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